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fiorile-tatler · 5 years
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Attrito#03
Per incanti a sé ritrarlo Pietro Mancini a cura di Patti Campani
Giovani figure sono immobili, gli occhi chiusi. Quanto li circonda al contrario è animato da un vitale movimento, anche se fissato nella sospensione silenziosa del momento che è pronto a manifestarsi. Del resto ogni incantamento ha sospensione temporale e sonora. Come il momento nel quale si apre il sipario. Forme geometriche che sembrano racchiudere immagini di volti in realtà le disvelano, come fossero lenti di cannocchiale, otturatori di una macchina fotografica; quanto giunge ai nostri occhi è dato dalla rimozione di un fitto reticolato, un velo, che cela presenze scultoree che così ci giungono, chiare nella loro materia, come apparizioni. Immagini che ci consegnano nuove/antiche/desuete rappresentazioni, qui dalla scultura classica, non di personaggi mitologici, ma di altri adolescenti. Un rimando, quindi; uno specchio atemporale. Forse. Ma non è uno svelamento completo, analizzabile o scientifico. E’ provvisorio e mutevole, animato dal cammino o dal volo di cicale, grilli, libellule, a presenza di una natura che pure è di per sè stessa in divenire nel continuo movimento. Natura intesa come physis, come sostanza propulsiva, afflato vitale, forza in fieri. Così com’è in movimento la conoscenza intuitiva che, unica, può cogliere quello slancio formatore di ogni cosa, che va per l’appunto dall’interno all’esterno, proprio come nella potenza di una gemma, e che ci raggiunge, nel suo essere, come uno stupore improvviso. Tutto pare sospeso in questo momento potente. Arrivare all’essere, senza fermarci all’essente. Riportarci a noi stessi, quindi, riprenderci il senso della nostra stessa esistenza/sostanza. A sé ritrarre, condurre nuovamente a sé, prendere nuovamente possesso. E fare questo per incanto, per un momento di sospensione fugace e illuminante, un varco. Patti Campani, febbraio 2020
Per incanti a sé ritrarlo Pietro Mancini a cura di Patti Campani dal 29 febbraio al 30 marzo 2020
Nel rispetto dell'ordinanza Regionale che prevede In primo luogo la “Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc, svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico” l'inaugurazione della mostra ATTRITO#03
PER INCANTI A SE’ RITRARLO - di Pietro Mancini, prevista per sabato 29 febbraio, è rinviata a data da definirsi.
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fiorile-tatler · 5 years
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Attrito#02 Una piccola cosa piccola cosa politica Marco Bettio    a cura di Patti Campani
(…) Ma là dove il campo inciampa nel mandorlo, ecco, un animale è balzato da ieri a oggi attraverso le foglie. E noi ci fermiamo, al di fuori del mondo. Il fulmine, Yves Bonnefoy, da Ce qui fut sans lumière
Camminare, camminare e pensare, è una cosa che accomuna molti degli scrittori da me amati, da Walser a Bernhard, e non so dire con esattezza da dove sia nato il mio sentire come uno scorrere parallelo tra la pittura di Marco Bettio e la poesia di Bonnefoy. Forse le immagini ricorrenti legate alla natura, il loro apparire limpido e improvviso; o perché tra le parole in uno e le immagini nell’altro c’è come un’ aria, come un respiro sospeso. La parola in Bonnefoy quasi galleggia sulla soglia dell’invisibile,  così i personaggi di Marco Bettio si palesano sospesi su un fondo grigio così potente nella sua neutralità. Ogni visione, poi, è come chiusa nella propria unicità incisa in questa atmosfera rarefatta. Senza fretta. Il dispiegarsi delle cose. Lo scorrere della parola, lo scorrere delle immagini. Un rumore di passi, muoversi di vento, foglie e rami, figure improvvise come apparizioni. Tutto ha un’energia intensa, profonda, rispettosa. Ecco, forse è proprio qui il legame più stretto che mi appare: il rispetto che nasce dall’empatia con quanto ci circonda, dal profondo senso di appartenenza, di tutela garbata. E come una camminata è concepita Una piccola cosa politica, che prende il nome da una delle tele esposte: una capra nera che ha sulla sua groppa una piccola scimmia. Un accadimento inverosimile quello di incontrare una tale coppia, eppure lungo la mostra, attraverso paesaggi scabri, se ne palesano molti di questi equilibri improbabili. I paesaggi sono tappe necessarie, riferimenti provvisori da cui ripartire. Forse perché la natura non ha bisogno del pensiero, esiste al di là di questo.   L’attrito palese, cercato e dichiarato nei personaggi che animano questo teatro folle e razionale insieme, è come una responsabilità di cui farsi carico e che ci porta a considerare con sguardo ampio questi eventi inusuali, a pensare che possano trasformarsi in un’occasione nella quale trovare un nuovo equilibrio. In questo senso l’attrito è anche strumento del procedere, mezzo che trasforma la visione in intuizione e la scelta di questa differenza in non indifferenza, trasformandosi in Una piccola cosa politica. Patti Campani
Attrito#02
Una piccola cosa politica - Marco Bettio dal 26 ottobre 2019 al 25 gennaio 2020 Fiorile+Tatler via Rialto 29/2 Bologna info:  http://fiorile-tatler.tumblr.com  [email protected]
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fiorile-tatler · 5 years
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Attrito#01 Come se -  l’inganno dell’anima Raffaele Fasiello
a cura di Patti Campani …tutto è incomprensione, perché non si riesce più a capire nulla, là dove, com’è naturale, tutto è in corso di dissoluzione, ed è per questo che io non riesco più a dormire. Ungenach ,Thomas Bernhard Un abboccare ad ogni amo della memoria, quella sedimentata sul nostro personale fondale. Raffaele Fasiello dissemina svelamenti, per un attimo separati da ciò che li circonda. Svelamenti, ognuno dei quali impone una propria verità particolare, una propria cronologia, un fragile ordine suscettibile ad ogni spostamento dello sguardo/corrente Tra le immagini nasce una fitta corrispondenza, come in un romanzo epistolare a più voci: uno scrive, l’altro risponde, un altro ancora viene evocato E così ci rende una narrazione di distanze dislocate nel tempo, crea una sorta di incorporeità che scaturisce dal carattere  episodico e dall’inafferrabilità. E che tutto non è stato altro che un tentativo di farsi comprendere, mentre … Patti Campani, maggio 2019 18 maggio -> 28 luglio  Fiorile+Tatler via Rialto 29/2 Bologna lunedi-> sabato ore 10-12 e 16-19 giovedi pomeriggio chiuso  https://www.facebook.com/FiorileTatler  
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fiorile-tatler · 6 years
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ATTRITO
“Siamo finiti su una lastra di ghiaccio dove manca l’attrito e perciò le condizioni sono in certo senso ideali, ma appunto per questo non possiamo muoverci. Vogliamo camminare; allora abbiamo bisogno dell’attrito”. Ricerche filosofiche Ludwig Wittgenstein
Attrito
è la superficie scabra per il nostro  il passo,  il non slittare a vuoto agitandoci inutilmente è l’origine della scintilla,  il suo fuoco, la luce è il vibrare della corda contro l’archetto, il segno lasciato sulla carta e quello dell’unghia  sulla pelle, è ciò che ci consente di trattenere anche solo brevemente ed afferrare la visione di un senso, anche se capire ‘come è’ non si può. Dirlo, ancora meno. Nulla mai di quanto diremo potrà essere vero, corrispondere alla realtà del mondo, ma sarà legato a questo nostro continuo pensare e  camminare intorno, avanti e indietro, cercandone nuove visioni, dandone nuove versioni.
Patti Campani, marzo 2019 Quattro nuovi appuntamenti prenderanno il via a partire da maggio nello spazio espositivo di Fiorile+Tatler - Raffaele Fasiello - Marco Bettio - Pietro Mancini - Piero Roccasalvo Rub
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fiorile-tatler · 6 years
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Mauro Curati per Il Frammento
Frammento o dettaglio? Scontro semiserio tra due realtà dell’arte
 Nel suo libro di aforismi, “Il dizionario del Diavolo” l’americano Ambrose Bierce, per gli amici <Bitter> (uno che aveva l’amaro in bocca, un giornalista perennemente incazzato col mondo e in particolare con i suoi contemporanei, uno con il dono di spargere sale su tutto ciò che scriveva) alla voce frammento vergò: “Sostantivo maschile. In letteratura composizione che l’autore non è stato capace di finire”. Naturalmente non si fermò solo a questo. Alla voce vanità, per farvi capire il tipo aggiunse: “Tributo di uno stupido al merito del somaro che gli è più vicino”. E alla voce tetraggine: “Condizione dello spirito indotta da un cantante negro, da una rubrica umoristica, da una speranza nel paradiso…”.
