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IDENTITÀ DI GENERE E COSTRUZIONE LINGUISTICA:
Come comunicano uomini e donne?
La prolissità femminile è una realtà o uno stereotipo?
Partiamo da un dato di fatto: il cervello delle donne ha caratteristiche peculiari e si distingue dalla sua controparte maschile per la maggiore presenza di connessioni neuronali tra i due emisferi; se nell'uomo molte funzioni cerebrali tra cui quella linguistica sono lateralizzate (ovvero sono gestite da uno dei emisferi), nella donna è più frequente l'attivazione simultanea di entrambe le aree. Inoltre il cervello maschile presenta in proporzione un minore sviluppo dell'emisfero sinistro, deputato alle attività linguistiche (dovuto ad un'inferiore produzione di proteina FoxP2).
Ne deduciamo dunque che le donne naturalmente più portate alla verbalizzazione, faranno un uso particolare della lingua, dando voce alla continua connessione tra emozioni e ricordi che caratterizza il loro modo di leggere e processare la realtà.
Un altro aspetto interessante riguarda la tendenza femminile a servirsi della mimica facciale per arricchire lo scambio linguistico, non solo per rafforzare le proprie parole ma anche con l'intenzione di comunicare alla controparte interesse o empatia.
Le caratteristiche esaminate dovrebbero essere sufficienti a considerare le donne - potenzialmente - come ottime comunicatrici; eppure l'impressione generalizzata è spesso differente. Lo stereotipo della conversazione a due dipinge la femmina come una dispotica monopolizzatrice del discorso e il maschio come una vittima stordita dal flusso ininterrotto di chiacchiere che è costretto ad ascoltare passivamente - a seconda delle interpretazioni, per disinteresse o incapacità di comprensione.
Certamente date le differenze neurobiologiche tra i due sessi effettivamente esistenti durante uno scambio verbale tra maschio e femmina sarà utile adottare alcune strategie per accorciare le distanze e comunicare al meglio. Per farlo, è imprescindibile non solo conoscere le peculiarità di entrambi gli stili cognitivi, ma anche riconoscere il contesto sociale in cui si tiene il discorso e i rispettivi ruoli di genere, per spiacevoli che siano, attesi dalla società.
A livello macroscopico, l'atto linguistico femminile è caratterizzato dalla presenza di un maggior numero di riempitivi sonori (es. "uhm..."). Molti studi, tra i quali ricordiamo quelli a firma di Deborah Tannen dell'Università di Georgetown, riconducono questa tendenza ad una necessità sociale implicita: mantenere il proprio turno per un lasso di tempo maggiore, occupare lo spazio sonoro per poter riflettere sulle proprie parole. Abituate ad essere interrotte, le donne cercano di difendere il proprio spazio comunicativo, il diritto a terminare di esporre il proprio punto di vista anche se ci metteranno più tempo rispetto ad un uomo proprio perché struttureranno il loro discorso su un importante retroterra emotivo e cercheranno di coinvolgere l'ascoltatore anche su questo piano.
Quindi non solo "cosa dire", ma anche "come dirlo" per ottenere sull'interlocutore l'effetto sperato: ecco spiegato il fiorire di locuzioni indirette e perifrasi che spesso caratterizza il linguaggio femminile in contesti comunicativi a due.
Coinvolgere, sollecitare una risposta, riflettere insieme su un problema richiede un dispendio di parole maggiore rispetto alla pura argomentazione del proprio punto di vista. Partire dallo specifico, dal particolare, per scoprire mano a mano l'evoluzione spontanea di un ragionamento è una delle strategie di costruzione del discorso preponderanti nell'universo femminile.
L'uomo è insieme più diretto e più portato all'astrazione comunicativa, ovvero a delineare un quadro d'insieme del discorso, fornendo all'interlocutore gli strumenti necessari a non fraintenderlo. Lo scopo della comunicazione è spesso più chiaro ed evidente, perciò, "bussola" alla mano, l'ascoltatore sarà più portato a non distogliere l'attenzione anche di fronte ad interventi argomentativi di maggior lunghezza; l'autorità del parlante verrà messa in discussione meno facilmente.
Nel caso del discorso pubblico o di gruppo (come può essere considerato quello su internet), le donne adottano una strategia diversa: tendono ad essere più concise degli uomini e ad utilizzare termini più specifici, forse consapevoli - inconsciamente o meno - della brevità della parentesi di attenzione che verrà loro concessa.
Perché le cose stanno in questi termini? Probabilmente il motivo dello scarso interesse maschile per le parole delle donne non risiede solo in preconcetti dettati dalla società, ma anche in un minor trasporto rispetto ai contenuti di discorsi incentrati su relazioni, ricordi, emozioni.
