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Stefano Ligorio
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Articoli su Medicina, Legge e Diritto, ma anche Aforismi, Riflessioni e Poesie.
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stefanoligorio · 2 months ago
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Il danno esistenziale nel risarcimento del danno - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - Il danno esistenziale nel risarcimento del danno.
Il danno esistenziale è lo sconvolgimento nella vita quotidiana -determinato da un fatto illecito- che comporta un’alterazione della personalità del danneggiato, delle sue abitudini, e del suo modo di relazionarsi con gli altri finanche da imporgli scelte di vita diverse.
La Cassazione n. 18611/15 chiarisce come a volte, a seconda della specificità del caso, il danno esistenziale (come anche quello morale) debba essere valutato autonomamente rispetto al danno biologico, ribadendo l’incongruità, come assai spesso accade nella pratica, di una mera valutazione tabellare ai fini del risarcimento dovuto per il pregiudizio subito.
Spesso, infatti, si assiste al riconoscimento del solo danno biologico, al quale si riconosce ormai una portata tendenzialmente, e generalmente, onnicomprensiva, ovvero contenente già in sé anche il danno esistenziale (correlato alla lesione fisica subita), tuttavia non è per nulla scontato che il danno biologico lo possa sempre, e in toto, effettivamente, ricomprendere.
Potrebbe, infatti, accadere -circostanza per nulla rara- che il danno esistenziale debba essere liquidato autonomamente dal riconoscimento della percentuale del danno biologico, difatti il giudice, in tutta diligenza, dovrebbe sempre valutare, caso per caso, le circostanze in essere e, ove sia il caso, ‘personalizzare’ in modo specifico e congruo il risarcimento.
Difatti, al contrario di alcune errate convinzioni, in tal senso, emergenti, la duplicazione del riconoscimento risarcitorio si verifica unicamente quando è liquidata (sia pure sotto nomi diversi) due volte la stessa voce di danno.
Aumentare soltanto il punto di base, nelle tabelle per la liquidazione del danno biologico indicato, non può avere sempre un senso logico, corretto, e congruo, in quanto non può permettere, infatti, di considerare a pieno la perdita della qualità della vita del danneggiato e tutte le componenti psichiche e spirituali, finanche meramente soggettive, del dolore umano.
La Corte Suprema ha chiarito come sia del tutto incongruo il ricorso alla mera valutazione tabellare nel garantire un risarcimento integrale del danno ai fini della valutazione anche degli aspetti dinamici e relazionali del pregiudizio.
Risarcire -in alcuni casi specifici- il danno esistenziale (ma anche il danno morale) in modo autonomo è l’unica via corretta per poter riconoscere al danneggiato un equo ristoro e non può, minimamente, rappresentare, in tali casi, una duplicazione del riconoscimento risarcitorio: Cass. n. 18611/15: “tutte queste componenti fisiche, psichiche e spirituali del dolore umano meritano una migliore attenzione rispetto al calcolo tabellare dove la personalizzazione è pro quota, mentre deve essere ad personam”.
L’unitarietà del danno non patrimoniale non dev’essere più frutto di fraintendimenti, in quanto la nozione di ‘unitarietà’ significa unicamente che lo stesso danno non può essere liquidato due volte solo perché definito, o definibile, con nomi diversi, tuttavia ciò non può, e non deve, comportare che quando l’illecito sia causa di distinte perdite non patrimoniali la liquidazione dell’una possa sempre assorbire tutte le altre: “..Pertanto quando la suddetta perdita incida su beni oggettivamente diversi, anche non patrimoniali..il giudice è tenuto a liquidare separatamente i due pregiudizi, senza che a ciò osti il principio di omnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, il quale ha lo scopo di evitare le duplicazioni risarcitorie..”.
Del resto, appare logico ed evidente come un danno biologico relativamente moderato, ma con aspetti di ripetitività e/o recidività, possa instaurare, certamente, e per ovvi motivi, un danno esistenziale molto più rilevante, per l’appunto, di quello, nell’onnicomprensività del danno biologico, riconosciuto -genericamente- con la semplice patologia tabellata;
eccocheintalicasinascelanecessitàdelriconoscimentodeldannoesistenziale autonomamente (distaccato) dal danno biologico.
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stefanoligorio · 2 months ago
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La ‘colpa grave’ e/o la ‘malafede’ ex art. 96 c.p.c. - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - La ‘colpa grave’ e/o la ‘malafede’ ex art. 96 c.p.c.
