Tumgik
nubienebbia · 6 years
Text
Zipper e suo padre
La triade composta da Joseph Roth, Arthur Schnitzler e Robert Musil è passata alla storia per aver descritto liricamente il tramonto di uno dei più grandi imperi della Storia, l’Impero Asburgico. Un impero glorioso che si estendeva da Innsbruck a Leopoli, e che ospitava entro i suoi confini più orientali il floridissimo ebraismo dello shtetl. Il blasone della casata conteneva da secoli il motto AEIOU, ovvero Austriae Est Imperare Orbi Universo, spetta all’Austria comandare sul mondo intero. Ciò si verificò con alterne fortune fino alla fine della Grande Guerra (il cui casus belli fu come è noto l’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este a Sarajevo) quando l’Impero scomparve a causa delle molte contraddizioni che lo affliggevano ormai da tempo. La leggenda vuole che il simbolo più luminoso del regno, il baffuto e canuto Francesco Giuseppe, morì di crepacuore nel 1916 perché da un giorno all’altro vennero meno valori, usi e costumi che ormai erano plurisecolari e probabilmente considerati immortali.
Tumblr media
Nel 1928 Joseph Roth pubblicò Zipper und sein Vater, in italiano Zipper e suo padre, sublime romanzo che racconta la disillusione e le difficoltà materiali e spirituali di una famiglia ebraica viennese all’indomani della sconfitta e della scomparsa dell’Impero. Roth è un narratore impareggiabile che riesce nelle pochissime righe dell’incipit ad incuriosirci e a creare un enorme empatia verso l’intera famiglia Zipper, vera ed impareggiabile protagonista del romanzo.
“Io non avevo un padre – cioè: non ho mai conosciuto mio padre – ma Zipper ne possedeva uno. Ciò conferiva al mio amico un particolare prestigio, quasi avesse posseduto un pappagallo o un sanbernardo. Quando Arnold diceva: «Domani vado sul Koblenz col mio papà», provavo il desiderio di avere anch’io un padre. Un padre lo si poteva prendere per mano, si poteva imitarne la firma, da lui si potevano ricevere rimproveri, punizioni, premi, percosse. A volte ero tentato di indurre mia madre a risposarsi, perché perfino un patrigno mi appariva desiderabile. Ma le circostanze non lo consentivano.”
La famiglia Zipper era composta dal capofamiglia, il vecchio Zipper, dalla moglie Fanny e dai due figli maschi: Arnold e Cäsar. Quest’ultimo inizialmente rinnegato dal padre per il suo essere uno scioperato, morirà in stato vegetativo a causa delle ferite riportate in guerra. Lo scontro epocale, il frastuono dell’artiglieria e le notti trascorse all’addiaccio in trincea avranno delle conseguenze imprevedibili anche sulla voce narrante e Arnold Zipper, i quali dopo alcune iniziali incertezze decidono di arruolarsi per difendere l’aquila bicipite nera, per difendere lo stemma Asburgico.
“Credo che la guerra ci abbia rovinati. Confessiamolo: abbiamo avuto torto a ritornare. Noi ora ne sappiamo quanto i morti, ma dobbiamo fare finta di nulla, perché, per puro caso, siamo rimasti in vita.”
Le sensazioni di inadeguatezza e di estraneità alla società causate dalla drammaticità dell’esperienza bellica sono centrali in tutto il romanzo. Arnold Zipper e il protagonista devono ritrovare il loro posto nel mondo e all’interno della società. Impresa non soltanto non facile ma titanica. Paradossalmente l’eclissarsi consapevolmente potrebbe rappresentare una soluzione a questo dilemma.
“Arnold non giocava, ma stava volentieri a guardare. Per parecchi giocatori era diventato, con il tempo, un indispensabile «angolista». In un certo senso ci si riposava dalle emozioni del gioco se alzando gli occhi dalle carte si guardava Zipper. La perenne malinconia del suo volto – della quale nessuno sapeva il motivo, tra l’altro, e che probabilmente solo io capivo, perché conoscevo casa Zipper, cioè la culla di quella malinconia -,  l’inalterabile passione con cui partecipava a quell’altalena di disdetta e di fortuna, il suo concentrato mutismo, il suo sguardo vigile che seguiva ogni gesto, ogni movimento delle mani e delle carte, dovevano avere sui giocatori lo stesso effetto rassicurante e appagante che ha, su un autore che da lettura della propria opera, un ascoltatore attento e partecipe. I giocatori si sentivano lusingati quando Zipper li guardava. Era come se tributasse loro un tacito applauso.”