Non è solo una questione di argomento, ma anche di taglio del discorso: proprio a causa della conformazione del loro cervello, le donne sono portate a connettere più degli uomini parole, vissuto e sentimenti, trasformando così la propria produzione linguistica in un atto spesso complesso e meno facilmente leggibile dal cervello maschile, più portato alla linearità e alla ricerca di un preciso obiettivo comunicativo.
Gli uomini mirano ad affermare il proprio potere e a stabilire una gerarchia anche all'interno del gruppo che prende parte al discorso (che sia composto da due o più individui) e sono portati ad incentrare il proprio atto linguistico su fatti e dati concreti.
Così avviene che lette come vuote di significato quando decifrate con un altro alfabeto, le parole delle donne tornano al mittente, inascoltate. Succede dunque che nella mente femminile metta radici un'autocritica insidiosa, che insoddisfatta della sterile ricerca di approvazione sboccerà in parole autosabotanti: è il caso di molte pubblicazioni scientifiche a firme femminile, presentate con eccessiva modestia e perciò desinate a perdersi tra le ricerche maschili autoetichettatesi come opere pregevoli. Conseguentemente, tali pubblicazioni non verranno notate, saranno citate meno di frequente e quindi considerate di minor importanza, contribuendo a sminuire il prestigio e la crescita professionale delle autrici.
Dalla frustrazione alla rabbia il passo è breve: si assiste oggi alla diffusione di un femminismo esasperato che, persa la sua connotazione iniziale, pare assumere i tratti violenti di un nuovo primatismo rosa volto a zittire la controparte maschile azzerando qualsiasi possibilità di mantenere aperto il già labile canale della comunicazione tra sessi. Per non cadere in questo errore occorre resposabilizzarsi, riconoscendo i termini reali del problema, i caratteri linguistici della diversità, così da comprendere l'altro e accoglierne la visione.
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(Illustrazione: Christian Schloe)
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PER UN PUGNO DI DOLLARI
30 marzo 2020: Donald Trump annuncia l'invio all'Italia di materiale sanitario per un valore di 100 milioni di $
2 aprile 2020: La Cnn rende noto che gli Stati Uniti non invieranno alcun tipo di aiuto agli altri Paesi
BREVE PREMESSA
Lo scorso 28 marzo Srecko Horvat, esponente del partito paneuropeo DiEM25 (Movimento per la Democrazia in Europa 2025) ha intervistato NOAM CHOMSKY sul tema del Coronavirus.  
La questione è stata affrontata sia a livello linguistico che socio-politico, alla ricerca delle premesse culturali dell'epidemia; le correnti di pensiero influenzano infatti la realtà nella misura in cui ne propongono chiavi di lettura, contribuendo alla creazione di strategie per affrontarne le difficoltà.
Questo assunto pur non dichiarato emerge piuttosto chiaramente dai commenti dello studioso, che (forse anche per via dell'età avanzata) riesce a CONNETTERE agevolmente generale e particolare, invitando a riflettere sulle relazioni che intercorrono tra aspetti della realtà apparentemente slegati tra loro.
Basti ad accettare l'INVITO ALLA LETTURA, al di là di ogni considerazione politica.
LE CAUSE DELLA PANDEMIA
Chomsky menziona le due MINACCE maggiori alle quali è sottoposto il nostro pianeta, la guerra nucleare e il riscaldamento globale, libere di agire all'interno del sistema neoliberista attuale.
La diffusione pervasiva della logica di PROFITTO travalica i confini del buonsenso accettando di procurare danni all'ambiente e alla vita in nome del guadagno. Accade quindi che si decida di continuare a produrre e ad inquinare nonostante l'imminente  CATASTROFE AMBIENTALE che ci minaccia, incuranti di farci mancare la terra sotto i piedi pur di continuare a costruire.
E mentre l'emergenza coronavirus impone all'Onu di annullare la conferenza sul clima CoP26 programmata per novembre a Glasgow, un incurante Donald Trump rincara la dose, ponendo un freno alle regolamentazioni in materia volute da Obama nel 2012. Il caso degli Stati Uniti è emblematico nel mostrare l'INDIFFERENZA totale o parziale di molti governi quando si tratta di affrontare problemi globali senza la garanzia di poterne trarre un profitto economico o un guadagno in termini di popolarità.
Lo stesso accade nell'ambito della SALUTE, perchè la diffusione del coronavirus avrebbe potuto essere contenuta. Il 31 dicembre la Cina aveva già allertato l'OMS circa la presenza di alcuni casi di polmonite atipica a Wuhan, ma per mesi gli appelli dell'Organizzazione ai leader politici sono rimasti pressochè inascoltati.  