In sede di udienza per la precisazione delle conclusioni si potrà avanzare la domanda per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. (e/o integrare la domanda risarcitoria, nel caso sia l’attore ad avanzarla) contro la parte che abbia agito e/o resistito, in giudizio, in evidente ‘colpa grave‘ e/o ‘malafede‘, deducendo (oltre a ciò che può essere presunto con la comune esperienza in materia di conseguente danno esistenziale) anche l’eventuale specifica -negativa- portata psicologica-esistenziale (con l’allegazione di relativi certificati medici e altro di inerente) che subire e contrastare tutte le, eventuali, dichiarazioni gravemente e reiteratamente non veritiere della parte avversaria abbia comportato (ad es. in forza delle impegnative indagini deduttive e documentali, eventualmente, necessitatesi a fronte dell’opera non veritiera costruita dalla parte avversaria…).
La domanda risarcitoria/sanzionatoria ex art. 96 c.p.c., contro la parte avversa che abbia iniziato o resistito in un processo civile con colpa grave e/o malafede, è svincolata dalle preclusioni assertive operanti nel giudizio di cognizione, in quanto diretta a far valere le conseguenze derivanti dalla risoluzione della controversia, concretizza, infatti, una mera integrazione della originaria domanda formulata dalla parte, e non determina alcuna alterazione del thema decidendum della lite, potendo, dunque, essere avanzata per la prima volta, o aumentata, sino all’udienza di precisazione delle conclusioni (Cass. n.15964/2009; Cass. n.3941/2002; Corte App. Roma 26.1.2009; Trib. Roma 4.9.2009).
Tale violazione, infatti, si concretizza in uno scorretto esercizio del diritto di agire o di resistere in giudizio, che certamente può realizzarsi solo con il compimento di tutti gli atti che compongono il procedimento di cognizione, in quanto la parte istante è in grado di valutarne la fondatezza, e la portata, solo al termine della fase istruttoria.
Tutta la giurisprudenza di merito e di legittimità è unanime nel dichiarare che la condanna ex art. 96 c.p.c. vada diligentemente valutata, da parte del giudicante, a fronte della specifica gravità, e del reitero, della malafede e colpa grave messe in atto durante il processo civile.
Ai sensi dell’art. 96 c.p.c. co. 1 si può chiedere il danno morale-esistenziale.
Ai sensi dell’art. 96 c.p.c. co. 3 si può chiedere la condanna ad una sanzione.
In merito alla portata della sanzione ai sensi del co. 3 dell’ex art. 96 c.p.c. si veda:
Tribunale di Milano, 25-11-2014, dott. Marcello Piscopo (condanna al quadruplo delle spese di lite -ex art. 6 c.p.c.-);
Tribunale di Padova, sentenza del 10-03-2015, Giudice, dott. Bertola (condanna al quintuplo delle spese di lite -ex art. 96 c.p.c.); Cass. Sez. VI -, ordinanza n. 21570 del 30-11-2012.
Chi scrive ritiene che la disposizione al co. 1 e co. 3, del citato art. 96 c.p.c., sia un ottimo deterrente, studiato dal legislatore, al fine di limitare le iniziative temerarie nel processo civile, tuttavia si osserva, nella pratica, una non corretta, e una poco frequente, applicazione da parte dei giudici, per cui l’auspicio è che in futuro, a tal fine, tale dispositivo trovi una maggiore e una più precisa applicazione.
A tal riguardo sorge anche la precisa necessità di una più attenta e puntuale formulazione -da parte del legale della parte che abbia, in tal senso, fondato interesse- nell’avanzare la domanda per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. non risparmiandosi, minimamente, nell’esposizione specifica delle oggettive deduzioni di merito.
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stefanoligorio · 2 months ago
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Il principio di non contestazione -art. 115 c.p.c.- articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - Il principio di non contestazione -art. 115 c.p.c.-.
L’art. 115 c.p.c. stabilisce il principio di non contestazione: “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita…”, ovvero che il giudice, nel giungere alla decisione, deve valutare non solo le prove proposte dalle parti, ma anche i fatti non specificatamente contestati, i quali divenendo (tra le parti), dunque, pacifici assumono la forma di prova raggiunta.