Non equivocate. Bierce non era un razzista. Era un americano dell’Ohio, nato a Horse Cave Creek nel 1842 ultimo, credo, di nove figli. Un uomo che per sua sfortuna non ebbe mai occasione si ascoltare Ella Fritzgerald (altrimenti non avrebbe mai scritto una stupidaggine del genere sui cantanti neri) ma scrisse un bellissimo libro grazie alla sua esperienza bellica, dal titolo (“Tales of Soldiers e Civilians). Lo citiamo perché la realtà che viviamo oggi, è una narrazione piuttosto frammentata. Una composizione (direbbe lui) piena di inutili dibattiti che non riusciamo mai a finire. Ogni giorno ci si propina un nuovo quesito. Ogni istante, attraverso i social, dobbiamo decidere con chi stare. La nostra vita è un referendum continuo. Ha ragione Di Maio? Salvini? Calenda? E i Benetton? E l’Ilva? E le pensioni? Non ci è dato il tempo di capire, ma solo cliccare “mi piace”, senza essere informati, né acculturati cosicché in ogni bar che si rispetti, tra un caffè e un cappuccino, c’è un idraulico che pontifica sulle leggi del mare, un imbianchino che sproloquia sui ponti in cemento armato e un cretino che accusa i giornalisti di essere tutti prezzolati. Insomma la vita è diventata un percorso ad ostacoli... che dico, un videogioco ad ostacoli. Per l’appunto…è qualcosa di frammentato.
Ma frammento è anche ciò che rimane di qualcosa che non c’è più. Un progetto più grande, una realtà meno contorta, un’idea più luminosa che per qualche motivo è andata in pezzi e che un tempo faceva parte di un tutto forse più coerente o più bello, probabilmente migliore tanto da permettere alla gente di ascoltare, di informarsi e dunque agli imbianchini di parlare di vernici e agli idraulici di tubi. Poi è successo qualcosa…
Ora non so se frammento sia sinonimo di fallimento. Se si tratta cioè dell’unico superstite di un’idea defunta che stava nella mente di un pittore o di uno scultore, fors’anche di un fotografo oppure di un autore come il sottoscritto che non ha la più pallida idea di dove sta andando a parare con questo testo.
Certo è che frammento non va confuso con dettaglio. Sono termini differenti. Parole con pedigree alternativi. Secondo un qualsivoglia vocabolario il primo infatti (frammento), nella seriosa composizione letterario-grammaticale, risulta più autorevole avendo ben quattro significati differenti: parte di un pezzo infranto, parte di un tutto, parte di un’opera letteraria giuntaci incompleta (ma Bierce non sarebbe d’accordo) e infine estratto di un’opera compiuta. Ci sarebbe anche una quinta definizione “Breve composizione del Frammentismo” ma per amore della chiarezza e perché francamente non so cosa sia il frammentismo, lascerei perdere. Dettaglio, al contrario è un termine più modesto. Meno altezzoso. Più popolare. Infatti ha solo due definizioni. La prima è circostanza minuta. La seconda piccola quantità. Tra lui e frammento, insomma, non c’è storia. Ecco allora che per non creare litigiose e stucchevoli permalosità siamo andati a scovare uno scrittore di spessore, Vittorio Emiliani di cui purtroppo qualcuno s’è dimenticato (ma questo è un dettaglio) dove nel suo libro “L’enigma di Urbino” narrando di sé, della sua infanzia e quella di suo fratello Andrea (che a Bologna conosciamo bene), racconta i tanti piccoli ed importanti dettagli che compongono la sua memoria. E qui, a sorpresa, salta agli occhi la prima vera differenza tra frammento e dettaglio. Il primo per quanto più stimato nel mondo dell’arte, non lascia mai memoria di sé, ma solo traccia di qualcosa che non esiste più. Dettaglio al contrario ricuce lo spazio-tempo e lentamente dal particolare permette di risalire al tutto.
Un esempio? Prendete un altro urbinate, il più grande dell’età moderna, Paolo Volponi. Nel suo “Cantonate di Urbino” mentre descrive quel capolavoro rinascimentale che è il Palazzo Ducale dice: “…Dovete cercare di affacciarvi ad ogni finestra del palazzo, se sono chiuse chiedere con cortesia ma con fermezza a qualche custode che ve la apra, [sia] quelle sulla piazza che vi immettono dall’alto sul centro focale della città ideale, sia quelle verso l’interno, sul cortile, che vi danno l’ampiezza e la velocità del motore spaziale rotante, del colonnato come misura ed emblema di tutto il ducato e del suo ordine, quelle più alte e precipitose sul corpo a mattoni della città, della gente, delle sue case, orti e giardini, dell’infinita pazienza e numero di parti del vivere (ecco la forza del dettaglio) della comunità e del fluire della sua umanità.
Dettaglio dunque e non frammento il quale a questo punto, dopo l’autorevole apparire di Volponi in questo immorale confronto, è in chiara difficoltà. Che dire allora in sua difesa? Che frammento non se la deve prendere più di tanto. Ha ancora qualche freccia al suo arco. A esempio la sua capacità di sintesi. Due frammenti della stessa opera messi insieme sono infatti come i punti che nelle nostre prime infantili lezioni di geometria quando a scuola si andava con grembiule e fiocchetto e si ascoltavamo distrattamente quelle astruse regole (di solito insegnate da una donna, perché solo le donne sanno donare fantasia all’aridità dei numeri) ci narravano come l’unione di due punti anonimi e indifferenti formavano sempre una retta. Vale a dire una linea che non è mai da considerarsi un semplice tratto di penna razionale… tutt’altro. ‘E un prodotto mentale. Qualcosa di nostro che creiamo da soli e che unisce e ci porta diritto all’idea dell’arte, forse vera, forse falsa, ma comunque irripetibilmente nostra. Tanto di cappello dunque a frammento (con buona pace di Volponi e di un altro genio assoluto della letteratura come Philip Roth che parlando della sua infanzia a Netwark in “Pastorale Americana” (lo citiamo perché noi non si butta mai via niente dei nostri rimandi) scriveva [“Da allora c’è mai stato un posto che ti ha assorbito altrettanto pienamente nel suo oceano di dettagli? La forza del dettaglio, l’immensità del dettaglio, il peso del dettaglio, la ricca sconfinatezza del dettaglio che ti circonda nella tua giovane vita?”].
Belle parole, nessun dubbio. Ma visto che siamo nel mondo dei social e dei like frettolosi e inconcludenti, visto che dobbiamo decidere (e finire) noi stiamo con la parola frammento che ci fa sconfinare nel vasto mondo della fantasia per sentenziare in conclusione che lo spirito dell’osservatore sta nel frammento. Cioè nel vuoto che esso chiama a riempire. Onore a lui dunque, ma onore anche al dettaglio. In fondo diciamocelo… anche lui ha combattuto bene. Mauro Curati
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fiorile-tatler · 6 years
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Prospettiva Nomade#05
Il Frammento Nino Migliori e William Xerra   con un racconto di Mauro Curati a cura di Patti Campani
                                …lo spirito dell’osservatore sta nel frammento. Cioè nel vuoto che esso chiama a riempire. _ Mauro Curati                                                                                                                    
Nino Migliori e William Xerra  hanno segnato da protagonisti la scena dell’arte contemporanea.  Insaziabili sperimentatori ed infaticabili attivisti, hanno fatto del Frammento uno strumento poetico  di continua tensione conoscitiva e creativa. Scisso dal contesto originario, franto, il Frammento oscilla in un costante movimento, una continua intermittenza percettiva,  tra senso letterale (reale ?)  e dispersione;  diventa oggetto narrativo, pur restando fonte primaria,  e si trasforma caricato, o meglio impresso, dall’operare dell’artista. Formidabile prerogativa della fotografia è quella di poter decontestualizzare un frammento/immagine e darne una narrazione completamente nuova e  Nino Migliori lo fa da sempre, col suo saper  portare a messaggio universale ogni frammento di esistenza, comune e straordinaria materia, sempre in un costante divenire sul filo del rasoio della sperimentazione. Le opere presentate in questa occasione appartengono al ciclo LUMEN – Cappella dello zodiaco al Tempio Malatestiano di Rimini. William Xerra del frammento ha fatto  una dichiarazione di operare artistico: VIVE.   La sua è una costante  ricerca verbale e visiva tramite la quale il frammento diviene  parte di una completezza altra, nuovamente contestualizzato attraverso una trama narrativa fortemente concettuale  su un impianto di grande equilibrio classico. Apparizioni declinate con la poesia che gli è propria. Le opere qui presentate e mai esposte prima appartengono al decennio 1986/96. Al loro fianco è  Mauro Curati, giornalista e scrittore. Suo è il testo dedicato  - Frammento o dettaglio? Scontro semiserio tra due realtà dell’arte - che sarà disponibile in stampato  durante il periodo di esposizione.