Quella che Chomsky definisce "piaga neoliberista" privilegiando il profitto a tutti i costi non avrebbe investito a sufficienza sulla sanità e sulla ricerca. Non sono passati neppure 20 anni dall'epidemia di SARS che ha provocato 774 morti, eppure ci eravamo scordati della pericolosità di una malattia respiratoria di tale portata. Sono passati più di 15 anni, eppure un vaccino non si è ancora trovato.
In modo estremamente semplice, un prodotto viene immesso sul mercato se le aziende prevedono di trarne sufficiente PROFITTO. "L'assalto neoliberista" ha dunque a ragion veduta "lasciato gli ospedali statunitensi "IMPREPARATI", anche tagliando posti letto.
Speculare è il caso della GERMANIA, che si è preparata ad affrontare l'emergenza conservando gelosamente le proprie risorse sanitarie. Del REGNO UNITO e del suo pietoso negazionismo è meglio tacere. Diverse strategie per raggiungere un unico obiettivo di fondo: proteggere la propria economia accettando un certo numero di perdite umane, fuori o dentro i confini, ovvero sacrificare la vita "per un pugno di dollari".  
In un mondo in cui la sfera pubblica, politica, sembra essere improntata all'autoreferenzialità (Chomsky definisce Trump un "buffone" EGOISTA), abbiamo l'occasione di riprendere in mano la bussola delle nostre vite e di riflettere sul panorama internazionale.
Come sempre, ragionare sulle PAROLE sarà la nostra strategia.
PROPAGANDA
L'utilizzo del LINGUAGGIO BELLICO per riferirsi alla pandemia ha incontrato pareri discordanti nel panorama giornalistico. Agli occhi di Chomsky risulta calzante: "Abbiamo bisogno di questa mentalità", dichiara, "per superare questa crisi a breve termine, che può essere affrontata dai paesi ricchi".
Tuttavia dal rigore all'intolleranza il passo è breve. Qualche personalità dotata dei giusti mezzi potrebbe, per essere autorizzata ad instaurare (momentaneamente?) un regime AUTORITARIO dai metodi violenti, decidere di allearsi con il virus "nemico".
Donald Trump ha inizialmente NEGATO la gravità della situazione esponendo la popolazione statunitense ad un numero esponenzialmente maggiore di contagi, pur avendo a disposizione i dati sottoposti all'OMS dalla Cina fin dal 31 dicembre. Dichiarava, tronfio: "Qualsiasi cosa succeda, siamo assolutamente PRONTI."
Mentre in Italia, già da febbraio, il premier era costretto dall'evidenza delle circostanze a parlare di "emergenza economica e sanitaria" e a sottolineare la necessità di impegnarsi per "circoscrivere" i casi, gli Usa si interrogavano sulla veridicità dei dati Oms: "numeri falsi", dichiarava Trump, "ma è una mia impressione".
L'appello di Conte ad affidarsi agli esperti e a dimostrare "prudenza e consapevolezza", "collaborazione" nel rispettare le regole imposte dai decreti, "restando a casa", faceva da contraltare alla banalizzazione del presidente statunitense, che negli stessi giorni riduceva il coronavirus ad una simil-influenza facilmente arginabile grazie ai "confini forti" della nazione. Addirittura, si sbilanciava promettendo all'Italia aiuti per 100 milioni di $ sotto forma di materiale sanitario, salvo poi rimangiarsi la parola nel giro di tre giorni.
Finalmente convinto della "terribile crisi" che stiamo vivendo, che minaccia di uccidere fino a 240 mila persone solo negli Stati Uniti, pur di distogliere l'attenzione dai suoi errori di valutazione oggi punta il dito contro il Venezuela di Maduro e il narcotraffico. Di più, mentre l'Italia raccoglie i frutti degli aiuti inviati a Wuhan, Trump cerca un capro espiatorio, arrivando a dire: "Il mondo pagherà a caro prezzo il fatto che la CINA abbia rallentato la diffusione delle informazioni sul coronavirus."
Non serve mantenere la pace per scongiurare una possibile GUERRA NUCLEARE, basta apparire più forti degli altri.  Non è importante salvaguardare l'ambiente per le generazioni future, sarà sufficiente negare il problema. Non vale la pena di arginare una pandemia, basta evitare di parlarne.
Nel frattempo, però, due milioni di persone in tutto il mondo si trovano in ISOLAMENTO o in quarantena (e parlano tra loro); due le fondamentali conseguenze, sull'ambiente e sulla società.
