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#16 ritratti fotografici
fashionbooksmilano · 9 months
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I volti del Tibet segreto
16 grandi fotografie di Fosco Maraini
Lyra Libri, Como 1998, 16 foto, 24,4x34cm, ISBN 978-8877332134
euro 15,00
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Tibet : ricordi d'un tempo felice
Una sorta di breve introduzione, dal significativo titolo Tibet: ricordi di un tempo felice, e 16 ritratti fotografici di tibetani - uomini, donne, vecchi, bambini, monaci, laici - compongono questo particolarissimo album firmato da Fosco Maraini. Si tratta dunque di un felice omaggio che uno dei più noti e raffinati conoscitori di quei luoghi e di quelle popolazioni ha voluto offrire a un popolo e a tradizioni culturali ormai estinte. Le fotografie, infatti, risalgono ai tempi delle spedizioni che nel 1937 e nel 1948 l'autore ha compiuto in quelle terre con Giuseppe Tucci e ci restituiscono per immagini l'incanto e la suggestione di un luogo, il Tibet, prima della barbara invasione cinese, dall'identità perduta.
11/01/24
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fotopadova · 5 years
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Eve Arnold – Tutto sulle donne
di Cristina Sartorello
-- La Casa-Museo Villa Bassi di Abano Terme, dedica alla fotografa Eve Arnold un’ampia retrospettiva, interamente centrata sui suoi celebri ed originali ritratti femminili. Quella proposta in Villa Bassi, dal Comune di Abano Terme–Assessorato alla Cultura, da Suasez e da Magnum Photos, con la curatela di Marco Minuz, è la prima retrospettiva italiana su questo tema dedicata alla grande fotografa statunitense.
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© Eve Arnold, "Modelle, Harlem New York, 1950" Magnum Photos
Eve Arnold, nata Cohen, figlia di un rabbino emigrato dalla Russia in America, contende ad Inge Morath, di cui abbiamo visto le opere nella mostra a Treviso alla Casa dei Carraresi, sempre a cura di Marco Minuz, il primato di prima fotografa donna ad essere entrata a far parte della Magnum. Furono infatti loro due le prime fotografe ad essere ammesse a pieno titolo nell’agenzia parigina fondata da Robert Capa nel 1947. Un’agenzia, prima di loro, riservata solo ai grandi fotografi uomini come Henri Cartier Bresson o Werner Bischof.
Nel 1951 Henri Cartier–Bresson chiamò Eve Arnold in Magnum, colpito dagli scatti newyorkesi della fotografa: erano immagini di sfilate nel quartiere afroamericano di Harlem a New York; quelle stesse immagini, rifiutate in America per essere troppo “scandalose”, vennero pubblicate dalla rivista inglese Picture Post.
Nel 1952 Eve Arnold si trasferisce con la famiglia a Long Island dove realizza uno dei reportage più toccanti della sua carriera: "A baby's first five minutes", raccontando i primi cinque minuti di vita dei piccoli nati al Mother Hospital di Port Jefferson; era stata lei stessa povera ed ha voluto documentare la povertà, aveva perso un figlio ed era ossessionata dal parto, inoltre era interessata alla politica e voleva sapere come influenzava le nostre vita.
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© Eve Arnold, da "A baby's first five minutes, Long Island 1959" /Magnum Photos
Nel 1956 si reca con un’amica psicologa ad Haiti per documentare i segreti delle pratiche Voodoo.
Chiamata a sostituire il fotografo Ernst Haas per un reportage su Marlene Dietrich, inizia la frequentazione con le celebrities di Hollywood e con lo star system americano. Nel 1950 l’incontro con Marilyn Monroe fu iniziò di un profondo sodalizio interrotto solo dalla morte dell’attrice. Per il suo obiettivo Joan Crawford ha svelato i segreti della sua magica bellezza. Nel 1960 documenta le riprese del celebre film ”The Misfits” (gli spostati) con gli attori Marilyn Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift, John Houston alla regìa e con sceneggiatura di Arthur Miller, allora marito di Marylin ed in seguito, dopo il divorzio, marito proprio di Inge Morath che sicuramente Eve Arnold aveva incontrato e conosciuta in Magnum come testimonia una mostra tenuta tempo fa in Giappone.
