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#11 luglio 1934
inmontagnadilunedi · 2 months
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#294# 11/07/2024 294 Vidiciatico - Monte Grande - Sboccata Bagnadori
L’eleganza non è farsi notare ma farsi ricordare.Giorgio Armani,nato 11 luglio 1934, stilista. Pranzo: ristorante La Piazzetta, Vidiciatico, Lizzano In Belvedere. Itinerario: parcheggiamo a Vidiciatico (850 m), nei pressi di Fontana D’Africo, già sul sentiero 127. Il sentiero ci porta con dolcezza, in uno splendido bosco, fino a Bocca Delle Tese (1173 m). Da qui la salita, per raggiungere il…
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lamilanomagazine · 3 months
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Buon Compleanno Re Giorgio: una vita tra eleganza e semplicità
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Buon Compleanno Re Giorgio: una vita tra eleganza e semplicità Oggi, Giorgio Armani, una delle figure più emblematiche e influenti nel mondo della moda, celebra il suo 90° compleanno. Nato l'11 luglio 1934, a Piacenza, famoso per la sua semplicità, il suo gioco a togliere certosino, per le giacche destrutturate, Giorgio continua ad ammagliare e rivoluzionare il mondo della moda e del lusso globale, nonostante il passare degli anni.... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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carmenvicinanza · 3 months
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Edina Altara
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Edina Altara, poliedrica artista sarda del ventesimo secolo, è stata pittrice, ceramista, creatrice di moda, designer e pubblicitaria.
Ha illustrato una trentina di libri per l’infanzia e collaborato con numerose riviste e periodici.
La sua ricerca si inserisce in quel movimento di modernizzazione del primo Novecento in cui l’arte ha incontrato la produzione industriale e l’espressività popolare. 
A diciassette anni aveva già ideato una serie di balocchi di cartoncino e non ne aveva ancora venti quando il re Vittorio Emanuele III acquistò la sua opera Nella terra degli intrepidi sardi. Il collage, noto anche col titolo Jesus salvadelu è oggi esposto al Quirinale.
Nata a Sassari, il 9 luglio 1898 in una famiglia agiata, fin da bambina aveva mostrato una notevole propensione per il disegno, i colori e l’uso della carta.
Amava sperimentare e, in modo autonomo e da autodidatta, sviluppò presto un notevole senso estetico e una manualità allenata al ritaglio prima ancora che al disegno.
Si interessava di antiquariato, ma anche delle nuove tecniche produttive, esercitandosi in mille piccole attività, dal ripristino di oggetti antichi alla creazione di complementi d’arredo, alla decorazione, alla pittura. Utilizzava tessuti, carte colorate e frammenti di vetro con cui componeva scene e figure.
Il suo debutto avvenne nel 1917 con la mostra Società degli amici dell’Arte di Torino, dove il suo collage venne notato e comprato dal re.
Trasferitasi a Casale Monferrato, collaborava con diverse riviste quando, nel 1922 conobbe e sposò Vittorio Accornero de Testa, affermato scrittore, disegnatore e scenografo. Firmandosi Edina e Max Ninon, insieme, diedero vita a illustrazioni, cartoline, calendari, prodotti pubblicitari e lavori dal gusto Decò. Lei realizzava i personaggi e lui gli ambienti.
Il suo talento spaziava dal disegno alla moda. Dopo la separazione dal marito nel 1934, aveva aperto un atelier nella sua casa di Milano, dove fioccarono le richieste per lavori artistico di ogni sorta.
Si era anche dedicata con grande successo alla decorazione di maioliche prodotte da alcune ditte faentine e torinesi; progettava ciò che altri avrebbero poi riprodotto.
Durante la guerra, insieme alle sorelle, aveva creato una società di decorazione e progettazione di oggetti in ceramica che è stato un importante esempio di imprenditoria femminile, capace di consentire proventi sicuri in un periodo difficile come quello bellico.
Edina Altara ha disegnato per tutte le più importanti pubblicazioni femminili italiane. Il suo stile colto e informato, spaziava dalle curve flessuose del Liberty alla geometrie del Decò, fino a riferimenti più arcaici al mondo delle tradizioni sarde e alle figure ieratiche di Massimo Campigli, reinterpretate in un’opera emblematica come Penelope, un olio su masonite databile agli Anni Cinquanta.
Ha collaborato con tutte le più importanti riviste, tra cui  Grazia e Bellezza, diretta da Gio Ponti, con cui ha lavorato a lungo, soprattutto nel design, aiutandolo nei progetti di arredamento. Tra questi spiccano gli allestimenti di cinque grandi transatlantici italiani tra i quali l’Andrea Doria e il Conte Grande, per la sala ristorante di quest’ultimo hanno dipinto, a quattro mani, il pannello su vetro Allegoria del viaggiare (1950).
Quando il dibattito generale riprese a considerare secondarie le arti applicate, la sua poliedrica attività venne declassata a mera produzione decorativa.
Negli ultimi anni riceveva spesso commissioni per soggetti molto convenzionali, ai quali si adattava suo malgrado, pur di lavorare.
Si è spenta nella sua amata Sardegna, a Lanusei, l’11 aprile 1983.
Dopo la sua morte il suo nome era sparito dalla memoria collettiva, di recente, però, grazie al lavoro del pronipote, il giornalista Federico Spano, titolare dell’Archivio Altara, le sono state dedicate diverse retrospettive, che hanno saputo mettere l’accento sulla sua esperienza di imprenditorialità creativa e le utili ripercussioni per le nuove generazioni.
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edicoladelcarmine · 3 months
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CHIESE DEL TERRITORIO DEDICATE ALLA MADONNA DEL CARMINE
La Chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine e San Giuseppe al Casaletto è una chiesa di Roma, nel quartiere Gianicolense, in via del Casaletto, 691. In realtà, sono ben tre le Chiese del quartiere dedicate a Santa Maria del Carmine e San Giuseppe. La primitiva chiesa fu edificata intorno al 1772 dal sacerdote Giuseppe Aluffi (poi divenuto vescovo), ed eretta a parrocchia da Pio VI con il breve "Divina virtutum" dell'11 maggio 1781. Essa fu denominata “la parrocchietta” per le sue dimensioni, ma non certo per la vastità del territorio, che si estendeva su una superficie dal diametro di 32 chilometri. La seconda Chiesa venne edificata, su progetto di Nicola Carnevari, nel 1853, a poche decine di metri dalla precedente, con le spese sostenute dallo stesso papa Pio IX, e fu consacrata il 26 maggio 1854.
Nel luglio 1933, ai padri Silvestrini, che avevano retto la parrocchia nei decenni precedenti, subentrarono i Cappuccini bolognesi-romagnoli, i quali lasciarono la parrocchia nel 1994. Tali religiosi iniziarono subito i lavori per la costruzione di una nuova e più grande Chiesa, capace di ospitare un migliaio di persone, e di un convento per la loro comunità. I lavori furono affidati agli architetti Tullio Rossi e Francesco Fornari e terminarono nel 1934 con la consacrazione e l'apertura al pubblico della nuova Chiesa. Il precedente edificio sacro è ancora utilizzato dalla parrocchia attuale come teatro con il nome di "sala Santa Chiara".
