Tumgik
cianciarebanale · 1 year
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Le mie mandorle
Ho letto "Almond. Come una mandorla" di Won-Pyung Sohn e mi è piaciuto tantissimo. È stata una lettura delicata e potente che mi ha cullata, abbracciata, presa a schiaffi e tagliuzzata da dentro.
Il giovane protagonista del romanzo è affetto da una rara patologia, l'"alessitimia", a causa della quale il suo cervello non riesce a comprendere e a provare le emozioni. Le sue amigdale, piccole piccole e simili a due mandorle, non sono cresciute abbastanza.
Quello che mi ha conquistata del romanzo è il tentativo di dare una definizione all'empatia: cosa significa comprendere e sentire ciò che un'altra persona sta vivendo? Spiegarlo è difficile.
In aiuto di Yunjae accorrono due personaggi molto diversi tra loro, Gon e Dora: Gon è un ragazzone grande e grosso, violento e rozzo, un giovane che ha vissuto l'abbandono, il rifiuto, il disprezzo e la rabbia, ed è per questo che in lui si agita una furia senza fine; Dora, invece, è una ragazzina un po' stramba, ma coraggiosa e allegra. Dora insegnerà a Yunjae l'amore e la leggerezza, Gon gli insegnerà il dolore, la rabbia, il senso di ingiustizia.
È stata una lettura scorrevole ma molto ricca e intensa, e l'ironia molto caustica dell'autrice mi ha fatta sorridere e al contempo star male. Ne consiglio la lettura a grandi e piccini, e a chiunque si chieda, ogni tanto, come sarebbe vivere chiusi in un guscio monocorde: mi è capitato di sentirmi sopraffatta dal dolore e di pensare "quanto vorrei non provare niente", ma è davvero così? Cosa vuol dire non provare niente?
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cianciarebanale · 1 year
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L’energia che mi spaventa
Non mi reputo una persona spirituale, non sono religiosa e non credo nell’aldilà, e questa cosa mi tranquillizza e, al contempo, mi atterrisce, ma è un sentimento molto comune per noi umani.
Il fascino del paranormale, di tutte quelle cose che accadono e che non riesci a spiegare, ha comunque da sempre una certa presa su di me; ho riflettuto spesso su dove io ponga il confine tra semplice immaginazione e reale impossibilità di spiegare determinati eventi, e non sono ancora riuscita a trovare una risposta.
Quando ho sentito la triste notizia delle cinque persone scomparse a bordo del sommergibile OceanGate, ho avvertito qualcosa dentro di me, una sensazione che sono difficilmente riuscita a spiegare a parole e che tenterò di elaborare qui.
Per me gli elementi naturali vanno rispettati. Vanno trattati con una certa riverenza, con una cura e un’attenzione che spesso non abbiamo. Io, personalmente, ho molta paura dell’energia della natura; la mia amica strega parla di magia appunto intesa come energia: ogni elemento ha la sua energia, come l’abbiamo noi persone, e la natura comunica esattamente come comunichiamo noi. Quando la natura devasta, si ribella, scalpita e urla, sta comunicando qualcosa.
Sempre parlando con la mia amica strega, lei mi ha detto una cosa che mi ha fatto molto riflettere: “solo perché abbiamo imparato con la tecnologia a dominare certi elementi come l’aria e l’acqua, spostandoci con le navi e con gli aerei, non significa che possiamo farlo”. È un punto di vista forse estremo, ma che capisco. 
Informandomi un po’ in giro, secondo alcune credenze più antiche l’acqua è un elemento in grado di ricordare, e non è forse affascinante e al contempo spaventosa questa idea? L’acqua è la casa di tante anime che riposano sul fondo degli abissi, come nel caso del Titanic, che è un mausoleo a tutti gli effetti. Forse dovremmo tenere a mente che, pur avendo gli strumenti giusti, non siamo i padroni di tutto ciò che ci circonda, e che l’energia dell’universo è forte tanto quanto la nostra, e forse molto di più.
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cianciarebanale · 1 year
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Perché vado pazza per «Never Have I Ever»?
Parlare del perché questa serie mi piaccia così tanto è un po’ difficile, quindi ho pensato: magari faccio una specie di lista. E allora ecco qui 5 motivi per cui Never Have I Ever è una delle mie serie preferite:
1) Devi Vishwakumar. Punto. Questo motivo mi parrebbe già sufficiente. Devi non ha fatto una sola scelta giusta in tutta la sua vita, e sinceramente? Same. Finalmente un personaggio vero. Un’adolescente reale. 2) Ben e Devi. Da fan sfegatata degli enemies to lovers, non potevo non parteggiare per questa coppia di matti fin dal primo episodio. Il finale della terza stagione, quando Devi dà quel bigliettino a Ben? Ho letteralmente urlato. Ma letteralmente. Urlato 3) La rappresentazione del trauma. Devi vive la morte del padre per quello che è: un evento traumatico che la sconvolge e la lascia a pezzi, sofferente. Eppure, Devi non rispecchia la classica narrativa del “ho sofferto e quindi sono più sensibile e buona degli altri”, anzi: sa essere stronza, egoista, immatura, sa essere adolescente. Non è una bambina che è cresciuta troppo in fretta a causa del dolore, è una ragazzina che ha sofferto, semplicemente. È una rappresentazione molto realistica. 4) La verietà. In Never Have I Ever non ci sono canoni, ci sono solo persone.  5) La coralità. Nella serie, ogni storia è importante, ogni personaggio ci parla di qualcosa, ci racconta; le donne della famiglia Vishwakumar, Ben, Paxton, Fabiola ed Eleanor, hanno tutti qualcosa di prezioso da darci.