La forte riduzione degli SPOSTAMENTI sta mostrando i primi tangibili effetti della riduzione delle emissioni, costringendo anche molti scettici a riflettere sui vantaggi che un cambiamento permanente delle nostre abitudini potrebbe comportare.
L'altra conseguenza è il rafforzamento del DISTANZIAMENTO SOCIALE già presente soprattutto negli strati più giovani della popolazione: Chomsky accenna ad un comportamento diffuso, quello di intrattenere conversazioni virtuali mentre ci si trova fisicamente in compagnia di altri. Da un "isolamento sociale autoindotto" siamo passati ad una quarantena imposta dai governi, che il linguista suggerisce di sfruttare per "progettare organizzazioni, pianificare il futuro, riflettere su strategie per affrontare i problemi globali", condividendo le nostre riflessioni sulla piazza virtuale.
Tutto questo sta già accadendo; nel SILENZIO delle nostre case leggiamo, ci informiamo, discutiamo più di prima. Con  le parole costruiamo ragionamenti e interpretiamo la realtà. Ci accompagniamo gli uni gli altri, anche virtualmente, lungo le strade dei nostri pensieri.  
Possiamo riflettere sulle forze che regolano la realtà in cui viviamo e deporre l'atteggiamento di accettazione passiva che la snaturante routine ci imponeva: "In un mondo civilizzato, i paesi ricchi darebbero assistenza a chi ne ha bisogno, invece di strangolarlo. Adesso forse, con l'emergenza, è il momento di capire CHE TIPO DI MONDO VOGLIAMO."
PER UN NUOVO UMANESIMO
Dal punto di vista POLITICO possiamo aspettarci o, come anticipato, una svolta autoritaria, oppure una ricostruzione radicale della società, una rivoluzione culturale.
Solo il tempo ci dirà se sul piano socio-economico si riveleranno veritiere le previsioni di Trump e "l'economia si riprenderà rapidamente" o quelle di Conte, che ammette: "Non siamo in grado di dire ora quando terminerà l'emergenza" e "occorrerà varare un piano di RICOSTRUZIONE".
Per ora possiamo accogliere l'appello di Chomsky, che suona come un invito a dare il via ad un NUOVO UMANESIMO globale, per un mondo "fondato più sulle necessità umane e meno sul profitto privato", in cui le persone si sentano coinvolte.
Questi mesi potrebbero rivelarsi un "momento critico" a causa non tanto del virus in sè quanto dell'isolamento che comporta. Al netto delle inestimabili e ahimè irreparabili perdite umane, potrebbe portarci una "CONSAPEVOLEZZA dei difetti, delle caratteristiche disfunzionali dell'intero sistema socio-economico". E il virus potrebbe rivoltarsi contro chi ne ha approfittato, facendo tremare le fondamenta, i presupposti culturali dell'intero sistema. Con Trump: "Non penso sia inevitabile. Probabilmente lo sarà. Forse lo sarà. Potrebbe esserlo su scala ridotta, oppure su larga scala."
Make The World Great Again
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"SE TU FOSSI STATO QUI..."
Sulla retorica della sofferenza e della conversione
BIANCO su nero, l'abito del papa si staglia sullo sfondo di una piazza San Pietro cupamente deserta.
L'ISOLAMENTO fisico di uno degli uomini più potenti al mondo, investito da una luce impietosa, ne accentua la debolezza fisica permettendo agli spettatori di intravederne forse un principio di infermità, sicuramente la presa del tempo.
SPETTATORI, appunto. Perché il solitario discorso del papa in una piovosa sera di marzo ha il sapore di un monologo teatrale in mondovisione. D'altra parte era stato lo stesso pontefice ad invocare non solo la partecipazione spirituale, ma la presenza "attraverso i mezzi di comunicazione" di tutti i fedeli.
Come Gesù nel deserto, il papa vive una solitudine soltanto apparente, restando perennemente sotto lo sguardo dei credenti di tutto il mondo. È un isolamento dal forte impatto ESTETICO, a portata di obbiettivo e pubblicizzabile a mezzo fotografico di città in città, di nazione in nazione.
L'evidente intento PROPAGANDISTICO della chiesa, la spettacolarizzazione del suo messaggio, le ingerenze politiche (il diavolo ammoniva Gesù, nel deserto, rispetto a queste ultime), la mancanza di donazioni consistenti ai bisognosi, sono tutti elementi che la rendono meno credibile agli occhi non solo dei non credenti, ma anche di una buona fetta dei cristiani.
"SOFFERENZA" e "digiuno" sono termini che ricorrono spesso nei discorsi papali, ma che non trovano corrispondenza nella realtà ecclesiastica.