La Morath è uno dei nove fotografi a documentare la realizzazione dell’ultimo film completato dalla diva, che arrivava sempre in ritardo sul set accompagnata dal suo astrologo: tutti gli scatti realizzati dalla fotografa sono stati poi pubblicati nel fotolibro “An Appreciation” del 1987.
Nell’arco di dieci anni ed in sei diverse occasioni, Eve farà per Marylin un centinaio di ritratti molto diversi tra loro, per tono ed atmosfera, riuscendo a cogliere così le diverse anime dell’attrice americana. 
Trasferitasi a Londra nel 1962, Eve Arnold continua a lavorare con e per le stelle del cinema ma si dedica anche ai reportage di viaggio in molti Paesi del Medio ed Estremo Oriente tra i quali Afghanistan, Cina e Mongolia.
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© Eve Arnold, da "China/Mongolia, Hsishuang Panna" /Magnum Photos
Tra il 1969 e il 1971 realizza il progetto “Dietro al velo”, che diventa anche un documentario, testimonianza della condizione della donna in Medio Oriente.
Che si tratti delle donne afroamericane del ghetto di Harlem, dell’iconica Marilyn Monroe, di Marlene Dietrich o delle donne nell’Afghanistan del 1969, poco cambia. L’intensità e la potenza espressiva degli scatti di Eve Arnold raggiungono sempre livelli di straordinarietà. La fotografa americana ha sempre messo la sua sensibilità femminile al servizio di un mestiere troppo a lungo precluso alle donne e al quale ha saputo dare un valore aggiunto del tutto personale.
«Paradossalmente penso che il fotografo debba essere un dilettante nel cuore, qualcuno che ama il mestiere. Deve avere una costituzione sana, uno stomaco forte, una volontà distinta, riflessi pronti e un senso di avventura. Ed essere pronto a correre dei rischi». Così Eve Arnold definisce la figura del fotografo. Benché il suo lavoro sia testimonianza di una lotta per uscire dalla definizione limitante di “fotografa donna”, la sua fortuna fu proprio quella capacità di farsi interprete della femminilità, come “donna fra le donne”.
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© Eve Arnold, da "Afghanistan, 1969" /Magnum Photos
La Arnorld disse: “Mi sono trovata nella condizione privilegiata di fotografare qualcuno che, in un primo momento pensavo avesse un dono per l’obiettivo, ma che si è poi rivelato un vero e proprio talento; ai miei occhi nessuno è ordinario o straordinario, vedo semplicemente persone davanti al mio obiettivo”.
Questa donna, morta a 99 anni, è stata una fotografa nel mondo delle donne, provata dalla vita, subendo la forte discriminazione di essere ebrea, dell’essere donna in un mondo prettamente maschile, in un mestiere al maschile, spinta continuamente a conoscere nuove realtà poiché la curiosità era il suo motore, la curiosità della vita, che la portò a pubblicare 16 libri fotografici, a conoscere i grandi del mondo. Fu insignita di importanti onorificenze, ma lei preferì la gente comune, per cui decise di donare all’Università di Yale, per i giovani studenti di fotografia, come ultimo atto di altruismo, il suo enorme archivio fotografico.
“Sono una donna e volevo conoscere le donne”.
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a dx © Eve Arnold, "Egyptian Woman, Valley of the Kings, 1970" /Magnum Photos
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La mostra è visitabile ad Abano Terme (Padova) fino all’8 dicembre 2019 a Villa Bassi in via Appia Monterosso, 52, il giovedì, venerdì, sabato e domenica pomeriggio dalle ore 16.00 alle 19.00, e la domenica anche di mattina dalle ore 10.00 alle 12.30, con un unico biglietto di ingresso - € 11,00 intero ed € 8,00 ridotto - al Museo ed alla Mostra (non si possono dividere le due cose perché la mostra si sviluppa anche all’interno del Museo oltre che nell’ipogeo).