La contestazione dev’essere:
specifica;
la genericità equivale a non contestazione;
la contestazione deve riguardare sia i fatti principali sia quelli secondari, visto che la legge, in tal senso, non pone alcuna differenziazione;
l’art. 115 c.p.c. riguarda tutte le parti, ivi compresi i terzi;
la contestazione specifica va effettuata nel primo scritto difensivo utile.
Cassazione civ., sez. I, 27-02-08, n. 5191, in Mass. Giur. It., 2008: “ogni voltache sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione(e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto”.
Per cui la contestazione solo generica -non specifica- (ai sensi dell’art. 115 c.p.c.), -o comunque anche se specifica, ma non operata nella prima difesa utile– da parte di chi ha l’onere e l’interesse di contestare, su fatti, sia principali sia secondari, rende questi fatti pacifici assumendo, dunque, la forma di prova raggiunta.
Si pensi, in tal senso, a quanto possa essere importante il diligente lavoro dell’avvocato, il quale dovrà avere precisa e puntuale cura (con articolate, intuitive e fondate deduzioni) sia di mettere la parte avversaria nella posizione di dover rispondere a specifici fatti (primari e secondari) sia di porre, ove questi fatti, ai sensi del citato art. 115 c.p.c., divenissero pacifici, il giusto rilievo davanti al giudice ai fini della decisione.
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stefanoligorio · 2 months ago
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No agli ansiolitici per curare l’ansia - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - No agli ansiolitici per curare l’ansia.
Prendendo spunto da un interessante commento postato, sul blog, da un utente, ho deciso di pubblicare il presente articolo.
Gli ansiolitici (specie benzodiazepinici) servono unicamente ad attenuare, e per un breve periodo, i sintomi (non la malattia) legati all’ansia, sia di tipo sociale, generalizzata o somatizzata. Sono utili solo per attenuare, al bisogno, un eventuale stato di particolare agitazione, in caso di attacchi di panico (solo al bisogno), talvolta nella fase iniziale dell’assunzione della corretta terapia antidepressiva (nelle prime 2-4 settimane), e in pre-anestesia prima di interventi chirurgici.
Fuori da questi casi sono assolutamente sconsigliati, tanto più, sempre e comunque, un loro uso cronico.
Infatti, un loro uso continuato non solo cronicizza la patologia dell’ansia (la quale non viene curata), ma associa, ai sintomi della malattia stessa, tutta una serie di svariati e complessi sintomi da assuefazione e da sospensione (la quale avviene già in corso di terapia prolungata), con il risultato di aggravare e complicare, nel tempo, sia i sintomi sia la malattia e rendere più difficoltosa e complessa sia l’eventuale somministrazione di una corretta terapia in un secondo momento sia la guarigione dalla stessa.
Gli antidepressivi (specie del tipo SSRI) agiscono sulla causa eziologica -biologica- della malattia ansioso-depressiva (ipersensibilità recettoriale serotoninergica e conseguente -dopo diverso tempo- atrofia neuronale), mentre gli ansiolitici (specie benzodiazepinici), come anche i modulatori dell’umore, (Lyrica, e altri similari), nei riguardi di malattie come ansia e/o depressione, agiscono solo sul sintomo, ovvero aumentano -meramente- il segnale del neurotrasmettitore Gaba -inibitore degli stimoli nervosi…-. L’effetto dei comuni ansiolitici è, dunque, solo sintomatico e per nulla curativo, in quanto non intervengono minimamente sulle cause neuro-chimiche di queste malattie. A ciò si aggiunga che, in particolare, nella fattispecie delle benzodiazepine si viene a creare una veloce assuefazione e tolleranza verso il farmaco, con la conseguenza di entrare precocemente in una fase di sintomi da ‘sospensione’ pur con la regolare e cronica somministrazione allo stesso dosaggio. Ma ciò che è peggio è che possono produrre, nel loro uso cronico, anche danni neurologici sia temporanei sia persistenti, in quanto inducono, a lungo andare, una iposensibilità dei recettori gabaergici diminuendo, dunque, la ivi fisiologica risposta inibente e di controllo nei confronti degli stimoli nervosi. Per cui il vero effetto terapeutico-ansiolitico, dopo del tempo la iniziale e corretta somministrazione, è riscontrabile solo nei confronti dell’antidepressivo, in quanto, questi, normosensibilizzando i recettori serotoninergici (i quali hanno fisiologicamente un’azione stimolatrice e, dunque, si immagini la loro iper-azione stimolante se divenuti ipersensibili) ripristina una corretta azione stimolante nel S.N.C. con la conseguente scomparsa della malattia e dei sintomi a ciò legati. Per cui si può affermare che l’azione ansiolitica dei comuni ansiolitici è diretta, ma non curativa, in quanto non interviene sui recettori stimolanti divenuti ipersensibili (ma aumentano solo il Gaba che ciò inibisce), mentre l’azione ansiolitica dell’antidepressivo (specie, come predetto, del tipo SSRI) è indiretta, ma curativa, in quanto interviene sui predetti recettori stimolanti riportandoli ad una normale sensibilità… (circostanza, quella della loro ipersensibilità, che è causa della malattia ansioso-depressiva). Inoltre, la normosensibilizzazione recettoriale serotoninergica (dal SSRI indotta), nel tempo, tenderà a normalizzare anche alcuni neuroni andati incontro ad atrofia per via dell’aumentato metabolismo ivi innescatosi a seguito dell’ipersensibilità dei recettori in oggetto.