Per saperne di più: https://edicoladelcarmine.suasa.it/Roma2.html
Per aggiungere informazioni: [email protected]
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ma-pi-ma · 2 years
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Lo stile è avere coraggio delle proprie scelte, e anche il coraggio di dire di no. È gusto e cultura.
Giorgio Armani
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sparviero44 · 2 years
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"Campioni del Mondo!": l'11 luglio di 40 anni fa
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L’11 luglio del 1982 gli Azzurri superarono i tedeschi per 3-1 nella decisiva partita di Madrid e conquistarono il terzo titolo mondiale: ecco i momenti salienti di quel giorno, rimasto impresso nella memoria collettiva di un’intera nazione
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Sugli spalti il presidente della Repubblica Sandro Pertini scattò in piedi e fece segno al re Juan Carlos di Spagna, seduto in mezzo tra lui e il cancelliere tedesco Helmut Schimdt, dicendo “Non ci prendono più”. Di lì a poco la Germania avrebbe segnato il gol della bandiera con il centrocampista Breitner
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Ad alzare la terza Coppa del Mondo italiana (dopo quelle del 1934 e del 1938 e prima di quella del 2006) il quarantenne Dino Zoff, portiere della Juventus e capitano della nazionale
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Come si fa a non ricordare le mitiche partite di Scopone sul volo di ritorno dalla Spagna
Sul volo di ritorno dalla Spagna, iconica anche la celebre partita a scopone tra il presidente Pertini, il ct Bearzot, Zoff e il centrocampista dell’Udinese Franco Causio. Chi vinse quella partita? Il duo formato dal commissario tecnico e dal “Barone”, che sconfissero il capo dello Stato e il capitano della nazionale. "Il presidente era bravo ma perdemmo per colpa sua, Causio riuscì a fregarlo", fu l’ammissione di Zoff in un’intervista al Secolo XIX del marzo 2016
Grazie a quei mitici "Azzurri" che ci hanno fatto sognare e vivere questo momento indelebile della storia d'Italia e di "noi" giovani italiani di quei tempi
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pedrop61 · 4 years
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IL GATTOPARDO
Giuseppe Tomasi di Lampedusa nasce a Palermo il 23 dicembre 1896. Una Palermo dove si incontravano i Florio, i Bordonaro, gli imprenditori inglesi del marsala Whitaker, gli ultimi baroni che avevano acquistato i feudi ecclesiastici dopo la secolarizzzazione del 1866 e realizzavano l’espansione edilizia lungo l’asse della via Libertà. La Palermo dei Lanza di Trabia, degli Alliata di Villafranca, dei Ventimiglia di Belmonte, tutti nobili proprietari di meravigliosi palazzi simili ai castelli della bella addormentata, un mondo incantato dal quale Giuseppe Tomasi non si sarebbe più staccato, un mondo condannato ad essere superato dalla volgarità dei tempi nuovi.
Consegue la maturità classica nel 1914 e l’anno dopo viene chiamato alle armi. Nel settembre 1917 viene inviato sull’altopiano di Asiago. Due mesi dopo viene fatto prigioniero. Nel 1918 evade, dopo un tentativo fallito, dal campo di prigionia Szombathely in Ungheria e nel novembre ritorna a Palermo.
Iscritto alla facoltà di legge prima a Palermo, poi a Genova, darà soltanto l’esame di diritto costituzionale. Tra il 1920 e il 30 viaggia per mezza Europa e nel 1932 si sposa con Licy Wolff Stomersee a Riga, in una chiesa ortodossa. La coppia si stabilisce a Palermo a palazzo Lampedusa. Nel 1934 muore suo padre e lui diviene principe di Lampedusa. Nel 1942, a causa dei bombardamenti su Palermo, si trasferisce nella villa dei suoi parenti Piccolo a Capo d’Orlando.
Nel 1957, tramite il libraio editore Flaccovio, “Il Gattopardo” viene inviato a Vittorini, direttore della collana I Gettoni della Einaudi. Una copia del romanzo viene consegnata ad Elena Croce. Il 23 luglio 1957 lo scrittore muore a causa di un carcinoma. La salma viene inumata a Palermo al cimitero dei Cappuccini. L’11 novembre 1958 il romanzo viene pubblicato da Feltrinelli a cura di Giorgio Bassani. Nel 1959 vince il Premio Strega.
Romanzo di rara bellezza, un autentico gioiello di cultura, saggezza, tristezza, consapevolezza, nostalgia di un mondo perduto. Come tutto ciò che è grande, sommo, alto, non viene compreso da molti e ancora oggi viene citato a sproposito da pessimi giornalisti e da pseudo politici da strapazzo.
“il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono… da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento […] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio… questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; […] questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; […] questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo…”
Non è un semplice romanzo storico ma casomai antistorico dove non si respira l’ottimismo di una concezione storicista e teleologica ma, al contrario, spicca la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive. Si dice in modo chiaro e netto che il diritto alla felicità è una solenne sciocchezza. L’esistenza è durissima e la natura umana e gli uomini sono gettati in un mondo di inaudita violenza. Soltanto le arti e la conoscenza possono mitigare il dolore ma l’esito è comunque terribile: più comprendi e più resti isolato. L’influenza di Stendhal è molto forte, la delusione esistenziale e la consapevolezza del fallimento e dello scacco permeano tutto il romanzo.
In questa visione il Risorgimento diventa una rumorosa e romantica commedia e la Sicilia, resta una categoria astratta, immutabile metafisica. Il fluire del tempo, la decadenza e la morte (Marcel Proust e Thomas Mann) vengono esemplificati nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che viene sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l’opera: la descrizione del ballo, la morte di don Fabrizio, la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sui loro beni.
Un romanzo sicuramente decadente e struggente dove il vero protagonista è la nostalgia. Non mi stupisce che Vittorini non lo abbia compreso. Ancora oggi non viene compreso da quanti, assecondando logori luoghi comuni, lo interpretano esclusivamente in chiave politica.
Non è un caso che un grande intellettuale fin de race come Luchino Visconti ne abbia afferrato lo spirito traducendolo, caso raro di grande film tratto da grande libro, in un film sontuoso e affascinante.
Scandito dalla musica di Nino Rota il lavoro di Visconti offre quadri e dialoghi di rara suggestione. Don Fabrizio, il principe Salina, è un Bart Lancaster strepitoso affiancato dal nipote Tancredi (un giovanissimo e stupendo Alain Delon), da Angelica, di nome e di fatto (meravigliosa Claudia Cardinale) e da attori di consumata esperienza e bravura quali Paolo Stoppa (Calogero Sedara), Rina Morelli e Serge Reggiani.