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tempi-dispari · 3 years
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Torna Garbatella Images, dall'11 al 25 settembre
Torna Garbatella Images_ Memoria tra passato, presente e futuro, dall’11 al 25 settembre presso la galleria 10b photography e presso i lotti del quartiere, a cura di Francesco Zizola e con la direzione di Oriana Rizzuto. Il focus è rendere visibili sia il patrimonio architettonico che le abitudini sociali del quartiere attraverso l’indagine di questa nuova edizione centrata sul PRESENTE ed interpretata dai fotografi di fama internazionale Pep Bonet e Giacomo Infantino. 
“Scrive Italo Calvino ne Le Cittá Invisibili che abbiamo scelto come bussola per orientare il nuovo appuntamento del progetto Garbatella Images nello spazio e nel tempo: E’ delle cittá come dei sogni tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura.  
Nella nuova edizione il tempo esplorato è quello Presente e lo spazio il territorio dei lotti storici di Garbatella. Agli artisti invitati in residenza quest’anno ho sottoposto la centralità e l’urgenza del tema della relazione tra Natura e lo Spazio Urbano.”  F. Zizola
Un appuntamento pensato appositamente per il quartiere di Garbatella, in particolare l’area dei lotti storici, attraverso la scoperta delle sue caratteristiche urbane, sociali, architettoniche e storiche attraverso l’uso della fotografia e del video.
il grande successo delle precedenti edizioni, il format si amplia grazie alla produzione di nuove opere secondo le espressioni ed i linguaggi delle arti visive contemporanee come la fotografia e il video, la selezione di materiali d’archivio familiari e la collaborazione con partner territoriali e internazionali. 
Gli artisti, durante le residenze artistiche ed i percorsi di ricerca nel quartiere, hanno avuto modo di calarsi in una realtà e in uno spazio urbano suggestivo ed unico, impregnato di storia e, allo stesso tempo, proiettato nel futuro, attivando un dialogo tra diverse generazioni e modi innovativi di interazione con il territorio e lasciandosi ispirare dai luoghi e dalle persone che li caratterizza.
Il progetto, infatti, ha avuto l’avvio in luglio con le residenze d’artista e i laboratori che hanno contribuito a fornire i contenuti per la programmazione principale, rappresentata dall’evento espositivo. Il laboratorio sulle memorie fotografiche e video ha rappresentato un momento di partecipazione attiva per gli abitanti, che si sono raccontati attraverso le proprie memorie visive.
Inoltre, il laboratorio educativo di introduzione ai linguaggi visivi destinati a bambini e ragazzi tenutosi sabato 31 luglio e domenica 1 agosto a Casetta Rossa e curato da Giacomo Infantino, ha rappresentato un vero e proprio viaggio tra la magia della natura e la fotografia. Il viaggio tra la Garbatella del Presente e il romanzo di Italo Calvino hanno poi ispirato Francesco Zizola a realizzare una nuova produzione video, espressione della relazione fra il territorio e gli abitanti. 
L’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose, Calvino scrive e Pep Bonet sembra cogliere l’invito per donarci con le sue immagini una Garbatella piena di mistero e di rebus.
Grazie ad un sapiente uso della tecnica fotografica, Bonet ci obbliga a ri-guardare e quindi a re-immaginare il territorio che abitiamo nel presente. Le piante, gli animali, gli umani, appaiono sotto una luce diversa, nuova che dona una duplice essenza: da una parte il reale riconosciuto, familiare nei suoi dettagli che ci rimandano alla fisicità dei corpi e del paesaggio e dall’altra la spazio mentale, quello della metafora e del rebus che ci interroga sulla realtà non superficiale delle nostre esistenze. Bonet coglie occhi chiusi su mondi interiori, momenti di meditazione, occhi che invitano a riflettere sulla nostra relazione con la città e con la natura.
Il fatto che milioni di persone condividano una stessa forma di malattia mentale non fa che questa gente sia sana, affermava Erick Fromm nel suo fondamentale “Psicanalisi e Società contemporanea”. 