L’addio alla serie mi ha lasciato in bocca un triste sapore dolce: di storie così ce ne sono poche, ma la porterò sempre nel cuore.
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cianciarebanale · 1 year
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«Mamma, sono gay!»
Ho guardato xo, Kitty e credo proprio che dobbiate farlo anche voi!
Quando uscì il primo film della serie, To all the boys I’ve loved before, ero intrappolata in una relazione che non mi rendeva felice, ma non avevo il coraggio di ammetterlo a me stessa. Ricordo che guardai quel film con gli occhi a cuoricino per tutto il tempo, chiedendomi “ma io mi sentirò mai come Lara Jean”? Ero un’inguaribile romantica che, nonostante le fattezze di una più che ventenne, all’epoca voleva reinfilarsi nei panni di un’adolescente (cosa che vorrei fare anche adesso che mi avvicino disperatamente ai trenta).
L’annuncio della serie spin-off xo, Kitty era passato un po’ in sordina, ma ho cliccato play nell’esatto istante in cui la locandina mi è comparsa su Netflix.  C’è tutto: k-drama, primi amori, imprevedibilità, scoperte, identità, relazioni.
La diciassettenne Kitty vola a Seoul dopo aver vinto una borsa di studio per frequentare un intero anno accademico presso la stessa scuola in cui, anni e anni prima, aveva studiato anche la sua ormai defunta madre, e in cui studia adesso Dae, ragazzo con cui da tre anni intrattiene una relazione a distanza. Primo amore, esplorazione delle proprie radici. Andrà tutto liscio? Ovviamente no.
Mi asterrò da spoiler più grossi, ma volevo scrivere qualche riga su una parte della serie che mi ha molto colpita, forse perché l’ho sentita tanto vicina alla mia esperienza e ha fatto suonare qualche campanella. Parliamo di Yuri, una delle protagoniste: scopriamo praticamente subito che è innamorata di Juliana e che quest’ultima è stata allontanata e si trova adesso a frequentare una scuola a Londra.  Juliana è stata mandata via perché la relazione tra le due ragazze è stata scoperta: la madre di Yuri non contempla la possibilità che sua figlia possa essere innamorata di un’altra ragazza e fa di tutto per ostacolare sul nascere questo amore (ovviamente invano). Le due sono più innamorate che mai e, nonostante l’allontanamento forzato, Yuri non rinuncia a lottare per il suo amore.  All’inizio, prova a mentire per riavvicinarsi a Juliana senza creare troppi sconvolgimenti, ma poi accade qualcosa: stanca delle continue bugie di sua madre, Yuri esplode e decide di smettere di nascondersi, sceglie di affrontare tutti e di lasciar cadere la maschera. 
«Mamma, sono gay»: questa frase, questo momento, lo sguardo di Yuri, il suo respiro prima pesante e poi più calmo. La sensazione di liberazione che si prova quando hai quel macigno sul petto che non sai come toglierti di dosso, che ti sembra impossibile da spostare di un solo centimetro, poi riesci a farlo cadere e riprendi a respirare, e quando respiri e ti accorgi che, anche se hai paura, stai respirando a pieni polmoni, ti chiedi come facevi prima a vivere con quel masso sopra lo sterno. È una sensazione che può capire forse solo chi ha vissuto tutto questo, chi sa cosa vuol dire essere queer e non sentirsi al sicuro quasi da nessuna parte.
Cosa posso dire? È una serie che mi ha divertita e che mi ha fatta commuovere, e che soprattutto mi ha fatto pensare a quanto è diversa la vita di chi vive con qualcuno che ti fa respirare senza abbastanza aria nei polmoni da quella di chi ha qualcuno che ti risponde «oh, grazie a Dio, temevo ti fosse successo qualcosa!» quando gli dici «forse sono bi, o pan, o fluid...»
Il romanticismo della serie spin-off dei film su Lara Jean e Peter Kavinsky è un po’ diverso, un po’ meno sdolcinato di tutte quelle lettere d’amore che ricordavamo, ma c’è, e sa emozionare a modo suo.