Abbiamo un papa affaticato che sotto la pioggia, "venuta la sera", attacca con la retorica della tempesta improvvisa, inaspettato sconvolgimento delle esistenze egoistiche degli uomini, parlandoci di una natura che non possiamo dominare. La soluzione proposta dalla chiesa è quella di rassegnarsi, pregare, fare della "DOCILITA' di spirito" la nostra arma, perché non è importante sconfiggere l'epidemia quanto piuttosto evitare di farsi cogliere nel peccato in punto di morte (il papa, sempre al passo con i tempi, propone un'indulgenza plenaria via bluetooth).
L'unica possibilità di salvezza è costituita dalla fede in dio; nella parabola di Lazzaro, Maria e Marta apostrofano Gesù con spirito sottomesso: "SE TU FOSSI STATO QUI..." lui non sarebbe morto.  
Cristiani! Non confidate nelle vostre capacità, non puntate sulle competenze scientifiche ma sulla bontà d'animo, non sulla tecnica ma sulla CARITA', approfittate della disperazione e della paura per dar fiato al vostro "zelo apostolico", contribuite agli incassi di Radio Maria e delle parrocchie piuttosto che aiutare gli ospedali.
Sofferenza, morte e risurrezione. Gesù "si fa carico della morte" passivamente, perché non ne è responsabile. Abbraccia la CROCE e ci invita a farlo con lui per ottenere la salvezza eterna.  Pur potendo sconfiggere la morte non lo fa.
Dio è fonte di vita eterna, è luce nelle tenebre della tempesta della pandemia perché è visibile grazie ad essa. Tradotto: nella PAURA prolifica il Verbo.
E sarà proprio nel cuore dello sconforto, nei reparti OSPEDALIERI, che gli intubati riceveranno non un'ultima carezza dai propri cari ma l'assoluzione finale da un prete qualunque. Una consolazione, certo, per i credenti, ma come scrive Massimo Maiurana di UAAR: "[...] gli ospedali non eseguono prestazioni differibili e limitano al massimo l’accesso agli estranei, parenti compresi, perché tutti potenziali veicoli di trasmissione del virus. Perché i religiosi sono invece ammessi? Perché permettere loro di trasformarsi in untori, come evidentemente già avvenuto, in assenza di ragioni valide per la loro presenza? È il principio delle deroghe su base religiosa, sempre ammesso con buona pace di quello della laicità delle istituzioni." Taciamo gli aspetti economici della faccenda, relativi alla consistenza delle DONAZIONI ecclesiastiche in rapporto agli introiti complessivi della società.
Negli ospedali, tra gli intubati. Perché il DIALOGO è uno strumento del demonio, come si legge nella parabola di Gesù nel deserto; il cristiano non deve formulare un discorso proprio ma utilizzare la parola di Dio per difendere la propria fede. È concesso solo ai fini della conversione, come nel caso della samaritana che, offrendo da bere a Gesù assetato, si sente rispondere con una parabola sulla vita eterna.
La parola d'ordine è proprio CONVERTIRE, approfittando di questo momento di debolezza, sia sul piano collettivo (spettacolarizzando le gesta papali), sia a livello privato, intrufolandosi tra le lenzuola degli ospedali, tra le pieghe del dolore, per convincere uomini e nazioni della propria inettitudine. Perchè "nessuno si salva da solo", usando la propria testa, con l'intelligenza e lo studio. Perché la tentazione,"il tentativo di percorrere vie alternative a quelle di dio", è sempre in agguato e ci ha portato alla tempesta pandemica. Perchè "i prodigi che Gesù compie non sono gesti spettacolari, ma hanno lo scopo di condurre alla fede attraverso un cammino di trasformazione interiore".
Le nostre vite organizzate, produttive, egogentriche devono di necessità cedere il passo ad un'esistenza comunitaria, mortificante, vigile nell'attesa della fine. Dobbiamo riconoscere la nostra VULNERABILITA' non per guarirne ma per arrenderci, ciechi, alla guida di un dio che è luce, fonte di vita, bussola nella tempesta, eppure che da essa dipende. Guai a dotarsi di una mappa prodotta dall'ingegno  per orientarsi o, peggio, per evitare di incorrere in futuro in altre burrasche.
È più facile mortificare che spronare, più semplice essere vulnerabili che risoluti.
Il papa stesso sembra avere per la testa termini e metafore di tema SANITARIO, un universo mentale popolato di parole quali "anestetizzare", "immunità", "ospedali" e ancora, in un'escalation che percorre i suoi ultimi discorsi, "virus", "epidemia", "pandemia"... sullo sfondo di un'umanità che trema per la sua minaccia.