Nino Migliori è tra i più autorevoli ricercatori nel campo della fotografia.  http://fondazioneninomigliori.org William Xerra è tra i più autorevoli sperimentatori nel campo dell’arte contemporanea. http://www.xerra.it Mauro Curati  è giornalista e scrittore. Per molti anni ha coperto la carica di redattore economico e culturale per «l'Unità». Ha organizzato, nelle due edizioni in cui si è svolto a Bologna, il Premio Internazionale Riccardo Bacchelli. Tra le sue opere:  Il più bravo degli asini (Diabasis, 2000) , Il segretario parlerà più tardi (Diabasis, 2001), 1964 (Pendragon, 2012) e Nella stanza di Anteo (Pendragon, 2018). Prospettiva Nomade#05 - Il Frammento - è l’ultimo appuntamento della rassegna ideata e curata da Patti Campani.
 Fiorile+Tatler via Rialto 29/2 Bologna dal 24 novembre al 24 dicembre 2018 da lunedi a sabato ore 10-12 e 16-19 chiuso giovedi pomeriggio
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fiorile-tatler · 6 years
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Alberto Andreoli Barbi per PHILUM Chi sei? Che cosa sei?
Chi sei? Che cosa sei?
Senza peccare della presunzione che accompagna questa frase, sfrutto l’occasione per poter dire “lei non sa chi sono io!”. Mi chiedo se chi usa abitualmente espressioni di questo tipo conosca davvero sé stesso. Conoscersi è una conquista che potrebbe non costituire uno spavaldo motivo di vanto in società.
Chi sei? Che cosa sei?
Sono un estraneo ma non per questo distante. Non voglio definirmi solo per cosa mi differenzia dall’altro. Rischierei di diventare uno straniero, emulo del personaggio di Meursault creato da Albert Camus, la cui crisi di identità lo porta a smarrire ogni briciolo di umanità. Per evitare di punirmi, considero che nulla di umano mi sia estraneo, perché vorrei poter parlare anche di chi non ha orecchie per sentire l’altro.
Chi sei? Che cosa sei?
Me lo chiedo ogni volta che vado a votare, alla ricerca di un simbolo e di un nome nel quale riconoscermi. Non ho più un’identità politica: sono diventato tanto liquido da non bere più nessuna promessa.
Chi sei? Che cosa sei?
Sono una delle creature che incontra Alice nel paese delle meraviglie. Se vuoi sapere davvero chi io sia, prendo in prestito le parole che le diceva la Duchessa: non credo di essere altro che ciò che potrebbe sembrare agli altri, non credo di essere altro che ciò che ero o avrei potuto essere non fosse altro che ciò che sono stato sarebbe sembrato loro essere altro. Sono una realtà che ancora non sai immaginare.
Chi sei? Che cosa sei?
Sono stato uomo e sono stato donna, come Tiresia. Se il passaggio da un sesso all’altro era una punizione divina per l’incapacità dell’indovino tebano di riconoscersi nell’altrui condizione, il superamento dell’appartenenza di genere è stata la ricompensa al mio sforzo di narrare ogni punto di vista. Però Zeus non mi ha regalato la dote di prevedere ciò che sarebbe accaduto, finché non ho scritto la parola fine.
Chi sei? Che cosa sei?
Non sono una cosa, sono un essere umano. Al massimo potrei offrirmi come oggetto di studio per le scienze sociali che nel momento stesso in cui analizzano le persone, rischiano di cambiarle. Come accaduto alle operaie dello stabilimento della General Electric di Hawhtorne, sottoposte ad anni di controlli per verificarne la produttività che cresceva proporzionalmente all’interesse dei ricercatori nei loro confronti. La sociologia scopriva l’umanità, ovvero quanto la cura e le attenzioni altrui rendessero migliori, se non addirittura felici. L’oggetto della scoperta diventava soggetto di una storia che meritava di essere ricordata.
Chi sei? Che cosa sei?
Vuoi che mostri la mia carta d’identità, così la finiamo? La mia identità sarà la carta sulla quale scriverò nome, cognome, cittadinanza e residenza dei personaggi che metto in scena. Il mio stato civile varierà sposando uno stile dal quale divorzierò nel lavoro successivo, tornando ad essere libero ma vedovo dei brani che l’editor taglierà prima della pubblicazione. La statura dipenderà dalla profondità che darò al mio racconto, mentre i capelli avranno il colore delle idee che mi cresceranno in testa. Segni particolari? Scrivere, per definizione, è lasciare un segno. Quanto particolare sia, lo lascio giudicare al lettore.
Chi sei? Che cosa sei?
Ancora non hai capito: sono bugia e verità. Sono tutto quello che la creatività permette che io sia.
Alberto Andreoli Barbi
PHILUM
Dario Ghibaudo, Umberto Zampini e Alberto Andreoli Barbi a cura di Patti Campani
Tatler, via Rialto 29/2 Bologna dal 26 maggio al 14 luglio  aperto dal lunedi al sabato dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19 chiuso giovedi pomeriggio e festivi
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fiorile-tatler · 6 years
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Prospettiva Nomade#04 PHILUM
Dario Ghibaudo   Umberto Zampini e Alberto Andreoli Barbi a cura di Patti Campani
“Ignoriamo il senso del Drago, così come ignoriamo il senso dell’Universo, ma c’è qualcosa nella sua immagine che si accorda con l’immagine degli uomini, e così il drago appare in epoche diverse e latitudini diverse” J.L.Borges PHILUM è un ordine particolare all’interno della classificazione zoologica, il termine deriva dal greco ϕυλή «tribù» ed indica il tipo di appartenenza conseguente a criteri più ampi rispetto ai concetti di classe e di famiglia. Una sorta di senso allargato ad un legame specifico. Dedicato alle opere di Dario Ghibaudo, di Umberto Zampini e al racconto di Alberto Andreoli Barbi, il legame di appartenenza suggerito è indubbiamente quello dell’immaginario artistico. Strane entità che si sviluppano in questa particolare corrente evolutiva, mantenendo una sorta di attendibile verità scientifica, certo, ma la selezione evolutiva è data qui da cambiamenti che avvengono in periodi di tempo relativamente brevi, sotto l'impulso dell’immaginazione e la forza ambientale è costituita dalle eterne domande che ci accompagnano: chi sei? che cosa sei? o meglio: chi sono? che cosa sono? Ecco i nostri draghi. Con Il Museo di Storia Innaturale, ideato negli anni 90 ed in continuo divenire, Dario Ghibaudo indaga da tempo la condizione umana attraverso lo schermo di un’ipotetica quanto accurata ricerca scientifica. Il suo bestiario passa in rassegna caratteristiche, pregi, difetti, debolezze, sogni e quanto altro ci appartiene. Ottanta i nuovi Reperti del Museo di Storia Innaturale realizzati per Philum. Le immagini fotografiche di Zampini, in uno scatto illusorio quanto esatto nel suo mezzo, ci rendono l’immagine dell’uomo messo a nudo nel suo dialogo con una natura effimera e artificiale. I margini son dettati dal fare umano e allo stesso tempo sfuggono al suo controllo in un imprevedibile divenire. Pegaso e altri voli , sette immagini realizzate per Philum. Nei suoi racconti Alberto Andreoli Barbi ci coglie spesso nella nostra inadeguatezza, nel nostro confronto un po’ maldestro con la vita, con gli altri e con noi stessi, in questo nostro continuo vacillare tra istinto e controllo. Uno sguardo affettuoso il suo, che un po’ sorride e po’ ci soccorre nel momento di un inciampo. Situazioni minime, quotidiane e probabili, nelle quali possiamo facilmente ritrovarci con grande divertimento. Il suo racconto Chi sei? Che cosa sei? è parte integrante della mostra. Patti Campani, maggio 2018 Tatler - via Rialto 29/2 Bologna dal 26 maggio al 14 luglio  aperto dal lunedi al sabato dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19 chiuso giovedì pomeriggio e festivi La mostra è parte del progetto Prospettiva Nomade, a cura di Patti Campani. La rassegna, che si svolge nel corso della stagione 2017/2018 nello spazio espositivo Tatler di Gianfranco Salomoni, vede la partecipazione di cinque artisti, cinque fotografi e cinque scrittori.