Alcune citazioni da Tomasi di Lampedusa:
Io penso spesso alla morte. Vedi, l’idea non mi spaventa certo. Voi giovani queste cose non le potete capire, perché per voi la morte non esiste, è qualcosa ad uso degli altri.”[… ] In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il ‘la’; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.”
“Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae soltanto perché è morto.”
Ho letto il romanzo la prima volta a 18 anni e ne sono rimasto affascinato al punto che esso ha permeato la mia vita nel bene e nel male. Ogni tanto lo rileggo e ne cavo fuori insegnamenti e riflessioni. Il Principe Salina, inconsapevolmente, è stato il mio modello (alla sua aristocrazia per nascita che mi interessa ben poco, ho tentato di sostituire l’unica forma di aristocrazia che mi convince, quella culturale ed educativa) e sino a quando mi sono attenuto ai suoi insegnamenti stoici e sensati ho vissuto con dignità, onore e, perché no, momenti di felicità. Posso essere accusato di non aver fiducia nelle umane sorti e progressive ma questo non mi ha impedito di aiutare chiunque abbia incontrato nella mia vita. Anche io ho pensato per lunghi anni di poter migliorare il mondo aiutando gli altri e l’ho fatto insegnando e col mestiere di professore e preside. Malgrado tutto continuo a pensare che l’insegnamento, la scuola seria e per tutti siano l’unica forma di crescita per un popolo. La cultura non elimina la sofferenza esistenziale ma ci consente di soffrire ad un livello più alto e di provare solidarietà leopardiana per il dolore altrui.
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”
J.V.
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Nuovo post su https://is.gd/ACnH2O
I coniugi Peruzzi, benefattori dello Spedale degli Innocenti a Firenze e fondatori del convento dei Minimi in Lecce
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli
  di Giovanna Falco
Si aprono nuove prospettive di ricerca sulla storia della chiesa di Santa Maria degli Angeli e del convento di San Michele Arcangelo dei Minimi di San Francesco di Paola, ubicato in piazza dei Peruzzi a Lecce: i fondatori Giovannella e Bindaccio di Bernardo di Bindaccio Peruzzi[1] furono anche benefattori dello Spedale degli Innocenti di Firenze, dove i loro ritratti sono conservati insieme con quelli di altre personalità dell’Istituto fiorentino.
Tutte le fonti che trattano della fondazione del complesso conventuale dei Minimi in Lecce[2], seppur contraddittorie sulle date, concordano nell’attribuirla a Giovannella Maremonte, vedova di Bindaccio Peruzzi, morto il 14 luglio 1502[3].
La vedova Peruzzi su disposizione testamentaria del marito, volle far realizzare in un giardino fuori porta San Giusto un oratorio e chiesa. Il 14 maggio 1524 il notaio Sebastiano de Carolis di Firenze rogò l’atto di fondazione del convento dei Minimi di San Francesco di Paola, alla presenza del provinciale genovese dell’Ordine e di Giovannella[4].
Con testamento del 13 marzo del 1527, rogato a Firenze dal notaio Paolo Antonio de Rovariis[5], la Peruzzi donò altri beni per l’erigendo convento.
Purtroppo i documenti originari sono stati dispersi, così come i riassunti degli atti del 1524 e del 1527, eseguiti nel 1766 dal notaio Lorenzo Carlino[6].
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli, portale di ingresso
  Il giardino dov’è sorto il complesso conventuale dei Minimi, era conosciuto dai leccesi come Panduccio, distorsione dialettale del nome del proprietario, la cui presenza a Lecce è attestata negli anni Settanta del Quattrocento[7]. Ritornato a Firenze, Bindaccio Peruzzi ricoprì ruoli rappresentativi per l’Arte dei Mercanti[8], di cui nell’aprile del 1502 era ancora membro del consiglio, seppur assente[9]. Tre mesi dopo donò parte dei suoi beni allo Spedale degli Innocenti di Firenze, così com’è riportato nella targa del ritratto che lo commemora (www.catalogo.beniculturali.it › sigecSSU_FE › schedaCompleta.action): «Bindaccio Peruzzi priore del comune nel MCCCCXCV largi’ con testamento de’ X luglio MDII parte de’ suoi averi a questo brefotrofio e l’esempio del misericordioso consorte fu seguitato dalla moglie»[10] .
Stemma dei Peruzzi
  Grazie alla consultazione delle carte d’archivio dell’Ospedale degli Innocenti, Luigi Passerini e Alessandra Mazzanti e Vincenzo Rizzo, individuano la vedova di Bindaccio in Giovannella Peruzzi, il cui ritratto nel Settecento era esposto nel guardaroba dell’Istituto[11]. La vedova Peruzzi figlia «di Niccolò De Noe»[12], proveniente dalla «Basilicata nel Regno di Napoli»[13], morta nel 1527[14].
Le date coincidono, ma Giovannella Peruzzi, nei documenti dell’archivio dell’Istituto fiorentino risulta essere un’esponente di casa de Noha, e non di casa Maremonte.
Stemma dei Maramonte
  La diversa interpretazione del cognome della fondatrice nei documenti conservati presso il convento leccese è indirettamente chiarita da Michele Paone, quando scrive che nel 1524: «in Firenze la vedova di Bindaccio Bernardo Peruzzi, Giovannella, orfana di Nicola Gionata e Margherita Maremonte, donò ai minimi di S. Francesco di Paola la chiesa di S. Maria degli Angeli»[15]. La provenienza dalla Basilicata del padre di Giovannella, Nicola de Noha, è attestata (salvo che non si tratti di un caso di omonimia) da Giustiniani: nel 1457 re Alfonso diede Latronico «per ducati 600 a Cola de Ionata de Noha»[16]. Conferma la distorta lettura dell’atto del 1524, il nome del notaio fiorentino tramandato in maniera errata: si è individuato, infatti, Sebastiano de Carolis, in Bastiano di Carlo da Fiorenzuola, i cui atti, anche quelli del 1524, sono conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze, dove non è reperibile l’annata 1527 di Paolo Antonio Rovai, il notaio che ha redatto il testamento della vedova Peruzzi[17].
Lecce, chiesa di S. Maria degli Angeli, particolare dell’ingresso
  Alla luce di questa identificazione, sono tanti gli elementi da riprendere in considerazione, per aggiungere nuovi capitoli alle vicende del complesso monastico. Riguardo al campo prettamente artistico, non è da escludere la provenienza diretta dei disegni per realizzare la chiesa commissionata dalla Peruzzi, dalla Firenze dei grandi artisti rinascimentali, poiché i lasciti per entrambe le istituzioni denotano l’appartenenza della coppia all’elite fiorentina. Seppur di fattura locale e successiva, è evidente, ad esempio, il richiamo iconografico della lunetta della chiesa leccese alle opere di Andrea Della Robbia.