Così Giacomo Infantino sembra aver fatto suo questo ragionamento per mettere in relazione il paesaggio urbano e la natura in cui l’essere umano può dialogare con il proprio inconscio in uno spazio immaginato e disponibile per cercare di domare le sue proprie ataviche paure. Le immagini di Giacomo Infantino, tutte notturne, ci mostrano i colori di una Garbatella inedita, mentale ed onirica, filtrate dalla sua memoria e dalla sua psiche in continua tensione verso un punto di incontro con la dimensione della città-giardino.
La natura qui sembra ingigantita ed avvolgente, i ritratti suggeriscono presenze archetipiche di un profondo comune passato. Nel teatro del presente siamo guidati dal nostro inconscio e lo spazio urbano ne è modellato, e viceversa. Nel panorama sconfortante e patologico delle metropoli contemporanee, sembra volerci suggerire Infantino, c’è ancora spazio di relazione ed azione, se solo prestassimo più attenzione all’importanza dei luoghi che abitiamo e che abitano in noi.
Infine Claudio Imperi, fotografo romano, al Lotto 16 esporrà una sua personale ricerca attraverso le immagini che si dipanano come un filo di Arianna identitario negli stenditoi del lotto che lo ha visto nascere e crescere e da cui è stato estirpato molti anni fa. Nelle sue immagini poetiche in bianco e nero si possono scorgere gli echi delle memorie legate al tempo magico dell’infanzia, tempo in cui la luce giocava tra le case ed animava la natura in mezzo a cui erano costruite. Un tempo ora ritrovato nell’abbandonarsi alla ricerca dei dettagli che formano l’idea di noi stessi e dello spazio in cui ci troviamo, dove cresce la palma e dove si respira il tepore di primavera, dove si ascolta la melodia degli uccelli che abitano le cime e i rami degli alberi.
L’intero quartiere è oggetto di ricerca e di opere site-specific pensate appositamente per essere esposte all’interno dei cortili. Garbatella IMAGES è un percorso espositivo costruito in gran parte anche dagli abitanti del quartiere, attraverso laboratori di ricerca delle loro memorie fotografiche e video e al racconto delle proprie storie e il reperimento delle proprie memorie fotografiche, fino alla fruizione. I materiali fotografici saranno esposti come panni stesi ai fili degli stenditoi degli storici lotti, spesso sconosciuti ad una popolazione più ampia, con una proposta allestitiva originale e coinvolgente che già ha attribuito al progetto una forte riconoscibilità e grande entusiasmo nelle edizioni precedenti. Sarà possibile visionare le opere anche all’interno della galleria 10b Photography. Sempre all’interno della galleria sarà possibile vedere la proiezione della nuova produzione video di Francesco Zizola. 
L’evento si arricchirà con le visite guidate e le passeggiate d’artista in programma l’11, il 18 ed il 25 settembre, curate da Francesca Romana Stabile e Claudio D’Aguanno. L’obiettivo è stimolare una cittadinanza chiamata ad essere attiva e partecipativa alla costruzione di una memoria visiva del quartiere, favorendo la valorizzazione del lavoro sulla memoria e sullo spazio urbano.
Tutti gli eventi sono pubblici e gratuiti. Il fine è quello di rendere il più possibile fruibili, comprensibili, aggreganti i linguaggi visivi contemporanei, come la fotografia ed il video, medium su cui si basa la proposta per raccontare il quartiere. 