Facendo presa sulla debolezza emotiva delle persone la chiesa spera forse di riprendere terreno riuscendo a convertire anche molti giovani o stranieri ancora legati alla tradizione religiosa d'origine. Ecco perchè "la preghiera e il servizio silenzioso", armi vincenti della retorica ecclesiastica, vengono urlate al megafono RADIOTELEVISIVO.
Diranno: "NOI C'ERAVAMO", vi abbiamo aiutati a portare la croce.
(FOTO: Yara Nardi per Il Post)
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ONLINE: UN MANIFESTO CULTURALE
Anno 2020: in piena era digitale, superato il ciclo iniziale di entusiasmo e rifiuto per la RIVOLUZIONE INFORMATICA, ci ritroviamo in un mondo irrimediabilmente mutato. La portata storica del  cambiamento sembra ormai essere stata non solo accettata ma metabolizzata dalla nostra società, con la digitalizzazione di molti aspetti della vita quotidiana.
Lo svago in particolare è diventato dominio quasi esclusivo delle nuove tecnologie; proporre contenuti per l'INTRATTENIMENTO tramite social network o piattaforme digitali ne rende più immediata la fruizione, incentivandone al contempo la condivisione con altri potenziali utenti/clienti. Abituati ad avere a che fare con format digitali di story-telling, quasi interamente figurativi, tendiamo ad escludere altri supporti per l'acquisizione di informazione (il cartaceo o lo pseudo-cartaceo dei materiali nati per la stampa classica e semplicemente trascritti in digitale).
Succede quindi che i giornali e le altre fonti di INFORMAZIONE si servano di internet per diffondere le notizie. Lentamente il mercato del lavoro si trasforma per adeguarsi alle nuove esigenze di vendita. Il mondo del fare e del raccontare ciò che accade, gli ambiti di produzione e azione, cronaca e opinione,  assumono una forma tanto simile a quella dell'intrattenimento da travaricarne i confini, correndo il rischio di confondervisi.
Eppure la CULTURA LETTERARIA e umanistica in genere sembra essere esclusa da questo traffico di idee, fondamentalmente a causa di due fattori: esigenza di spazio e senso di colpa.
Per quanto riguarda il primo punto, è evidente come la rapidità con cui siamo abituati a fruire di contenuti attraverso lo schermo dei nostri smartphone tagli le gambe a prodotti culturali a LENTO CONSUMO, soprattutto se si tratta di testi di una certa lunghezza.
Questo scatena in molti un dissidio interiore, un SENSO DI COLPA spesso difficile da decifrare: immergersi nel digitale mortifica lo spirito di chi ne percepisce la potenziale tossicità culturale e al contempo ne intuisce la soggiacente capacità d'innesco intellettuale senza capire come farne uso. Si sperimenta una scissione tra il desiderio di partecipare al girotondo virtuale e l'incapacità di riconoscerne la legittimità e l'effettiva capacità di produrre materiale intellettualmente stimolante e culturalmente valido.
Il termine stesso "CULTURA" deriva dal latino colere, "coltivare". Il riferimento è quindi non solo al sapere in sè ma anche e soprattutto al percorso educativo atto ad ottenerlo. La fatica di costruirsi un bagaglio culturale da portarsi dietro per la vita difficilmente si concilia con gli insegnamenti dei genitori, che condannavano il nostro interesse verso le nuove tecnologie nel momento della loro prima diffusione di massa.
Siamo la generazione di mezzo, che per educare i propri figli dovrebbe superare il senso di colpa interiorizzato e assumersi la responsabilità di trasferire il sapere online, adattandolo per renderne la fruizione più immediata e meno FATICOSA. Ben vengano la capacità di abnegazione e lo sforzo di sintesi e di analisi necessari a costruirsi un ricco mondo interiore. Non dimentichiamoci però che le energie psico-fisiche, così come la buona volontà, sono geneticamente limitate nell'uomo: sarebbe forse più saggio utilizzarle per costruire nuova cultura con il massimo della spinta possibile, senza disperdere le energie intellettive in attività inutilmente sfiancanti.
I piccoli di oggi, nativi digitali, hanno trasformato in AUTOMATISMO il nostro entusiasmo; sta a noi scegliere se far fruttare la loro naturale spinta all'apprendimento incanalandone le inclinazioni verso obiettivi costruttivi o mortificarne lo spirito additandoli come passivi prigionieri di una moderna Medusa dal crine di cavo.
Affrontiamo la realtà: l'editoria è in crisi e le librerie sono vuote da anni, vuote di tutti, giovani annoiati e adulti sostenuti, ignoranti impenitenti e intellettuali da tastiera. Dobbiamo coraggiosamente riconoscere e gestire il senso di colpa ed accettare di dedicarci ad attività che SODDISFINO le nostre due anime, ovvero che arricchiscano la mente ma che non siano sfiancanti per il cervello, ormai abituato, in un mondo di stimoli continui, a selezionare quelli immediatamente (e quindi visivamente) accattivanti e/o dal forte impatto emotivo.