Andrea della Robbia, Madonna con Bambino e Angeli (1504-1505), cattedrale di San Zeno, Pistoia (dal sito Tuscany sweet Life)
  Andrea della Robbia Madonna con Bambino e angeli (1508 ca. – 1509 ca.), Museo Civico di Viterbo, prima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini Viterbo (dal sito della Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna)
  Un’attenta analisi delle fonti minime, contestualizzata con le vicende storiche di Puglia e Firenze, inoltre, potrebbe determinare il perché la scelta dei fondatori ricadde su quest’Ordine. Lo studio delle vicissitudini delle famiglie dei fondatori e delle fasi costruttive del complesso monastico, potrebbero individuare l’epoca e il perché la famiglia Maremonte passò alla storia come fondatrice della chiesa di Santa Maria degli Angeli, il cui stemma è presente in facciata assieme a quello di Bindaccio Peruzzi.
  Note
[1] Cfr. F. Bruni, Storia dell’ I. e R. Ospedale di S. Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, Volume I, Firenze 1819 p. LXXXII.
[2] Cfr. L. Montoya, Coronica general de la Orden de los Minimos de S. Francisco de Paula su fundador, lib. I, Madrid 1619, p. 87; G. C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. A cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979), pp. 93-94; F. Lavnovius, Chronicon generale ordinis Minorum, 1635, p. 193; R. Quaranta, Storia della provincia pugliese dei Minimi nel manoscritto Historialia monumenta chronotopographica provinciae Apuliae del p. Antonio Serio: (metà sec. XVIII), Roma 2005, pp. 35-40; F.A. Piccinni, Principiano le notizie di Lecce, in A. Laporta (a cura di) Cronache di Lecce, Lecce 1991, pp. 15, 224-226; A. Foscarini, Guida storico-artistica di Lecce, Lecce 1929, pp. 126-130; G. Paladini, Note storico-artistiche, in L’Ordine: corriere salentino, 6 luglio 1934 , a 29, fasc. 27 (www.internetculturale.it); G. Paladini, Guida storica ed artistica della città di Lecce. Curiosità e documenti di toponomastica locale, Lecce 1952, pp. 212-224; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti. La città, Lecce 1874, nuova edizione postillata a cura di N. Vacca, Lecce 1964, p. 114-118; O. Colangeli. S. Maria degli Angeli. S. Francesco di Paola, L’ex convento dei Minimi francescani, Galatina 1977; M. Paone, Chiese di Lecce, vol. I, Galatina 1981, pp. 317-319.
[3] Cfr. A. Foscarini, Op. cit., p. 126; O. Colangeli. Op. cit., p. 5.
[4] Il Provinciale genovese, sostituiva padre il generale dell’Ordine, Marziale de Vicinis, assente. Padre Antonio Serio lo individua in Michele de Comte, Francesco Antonio Piccini, invece, in Antonello de Vicinis. Il Chronicon conferma quanto asserito da Serio (cfr. F. Lavnovius, op. cit., pp. 190-191). Da Piccinni in poi la data riportata è il 10 maggio 1524 (cfr. G. Paladini, Guida storica ed artistica della città di Lecce, cit; L. G. De Simone, op. cit; O. Colangeli. Op. cit).
[5] Cfr. R. Quaranta, Storia della provincia pugliese dei Minimi, cit, p. 36. De Simone e Paone datano l’atto al 1524, attribuendolo al notaio Antonio de Boccariis.
[6] Cfr. F.A. Piccinni, op. cit.
[7] Cfr. C. Massaro, Territorio, società e potere, in B. Vetere (a cura di), Storia di Lecce. Dai Bizantini agli Aragonesi, Bari 1993, pp. 315-316; Ministero dell’Interno. Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XVIII, Archivio di Stato di Firenze. Archivio Mediceo avanti il Principato. Inventario, volume secondo, pp. 35, 212, 361; F. Carabellese, Bilancio di un’accomandita di casa Medici in Puglia del 1477 e relazioni commerciali fra la Puglia e Firenze, in Archivio storico pugliese 1896 a. 3, fasci 1-2, vol. 2, pp. 77-104.
[8] Nel 1496 è mastro di zecca per l’oro (Cfr. P. Argelatus, De Monetis Italiae vario rum illustrium virorum Dissertationes. Parte Quarta, Milano 1752; I. Orsini, Storia delle monete della Repubblica Fiorentina, Firenze 1760, pp. 191 e 272).
[9] Cfr. G. Milanesi, Delle statue fatte da Andrea Sansovino e da Gio. Francesco Rustici sopra le porte di S. Giovanni di Firenze (1) 1502-1524, in G. Milanesi, Sulla storia dell’arte toscana scritti varj di Gaetano Milanesi, Siena 1873, pp. 247-261, p. 247, pp. 250-52. La targa è stata trascritta anche in G.B. Niccolini, Iscrizioni per i ritratti de’ benefattori del R. Spedale degli Innocenti di Firenze, in C. Gargiolli (a cura di), Opere edite e inedite di G.B. Niccolini, Tomo VII, Milano 1870, p. 728.
[10] Fu priore del quartiere San Giovanni nel bimestre Settembre – Ottobre 1495 (Cfr. I. di San Luigi, Istorie di Giovanni Cambi cttadino fiorentino pubblicate, e di annotazioni, e di antichi munimenti accresciute, ed illustrate da Fr. Ildefonso di San Luigi carmelitano scalzo della provincia di Toscana Accademico Fiorentino, volume secondo, Firenze 1785; F. Bruni, Storia dell’ I. e R. Ospedale di S. Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, Volume I, Firenze 1819, p. LXXXII). Nel 1759 il ritratto di Bindaccio era esposto nell’Istituto: «Dalla Chiesa per la Porta a manritta si passa nel primo Cortile, intorno intorno ornato di Colonne Corintie di pietra serena, co i Ritratti de i più insigni Benefattori alle Lunette» (G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine. Divise nei suoi quattro Quartieri, Tomo ottavo, Firenze 1759, p. 129). Nel 1845 i ritratti di Bindaccio e Giovannella, dispersi o deteriorati, furono ridipinti gratuitamente rispettivamente da Giuseppe Marini e Carlo Falcini, per volontà del commissario dell’epoca cavalier Michelagnoli (Cfr. O. Andreucci, Il fiorentino istruito della chiesa della Nunziata di Firenze, Firenze 1857, pp. 175 e 275). Attualmente sono conservati presso il deposito dell’Istituto.
  [11] Cfr. G. Richa, op. cit., p. 396. La scheda del ritratto è consultabile a questo link: https://www.beni-culturali.eu › opere_d_arte › scheda ›
[12] L. Passerini, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d’istruzione elementare gratuita della città di Firenze, Firenze 1858, p. 946.
[13] A. Mazzanti, V. Rizzo, Memorie dell’organo di Santo Stefano a Campi: un priore, tre famiglie di artisti e di artigiani, Opus libri, 1992, p. 31.
[14] Cfr. U. Cherici, Guida storico artistica del R. Spedale di S. Maria degli Innocenti di Firenze, Firenze 1926, p. 52.
[15] M. Paone, Chiese di Lecce, vol. I, Galatina 1981, p. 317.