Il progetto, promosso da Roma Culture, è vincitore dell’Avviso pubblico Estate Romana 2020-2021-2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE
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giancarlonicoli · 3 years
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7 lug 2021 15:00
LA MORTE NON FINISCE NULLA: MARADONA E' SEMPRE VIVO. E SUL SUO MITO E' NATA UN'ECONOMIA - MARINO NIOLA: "IL PIAZZALE DEDICATO A DIEGO È DIVENTATO LA TAPPA PREFERITA DAI TURISTI TORNATI A VISITARE NAPOLI. T-SHIRT, PAREI DA MARE, CALAMITE, PORTACHIAVI CON L'ICONA DEL FUORICLASSE, PASTORI DEL PRESEPE IN MAGLIA AZZURRA VANNO A RUBA. UNA SCHIERA DI TURISTI DI TUTTO IL MONDO VA IN PELLEGRINAGGIO A SAN GIOVANNI A TEDUCCIO, PER OMAGGIARE IL MURALE 'DIOS UMANO' DI JORIT. È SCOPPIATA LA MARADONOMY. DOPO MESI DI ISOLAMENTO, LA CITTÀ TORNA A RESPIRARE"
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1 - IL NUOVO SANTO HA FATTO IL MIRACOLO
Marino Niola per "il Venerdì - la Repubblica"
Pizza fritta, spritz e Mano de Dios. Si ricomincia». È il brindisi di un gruppo di ragazzi torinesi sotto il murale di Maradona, nei Quartieri Spagnoli. Dove il piazzale dedicato a Diego Armando è diventato la tappa preferita dai turisti tornati a visitare Napoli. Lo ha raccontato su Repubblica.it un bellissimo servizio di Marina Cappitti con le foto di Riccardo Siano. Migliaia di persone vanno a selfeggiarsi, a brindare, a baciarsi sotto l' immagine del Pibe che giganteggia.
Tshirt, parei da mare, calamite, portachiavi con l' icona del fuoriclasse, pastori del presepe in maglia azzurra vanno a ruba. Una schiera di turisti di tutto il mondo va in pellegrinaggio a San Giovanni a Teduccio, nella periferia orientale dove è ambientata L' amica geniale di Elena Ferrante, per omaggiare il Dios umano di Jorit, un imponente murale alto come un intero palazzo, dove il volto del campione è raffigurato con tatuaggi da guerriero. Insomma, è scoppiata la maradonomy, crasi fra Maradona ed economy. E dopo mesi di isolamento, la città torna a respirare.
Tutto merito di san Diego, che continua a far miracoli anche dopo la morte, come i veri santi. A riprova di una affinità elettiva, un legame di anima e cuore tra il calciatore e la città che non si è mai spezzato. E che la morte prematura ha reso ancor più stretto. Come succede da sempre per i personaggi mitici.
Che siano antichi eroi o moderni idoli dello star system, la loro vita continua nella mente e nei cuori della gente. E la morte non finisce nulla, per dirla con Pablo Neruda. Così è per Diego Armando, nato a Buenos Aires e rinato a Napoli.
Questa doppia cittadinanza dell' anima ha segnato la vita del più grande calciatore di sempre. E adesso diventa una chance per la città vesuviana, che ha la proverbiale capacità di trasformare l' immateriale in materiale. La fantasia in economia.
2 - IL DRIBBLING DI DIEGO ALLA CAMORRA
Ilaria Urbani per "il Venerdì - la Repubblica"
Maradona dio dello sport, celebrato come in un tempio. Il campione, che i tifosi vollero D10S, diventa anche simbolo della rinascita di un luogo sotto scacco per anni del clan dei Casalesi. Trentola Ducenta, provincia di Caserta, piena Terra dei fuochi.
Non un nonluogo qualunque.
Diego Armando Maradona. Il riscatto di una città attraverso lo sport è la mostra fotografica che si inaugura il 5 luglio al Jambo, centro commerciale diventato bene confiscato alla camorra dopo un' inchiesta che svelò nel 2015 l' intreccio tra criminalità, politica e imprenditoria. Michele Zagaria, superboss dell' affaire rifiuti, "Capastorta", qui incontrava in latitanza politici e imprenditori, decideva strategie commerciali e imponeva lo sviluppo dell' area. Dopo la camorra, l' arte per una nuova narrazione.
La mostra su El Pibe de Oro, scomparso a novembre, realizzata con l' Agenzia nazionale dei beni confiscati, sarà visitabile fino al 31 dicembre. In esposizione 134 immagini in bianco e nero di Sergio Siano, 15 totalmente inedite (come quelle pubblicate in questa pagina). Il percorso espositivo, testimone del genio e della sregolatezza del campione, è a cura di Yvonne De Rosa, fondatrice di Magazzini Fotografici al centro antico di Napoli. «Le foto che amo di più non sono al San Paolo ma quelle che scattavo a 16 anni al campo Paradiso a Soccavo» racconta Siano, cresciuto in una famiglia di fotoreporter.