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fiorile-tatler · 7 years
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Gianluca Morozzi  per Di Tutto Resta un Poco  Chi sei Marika fragile Eccola qua la soluzione!, pensa Marika. Si catapulta fuori dai venticinque-trenta minuti di sonno che ultimamente le sono abituali, e la sua mente di colpo è lucida, le idee sono chiarissime. Dormire mezz’ora spesso regala soluzioni logiche a un problema complicato e in apparenza insormontabile.Il problema che l’ha tenuta sveglia nel letto con gli occhi sbarrati nel buio, mentre l’orologio segnava le tre di notte e poi le quattro di notte e poi le cinque, adesso è risolto.   La soluzione è: uccidere La Strega. Era così semplice, alla fine.     Marika si alza dal letto con un mezzo sorriso. Ora che sa come riprendersi Lauro, è molto più serena. Davvero. Perché si è tormentata per tutto quel tempo? Perché ha annullato tutti quei concerti, perché si è messa a dipingere quei quadri, perché ha perso il sonno fino quasi a diventare pazza? Bastava uccidere La Strega. Ci voleva tanto poco. Non che i suoi quadri non siano belli, pensa osservandoli dagli angoli bizzarri della casa in cui li ha appoggiati in modo precario. Quello con l’ometto col gufo gigante, il primo della sequenza del sesso orale in contesti quantomeno bizzarri, non è davvero bello? Certo che è bello. Quasi quanto quello in cui Paperino uscendo da una botola viene strangolato da Topolino. O quello dell’impiccagione con tucano meteoritico. O la crocifissione con fionda e orsacchiotti. Sono belli, davvero i suoi quadri. Cioè, le sembravano orribili fino alla sera precedente, quando il problema sembrava non trovare una soluzione, ma ora che la soluzione ce l’ha, tutto le pare luminoso e bello.   Marika fa colazione con un goccio di caffè e mezzo biscotto di farro -per uccidere La Strega le servirà tutta l’energia possibile- e poi va a informare Mimì della decisione appena presa. “Mimì, ho deciso. Uccido La Strega e mi riprendo Lauro. Era facile. Ciao ciao, vado a eliminarla e torno.” Mimì, come sempre, non dà alcuna risposta. Né dà segno di averla ascoltata.
I primi dubbi sorgono quando Marika mette piede in strada. Fuori, sul marciapiede, con la gente, le auto, gli autobus, il rumore, i clacson… Cavolo, sembrava un’idea così bella un attimo prima, al risveglio, in casa sua… era così logico, così ovvio… La Strega si era presa il suo –come chiamarlo?- fidanzato, e per riprendersi il fidanzato lei doveva uccidere La Strega. Matematico. Be’, ma ucciderla in che modo, prima di tutto? Marika s’incammina pensando a questo trascurabile particolare pratico. Mica può aspettarla fuori dalla palestra e strozzarla: Marika ha la muscolatura e la struttura fisica di una mozzarella, mentre La Strega sembra uno degli All Blacks. A parte la sesta misura di reggiseno, i capelli fucsia sparati in ogni direzione e quella bocca che da sola potrebbe risucchiare tutto il petrolio nel Golfo del Messico. Lo scontro fisico, basta guardarle, è inverosimile. Accoltellarla? Marika è uscita di casa senza neppure un’arma. E poi il sangue le fa schifo, la impressiona…. Oh, quanti problemi pratici. Sembrava un’idea così bella, al risveglio! Un chiodo! Ecco. Un chiodo abilmente collocato sotto una gomma del suo SUV. La gomma si buca, il SUV esce di strada, La Strega muore orribilmente tra le fiamme. Marika non si deve sporcare le mani né vedere la scena. Ecco, perfetto. Questo sembra un piano migliore. Con qualche piccola, piccolissima lacuna, d’accordo, ma ci sono venti minuti da fare a piedi per arrivare alla palestra. I dettagli verranno messi a punto strada facendo. Oh, era tutto così perfetto, prima che arrivasse La Strega! Lauro era così dolce, così comprensivo, così tenero… era così bello stare sul divano a darsi i bacini per tutta la notte… Certo, anche lui aveva le sue fissazioni, d’accordo. Per esempio, aveva la mania di fare domande assurde. Tipo, la centesima o duecentesima volta che Marika si era rifiutata di fare l’amore con lui, anzi, di togliersi qualunque capo di abbigliamento collocato sotto la cintola, Lauro l’aveva guardata incredulo e aveva detto “Ma senti, puoi dirmelo. Hai avuto dei traumi da piccola? Hai subito molestie?” Lei lo aveva guardato perplessa, aveva risposto “Molestie? Io? Ma quando mai!” Che strano tipo, Lauro. Del resto, scriveva libri di fantascienza. Marika aveva provato a leggerne uno ma non ci aveva capito niente, con tutte quelle storie di universi paralleli, raggi laser e –com’è che si chiamavano?-, ah, sì, doppelganger. Figurarsi. Doppelganger! Cosa diavolo è un doppelganger? E poi, quando Marika gli aveva confidato alcune delle sue fobie, tipo, il terrore dei pesci, Lauro aveva rilanciato. Aveva detto “Ha qualcosa a che vedere con, cioè…” “Cioè cosa?” “Con, voglio dire…” “Vuoi dire cosa?” “Con, ehm, la paura deee, uh, dell’organo sessuale maschile, o…” “Cosa c’entra un pesce con, be’, quella cosa lì?” “No, sai, a livello simbolico…” “Livello simbolico? Un pesce è un pesce. Rappresenta un pesce.” (Scrittori di fantascienza. Che gente.) “Comunque, se vuoi saperlo” aveva aggiunto lei “è stata colpa di mio cugino.” “Tuo cugino? Nel senso che, non so, uhm, te l’ha fatto vedere o…?” “Cos’è che mi ha fatto vedere?” “Niente. Vai avanti.” “Ascolta. Quando andavo a scuola mia mamma mi metteva sempre nella cartella una banana. Lei non voleva che mangiassi delle schifezze per merenda, e allora mi dava una banana. Be’, ti ho detto che vivevo in un paese di mare, no? Un giorno mio cugino mi aveva fatto uno scherzo, aveva rubato un pesce appena pescato e me l’aveva ficcato nella cartella. Così, quando avevo infilato la mano nella cartella, anziché la banana, avevo toccato quella cosa viscida. E avevo tirato fuori un orrendo pesce, boccheggiante, mezzo morto, che mi guardava con gli occhi sbarrati.” “Tutto qui?” “Tutto qui.” “E da allora hai il terrore dei pesci.” “Sì. E delle banane.” “E c’entra qualcosa col fatto che non vuoi che facciamo l’amore?” Lei si era rabbuiata, lo aveva guardato con aria di rimprovero, a braccia incrociate. “Ma guarda che sei proprio strano, Lauro. Cosa c’entra lo scherzo di mio cugino col fare o non fare l’amore?”       