[16] L. Giustiniani, Dizionario Geografico – Ragionato del Regno di Napoli, Tomo V, Napoli 1802, p. 223.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Firenze. Notarile antecosimiano. Inventario sommario. Trascrizione su database informatico degli inventari N/272-275 a cura di Eva Masini (2015).
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giovannivignato · 3 years
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L'inaugurazione ufficiale dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), allora denominato "Istituto di sanità pubblica", avvenne il 21 aprile 1934, dopo l'entrata in vigore, l'11 gennaio 1934, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 che definiva status e funzioni del nuovo Istituto.
L’inaugurazione ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), allora denominato “Istituto di sanità pubblica”, avvenne il 21 aprile 1934, dopo l’entrata in vigore, l’11 gennaio 1934, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 che definiva status e funzioni del nuovo Istituto.
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ilmercantevoghera · 5 years
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"Lo stile è eleganza non stravaganza. L'importante è non farsi notare, ma farsi ricordare". (Giorgio Armani - Piacenza 11/7/1934) Giovedi 20 Giugno 2019 - Estratto dai servizi per le cerimonie di Luglio 2019. "Donare una bomboniera è il gesto più appropriato per dire grazie,per lasciare il ricordo delle emozioni di un giorno speciale, un dono per chi ha condiviso con noi ... (altro) https://www.facebook.com/MercanteDiSogniVoghera/posts/1855213014579131 Mercante Di Sogni - Bomboniere e Stampati per Cerimonia - Voghera.
http://mercantedisogni.wixsite.com/mercantesognivoghera
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giancarlonicoli · 6 years
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11 feb 2019 17:09
“IO, UN VENERATO STRONZO. MA IN ITALIA IN QUELLA SEZIONE C'È IL TUTTO ESAURITO” – BOMBASTICA INTERVISTA DI PIROSO A PIER FRANCESCO PINGITORE: "I POLITICI SFRUTTAVANO IL BAGAGLINO. MA LA CREDIBILITA’ L’AVEVANO GIA’ PERSA – COSSIGA CHIAMO’ AL QUIRINALE DOVI’ CHE LO IMITAVA E GLI DISSE: 'ARRIVO SUBITO. IL TEMPO DI LIBERARMI DI DUE SCOCCIATORI…'. ECCO CHI ERANO – E POI LA RAI DEI PROFESSORI, ANGELO GUGLIELMI, GRILLO ("A LUI PREFERISCO L’OMONIMO MARCHESE"), SALVINI, DI MAIO, RENZI E IL PD – VIDEO 
Antonello Piroso per la Verità
Pier Francesco «Ninni» Pingitore, classe 1934, è un giornalista, autore televisivo, regista e drammaturgo. A teatro ha portato, da ultimo, la sua trilogia sul Duce dopo la caduta, nell' ordine: Quel 25 luglio a Villa Torlonia, Operazione Quercia - Mussolini a Campo Imperatore, Scacco al duce - L' ultima notte di Ben e Claretta. A dargli popolarità è stata la tv, dove ha firmato oltre trenta varietà, con centinaia di puntate, nati dalla sua esperienza nel cabaret con Il Bagaglino, e una quindicina di film (altrettanti quelli per il cinema). E qui denuncio un personale conflitto d' interessi: Pingitore ha diretto anche me, in una sua pellicola. Titolo da softcore: Gole ruggenti. Tangenti e scandali al Festival di Sanremo, una trama evergreen.
Era il 1992, e interpretavo un giornalista a caccia di scoop, amante della soubrette della manifestazione, ruolo affidato a Pamela Prati, amante a sua volta di un potente d' Italia chiamato l' Ingegnere.
Mentre Valeria Marini era la valletta che recitando una poesia sul palco dell' Ariston s' incartava su un verso: «Sì che ca...Sì che ca...Sì che ca...». »...zzo stai a dì?» l' interrompeva Pippo Franco.
È per dialoghi così che lei e i suoi programmi, scritti in tandem con Mario Castellacci, sono stati bollati come archetipi di una comicità di grana grossa, volgare.
«Onestamente non è che non ci abbia dormito la notte. Quando Giulio Andreotti venne sul palco del salone Margherita, a Biberon nel 1988, e infilò la mano nella Bocca della verità, l' Auditel registrò un picco di 14 milioni di telespettatori. Tutte persone di pessimo gusto, plebei ignoranti, brutti, sporchi e cattivi? Forse certa critica è stata semplicemente prevenuta, e onestà intellettuale avrebbe voluto che il pregiudizio fosse denunciato apertamente. Come diceva a proposito di libri Giorgio Manganelli, che citava Vanni Scheiwiller: "Non l' ho letto. E non mi piace"».
Mi consento un calembour alla Bagaglino: da Manganelli al manganello. Vi hanno sempre considerati autori di una satira triviale, «scollacciata e qualunquista, di destra» la definì Repubblica.
«Una battuta o fa ridere o non è. La nostra era l' irriverenza di chi grida "Il re è nudo!" senza per questo sentirsi un giullare. Abbiamo preso di mira i potenti di turno, alla nostra maniera ma senza fare sconti. Silvio Berlusconi che ci volle a Canale 5...».
...Tirando fuori il libretto degli assegni, e chiedendo di essere lei a scrivere la cifra...
«...Cosa che mi guardai bene dal fare, a proposito di stile. Il Cavaliere, dicevo, generoso e silente (in tanti anni a Canale 5 non mi chiese mai nulla, mai un' osservazione o una lamentela), rimase male - ma io lo seppi de relato - perché ai tempi della Bicamerale con Massimo D' Alema, lo rappresentavamo vestito da donna, infilato nel letto pronto a soddisfare il maschio Baffino».
Approdaste a Mediaset perché in Rai, nella stagione dei «professori» dopo Tangentopoli, non vi volevano più?
«No, traslocammo in seguito. I "professori" ci emarginarono, eravamo troppo popolari, pensi un po'. Sa chi li fece rinsavire? La persona che uno s' immaginerebbe lontanissima da me, ma invece era libero di testa, come noi del Bagaglino ci siamo sempre vantati di essere: Angelo Guglielmi, direttore di Rai 3. Mi telefonò: «Bisogna avere pazienza, questi di tv non ci capiscono granché».
Voi soci fondatori del Bagaglino eravate tutti di destra: lei caporedattore a Lo Specchio, settimanale conservatore. Luciano Cirri, caporedattore a Il Borghese. Castellacci responsabile degli Speciali del Giornale Radio.
«In Italia si è automaticamente di destra, solo perché non ci si genuflette davanti al totem della sinistra. Le dirò di più. Noi siamo dei benemeriti. Come farebbe uno di sinistra ad averne consapevolezza, se non ci fosse qualche disgraziato che si dichiara di destra? Dovremmo essere considerati "razza protetta". Oddio, si potrà dire razza o l' Inquisizione del politicamente corretto chiederà la mia testa? Comunque, ai tempi del primo Bagaglino, Cirri a un certo punto sbatté la porta e fondò un altro cabaret perché per lui non eravamo più anarchici di destra (contro tutti e senza dipendere da nessuno, padrini o padroni che fossero, visto che i soldi erano solo nostri), ma eravamo diventati anarchici e basta».