«Vedere Maradona allenarsi, il suo rapporto con il pubblico, la sua umanità, erano per me una fuga dalla cronaca nera, dai due morti al giorno di camorra. Maradona ha riscattato i napoletani, ci faceva rispettare, vincere contro i soprusi». Anche la data dell' inaugurazione è simbolica.
«Il 5 luglio 1984 Maradona entra al San Paolo per la prima volta» spiega la curatrice. «Ho diviso il percorso in tesi, antitesi e sintesi. Maradona dio del calcio, come in una chiesa. Il mito, l' eroe. In una "sagrestia" color porpora i suoi ritratti più intimi. La lotta in campo per dimostrare di essere il più bravo. Poi lo scudetto e i caroselli per le strade di Napoli». Previste visite di studenti. Un libro racconta la mostra, il ricavato andrà in beneficenza per la spesa solidale sul territorio. N più di cento fotografie del fuoriclasse argentino, alcune inedite, saranno esposte in un centro commerciale confiscato al crimine. «È un omaggio a chi ha saputo riscattare i napoletani»
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italianaradio · 5 years
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Eliott Erwitt. Family
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Eliott Erwitt. Family
Eliott Erwitt. Family
Mudec photo (dal 16 ottobre 2019 al 15 marzo 2020) presenta la mostra fotografica: “Elliott Erwitt. Family”.
Il Mudec – Museo delle Culture di Milano ospita per l’autunno 2019 il lavoro – lungo una vita – di un artista che ha fatto la storia fotografica del nostro secolo, Elliott Erwitt.
La mostra “Elliott Erwitt. Family” presenta al pubblico 60 scatti che per il grande fotografo americano, dall’alto dei suoi ineffabili 91 anni, meglio hanno descritto nella sua lunghissima carriera e rappresentano fino a oggi tutte le sfaccettature di un concetto così inesprimibile e totalizzante come quello della famiglia.
La collezione, selezionata per Mudec Photo da Erwitt e da Biba Giacchetti curatrice della mostra, alterna immagini ironiche a spaccati sociali, matrimoni nudisti, famiglie allargate o molto singolari, metafore e finali “aperti”, come la famosissima fotografia del matrimonio di Bratsk.
L’esposizione, promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, è in collaborazione con SUDEST57 e vede il contributo di Lavazza – main sponsor dello spazio Mudec Photo – di cui sposa in pieno la mission, impegnata nel mondo della fotografia fin dal 1993 attraverso il “Calendario Lavazza”, un progetto attraverso cui racconta le storie e descrive la società globale attraverso gli occhi dei più grandi maestri contemporanei dell’arte della fotografia.
In particolare, per questo nuovo progetto di Mudec Photo, Lavazza diventa parte attiva, portando in mostra una selezione di scatti di Elliott Erwitt tratti dal Calendario Lavazza 2000 “Families – Ritratti intorno al caffè”, un’edizione speciale che aprì le porte al nuovo millennio, a firma proprio del grande fotografo.
La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 16 ottobre 2019 al 15 marzo 2020.
LA MOSTRA
Niente è più assoluto e relativo, mutevole, universale e altrettanto particolare come il tema della famiglia. La famiglia ha a che fare con la genetica, il sociale, il diritto, la sicurezza, la protezione e l’abuso, la felicità e l’infelicità.
Mai come oggi la famiglia è tutto e il suo contrario; niente è capace di scaldare di più gli animi, accendere polemiche, unire e dividere come il senso da attribuire alla parola “famiglia”: solida, eppure così delicata.
Neanche il pur allenato dizionario Treccani riesce a esprimerne il concetto in poche righe. Impossibile. Là dove la parola si ferma o si espande a dismisura, può intervenire a tentare di interpretarla lo sguardo della fotografia, da sempre molto legata a questo tema.
Il diffondersi infatti di questo “mezzo di documentazione” nelle classi sociali della media borghesia accompagnava il desiderio di un racconto privato e personale degli eventi che ne segnavano le tappe: i ritratti degli avi, le nascite, i matrimoni, le ricorrenze, tutto condensato in quei volumi che nelle prime decadi dello scorso secolo arredavano il “salotto buono”: gli album di famiglia.