Uomini, aveva pensato. Non capiscono proprio niente. Poverini. Marika gira a destra puntando dritto verso la palestra, ancora ben determinata a portare a termine la sua missione. Va bene, non ha un chiodo con sé, ma questi sono dettagli ancora secondari. L’importante è non incontrare cose brutte lungo il percorso. Cose brutte, bruttissime, tipo AAAAAAAAAAAAAH I PICCIONI! I passanti possono assistere a una scena abbastanza surreale. C’è questa ragazza che cammina rasente al muro, una ragazza che sarebbe anche carina se non pesasse, tipo, nove chili, e non fosse bianca come la calce e non avesse la faccia di una che ha dormito l’ultima volta quando ancora c’erano le lire, che d’improvviso caccia un urlo acutissimo fissando con orrore un innocuo piccione che le vola davanti senza aggredirla o disturbarla, del tutto indifferente alla sua esistenza. Un attimo dopo l’elfo dei boschi insonne è scappato via velocissimo con la testa tra le mani. Marika se ne sta appoggiata a un cartellone pubblicitario a riprendere il respiro, aggirata da tutti come una drogata. Guarda il cielo terrorizzata, come se il piccione dovesse piombare giù in picchiata per cavarle gli occhi. Ha il terrore dei piccioni ancor più di quanto ne abbia dei pesci. Poco a poco, sempre ansimando come un mantice, ricomincia a camminare. Ora, l’importante sarebbe proseguire il percorso senza incontrare qualcuna delle altre cose che le fanno paura. Tipo, un pescivendolo con la merce esposta. O un fruttivendolo con dei caschi di banane in bella vista. Oppure AAAAAAAAAAAAH UN UOMO PELOSO IN CANOTTIERA! L’uomo peloso in canottiera –un impiegato delle poste in ferie, impegnato a innaffiare le piante nel proprio giardino- può a quel punto assistere a un’altra scena surreale: uno scheletrino femmina che passa davanti al suddetto giardino, si blocca paralizzata davanti al suo cancello, guarda verso di lui, si tappa la bocca con una mano, cerca un angolo riparato con occhietti disperati, si butta tra due cassonetti dell’immondizia e, inequivocabilmente, vomita. Gesù, pensa l’impiegato delle poste continuando a innaffiare le piante, Poveri ragazzi, come vengon su strani. Marika si pulisce la bocca con il dorso della mano, si rialza tremante, si allontana un po’ debole dai cassonetti, e continua il suo percorso. Ormai ha perso il senso di quella pericolosissima camminata per la città –in casa, oh, come si sta bene in casa!, o a dipingere, oh, come si sta bene a dipingere!-, non ha più neppure bene in mente come procurarsi un chiodo, o cosa fare esattamente alle gomme della Strega. No, è difficile, troppo difficile uscire in città. Troppa folla. Troppe cose. Troppe orribili, orribili pesci. Troppe banane, troppi uomini pelosi in canottiera, troppi piccioni. Ora manca solo un AAAAAAH UN BARBONE CHE MI GUARDA!   Marika rientra in casa pochi minuti dopo, distrutta, ancor più pallida del solito. “Mimì” singhiozza “non ce l’ho fatta, non ho ammazzato La Strega, non ce l’ho fatta, c’è tanta roba brutta là fuori, ho visto un piccione, e un uomo peloso in canottiera, e un barbone, lo sai che io ho paura dei barboni, Mimì, come faccio ad ammazzare La Strega?, dimmi tu, Mimì…” Mimì non risponde e non fa segno di aver capito. Pochi cactus nani, in effetti, risponderebbero alla loro padrona o darebbero segno di aver capito. Mimì si comporta come tutti i cactus nani battezzati con un nome di donna: ascolta in silenzio, e serena vive la sua vita da cactus.
***
Eccola qua la soluzione!, pensa La Strega. Era così semplice. Come ho fatto a non arrivarci prima? Troppo lavoro, pochi integratori, e poi il mio cervello non funziona a dovere. Anche quello stronzo di Lauro che non risponde, lo sa benissimo che quel cazzo di iPhone deve tenerlo acceso - stronzo, stronzo, stronzo -, che poi se non risponde io ho paura che sia con la violinista anoressica che parla con le piante, cretina, nana, come faceva a pensare di poter stare col mio Lauro?, cosa ci trovava in lei quel cretino?, non gliela dava neanche, almeno, questo è quel che mi racconta lui, sarà vero o non sarà vero?, magari scopavano dalla mattina alla sera e lui a me racconta che non gliela dava neanche pitturata, cazzo, è vero, e io che ci ho creduto, e io che dicevo Oh, io te la do quanto e quando ti pare bello mio, non me ne frega un benenamato cazzo se devi finire il capitolo del tuo romanzetto, ciccio, sono in casa tua e noi adesso facciamo quel che si deve fare, ma ti pare?, hai ‘sto bel pezzo di femmina qui in casa tua e devi perdere tempo a scrivere le tue boiate? -  con rispetto parlando, eh -, quelle storie lì dei marziani che vanno sulla Luna o cose così, no, no, adesso si tromba, bello mio, non son mica come la violinista di ‘sto cazzo che non te la faceva vedere neanche disegnata, io te la faccio vedere e ti ci faccio una foto e te la appendo sul letto così quando sei da solo ti ricordi bene come son fatta, bello mio, e adesso invece mi viene il dubbio, cazzo, se non è vero che la nana non gliela dava?, ah, ma comunque ho avuto la genialata in questo momento, ah, che testa che hai, Sandra, era così facile, Lauro mi ha detto che la deficientina ha il terrore dei barboni, no?, e allora, quell’ubriacone che ho pagato stamattina per aggirarsi intorno a casa della nana e controllare se per caso andava da Lauro mentre io ero qua al lavoro, ecco, lo pago il triplo, gli dico di stare seduto dalla mattina alla sera davanti a casa della mentecatta, quella mette il naso fuori, vede che c’è un barbone, se ne torna subito in casa, sì, sì, certo, così son sicura che la cretina non se ne va dal mio Lauro, ma perché spegne il telefono quel demente?, va bene, mi ha detto Oh, Sandra, io devo lavorare, l’editore vuole il romanzo entro due giorni, io spengo tutto, mi chiudo in casa, devo pensare solo alle mie cazzo di astronavi e ai miei cazzo di marziani, va bene, non ha detto così, il cazzo di astronavi e i cazzo di marziani ce li ho messi io, comunque, cazzo, io son qua che lavoro, faccio un lavoro vero, questo è un centro fitness con i contromaroni e non azzardatevi a chiamarlo palestra e io sono una personal trainer con i contromaroni ma io sono anche una donna innamorata e gelosa, gliel’ho anche detto alla signora Boldrini prima di sbatterla a correre sul tapis roulant per farla star zitta, signora Boldrini, le ho detto, lei mi vede come la sua personal trainer tutto d’un pezzo ma io sono anche una donna gelosa e innamorata, e… Oddio. Ma da quanto tempo è sul tapis roulant, la signora Boldrini?
****
Eccola qua la soluzione, pensa Lauro. Era così semplice. Semplicissima. Arrivano in sogno le soluzioni, arrivano sempre in sogno. Uno si arrovella tanto, si maciulla le meningi su un problema, poi si fa un bel sonno, ed eccolo qua. Tutto risolto. Lauro si stiracchia sotto le lenzuola, soddisfatto. Aaah. Era così facile. Il Conte Cremisi è il clone difettoso del leader della Resistenza di Terra 32! Fatto. Si chiude perfettamente la trama, il romanzo fila, e si capisce perché la combattiva Darkena si è fatta ingannare così facilmente nel capitolo dieci. Ah, che bella la vita dello scrittore di fantascienza! Senza neppure un problema al mondo. “Lauro? Sei sveglio?” sbadiglia Claudine, nuda sotto le lenzuola. “Sì, tesoro, mio unico amore, passerotta mia. Sono talmente felice che ti preparo la colazione, guarda!” Lauro si alza in piedi. Accende lo stereo, diffondendo nell’appartamento una bizzarra versione lounge di Egg cream di Lou Reed. Controlla che l'iPhone bianco sia spento –sia mai che lo cerchino Marika o Sandra o la cameriera del pub-, che quello nero sia acceso –sia mai che lo chiami la sua agente, o l’editore, o un importante giornalista- e va a fare il caffè. Il clone difettoso del Conte Cremisi. Era così facile risolvere il problema. La vita non è meravigliosa?