D' accordo, ma Castellacci a 20 anni si arruolò volontario nella Repubblica Sociale e scrisse la canzone Le donne non ci vogliono più bene, una sorta di inno ufficioso dell' esercito di Salò.
«A Salò c' erano anche altri: Dario Fo. Ezra Pound. Walter ChiariVede, se non mettiamo da parte le letture interessate della storia, questo Paese continuerà a rimanere intrappolato nel proprio retaggio. Perché, senza dimenticarci delle nequizie commesse dal regime, come le leggi razziali e non solo, per vent' anni l' Italia è stata fascista. E lo era la stragrande maggioranza della popolazione.
La genialata fu di Palmiro Togliatti: a fine conflitto, con l' amnistia lanciò una bella ciambella di salvataggio, un salvacondotto che trasformò da un giorno all' altro tanti ex fascistoni in classe dirigente del Pci. In realtà in Italia è mancata una bella confessione collettiva: "Sì, siamo stati fascisti e siamo pronti a fare i conti col passato". Invece è stato tutto un darsi "a Santa Nega", come si dice a Roma: "Io una camicia nera? Ma quando mai!"».
«I fascisti in Italia si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti. E gli antifascisti». Si dibatte se sia un aforisma di Ennio Flaiano o di Mino Maccari, ma comunque dà l' idea.
«Senza nulla togliere ai percorsi individuali, possibile nessuno ricordi mai che durante il ventennio ci siano stati cineasti poi diventati comunisti, pensi a Giuseppe De Santis o a Carlo Lizzani, tanto per fare due nomi, che scrivevano sulla rivista Cinema diretta dal figlio del Duce, Vittorio Mussolini? E che dire di Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo di fama che fece da guida ad Adolf Hitler quando venne in visita in Italia, illustrandogli le nostre meraviglie monumentali? Ci sono foto e riprese di lui in orbace accanto a Mussolini e al Führer. Finita la guerra, dove lo ritroviamo? Ai vertici del Pci, così ortodosso che nel 1969, nel comitato centrale che decretò la radiazione dei dissidenti del Manifesto, votò a favore».
Come fu il 1968 visto dal Bagaglino?
«Lo vissi da giornalista, con cineoperatore al seguito in Italia e in Europa. Le immagini in cui si vede una panca scagliata dall' ultimo piano della facoltà di Giurisprudenza, negli scontri a La Sapienza, colpire alla schiena Oreste Scalzone sono nostre».
Dal Bagaglino al Salone Margherita, tempio del Cafè chantant, di Fregoli e Petrolini, Totò e Aldo Fabrizi. Tante belle signorine nel ruolo di primadonna, e poi un attore en travesti: Leo Gullotta, la signora Leonida.
«Il nome Leonida mi era rimasto in testa da quando sentii una grande attrice di prosa dirsi desiderosa di interpretare "questa donna così combattiva e sicura di sé".
Benedetta cultura...».
A Maurizio Costanzo non piaceva: «Possibile che un attore come Gullotta debba umiliarsi vestendosi da donna?».
Non ho mai capito se per caso non c' entrasse l' imitazione che lo stesso Gullotta ha fatto di Maria De Filippi.
«Lei a me risulta si sia divertita. A Costanzo forse sfuggiva il richiamo a una gloriosa tradizione: Petrolini, Totò, Fabrizi da lei ricordati, ma, si parva licet, anche Molière e Shakespeare.
I politici a un certo punto fecero la fila per esserci. Con Francesco Cossiga che da capo dello Stato avrebbe voluto venire in teatro, ma si astenne per ovvie ragioni. È vero che convocò al Quirinale Manlio Dovì, che lo impersonava in scena, per una rappresentazione ad personam?
«Gli fece approntare un camerino per trucco e cambio d' abito, a un certo punto infilò dentro la testa: "Il tempo di liberarmi di due scocciatori, e arrivo". Dovì spiò da dietro la porta: gli parve di vedere Virginio Rognoni e Nicola Mancino».
Ricordo Antonio Di Pietro e Renato Schifani tirarsi le torte in faccia, come da nome della vostra trasmissione. Non crede di aver contribuito, ingaggiando i politici per tali performance, ad abbassare la soglia di credibilità della classe dirigente?
«I politici ci usavano: salivano sul palcoscenico ingolositi dai milioni di telespettatori potenziali elettori. E noi usavamo loro per fare cabaret. Un do ut des. Quanto alla credibilità, purtroppo per noi era da mo' che l' avevano persa».
Matteo Renzi e Beppe Grillo hanno cercato di innovare. A modo loro (rottamazione, «vaffa»).
«Il bulletto toscano, cui ho dedicato lo spettacolo 50 fumature di Renzi, è stato punito per la sua arroganza alla Marchese del Grillo, e lo dico io che - pur non sopportandolo - ho votato sì al referendum costituzionale. Quanto a Grillo, io continuo a preferire l' omonimo Marchese».
Le piaceva la riforma renziana?
«Ritenevo che piuttosto che niente (cioè lasciando così com' è una Costituzione frutto di compromessi al ribasso, per paura dell' uomo forte, con un sistema di pesi e contrappesi in cui governare è impossibile), fosse meglio il piuttosto. Sui 5 stelle, che dire? Incompetenti allo sbaraglio, un contenitore senza contenuti. Matteo Salvini per questo se li tiene cari: in confronto a Luigino Di Maio, il leader leghista sembra Cavour».
E del Pd che idea si è fatto?
«Un partito pirandelliano: in cerca d' autore».
Alberto Arbasino sostiene che «in Italia c' è un momento in cui si passa dalla categoria di "brillante promessa" a quella di "solito stronzo". Solo a pochi fortunati l' età concede di accedere alla dignità di "venerato maestro"». Lei a che punto sta?
«Venerato stronzo sarebbe bellissimo. Ma in Italia in quella sezione c' è il tutto esaurito. Temo non siano rimasti neppure i posti in piedi».
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gardanotizie · 4 years
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La Ferrovia Mantova-Peschiera (F.M.P.) – 1934-1967 di Giancarlo Ganzerla - 19ª puntata
La Ferrovia Mantova-Peschiera (F.M.P.) – 1934-1967 di Giancarlo Ganzerla – 19ª puntata
Mentre a Mantova si discuteva se fosse possibile deviare la ferrovia da S. Antonio alla stazione della città, per favorire l’insediamento della futura zona industriale di S. Giorgio, sui giornali per qualche tempo si ricominciò a parlare del prolungamento della Mantova-Peschiera verso Lazise, e non solo, ma fino a Domegliara. Il “Giornale di Brescia” l’11 luglio 1947 titolava: “La progettata…
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italianiinguerra · 5 years
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Il 17 luglio veniva ucciso in combattimento nei cieli di Sicilia, uno dei maggiori assi della Luftwaffe nella seconda guerra mondiale, Wolf-Udo Ettel. Quel giorno quando venne abbattuto da un cannone contraereo Bofors da 40 mm nei pressi di Lentini, Wolf a soli soli 22 anni aveva all’attivo ben 124 abbattimenti complessivi.