La curatrice della mostra Biba Giacchetti ha chiesto a uno dei più importanti maestri della fotografia di creare un album personale e pubblico, storico e contemporaneo, serissimo e ironico e di dedicarlo in un’anteprima assoluta allo spazio Mudec Photo. È nata così la mostra “Elliott Erwitt. Family”.
Attraverso i 60 scatti da lui selezionati, che raccontano trasversalmente settant’anni di storia della famiglia e delle sue infinite sfaccettature intime e sociali nel mondo intero, Elliott Erwitt offre all’osservatore sia istanti di vita dei potenti della terra (come Jackie al funerale di JFK) sia scene privatissime (come la celebre foto della bambina neonata sul letto, che poi è Ellen, la sua primogenita).
La consueta cifra di Erwitt – col suo ritmo divertente e al tempo stesso con la sua profonda sensibilità umana – si esprime su un tema che certamente ha avuto un’importanza determinante nella sua vita personale, con quattro matrimoni, sei figli e un numero di nipoti e pronipoti in divenire.
Come sempre Elliott Erwitt “conduce il suo racconto per immagini senza tesi, in totale sospensione di giudizio”, spiega Biba Giacchetti. “Ci racconta i grandi eventi che hanno fatto la Storia e i piccoli accidenti della quotidianità, ci ricorda che possiamo essere la famiglia che scegliamo: quella americana, ingessata e rigida che posa sul sofà negli anni Sessanta, o quella che infrange la barriera della solitudine eleggendo a membro l’animale prediletto. Famiglie diverse, in cui riconoscersi, o da cui prendere le distanze con un sorriso.”
Un tema universale, che riguarda l’umanità, interpretato da Elliott Erwitt con il suo stile unico, potente e leggero, romantico o gentilmente ironico: una cifra che ha reso questo autore uno dei fotografi più amati e seguiti di sempre.
LA FAMIGLIA, NUOVI DATI IN MOSTRA
Era il 1999 quando Lavazza commissiona – in occasione della presentazione dell’edizione del Calendario Lavazza 2000 a firma di Elliott Erwitt, intitolato “Families – Ritratti intorno al caffè” – una ricerca dedicata alle “nuove famiglie” d’Europa, per documentare i loro modi di vita, gli atteggiamenti e i momenti domestici che avrebbero potuto costituire segnali, spie di una nuova antropologia.
Da questa indagine svolta da Lavazza e 20 anni dopo, Mudec Photo riparte nel segno della continuità con un interessantissimo focus, presente in mostra, sull’evoluzione dell’idea del nucleo familiare oggi, che integra – senza sovrapporsi – la visione artistica che trapela dagli scatti di Erwitt.
Non solo: il Mudec ha proposto un “censimento per immagini”, mappando le famiglie residenti a Milano attraverso una campagna fotografica scattata al Mudec nelle settimane precedenti l’apertura della mostra, in cui questa volta sono stati i cittadini stessi a raccontare la loro personalissima visione della famiglia, qualunque essa fosse. Ne è scaturita una campagna di comunicazione di lancio della mostra unica e originale, in cui vengono raccontate le famiglie di oggi, nella loro accezione più ampia.
CHI È ELLIOTT ERWITT
Elliott Erwitt nasce a Parigi nel 1928, da genitori russi emigrati. Trascorre i primi anni di vita a Milano. All’età di dieci anni la sua famiglia si trasferisce di nuovo a Parigi, l’anno successivo a New York, per poi stabilirsi a Los Angeles nel 1941.
Mentre frequenta la Hollywood High School, Elliott lavora in un laboratorio di fotografia sviluppando stampe “firmate” per gli appassionati delle stelle del cinema. Nel 1948 incontra Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker, i quali apprezzano a tal punto le sue fotografie da diventare suoi mentori. L’anno successivo torna in Europa, viaggia e fotografa in Italia e in Francia, iniziando di fatto la sua carriera professionale.