Ciò detto, per quanto la psicoterapia, di qualsivoglia tipologia, sia molto utile e fondamentale in tutti i casi (in quanto agente sulle cause ‘emotive’ della malattia stessa), e in alcuni sia finanche del tutto risolutiva, resta il dato chiaro che quando i sintomi sono particolarmente presenti, per l’appunto, la terapia antidepressiva è di assoluta necessità.
Per cui la psicoterapia, a volte, deve ritenersi da sola risolutiva del quanto, altre volte deve però ritenersi solo a titolo coadiuvante alla corretta terapia antidepressiva.
La psicoterapia, ovviamente, è assai utile e fondamentale, in quanto è sempre necessario modificare ciò che, in noi, di emotivamente negativo ha causato o con-causato patologie come ansia e/o depressione.
Se la malattia ansiosa/depressiva non ha ‘biologicamente’ particolarmente coinvolto la ‘sensibilità’ recettoriale, certamente, la psicoterapia, da sola, è in grado, a titolo risolutivo, di portare alla guarigione il paziente, in quanto efficacemente agente sulle cause ‘emotive’ della malattia. Tuttavia, se la malattia ha avuto dei chiari e rilevanti risvolti neuro-chimici recettoriali nel S.N.C., non si deve dubitare sul fatto che solo l’antidepressivo possa agire in tal senso, ovvero sulla ivi biologia alteratasi…
Bisogna iniziare a comprendere come non sempre, ansia e depressione, possano essere giustificate da mere individuali strutture emotive inadeguate, in quanto, come per molte altre malattie, anche l’aspetto biologico è da considerarsi con un certo rilievo…
Si pensi, ad esempio, al caso in cui per una particolare predisposizione familiare, si abbia ‘biologicamente’ propensione alla malattia, ovvero si abbia -per costituzione- un carente e insufficiente metabolismo del neurotrasmettitore serotonina nel S.N.C. (circostanza che nel tempo porterà biologicamente, e, dunque, successivamente anche emotivamente, ad esprimere la malattia), e questo, al di là dell’aspetto emotivo proprio e individuale…
In altre parole: è certamente vero ed evidente che la propria struttura emotiva può negativamente alterare la neuro-chimica innescando la malattia, come è altrettanto vero ed evidente che una neuro-chimica alterata, per propria propensione a un carente e insufficiente metabolismo della serotonina, può da sola ‘alterare’ l’espressione del proprio stato emotivo…
La malattia ansioso/depressiva ha molte più complessità ‘biologiche’, oltre che emotive, di quanto si possa pensare… Ecco perché vi è sempre la necessità di rivolgersi a uno psichiatra e uno psicoterapeuta davvero diligenti e competenti che sappiano ‘entrare’ nella vastità del problema…, discernendo le peculiarità del caso specifico.
In sintesi, si può affermare che una costante presenza di serotonina nel cervello, indotta dall’antidepressivo (specie del tipo SSRI), col tempo riduce -fino a normosensibilizzarla- l’ipersensibilità dei recettori serotoninergici causata, in precedenza, da una costante insufficienza di serotonina cerebrale…; conseguentemente tenderanno a normalizzarsi anche i rispettivi neuroni (andati incontro ad atrofia per via dell’aumentato metabolismo ivi innescatosi a seguito dell’ipersensibilità dei recettori in oggetto).