Il protagonista del nostro post, nacque il 26 febbraio 1921 ad Amburgo, nella Repubblica di Weimar, figlio di un rappresentante della produzione di aerei Junkers e a causa del lavoro del padre trascorre l’infanzia fra Teheran e la Colombia. Dopo il divorzio dei genitori e il ritorno in Germania nel 1934, lui e i suoi due fratelli più piccoli frequentarono le scuole Napola (Nationalpolitische Erziehungsanstalt) collegio secondario fondato dal Nazismo per allevare una nuova generazione per la leadership politica, militare e amministrativa della nuova Germania.
Il 1° settembre 1939 le armate naziste invadono la Polonia dando inizio al più spaventoso conflitto della storia dell’umanità. Il 15 novembre dello stesso anno, Ettel si offrì volontario per il servizio militare nella Luftwaffe e dopo aver frequentato vari corsi di formazione, fra cui la Jagdfliegerschule (scuola di addestramento dei piloti di caccia) con sede a Parigi, in Francia. Nel settembre 1941 fu assegnato ad un Ergànzungs-Jagdgruppe (gruppo di caccia supplementare), un’unità di addestramento per piloti di caccia con sede in Danimarca.
Il 10 aprile 1942, il Leutnant Ettel viene assegnato a 4. Staffel (squadrone) di Jagdgeschwader 3 “Udet” del II. Gruppe (2 ° gruppo) basato a San Pietro Clarenza , in Sicilia, con il compito di partecipare insieme alle unità della Regia Aeronautica all’assedio di Malta dove tuttavia rimane per un brevissimo lasso di tempo prima di essere trasferito sul fronte orientale in un campo di aviazione a Chuguyev.
Il 24 giugno il II. Gruppe si trasferì a Shchigry, un campo d’aviazione circa 50 chilometri ad est di Kursk e quello stesso giorno Ettel ottenne le sue prime due vittorie abbattendo due aerei sovietici, per la precisione di trattava di due velicoli d’attacco terrestre Ilyushin Il-2 “Shturmovik”.
Lui stesso è stato abbattuto a circa 15 km (9,3 mi) a nord di Voronezh il 10 luglio mentre stava distruggendo un bombardiere Douglas Boston a bordo di un Soviet, il suo settimo reclamo in totale. Salpò dal suo danneggiato Messerschmitt Bf 109 F-4 “White 1” dietro le linee sovietiche, attraversò il fiume Don e tornò nella sua unità quattro giorni dopo.
Il 24 luglio 1942 ricevette la Croce di ferro di 2ª classe e la Croce di ferro di 1ª classe il 2 agosto. Il 9 di agosto, Ettel  ottiene la sua ventesima vittoria aerea, la trentesima il 7 ottobre, e il 23 ottobre viene insignito del Front Flying Clasp in oro, la decorazione assegnata ai piloti della Luftwaffe dopo 60 missioni di guerra. In seguito alla perdita tedesca nella Battaglia di Stalingrado , il 4. Staffel viene trasferito sulla testa di ponte di Kuban.
Durante gli intensi mesi di operazioni, Ettel dichiarò 28 aerei sovietici abbattuti a marzo e altri 36 ad aprile, inclusi 5 abbattuti nello stesso giorno, l’11 aprile. Il 28 aprile 1943, Ettel ottenne la sua centesima vittoria aerea, era il 38esimo pilota della Luftwaffe a raggiungere il prestigioso traguardo. L’11 maggio, Ettel rivendica la sua 120esima vittoria, l’ultima sul fronte orientale, ma viene abbattuta dalla contraerea sovietica.
Ettel è costretto ad un atterraggio di fortuna con il suo Bf 109 G-4 nella terra di nessuno ma riesce a riguadagnare le proprie line nonostante la caccia serrata da parte di pattuglie sovietiche e più tardi a guidare una pattuglia della Werhmacht per distruggere importanti attrezzature rimaste a bordo del suo aereo.
Il 1° giugno a Berlino, Wolf viene insignito della Croce del Cavaliere della Croce di ferro (Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes) dal generale der Jagdflieger Adolf Galland. Promosso a Oberleutnant (primo luogotenente), Ettel viene nominato Staffelkapitän (comandnate di squadrone) di una nuova unità l’8. Staffel di Jagdgeschwader con sede a Tanagra, in Grecia, equipaggiato con i Messerschmitt Bf 109 delle serie G-4 e G-6.
A giugno, il Gruppo prende possesso e familiarizza con i nuovi aerei e a fine mese l’unità viene trasferita ad Argos nel Peloponneso, con il compito di pattugliare il Mar Egeo. Il 10 giugno 1943 due armate alleate sbarcano sulle coste siciliane e il gruppo caccia di Wolf viene trasferito a Brindisi nell’Italia meridionale il 14 luglio 1943, partecipando ai primi combattimenti a sostegno delle forze di terra tedesche a sud-est di Catania già il 15 luglio.
Nei corso dei combattimenti a nord dell’Etna, nella grande battaglia per il controllo del ponte di Primosole che vide rifulgere il valore del X arditi, Ettel ottenne la sua prima vittoria aerea nel Teatro Mediterraneo, abbattendo un caccia Supermarine Spitfire della RAF. Il giorno successivo, rivendicato un altro Spitfire abbattuto e due bombardieri Liberator statunitensi. In soli due giorni Ettel può aggiungere quattro aerei abbattuti al suo bottino personale e raggiungere quota 124 vittorie.
Quota 124 vittorie sarà il suo score finale, il 17 luglio 1943, il gruppo è nuovamente incaricato di svolgere missioni di supporto a terra contro le forze britanniche nelle vicinanze di Catania. Nelle vicinanze di Lentini, il Gruppo perse cinque aerei abbattuti dal micidiale fuoco contraereo britannico fra cui quello di Ettel che nell’azione muore a soli 22 anni,dopo che il suo Bf 109 G-6 si schianta a nord-est del Lago di Lentini.
  Il 31 agosto 1943 Ettel ricevette la croce cavalleresca della croce di cavaliere con foglie di quercia (Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes mit Eichenlaub), era il  289° militare della Wehrmacht a ricevere la prestigiosa decorazione.
La Croce di Cavaliere della Croce di Ferro era conferita per eccezionali meriti di comando e/o di coraggio a militari di qualsiasi grado e si suddivide in cinque classi:
Croce di Cavaliere
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia , istituita il 3 giugno 1940
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade istituita il 21 giugno 1941
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia, Spade e Diamanti istituita il 15 luglio 1941
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia in Oro, Spade e Diamanti, istituita il 29 dicembre 1944.