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fiorile-tatler · 7 years
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PROSPETTIVA NOMADE #03 DI TUTTO RESTA UN POCO Dario Coletti e Luca Coser - con un racconto di Gianluca Morozzi a cura di Patti Campani fino al 18 maggio  Tatler via Rialto29/2, Bologna 
“Di tutto resta un poco. Non molto: da un rubinetto stilla questa goccia assurda, metà sale e metà alcool, salta questa zampa di rana, questo vetro di orologio rotto in mille speranze, questo collo di cigno, questo segreto infantile…” - da Residuo, Carlos Drummond  de Andrade Le cose accadono in un tempo che è reale. Ma il tempo individuale spesso non coincide con questo; esiste  uno scarto tra l’uno e l’altro, una sorta di extrasistole, un fuori tempo dettato da mille diversi  stimoli. Un sine materia o realtà invisibile che appartiene, differente, a ognuno di noi e che ci conduce a percepire un evento in più direzioni, anche temporali, convergendo in qualcosa che gli è simile ma non uguale. Perché in ogni  punto di ogni singola storia, o di ogni singola vita se preferite, Di tutto resta un poco. Ed è questo residuo, diventato improvvisamente materia viva, che  inceppa il meccanismo:  sovrappone immagini, suoni, riporta, nasconde, distorce, ci acceca o finalmente ci illumina uno spazio possibile che fino a poco prima era ancora inespresso. Ci rivela qualcosa che già c’era ma che non conoscevamo. Di  questo plurale  ed enigmatico prolungamento  di senso  ci narrano le opere di Dario Coletti e di  Luca Coser, così come  il racconto di Gianluca Morozzi. Di tutto resta un poco -  frammenti  che si ricompongono dettando microstorie, riscritture, eventi declinati nelle loro  potenzialità rimaste inespresse, in attesa. Dario Coletti  “Prometeo – god inside me” “Prometeo è un flusso di pensieri.  (…) Una caverna della memoria in continua evoluzione e destinata a un continuo lavoro di rilettura e rielaborazione. Un lavoro di riciclo, dove tutte le immagini scartate vengono esaminate, recuperate e riutilizzate in contesti narrativi nuovi. “( Dario Coletti ) Nel mito Prometeo  rappresenta il dono della previdenza, saper prevedere, cogliere un senso  in anticipo, ed in queste opere maggiormente risuona , a me, l’idea di uno sguardo quasi oracolare e  nel quale è costantemente suggerito il rimando fra il frammento e quanto racchiude in nuce.   Sguardo fissato ricomponendo  in unità i frammenti di immagini, ma un’ unità che vuole restare  incerta tra comprensione anticipata o tardiva, consegnata  nel suo oscillare continuo nel tempo e nello spazio  e  proiettata ai nostri occhi per essere data a quella che Tabucchi definisce “ una virtù dello sguardo, che non appartiene al nervo ottico ma all’intelligenza.” Luca Coser   “Chi sogna cosa “ “ (…) una sorta di necessità di affermare, attraverso il frammento, la condizione umana nel suo essere fragile, indefinita. “(Luca Coser) Riflettere sulla memoria o accadimento è sempre nella ricerca di Coser  un momento estremamente vitale e luminoso, rivelatorio:  una possibile chiave per decifrare  una certa vaghezza inquieta che ci accompagna. E queste ultime opere realizzate da Coser mi riportano direttamente all’idea di inveramento del possibile inespresso, all’immagine come configurazione di senso.   la dichiarazione nel titolo “ Chi sogna cosa” sottolinea poi, a mio parere,  di essere anche qui in scarto, in non coincidenza col tempo reale.  Una sorta di sospensione  del momento della rappresentazione, e per noi della visione, per farsi indice di un reale impossibile da rappresentarsi . Gianluca Morozzi  “Marika fragile “ “- Eccola qua la soluzione! Pensa Marika.  - Eccola qua la soluzione! Pensa la Strega.  - Eccola qua la soluzione! Pensa Lauro. “ Più voci a narrarci di un unico momento temporale, quello intercorso tra la notte e la mattina seguente. Frammenti sconcertanti per l’amaro e allo stesso tempo divertito  sorriso che strappano nella la loro evidente diversità;  un conflitto ad armi impari che seminerà nuovi resti, residui.  Perché è evidente: di tutto resta un poco. Patti Campani, marzo 2018
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fiorile-tatler · 7 years
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LA NEBBIA di Luca Martini  dedicato a IL RITRATTO Luca Dimartino e Andrea Cataudella
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LA NEBBIA 
Camminava da ore, forse da giorni. Non sapeva cosa fosse successo. Si era ritrovato solo, ignaro del proprio nome e del passato, in una strada buia e confusa, e l'unica cosa che sentiva di dover fare era camminare. Era sfinito, le mani tremavano e i piedi erano un ammasso di carne putrida, infarcita di dolore e illogica speranza. Il viso era ferito, lo zigomo destro insanguinato, e la gamba gli faceva un dolore insopportabile. La trascinava, sfregando la suola della scarpa, aiutandosi con le mani, che imbracciavano la coscia destra a completare il passo faticoso, come fosse un sacco di cemento. La nebbia non gli faceva vedere nulla, camminava senza peso, senza sapere dove posava i piedi e avanzava a tentoni nell’aria densa, invischiata di umido grigio che lo portava in un posto di non sapeva dove. Non un rumore fuori, non un odore. Nemmeno una voce, un sorriso, un profumo di primavera. Nulla. Ogni tanto qualche grido, nulla d’umano, solo sofferenza, un urlo di animale ferito. Meglio, dilaniato. Continuava a camminare, senza sentire più niente, né anni, né sesso, né volto, né scopo. Proseguire senza sapere dove andare era l’unica cosa che poteva fare, come se il programma si fosse inceppato e il cervello non avesse più scampo. Ad un tratto nella nebbia vide qualcosa di più scuro che si muoveva verso di lui. Una sagoma nera, grande, anzi, normale. Un profilo umano. Riconobbe quel passo ciancicato, quell'andatura stanca, senza futuro. Continuò a camminare, rallentando il passo, lasciando la presa delle mani sulla coscia, fino a fermarsi. La sagoma buia fece lo stesso. Restarono fermi nella nebbia, a un passo l’uno dall’altro senza vedersi davvero. Due corpi senza volto, due aloni neri, scuri e densi. Poi avanzò. “Papà”. Gli parve di riconoscere la figura di suo padre, ferma nella nebbia, immobile come una statua erosa dal vento e dal sale, senza occhi, la bocca contratta in una smorfia di dolore. “Papà sei tu?” Allungò le mani, trovò il suo viso, gli accarezzò la barba dura e riconobbe le sue sopracciglia folte, quelle due pelurie irsute e pungenti che tante volte aveva accarezzato da bambino mentre lui gli leggeva una favola. Lo ricordò sulla spiaggia, tutto vestito mentre faceva un caldo terribile, a raccogliere conchiglie e piccole telline sul bagnasciuga. L’uomo sorrise, poi fece un passo indietro, allungando una mano mentre svaniva nella nebbia. Lui si sentì perduto. Orfano. “Papà aspetta, devo dirtelo”. Fece qualche altro passo, sempre più faticoso. Io lo so Vide suo padre che apriva le braccia e gli faceva cenno di avvicinarsi. Avanzò ancora, stavolta felice e leggero, senza dolore, senza paura. Poi mise un piede nel vuoto. E tutto svanì, lasciando spazio soltanto al niente. Alla nebbia che riempiva quel vuoto senza domani e che lo inghiottiva con mani rassicuranti. “Ti voglio bene, papà”.