***
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Per Riflettere…
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L’importanza della psicologia applicata…
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stefanoligorio · 2 months ago
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Reflusso laringo-faringeo. Diagnosi, cause e cura - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - Reflusso laringo-faringeo. Diagnosi, cause e cura.
A differenza del reflusso gastroesofageo, in cui l’acido gastrico risale dallo stomaco a causa, in particolare, di una disfunzione dello sfintere esofageo inferiore, nel reflusso laringo-faringeo la risalita dell’acido gastrico avviene soprattutto a causa di un malfunzionamento dello sfintere esofageo superiore.
La diagnosi del reflusso laringo-faringeo, e delle sua complicanze, viene posta dallo specialista otorinolaringoiatra, il quale si servirà di una laringoscopia a fibre ottiche, con la quale potrà evidenziare i classici segni del reflusso laringo-faringeo, quali edemi, iperemie della mucosa ipofaringea e laringea…
Il reflusso laringo-faringeo si presenta, in generale, con sintomi come dolore e bruciore alla gola, disfonia (alterazione della voce), tosse secca cronica, stizzosa, muco, sensazione di copro estraneo in gola (‘boro faringeo’), dispepsia…
Consigli per curare adeguatamente il reflusso laringo-faringeo.
Alla comparsa dei primi sintomi bisogna rivolgersi, immediatamente, a un otorinolaringoiatra (possibile necessità, a seconda della complessità del caso, di una valutazione anche con un gastroenterologo).
Premesso che la terapia per il reflusso laringo-faringeo potrebbe risultare abbastanza lunga, il medico specialista diligente dovrà prescrivere, per del tempo, l’assunzione orale al mattino (almeno 20 minuti prima della colazione) e alla sera prima di andare a letto, di un gastroprotettore (ove non vi siano altri disturbi che rendano più complessa la malattia basterà, in genere, l’assunzione per 30-45 giorni, per concludere, successivamente, con 10-15 giorni al dosaggio minimo solo al mattino).
Ciò che, tuttavia, risulterà particolarmente importante sarà l’assunzione (nelle fasi iniziali per tre volte al giorno, ossia mattina, dopo pranzo e sera poco prima di andare a letto, per poi proseguire con due volte al giorno, ovvero mattina e sera, fino alla scomparsa dell’infiammazione laringo-faringea) di un antiacido, contenente anche alginato di sodio (tipo gaviscon ‘bruciore e indigestione’ bustine), rigorosamente in forma liquida (da assumersi a brevi sorsi cercando di trattenerlo un po’ in gola), in quanto in grado, in particolare, di ‘neutralizzare’, nel proprio ‘passaggio’, l’acido in loco, e, dunque, di proteggere le mucose già lesionate.
Sarà, inoltre, utile, l’assunzione, specie nelle fasi iniziali, di aloe (a piccoli sorsi e per tre volte al giorno), e l’uso di uno spray a base di sostanze naturali lenitive e di acido ialuronico ed eventualmente, almeno nei primi giorni, di uno spray antinfiammatorio.
Per trattare al meglio il reflusso laringo-faringeo e anche a titolo di ‘prevenzione’ saranno, inoltre, necessari i seguenti accorgimenti:
-ridurre lo stress;
-svolgere regolare attività fisica strutturata;
-dimagrire (ove si sia in sovrappeso);
-eliminare il fumo;
-evitare le bevande gassate, gli alcolici, il caffè, tè e alcune spezie (come pepe, curry e peperoncino);
-limitare il consumo di frutta acida, zuccheri raffinati, lieviti (come quelli presenti nella pizza; in tal senso preferire sempre la pizza con lievitazione naturale), cacao o cioccolato fondente, alcuni grassi (sia vegetali sia animali), alcuni latticini;
-preferire cibi ‘leggeri’ (evitando, insomma, i cibi, le bevande e qualsiasi sostanza a ciò incentivanti), evitando le abbuffate ma facendo piccoli pasti durante la giornata;
-non usare abiti ‘stretti’;
-non mangiare poco prima di andare a letto;
-dormire con la testa rialzata.
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stefanoligorio · 2 months ago
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Balanite, postite e balanopostite. Diagnosi, cause e cura - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - Balanite, postite e balanopostite. Diagnosi, cause e cura.
La balanite è l’infiammazione del glande, la postite del prepuzio e la balanopostite di entrambi.
L’infiammazione del glande e del prepuzio può avere origine sia da cause infettive sia da cause non infettive.