In totale vennero distribuite 7.361 decorazioni della Croce di Cavaliere (43 delle quali a militari alleati del Terzo Reich), dei quali 890 ricevettero le Fronde di Quercia (8 stranieri), 159 le Fronde di Quercia e Spade (più una distribuzione onoraria all’ammiraglio giapponese Isoroku Yamamoto). Solo 27 uomini vennero decorati anche con i Diamanti, mentre Hans-Ulrich Rudel, pilota della Luftwaffe abbattuto trenta volte e con all’attivo circa 1.300 mezzi corazzati o blindati distrutti fu l’unico a ricevere la Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia in Oro, Spade e Diamanti.
Tornando al protagonista del nostro post odierno, Wolf-Udo Ettel fu sepolto nel cimitero tedesco di Motta Sant’Anastasia in una tomba non contrassegnata. Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.
17 luglio 1943, nei cieli di Lentini muore uno dei maggiori assi della Luftwaffe Il 17 luglio veniva ucciso in combattimento nei cieli di Sicilia, uno dei maggiori assi della Luftwaffe nella seconda guerra mondiale, Wolf-Udo Ettel.
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cento40battute · 7 years
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Talento e competenza si danno appuntamento al Grand Hotel Gardone
Un luogo esclusivo per vivere l’arrivo dell’autunno lontano dalla frenesia della città con una vista mozzafiato sul lago di Garda, al Grand Hotel Gardone di Gardone Riviera, si respira la storia.
Come affermò d’Annunzio, facendo ingresso nella sua villa del Cargnacco (il Vittoriale degli Italiani) a Gardone, Hic manebimus optime (Qui starò ottimamente) lo pensiamo anche noi di beautytudine ospiti al Grande Hotel Gardone
Massimo Mannella
Massimo Mannella
Il Dannunziano
Al signore del Vittoriale, Gabriele D’Annunzio che soggiornò nel Resort per tre mesi nel 1921, il Grand Hotel ha dedicato l’aperitivo da assaporare ai suoi tavoli del Winnie’s Bar (così chiamato in onore di Churchill anch’egli ospite nel 1949), contemplando la bellezza del lago. Il Dannunziano, ideato dal barman Massimo Mannella, nasce nell’ottobre del 2002 per commemorare il gemellaggio tra Gardone Riviera e Pescara, città natale del Vate.
La base è composta da mirtilli freschi centrifugati (3/10), miscelati con champagne Pol Roger (il preferito da Churchil)  (6/10) e con 1/10 di Aurum, un delizioso liquore al gusto di arancia prodotto proprio a Pescara.
Il colore vellutato violaceo dei mirtilli ricorda l’atmosfera e gli arredi delle stanze della Prioria
Il Grand Hotel Gardone è l’albergo più antico del lago Garda (1884), nei suoi 133 anni di attività ha accolto numerose personalità illustri, garantendo un perfetto soggiorno di piacere e di relax. Aperto da aprile a fine ottobre, conta di 167 tra camere e junior suite, tra le quali quella dedicata a Gabriele D’Annunzio e quella a W. Churchill con terrazze panoramiche affacciate sul lago.
Uno spazio magico per romantiche cene a lume di candela non solo per gli ospiti
La cucina del ristorante à la carte “Il Giardino dei Limoni” offre una serie di piatti che interpretano le eccellenze e i sapori tipici del Lago di Garda orientati alla valorizzazione delle eccellenze locali: il pesce, l’olio, il vino del Garda.
In cucina lo chef pugliese Domenico Laterza, che invita gli ospiti ad assaggiare e a conoscere al meglio il mondo dell’enogastronomia locale, accompagnati da oli e vini selezionati tra quelli prodotti tra Garda e Valtenesi. Si parte dallo Speck di trota rosa del Benaco alle erbe officinali del Monte Baldo, al Risotto mantecato alla formaggella di Tremosine e alle delizie di Coregone del Benaco con erbe aromatiche su misticanza, petali d’arancia con melanzane croccanti fino al Semifreddo all’olio d’oliva extravergine del Garda profumato al timo con olive semi candite e biscotto speziato. Una vera delizia per i palati anche i più esigenti.
Il Grand Hotel Gardone una meta di riferimento per la clientela più esclusiva
L’albergo questa estate 2017, ha ospitato alcune star internazionali della musica: dopo l’americana LP, che ha soggiornato nella struttura in occasione del suo trionfale concerto del 26 luglio al Vittoriale, il Grand Hotel ha avuto l’onore di ospitare anche Ben Harper, protagonista il 10 e 11 agosto di due serate che hanno concluso l’edizione 2017 di Tener-A-Mente, il festival d’estate del Vittoriale.
Il Vittoriale una tra le grandi attrattive di Gardone Riviera
Su un terreno recintato di nove ettari, che comprende anche l’antica villa Cargnacco (residenza del Wimmer e poi del critico d’arte tedesco Ernst Thode), il poeta Gabriele D’Annunzio vi soggiornò dal 1921 sino alla sua morte nel ’38 raccogliendo le sue memorie: la nave Puglia, il motoscafo antisommergibile Mas 96 usato per affondare la corazzata austriaca Viribus Unitis nella cosiddetta beffa di Buccari (10-11 febbraio 1918), l’aereo del leggendario volo su Vienna (9 agosto 1918), l’Isotta-Fraschini e la Fiat Torpedo usata per raggiungere Fiume nella spedizione del 1919, i massi delle montagne della Grande Guerra.
Tra le numerose attrazioni, degno di nota è senz’altro il Teatro capace di 1500 spettatori, che si affaccia sul lago ed è concepito alla stregua di un antico anfiteatro greco. I lavori, iniziati nel 1934, si concluderanno nel 1952 e da allora ospiterà rassegne teatrali. Ma il vero gioiello è lo Schifamondo, la casa-museo fatta costruire da D’Annunzio, che preferisce però risiedere sempre in villa Cargnacco (da lui chiamata Prioria), alle cui stanze regala nomi altisonanti (del Mappamondo, della Leda, della Musica).
Info GRAND HOTEL GARDONE  Corso Zanardelli, 84  25083 Gardone Riviera (Bs)  Lago di Garda - Italy tel +39 (0) 365 20261 fax +39 (0) 365 22695 e-mail: [email protected] SITO WEB SOCIAL FB
Al Grand Hotel Gardone si respira la storia Talento e competenza si danno appuntamento al Grand Hotel Gardone Un luogo esclusivo per vivere l’arrivo dell’autunno lontano dalla frenesia della città con una vista mozzafiato sul lago di Garda, al…
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laterradihayk · 8 years
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Giorgio Armani GIORGIO ARMANI Nato a Piacenza l'11 luglio 1934, è considerato uno dei più celebri stilisti del mondo, soprattutto per l'abbigliamento maschile.
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giovannivignato · 4 years
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L’inaugurazione ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), allora denominato “Istituto di sanità pubblica”, avvenne il 21 aprile 1934, dopo l’entrata in vigore, l’11 gennaio 1934, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 che definiva status e funzioni del nuovo Istituto.
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