Roth è riuscito a rendere immortali i dubbi e le ansie di una generazione fatalmente ritrovatasi senza una guida. Il confortante impero era scomparso in un fiat, la morte aveva falciato in battaglia migliaia e migliaia di giovani vite, non c’era più nulla in cui credere. Il tempo scorre inesorabilmente senza che gli Zipper se ne accorgano. Emblematica e degna della migliore letteratura mitteleuropea l’immagine dell’orologio che conforta i giocatori nel caffè abitualmente frequentato da Arnold Zipper.
“Per chi sedeva lì dentro il tempo si era fermato. Sopra la cassa, in verità, era appeso un orologio, ticchettava perfino, tutte le sere veniva ricaricato dal capocameriere Franz, ma non aveva lancette. Poteva esserci qualcosa di più terrificante? Quell’orologio camminava e camminava, nelle sue recondite profondità il tempo seguiva il proprio corso regolare, ma non lo si vedeva. Si sapeva solo che le ore passano, ma quante – questo non lo si sapeva. Eppure le persone sedute lì alzavano ogni volta gli occhi a quell’orologio, probabilmente si figuravano di vedere così che ora fosse. Il ticchettio che udivano li rassicurava, a quanto pareva.”
All’inizio del quarto capitolo Roth scrive: “Dove vive tanta gente, ne muore anche tanta”. Rendere immortali queste vite è il fine ultimo della storia e della letteratura. Roth è riuscito in un centinaio di pagine a farci sentire parte della famiglia Zipper. A condividere con loro gioie e dolori, tormenti e momenti felici. In cambio ha ottenuto la gloria eterna e un posto di primissimo piano tra i Giganti della letteratura europea. Grazie Joseph, ci reincontreremo nell’eternità di un caffè a bere slivoviz circondati da “angolisti”.
Tumblr media
2 notes · View notes
nubienebbia · 6 years
Text
L’estetica delle divise 2019
Chelsea FC - AS Roma 
Il Chelsea FC è da sempre uno dei club più eleganti d’Inghilterra, la presunta patria del calcio. La grandezza e la classe dei blues è rimasta invariata dopo l’acquisizione della società da parte di Roman Abramovič, a cui seguì una imponente opera di consolidamento delle finanze, garantita dal continuo afflusso di petrorubli. La divisa home del prossimo anno è stata pensata dai designer di Nike avendo in mente una sola Idea, l’avanguardia, femminile dal francese  avant-garde. I Kandinskij del nuovo millennio hanno evidentemente rinnovato un classico partendo dal tradizionale blue, il pattern a strisce bianco-rosse ricorda vagamente le scie delle fuoriserie che di notte sfrecciano per King’s Road e si fonde perfettamente con lo sponsor tecnico; quella Yokohama Tires Corporation che non a caso vendendo pneumatici è riuscita a quotarsi al Nikkei. Eden Hazard e compagni vestiranno gli Ideali futuristi del Lacerba, avranno al loro fianco Carrà, Marinetti e Boccioni.
Tumblr media
Uno dei misteri più grandi della plurisecolare storia dell’Urbe eterna è rappresentato senza dubbio dalla mostruosità delle divise Diadora e Kappa che hanno condotto la squadra della Capitale nel nuovo millennio. Inspiegabile, se si pensa anche solo vagamente ai motivi estetici che la squadra di una città come Roma potrebbe garantire. Fortunatamente da qualche anno, con il passaggio a Nike, la musica sembra essere cambiata. In particolare, la prossima stagione, i giallorossi indosseranno una versione modernissima della Lorica hamata. Cotta di maglia in acciaio utilizzata dai legionari dell’esercito romano per conquistare gran parte dell’Europa. L’intreccio degli hami simboleggia l'efficienza e il vigore che si possono ottenere unendo le forze, disponendosi a falange, a testuggine, o decidendo di condurre l’assedio. L’ordo haruspicum starà osservando il volo degli uccelli dal colle Capitolino, per capire se il prossimo maggio a Madrid Daniele De Rossi potrà essere incoronato come l’ultimo Cesare.