La balanite solitamente porta a una postite tranne che nei pazienti circoncisi.
La balanopostite è favorita, soprattutto, dalla ‘scarsa’ igiene, dal diabete mellito e dalla fimosi (prepuzio stretto, non retraibile), quest’ultima, in particolare, impedisce un’adeguata igiene sotto il prepuzio aumentando il rischio dell’insorgenza di una infezione.
Data la varietà di fattori eziologici scatenanti, la balanite dev’essere trattata dopo aver effettuato una corretta diagnosi.
La valutazione avviene sia clinicamente sia con l’esecuzione di indagini diagnostiche selettive con dei test volti ad indagare sia eventuali cause infettive (specie per candidosi) sia non infettive.
La terapia per la balanite, la postite e la balanopostite, a seconda della causa, consiste in trattamenti topici con antimicotici, antibiotici e cortisone e, in casi resistenti o particolari, nella circoncisione.
Consigli per un’adeguata cura della balanite, della postite e della balanopostite.
Effettuare un’accurata e regolare igiene con detergenti ‘idonei’ al caso specifico (ad es. Idrozoil di erbagil, ecc.).
Seguire con scrupolosità, nella modalità e nella tempistica, i trattamenti topici prescritti dallo specialista diligente.
Alla scomparsa dei sintomi, o perlomeno alla riduzione degli stessi, sarà necessario fare quanto segue:
rimedio efficacissimo, e molto più utile (almeno nella fase successiva al trattamento dei ‘sintomi’) di molti trattamenti a lungo termine (i quali offrono, in molti casi, solo una temporanea scomparsa dei sintomi, ma non incidono molto sulle peculiari e frequenti recidive), è scoprire (ovviamente nei casi in cui ciò, a seguito della diversa natura e gravità della patologia, sia possibile), per lungo tempo, durante la giornata e la notte, il glande, il quale, a seguito di ciò, tenderà ad essere più asciutto promuovendo il proprio ispessimento e la propria resistenza agli agenti irritativi esterni, riducendo, se non azzerando del tutto in molti casi, le continue irritazioni, infezioni (specie micosi).
Usare salviettine umidificate (specie nelle fasi ancora sintomatiche) ad azione lenitiva (aloe, ecc.) per pulirsi dopo aver urinato affinché il glande sia sempre il più possibile ‘pulito’ e asciutto.
In casi resistenti anche a tutto ciò far valutare, in sede specialistica, l’eventuale necessità di eseguire una circoncisione.
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stefanoligorio · 2 months ago
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La frode processuale (art. 374 c.p.) - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - La frode processuale (art. 374 c.p.).
L’art. 374 c.p. recita: “Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da uno a cinque anni”.
La norma è diretta a tutelare la genuinità delle fonti tramite le quali si fonda, o si può fondare, il convincimento del giudice in ordine a determinati elementi di prova.
Il reato si integra con l’artificiosa alterazione, o trasformazione materiale, dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, allo scopo di trarre in inganno il giudice nel corso delle ispezioni giudiziali, degli esperimenti giudiziali, ovvero nell’espletamento delle operazioni peritali. Questa elencazione è tassativa, non potendosi, dunque, estendere ad altri momenti processuali.
Data la specifica connotazione del reato (‘reato di pericolo’), l’alterazione, o l’immutazione, artificiosa non deve necessariamente trarre in inganno il giudice essendo sufficiente che sia in grado di farlo, infatti, è da escludersi la rilevanza penale dell’alterazione grossolana, in quanto non idonea a poter trarre in inganno il giudice.
Cass. n. 23615/05: “Il delitto di frode processuale, reato di pericolo a consumazione anticipata, è integrato da qualsiasi immutazione artificiale dello stato dei luoghi o delle cose, commessa al fine di inquinare le fonti di prova o di ingannare il giudice nell’accertamento dei fatti. Costituendo tale finalità il dolo specifico e non un elemento oggettivo del reato, il fatto che il giudice non abbia ancora disposto l’assunzione del mezzo di prova non assume alcuna rilevanza ai fini della configurabilità del reato”.