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cianciarebanale · 2 years
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La mia ultima lettura YA: la bellezza delle nuove scoperte (che avevi proprio sotto al naso)
Ieri sera ho fatto le due di notte per finire di leggere “Better Than the Movies” di Lynn Painter, uno young adult carinissimo che mi ha fatta sognare, ridere, emozionare, commuovere. La protagonista, Liz, è una liceale che da bambina ha perso la mamma in un brutto incidente stradale, e che adesso lotta quotidianamente contro la paura di perdere quel legame concreto che ancora la unisce alla madre: il suo filo rosso sono... ZANZAAAAN... le rom-com! Liz e sua madre adoravano guardare insieme Bridget Jones, Love Actually, When Harry Met Sally... era il loro passatempo preferito; la madre di Liz era un’appassionata di commedie romantiche e Liz è cresciuta assorbendo i modelli d’amore riproposti in quei film. 
Come se volesse onorare il ricordo della sua adorata mamma, Liz ha iniziato a vivere la sua vita seguendo quei modelli: è per questo che, quando nella sua vita riappare Michael, un ragazzo per cui da bambina (quando anche la sua mamma era ancora lì insieme a lei) aveva una gigantesca cotta, Liz decide che è pronta a fare di tutto per far sì che Michael sia proprio lui, il lui delle rom-com, il lui delle storie d’amore più belle, quello che il destino ha scelto per te e che ha deciso di mandarti proprio al momento perfetto; insomma, Michael è quello giusto, e Liz non può proprio farselo scappare.
Bando alle ciance: sarà con Michael che Liz finirà? Ovviamente no. Ed è qui che entra in gioco il love interest per cui, sinceramente, sono pronta a strapparmi le vesti, che mi ha fatta sudare e mi ha costretta a togliermi le coperte e ad aprire la finestra all’una di notte perché stavo morendo di caldo: Wes Bennett.  Vicino di casa di Liz, Wes la tortura giorno e notte facendole i dispetti perché vuole accaparrarsi il parcheggio perfetto nella strada proprio davanti casa sua; insomma, i due sono tutto fuorché amici, ma Liz sa che Wes e Michael, invece, lo sono, e decide di chiedere aiuto al suo perfido vicino di casa per attirare l’attenzione di Michael e farlo innamorare di lei.
Un enemies to lovers, (almost) fake dating perfetto, ma non starò qua a raccontarvi tutto il plot del libro; lasciatemi però blaterare un po’ su Wes Bennett, che mi ha fatta innamorare alla pagina 1 e perdere direttamente la testa durante le ultime due scene: Wes ama Liz perché la vede e perché lei gli permette di guardarla davvero, vuole vederla felice e non gli importa se quella felicità lo porterà a soffrire, perché l’amore non è fatto di giochetti, di plotting, di piani malefici e astute macchinazioni. L’amore succede, e succede quando ci si vede davvero e ci si sente visti anche se si ha paura delle conseguenze che quella vulnerabilità può avere. 
Forse questa storia mi ha commossa e toccata così tanto perché l’ho sentita vicina a me. A un certo punto, Helena, la nuova compagna del papà di Liz, le dice più o meno una cosa del genere: a volte siamo così legati a quello che crediamo di volere che rischiamo di perderci tutta la bellezza che abbiamo sotto al naso e che non riusciamo ad accogliere in noi.
Liz era così concentrata sulla sua idea di amore da non essersi resa conto che proprio sotto al suo naso c’era Wes, l’amore vero, il ragazzo giusto, quello che l’ha sempre amata e vista e che lei non si era mai data l’occasione di amare perché lui non corrispondeva a quei canoni impossibili e inesistenti di amore da film: Michael era quello che credeva di volere, Wes era tutta la bellezza che non riusciva a vedere. 
Ho conosciuto la mia attuale persona del cuore tanti anni fa, ma io ero troppo chiusa in me, ero troppo concentrata su quello che consideravo l’unico tipo di amore possibile, e non riuscivo a vedere che l’amore l’avevo trovato ed era già accanto a me a stringermi la mano. È forse il mio Wes Bennett che mi ama per quella che sono senza trucchi e senza bluff ad avermi fatto piacere così tanto questa dolce storia.
Mi raccomando, tutt* voi, sognare è bello, è meraviglioso, ma a volte dobbiamo ricordarci che se ci permettiamo di essere felici nella vita reale non stiamo tradendo i nostri sogni, li stiamo forse solo un po’ cambiando e adattando a noi.
Grazie a chi ha scelto di leggermi fin qui!
P.S. Il mio utilizzo di termini come “l’amore vero” o “il ragazzo giusto” non vogliono essere un mezzo per escludere dal discorso le persone non monogame; è semplicemente un modo per riferirmi alla storia in particolare qui descritta e, in generale, al rapporto che lega due o più persone che si amano: possono esserci tanti amori veri e tanti ragazzi giusti. Chiedo scusa se, senza volerlo, ho triggerato qualcun*.
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