Non solo fatica, dunque. La cultura è sì acquisizione lenta che può convertirsi in un raffinato piatto da ristorante stellato, ma a volte si presenta spontanea e giovane come un pomodoro maturo, con la sua bellezza accattivamente, vitale, da cogliere e mangiare per trarne subito energia - utile anche a coltivare altri ortaggi. Non è solo un lungo romanzo, è anche una nuova POESIA, fresca, gradevole e a portata di clic. E i tempi sono forse maturi per un'autentica rinascita poetica.  
Appurato l'assoluto bisogno umano di letteratura, intesa come racconto più o meno lungo, in prosa o poesia, di vicende reali o immaginarie, non resta che liberarsi dall'ipocrisia della non accettazione ed abbracciare i propri bisogni. Sforziamoci di formulare pensieri NON GIUDICANTI, nei confronti degli altri e di riflesso verso noi stessi. Non condanniamo il mondo virtuale (che è soprattutto intrattenimento e leggerezza) per poi foraggiarlo dal chiuso delle nostre case; ammettiamo invece che se il mondo è cambiato non l'ha fatto spontaneamente, ma in conseguenza ai mutati bisogni dell'umanità.
Accettiamo, come insegna Bauman, il carattere LIQUIDO della cultura, in continuo mutamento e adattamento, compagna naturale del nostro linguaggio, sempre più dinamico e rapido nell'evolversi. Ogni prodotto culturale in senso lato è improntato al soddisfacimento di pulsioni fisiche o esigenze emotive, che pur restando sempre uguali a se stesse necessitano con l'andare delle generazioni di nuovi stimoli e occasioni di sfogo. Autosabotarci restando sordi a noi stessi, per volontà o per capriccio, ci renderà aridi.
Ascoltiamoci: siamo al mondo per essere FELICI.
http://www.davidebonazzi.com/portfolio.html
https://www.facebook.com/Linguistica-Mente-102246794635120/?__xts__[0]=68.ARAas2OWTJFeXjAmqqXfvFU5FwDBgAuVbLqSA34UU_AMqsjkb7g3UQBcW9QEzFTauD7QkYQGnWnwyhHg085glpfQ2ivu_kp73yRYtQXaHA4YmJN1FNrlgeTK1nHfjcVZbTH7EemKGmypBfvvO1hON2BfDZpOdpVIWXSzLFIInB-7lF_G2YTYVpfxVWzckOSFh78tkGwOYDMQmpHGTgo6ofm2HlHsK-tL8_L5MIYHZp61flbTbmr7-t92LkrgR5XnlzH7z3HEGE_j5-mYepFsgA1ye0PaxY_RkLTiYGdy29syeo8q1I59tzaOp11V0rus7I-Qh9bfNRQZTNX8HBSY-cA
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ONLINE: UN MANIFESTO CULTURALE
Anno 2020: in piena era digitale, superato il ciclo iniziale di entusiasmo e rifiuto per la RIVOLUZIONE INFORMATICA, ci ritroviamo in un mondo irrimediabilmente mutato. La portata storica del  cambiamento sembra ormai essere stata non solo accettata ma metabolizzata dalla nostra società, con la digitalizzazione di molti aspetti della vita quotidiana. Lo svago in particolare è diventato dominio quasi esclusivo delle nuove tecnologie; proporre contenuti per l'INTRATTENIMENTO tramite social network o piattaforme digitali ne rende più immediata la fruizione, incentivandone al contempo la condivisione con altri potenziali utenti/clienti. Abituati ad avere a che fare con format digitali di story-telling, quasi interamente figurativi, tendiamo ad escludere altri supporti per l'acquisizione di informazione (il cartaceo o lo pseudo-cartaceo dei materiali nati per la stampa classica e semplicemente trascritti in digitale). Succede quindi che i giornali e le altre fonti di INFORMAZIONE si servano di internet per diffondere le notizie. Lentamente il mercato del lavoro si trasforma per adeguarsi alle nuove esigenze di vendita. Il mondo del fare e del raccontare ciò che accade, gli ambiti di produzione e azione, cronaca e opinione,  assumono una forma tanto simile a quella dell'intrattenimento da travaricarne i confini, correndo il rischio di confondervisi. Eppure la CULTURA LETTERARIA e umanistica in genere sembra essere esclusa da questo traffico di idee, fondamentalmente a causa di due fattori: esigenza di spazio e senso di colpa. Per quanto riguarda il primo punto, è evidente come la rapidità con cui siamo abituati a fruire di contenuti attraverso lo schermo dei nostri smartphone tagli le gambe a prodotti culturali a LENTO CONSUMO, soprattutto se si tratta di testi di una certa lunghezza. Questo scatena in molti un dissidio interiore, un SENSO DI COLPA spesso difficile da decifrare: immergersi