Cass. n. 13645/98: “In tema di frode processuale, prevista dall’art. 374 c.p…pericolo che esiste invece ogni qual volta l’immutazione sia percepibile soltanto a un esame non superficiale e possa sfuggire a un occhio non particolarmente esperto”. (Fattispecie riguardante un immobile sul quale era stata disposta perizia per l’accertamento di vizi redibitori, derivanti da difetti dell’impianto idrico causativi di umidità nei muri, immobile del quale l’imputato aveva provveduto a ritinteggiare le pareti, così da occultare dette tracce, rilevabili solo da un occhio esperto e a seguito di attento esame).
Cass. n. 9075/85: “In tema di reati previsti dall’art. 374 c.p., l’assoluta inidoneità dell’immutazione dei luoghi a generare la frode processuale si verifica solo quando la condotta è talmente grossolana da rivelare ictu oculi l’artificio, sì da togliere qualsiasi potenzialità ingannatrice all’immutazione stessa con una valutazione da effettuare ex ante, in base agli strumenti apprestati o alla loro oggettiva capacità offensiva. Ne consegue che il compimento delle operazioni di ripristino e di ripulitura di un terreno agricolo in vista della coltivazione dello stesso, effettuate per contrastare lo stato di fatto presentato al sopralluogo dell’autorità giudiziaria in un procedimento di reintegra possessoria, peraltro consistente in una condizione di completa incoltura dell’area di terreno, configura l’elemento materiale del delitto de quo, essendo idoneo a far apparire, contrariamente alla realtà, che i terreni non erano in stato di abbandono, ma anzi preparati per le opportune colture”.
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stefanoligorio · 2 months ago
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 I patti successori - articolo di Stefano Ligorio.
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Da un articolo di Stefano Ligorio - I patti successori.
L’art. 458 del codice civile: “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi” sancisce la nullità dei patti successori.
In parole semplici per descrivere cosa siano i patti successori si può, genericamente, dire che trattasi di contratti o patti stipulati tra due o più persone con cui un soggetto viene nominato erede da taluno, il quale si impegna a disporre del proprio patrimonio in suo favore (patti successori istitutivi), o di contratti o patti con cui un futuro erede dispone dei propri diritti all’eredità nella circostanza in cui sia ancora in vita la persona dalla quale, per successione, dovrà, in futuro, ereditare (patti successori dispositivi e rinunciativi).
I patti successori si dividono in quelli istitutivi, dispositivi e rinunciativi.
-I patti successori istitutivi sono rappresentati da quei contratti in cui un soggetto viene nominato erede da taluno, il quale si impegna a disporre del proprio patrimonio in suo favore (circostanza che, dunque, viola la libertà testamentaria, ovvero l’assoluta revocabilità del testamento).
-I patti successori dispositivi si verificano nella circostanza in cui taluno dispone dei propri diritti su una eredità (ovvero quando sia ancora in vita colui dal quale dovrebbe ereditare) che può pervenirgli da una futura successione.
-I patti successori rinunciativi (o abdicativi) si verificano, invece, quando un soggetto rinuncia al proprio diritto su una eredità (ovvero quando sia ancora in vita colui dal quale dovrebbe ereditare) che può pervenirgli da una futura successione.
La nullità dei patti successori, ai sensi dell’art. 458 c.c., è sancita per preservare l’assoluta revocabilità del testamento –finché è in vita il testatore– (patti successori istitutivi), e per evitare che futuri eredi possano sperperare la propria eredità di cui non sono ancora titolari (patti successori dispositivi e rinunciativi).
L’azione giudiziaria per far valere la nullità dei patti successori può essere avanzata da chiunque ed è rilevabile anche d’ufficio dal giudice.
Cass. civ. n. 15919/2018: “È nulla, per contrasto con il divieto di cui agli artt. 458 e 557 c.c., la transazione conclusa da uno dei futuri eredi, allorquando sia ancora in vita il ‘de cuius’, con la quale egli rinunci ai diritti vantati, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di alienazione posti in essere dall’ereditando perché idonei a dissimulare una donazione”.
Cass. civ. n. 14566/2016: “Configura patto successorio, vietato dall’art. 458 c.c., l’accordo col quale i contraenti si attribuiscono le quote di proprietà di un immobile oggetto dell’altrui futura successione ‘mortis causa’, pattuendo di rimanere in comunione ai sensi dell’art. 1111, comma 2, c.c.”.
Per cui si ponga attenzione ove ci si dovesse trovare nelle qui descritte circostanze, in quanto si firmerebbe un contratto, o patto, eventualmente anche dietro corrispettivo di un prezzo, che ai fini legali sarebbe nullo.
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