Luca Martini, novembre 2018
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fiorile-tatler · 7 years
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PROSPETTIVA NOMADE #02 IL RITRATTO - Luca Dimartino e Andrea Cataudella La Nebbia, racconto dedicato di Luca Martini a cura di Patti Campani
«La vera vita è altrove», ha scritto Rimbaud, ma questo altrove è accanto a noi, a un millimetro da dove ci troviamo, ma parallelo al nostro sguardo. O retrostante. E ciò che è parallelo al nostro sguardo o retrostante non è visibile: per percepirlo ci vuole uno sguardo obliquo (…) - Di tutto resta un poco, Antonio Tabucchi
Per questo secondo appuntamento di Prospettiva Nomade Andrea Cataudella e Luca Dimartino hanno realizzato un progetto dedicato a Il Ritratto decidendo di declinarlo insieme, unendo la propria personale ricerca attraverso una sorta di visione pluriprospettica che superasse i significati precipui dei singoli media, pittura e fotografia. Come se ci invitassero a stringere il campo focale sulla costante memoria involontaria che ci prende ogni volta che ci troviamo di fronte al ritratto di uno sconosciuto e, non meno, sul significato stesso del ruolo attribuito al soggetto ritratto. La doppia presenza dei ritratti pittorici di Andrea Cataudella, varie identità compreso l’autoritratto, e di quelli fotografici di Luca Dimartino dedicati tutti ad un unico soggetto - lo stesso Cataudella - si intrecciano in un continuo rimando di sguardi, significati e momenti. Memoria, sogno, visioni si rapportano con il qui e ora, con la faticosa elaborazione artistica, con il documento possibile o impossibile, senza per questo rinchiudere i mezzi espressivi utilizzati in campi separati e definitivi, mettendoli anzi in un continuo e sottile scambio di ruoli. Le tele realizzate da Cataudella, per esempio, sono ritratti fantasmatici, come lui stesso li definisce, ed hanno un legame evidente con la realtà spettrale che fin dalla sua nascita ha accompagnato la fruizione dell’immagine fotografica. Volti che affiorano dall’oscuro, presenze mai completamente definite, impressioni fugaci della retina – pellicola. Ed anche le visioni doppie, che si riferiscono dichiaratamente alle stereoscopie in uso alla fine dell’ottocento e che Luca Dimartino inserisce tra i ritratti singoli, ci suggeriscono ulteriormente  la possibilità del riconoscimento di una identità ponendo in questo senso l’accento sulle differenze, contraddizioni?, tra le due immagini associate, quasi a negare un ruolo documentativo e certo all’immagine fotografica, allargandone il campo alla ricerca artistica, cui si rimanda costantemente nelle opere di Dimartino. Così il campo della visione in questa mostra è continuamente attraversato da punti di eterogeneità e di frammentazione, pur essendo un corpo unico, e per questo turba - come un orologio che segna più ore allo stesso tempo – ibidem, A.Tabucchi Pur affiancate le opere restano tra di loro in comunicazione asincrona, anche di poco, ma tanto basta. Questa duplice modalità narrativa crea indubbiamente una visione d’insieme perturbante e lo straniamento è dato dai differenti sguardi che, paralleli, ci rendono quello obliquo, necessario per raggiungere ciò che è latente, interiore più che ulteriore. Una sorta di “sguardo ritornato” che evidentemente non è da associare alla visione puramente speculare bensì al rimando, a quello sguardo che ci pone di fronte al quesito in merito a chi sia o possa essere considerato il soggetto della visione.
Della mostra è parte integrante il racconto dedicato da Luca Martini - La nebbia –
Patti Campani, novembre 2017
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fiorile-tatler · 7 years
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PROSPETTIVA NOMADE #01 Il Paesaggio
- Giuseppe Leone e Cateno Sanalitro –
con un racconto di Concetto Prestifilippo
a cura di Patti Campani
7 ottobre -> 11 novembre 2017
Tatler, via Rialto 29/2, Bologna
Se la Sicilia, l’Isola, l’Origine, è da sempre per entrambi la materia prima, l’essenza stessa che accompagna ogni singola opera, lo è naturalmente come materia di ampio respiro, alto. E così Il paesaggio, scelto dai due artisti come tema, non resta mai relegato ad un ruolo di icona sterile.
I paesaggi letterari realizzati da Giuseppe Leone, così come la scrittura di Sciascia, Consolo, Pirandello, Tomasi di Lampedusa e gli altri autori che qui sono presenti, ci consegnano - come scrive Bufalino dell’opera di Leone - il «grande teatro umano». Come ci ha abituati il suo sguardo, Giuseppe Leone ci conduce attraverso la cultura del ventesimo secolo con una poetica che pur essendo fortemente caratterizzata dal temperamento dell’Isola, realmente unico, ha un orizzonte che ne valica i confini. Il grande teatro umano mette per l’occasione le vesti del paesaggio e ripercorre nei luoghi le parole degli scrittori, citandole a voce alta.
Sospensioni di respiro sono le tele di Cateno Sanalitro: scansioni orizzontali di luce gialla e azzurra, una luce intensa, segnata e definita dai toni scuri della terra. Sanalitro ci rimanda a sensazioni fisiche, i colori, i suoni, i profumi, il caldo intenso, e  al contempo i pensieri sono stranamente rarefatti e attraversano la sostanza materica della pittura, così che la sospensione e il silenzio, caratteristiche di ogni sua opera, tornano prepotentemente a dichiarazione di invito alla riflessione.
Concetto Prestifilippo è scrittore e saggista. Suo è il racconto che è parte integrante della mostra a cui è dedicato e che sarà disponibile dalla sera dell’inaugurazione.
Patti Campani, settembre 2017
Primo appuntamento di Prospettiva Nomade, rassegna che comprende la partecipazione di dieci artisti, pittori e fotografi, e il contributo di cinque scrittori
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fiorile-tatler · 7 years
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Prospettiva Nomade
a cura di Patti Campani
Come da sempre mi accade, le letture di un momento - o meglio lo splendido equilibrio delle parole degli autori - vengono in mio soccorso e mi offrono sul magnifico vassoio delle loro pagine la forma migliore per esprimere la vaghezza incerta e il balbettio delle mie riflessioni. Anche questa volta non sono venute meno al loro mandato e così, nel mentre del progetto che sto realizzando per la futura stagione espositiva, mi si sono presentate: erano lì ,tra le righe di John Berger, che attendevano di essere viste, di apparire nello spazio che le stava aspettando. In Sacche di resistenza Berger usa, o più probabilmente conia, il termine prospettiva nomade per definire l’insieme, realizzato da diverse mani, delle pitture di Chauvet. Scrive John Berger che – (…) la prospettiva nomade riguarda la coesistenza non la distanza - In questo senso mi è parso che le sue parole definissero al meglio quanto era nel mio intento : espressioni diverse come media (pittura e fotografia) che coesistono non in un ordine di grandezza, vicinanza o lontananza, ma coesistono nella definizione aperta dell’oggetto-tema della ‘speculazione’ artistica e poetica.
Perché questo sarà Prospettiva Nomade: una serie di mostre a quattro mani per le quali ho invitato coppie di artisti, pittori e fotografi, nella realizzazione di un progetto comune. Ogni mostra è accompagnata dal racconto di uno scrittore, racconto dedicato e parte integrante della mostra.
Nell’invitarli mi sono limitata a seguire l’intuizione di possibili sintonie poetiche e personali, lasciando a loro, alle singole coppie, la scelta del tema- oggetto e della modalità di sviluppo; aspetto fondante e che porterà a sviluppi molto differenti.
Opere di: Andrea Cataudella, Dario Coletti, Luca Coser, Luca Dimartino, Dario Ghibaudo, Giuseppe Leone, Nino Migliori, Cateno Sanalitro, William Xerra, Umberto Zampini.
Gli scrittori: Alberto Andreoli Barbi, Mauro Curati, Luca Martini, Gianluca Morozzi, Concetto Prestifilippo.
Gli appuntamenti:
2017
8 ottobre- 11 novembre: Il Paesaggio - Giuseppe Leone e Cateno Sanalitro - con un racconto di Concetto Prestifilippo
25 novembre : Il Ritratto  - Andrea Cataudella e Luca Dimartino - con un racconto di Luca Martini
2018
fino al 3 febbraio:  Il Ritratto - Andrea Cataudella e Luca Dimartino - con un racconto di Luca Martini
24 marzo - aprile: Di tutto resta un poco - Dario Coletti e Luca Coser - con un racconto di Gianluca Morozzi
maggio - giugno: Philum - Dario Ghibaudo e Umberto Zampini - con un racconto di Alberto Andreoli Barbi  da novembre: Il Frammento - Nino Migliori e William Xerra - con un racconto di Mauro Curati
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fiorile-tatler · 8 years
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Julien Cachki
CLOSE
a cura di Patti Campani
Tramite una ricerca su Google è possibile vedere le webcam che riprendono 24 ore su 24 i diversi luoghi del nostro pianeta, panoramiche delle città, montagne, spiagge, luoghi sensibili come uffici e banche. Perfino i clienti che comprano in una qualsiasi attività commerciale sono spiate delle webcam installate in qualche angolo dei negozi. Questi frames hanno una vita breve ed effimera, si “auto-cancellano” in una frazione di secondo per dare spazio a nuovi frames altrettanto effimeri. Pur nella loro fugacità però ci raccontano frammenti di vita, spaccati della nostra società, momenti dalla nostra quotidianità.