nel digitale mortifica lo spirito di chi ne percepisce la potenziale tossicità culturale e al contempo ne intuisce la soggiacente capacità d'innesco intellettuale senza capire come farne uso. Si sperimenta una scissione tra il desiderio di partecipare al girotondo virtuale e l'incapacità di riconoscerne la legittimità e l'effettiva capacità di produrre materiale intellettualmente stimolante e culturalmente valido. Il termine stesso "CULTURA" deriva dal latino colere, "coltivare". Il riferimento è quindi non solo al sapere in sè ma anche e soprattutto al percorso educativo atto ad ottenerlo. La fatica di costruirsi un bagaglio culturale da portarsi dietro per la vita difficilmente si concilia con gli insegnamenti dei genitori, che condannavano il nostro interesse verso le nuove tecnologie nel momento della loro prima diffusione di massa. Siamo la generazione di mezzo, che per educare i propri figli dovrebbe superare il senso di colpa interiorizzato e assumersi la responsabilità di trasferire il sapere online, adattandolo per renderne la fruizione più immediata e meno FATICOSA. Ben vengano la capacità di abnegazione e lo sforzo di sintesi e di analisi necessari a costruirsi un ricco mondo interiore. Non dimentichiamoci però che le energie psico-fisiche, così come la buona volontà, sono geneticamente limitate nell'uomo: sarebbe forse più saggio utilizzarle per costruire nuova cultura con il massimo della spinta possibile, senza disperdere le energie intellettive in attività inutilmente sfiancanti. I piccoli di oggi, nativi digitali, hanno trasformato in AUTOMATISMO il nostro entusiasmo; sta a noi scegliere se far fruttare la loro naturale spinta all'apprendimento incanalandone le inclinazioni verso obiettivi costruttivi o mortificarne lo spirito additandoli come passivi prigionieri di una moderna Medusa dal crine di cavo. Affrontiamo la realtà: l'editoria è in crisi e le librerie sono vuote da anni, vuote di tutti, giovani annoiati e adulti sostenuti, ignoranti impenitenti e intellettuali da tastiera. Dobbiamo coraggiosamente riconoscere e gestire il senso di colpa ed accettare di dedicarci ad attività che SODDISFINO le nostre due anime, ovvero che arricchiscano la mente ma che non siano sfiancanti per il cervello, ormai abituato, in un mondo di stimoli continui, a selezionare quelli immediatamente (e quindi visivamente) accattivanti e/o dal forte impatto emotivo. Non solo fatica, dunque. La cultura è sì acquisizione lenta che può convertirsi in un raffinato piatto da ristorante stellato, ma a volte si presenta spontanea e giovane come un pomodoro maturo, con la sua bellezza accattivante, vitale, da cogliere e mangiare per trarne subito energia - utile anche a coltivare altri ortaggi. Non è solo un lungo romanzo, è anche una nuova POESIA, fresca, gradevole e a portata di clic. E i tempi sono forse maturi per un'autentica rinascita poetica.   Appurato l'assoluto bisogno umano di letteratura, intesa come racconto più o meno lungo, in prosa o poesia, di vicende reali o immaginarie, non resta che liberarsi dall'ipocrisia della non accettazione ed abbracciare i propri bisogni. Sforziamoci di  formulare pensieri NON GIUDICANTI, nei confronti degli altri e di riflesso verso noi stessi. Non condanniamo il mondo virtuale (che è soprattutto intrattenimento e leggerezza) per poi foraggiarlo dal chiuso delle nostre case; ammettiamo invece che se il mondo è cambiato non l'ha fatto spontaneamente, ma in conseguenza ai mutati bisogni dell'umanità. Accettiamo, come insegna Bauman, il carattere LIQUIDO della cultura, in continuo mutamento e adattamento, compagna naturale del nostro linguaggio, sempre più dinamico e rapido nell'evolversi. Ogni  prodotto culturale in senso lato è improntato al soddisfacimento di pulsioni fisiche o esigenze emotive, che pur restando sempre uguali a se stesse necessitano con l'andare delle generazioni di nuovi stimoli e occasioni di sfogo. Autosabotarci restando sordi a noi stessi, per volontà o per capriccio, ci renderà aridi. Ascoltiamoci: siamo al mondo per essere FELICI.
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