Tumblr media
0 notes
nubienebbia · 6 years
Text
I fratelli Singer
La dinastia di scrittori che sconfisse la Storia
Europa, secondo dopoguerra. La bufera nazionalsocialista che ha sconvolto il continente è ormai un ricordo sfocato. Si inizia a quantificare e interpretare. Si prova a comprendere. Gli osservatori, intenti quasi unicamente a stabilire le cifre reali dello sterminio, sottovalutano colpevolmente il pericolo più funesto lasciato in eredità dai nazisti: la scomparsa del folklore, degli usi, costumi e tradizioni dell’ebraismo orientale. Il più puro. Il più vivido. L’ebraismo dello shtetl. Dietro questo termine yiddish, nei primi anni del XX secolo, si celavano decine di villaggi dell’Europa orientale abitati da ebrei. Madri e bambini. Uomini dalle barbe lunghissime, neri gabbani e i tradizionali payot, i riccioli laterali tramandati dalle Scritture. Un’umanità variamente assortita che quotidianamente affollava la piazza del mercato, gioendo dei lieti eventi che poteva offrire un’esistenza poverissima, i matrimoni e le feste di Purim, Pesach e Kippur. Legati indissolubilmente alla lingua dei padri, lo yiddish, erano custodi entusiasti del mito e della memoria. Realtà straordinariamente poetiche, cantate da Scrittori immortali. Il più grande, il vate che consacrò la sua produzione letteraria a tramandare quell’epoca agrodolce che coincise con il tramonto dell’impero austroungarico, Joseph Roth, così descriveva la cittadina ebraica: 
“la piccola città è situata al centro di una pianura e non c’è monte o bosco o fiume che la delimiti. Si estende in piano. Comincia con piccole capanne e con piccole capanne finisce. Le case succedono alle capanne. E da qui partono le strade. Una corre da sud a nord, l’altra da est a ovest. Al loro punto di incrocio si trova la Piazza del Mercato. All’estremità della strada nord-sud c’è la stazione ferroviaria. Una volta al giorno arriva un treno passeggeri. Una volta al giorno parte un treno passeggeri.”
Tumblr media
Questi mondi rischiarono di scomparire sotto il peso delle bombe e della guerra culturale che il nazionalsocialismo dichiarò senza troppe remore ad oriente. In questo scenario potenzialmente fatale si levarono voci altissime, di intellettuali che abitarono gli shtetl ormai ridotti ad un mucchio di macerie. La famiglia Singer era originaria di Varsavia. Negli shtetlekh del voivodato della Masovia, la moglie del rabbino Pinchos Meanchem, di nome Bestabea, diede alla luce tre figli: Eshter, Israel e Isaac. I tre nel corso della loro vita furono costretti dagli eventi a lasciare i luoghi che contribuirono in maniera decisiva alla loro formazione. La primogenita giunse a Londra dopo essersi unita in matrimonio ad Anversa. I figli maschi invece emigrarono negli Stati Uniti. Furono scrittori di racconti e di un numero notevole di romanzi in yiddish, ambientati oltremanica, oltreoceano e nei villaggi ebraici dell’Europa orientale. Con le loro opere resero immortali numerosi protagonisti della vita degli shtetlekh: mendicanti, commercianti, umili contadini alle prese con l’organizzazione di matrimoni, rabbini e intere famiglie. Memorabili le calamità che influenzarono la quotidianità della famiglia Moskat e dei fratelli Ahkenazi. Il lirismo disincantato dei tre fratelli ottenne imperitura sublimazione nel racconto Il mondo nuovo, scritto da Eshter, la più grande e al contempo meno talentuosa dei tre. Racconto di una nascita descritta seguendo la vicenda dal punto di vista del feto. Il quale viene accolto in un mondo nuovo solo perché osservato per la prima volta. Un mondo poverissimo, una stanzuccia minuscola dalle tende scure. Un mondo che delude le aspettative. Avrebbero potuto essercene di migliori, ma essere riusciti a tramandare la memoria e le sensazioni che hanno fatto sospirare, emozionare e battere migliaia e migliaia di cuori in questo caso equivale a sconfiggere la Storia. I fratelli Singer ci riuscirono con le parole e la poesia.
Tumblr media
1 note · View note