L’artista Julien Cachki osserva questo immenso ed affascinate mondo cibernetico come un voyeur, attento a tutti i piccoli dettagli registrati da questi freddi occhi elettronici, privi di sensibilità e di umanità. In questi anni l’artista ha catturato e salvato una grande quantità di fotogrammi che vengono selezionati per la loro qualità narrativa e rielaborati con una tecnica molto personale.  Julien Cachki infatti li dipinge solo ed unicamente con i “bianchi”.  Come ci spiega l’artista: “Utilizzo il termine bianchi al plurale perché, in base al medium utilizzato, il bianco cambia sia come sostanza, sia come cromatismo creando profondità spaziali inaspettate. I bianchi eliminano i già deboli connotati del frame che spesso è a bassa risoluzione. Questo continuo cancellare mette sempre più in evidenza gli elementi di verità delle immagini”.
In questa mostra l’artista Julien Cachki propone per la prima volta 6 nuove tele ad olio più 4 opere su carta (dipinte a tecnica mista) che basandosi sulle riprese di una webcam, raccontano un breve frammento della vita di alcune persone in coda alla Levain Bakery, una piccola panetteria di Manhattan a New York. La gente è ammassata all’interno del negozio ad aspettare il proprio turno senza avere grande possibilità di spostamento. Le persone sono fisicamente molto vicine fra loro ma nessuno chiacchiera, nessuno parla, sembrano chiuse in loro stesse, sono CLOSE.
Le opere di Julien Cachki oggi esposte alla Fiorile + Tatler sono ritratti, frammenti di umanità. In questi lavori l’artista cerca di isolare gli individui e di fare emergere i loro caratteri emozionali. I dipinti rappresentano l’indifferenza, l’isolamento e la nostra introversione che si può manifestare nelle circostanze più banali e quotidiane, ad esempio quando siamo in coda.
Il termine inglese close, non solo significa vicino, stretto, serrato ma anche, secondo il contesto, chiuso, senza aperture, poco espansivo, connotati questi tutti in qualche modo riconducibili alle persone rappresentate nelle sei opere che troviamo in CLOSE di Julien Cachki.
Fiorile+Tatler, via Rialto 29\2 Bologna
28 gennaio-> 4 marzo 2017
orari: lunedi -> sabato, 10-12 e 16-19 chiuso il giovedi pomeriggio
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fiorile-tatler · 8 years
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RELIQUIE  
Cateno Sanalitro 
a cura di Patti Campani presentazione di Concetto Prestifilippo e una nota dell’artista Totò Cariello
15 ottobre -> 19 novembre 2016                                                                   
Quattro le opere di Cateno Sanalitro esposte. Sono lavori gravidi di segni, intrisi di materie pittoriche antimoderniste. Un abisso di lacerti di sculture, frammenti di terracotta, volti smarriti, monconi, frantumi, brandelli, schegge, cocci. Sono reliquie, rovine, macerie, avanzi, disfacimenti. Due le installazioni popolate da un ineffabile esercito di argilla. Forme che, nel dettaglio, rivelano uno straordinario compenetrarsi di piani, linee che si intersecano. Uno spazio materico intabarrato sotto una spessa coltre di rimandi arcaici.  
Il tema dominante è quello dello smarrimento, della perdita di identità, dell’evanescenza virtuale, dell’abusata omologazione.
Quella di Sanalitro è una pittura colta, irrituale, lontana dai dettami dozzinali e modernisti. I rimandi sono ai grandi maestri del Novecento. Cateno è un artista mosso da un’irrefrenabile coazione al gesto pittorico, roso da un continuo fervore sperimentale. Pittore irrituale, eccentrico, ha coniato una cifra stilistica inequivocabile. Sanalitro è un der suchende impegnato in una frenetica trasformazione di materiali. Anima object trouvè. Conferisce ai dettagli fascinazioni misteriche. Nella radice del suo stesso cognome, si annida la ricerca della rugiada filosofica che, per estrazione, sintesi, sottrazione, conduce al salnitro alchemico. Una sorta di Jean-Baptiste Grenouille che, con febbrile accanimento, distilla e introietta nelle sue opere odori, materie, segni, forme.
In questo incessante operare, Sanalitro ha deciso di esplorare il tema dell’addio, l’abbandono, la perdita della memoria, la rimozione della civiltà, il disfacimento dell’ambiente, l’alienazione delle merci.  (segue)
Concetto Prestifilippo
Finalmente ho l'occasione di scrivere due righe di presentazione sul lavoro di Cateno, amico di una vita, che ad unirci oltre la nostra sicilianità stanno l'amore e la passione per l'ARTE. Questo è stato possibile grazie a Patti Campani, che ha intuito questo nostro forte legame intellettuale e ci ha reciprocamente coinvolti. Io che conoscendo Cateno da più di trent'anni e condividendo con lui molte esperienze artistiche ... non ne avevo mai scritto . Quando penso al suo lavoro, mi viene in mente un mosaico di creatività  dove sicilianità e sperimentazione emergono vigorosamente. Un lavoro costruito con criterio compositivo di tecniche differenziate e attuali e che racchiude cumuli e strati di memoria, dando all'opera una valenza prepotentemente poetica e contemporanea. In questa mostra, silenziosa come un giardino Zen, dove gli elementi naturali sono essenziali e pieni di significato, Cateno ci riporta ad un viaggio nella memoria dove il pensiero, nella semplicità del silenzio, ci trasporta dentro di NOI. Frammenti che contengono cultura e che, come naufraghi, ci inducono alla riflessione del pensiero e del silenzio.
Totò Cariello
Tatler, via Rialto 29\2 - Bologna
dal 15 ottobre al 19 novembre 2016 orari: lunedi -> sabato, 10-12 e 16-19 chiuso il giovedi pomeriggio
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fiorile-tatler · 8 years
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DesignEHR
di Cesare Ehr Nanni
28 settembre -> 12 ottobre 2016
In occasione della seconda edizione di Bologna Design Week  Tatler ha dedicato la sua prima mostra al design proponendo  i progetti entrati in produzione con Opificio Italia 963 e con Xedra di Cesare Ehr Nanni.
New entry nel mondo del design, Cesare Ehr Nanni, classe ‘92, ha un’impronta progettuale contrassegnata dall’essenzialità del segno e da un linguaggio contemporaneo con una  particolare attenzione alla rilettura  degli archetipi storici e alla lezione del design scandinavo. Esposti  i progetti  Elyas-coffee table e Glide- coat hanger  entrati in produzione con Opificio Italia 963 nuovo brand italiano-design oriented e che comprende la presenza di alcuni tra i più noti designer del panorama italiano – Ugo La Pietra, Emilio Nanni, Enrico Tonucci - e con Xedra, azienda  per la quale Cesare Ehr Nanni  ha presentato, durante lo scorso Salone del Mobile Milano 2016, tre collezioni - Yummy chair, Amy chair e Vanilla bench  - che fondono un segno progettuale contemporaneo ad una rilettura tipologica: (ad es. la sedia Yummy che è la trasposizione della sedia contadina tradizionale, seguendo la lezione già fatta da Giò Ponti/Superleggera e da Magistertti/Marocca).    
- Il design è una disciplina creativa globale,una delle forme espressive e comunicative peculiari dell’epoca che stiamo vivendo.E’ pure sinonimo di una quantità esponenziale di cose che confondono e frantumano il senso autentico del termine “design”.Da quando l’industria e la produzione seriale sono entrate nella struttura endemica della contemporaneità il valore aggiunto dato dal disegno è divenuto sua  fedele rappresentazione.I fondamentali requisiti del design “forma e funzione“ sono costantemente oggetto di rivisitazione e  aggiornamento per stabilire  delle “nuove soglie di percezione” che se da un lato servono per definire la contemporaneità, dall’altro sono necessarie all’industria e alla produzione per rinnovare costantemente l’offerta di prodotti che più si identifichino con queste possibili ”nuove soglie”.Per quelli della mia generazione che vogliono occuparsi fattivamente di design è imprescindibile avere chiaro i meccanismi e le regole (non scritte) che legano il progetto alla produzione e al mercato, cercando di mantenere una costante sensibilità al mutamento del costume e l’umiltà per reinterpretarlo, requisiti fondamentali per contribuire al valore etico che il design può avere.
Cesare Ehr Nanni
TATLER perfumery
via Rialto 29\2 – Bologna
Dal 28 settembre al 12 ottobre 2016
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