Chiamato dall’esercito degli Stati Uniti nel 1951, continua a lavorare sia per varie pubblicazioni sia per l’esercito stesso, mentre staziona nel New Jersey, in Germania e in Francia. Nel 1953, appena congedato dall’esercito, Erwitt viene invitato a diventare membro di Magnum Photos; l’invito giunge direttamente dal fondatore, Robert Capa.
Nel 1968 diventa presidente della prestigiosa agenzia e ricopre tale carica per tre nomine. Ancor oggi è una delle figure di spicco nel competitivo mondo della fotografia. I suoi saggi giornalistici, illustrazioni e pubblicità sono apparsi in pubblicazioni di tutto il mondo per oltre mezzo secolo. Mentre lavora attivamente per riviste, clienti industriali e pubblicitari, Erwitt dedica tutto il tempo libero alla creazione di libri e mostre del suo lavoro. Fino a oggi ha pubblicato circa trenta libri fotografici.
  Mudec photo (dal 16 ottobre 2019 al 15 marzo 2020) presenta la mostra fotografica: “Elliott Erwitt. Family”. Il Mudec – […]
Elena Luviè
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tmnotizie · 5 years
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MACERATA – Dal 12 al 14 aprile torna con una nuova veste Ratatà Festival, il festival di fumetto, illustrazione ed editoria indipendente che fin dal suo esordio nel 2014 si è subito confermato un appuntamento innovativo per la città sostenuto dall’assessorato alla Cultura del Comune di Macerata.
L’ evento è stato presentato oggi  agli organi di informazione  alla presenza del sindaco Romano Carancini, dell’asesssora alla Cultura Stefania Monteverde e di Lisa Gelli e Nicola Alessadrini rispettivamente presidentessa e vice presidente dell’associazione Ratatà.
“Al sesto anno l’edizione 2019 del Ratatà Festival, infatti, sarà MUTA! “MUTA nell’accezione di cambiamento silenzioso” hanno affermato i direttori artistici Nicola Alessandrini e Lisa Gelli, artisti e co-artdirector insieme a un collettivo di artisti e illustratori.
“In un momento socio politico di profonda riflessione sull’identità, personale, nazionale, culturale -hanno aggiunto- il Ratatà festival vuole porre l’accento sulla mutazione identitaria silenziosa, su quei processi del tutto naturali che, al di fuori dei grandi e urlati processi mass-mediatici, avvengono dall’incontro dialogico, dal contatto rispettoso, dalla reciproca contaminazione fra persone, popoli, idee, e che da sempre fa parte dell’evoluzione dell’umanità. E questo, come sempre si è fatto, tramite una doppia azione, sia interna ed insita ai nostri processi creativi, sia, esternamente, tramite l’accurata selezione dei progetti proposti”.
“Abbiamo voluto rispettare il loro incedere – ha detto il sindaco Carancini riferendosi agli organizzatori del festival -quindi benissimo rilanciare e continuare a rinnovarsi ogni volta senza mai mollare”.
“La città di Macerata in questi anni ha scelto di crescere come città creativa, luogo di sperimentazione culturale e innovazione dei linguaggi artistici grazie alle tante realtà di qualità culturale che l’hanno portata ad essere tra le dieci finaliste a Capitale Italiana della Cultura 2020. – ha sottolineato invece l’assessora alla cultura Stefania Montreverde – in questo percorso Ratatà Festival ha saputo innestare un valore aggiunto al festival e occasioni di incontro e dialogo per una nuova generazione di artisti alla ricerca di nuove forme espressive, che si danno appuntamento a Macerata”.
“Per quanto riguarda la struttura interna del festival, dopo un anno di riflessione, dubbi, incertezze sul futuro del festival stesso, la soluzione che ci è sembrata più ottimale – hanno detto ancora gli organizzatori dell’associazione Ratatà – è stata quella di abbandonare per un po’ l’assetto festoso, rumoroso, voluminoso dell’evento al quale eravamo abituati per creare un appuntamento itinerante fatto di incontri, mostre, laboratori, presentazioni, per tutto il 2019 in cui ricercare un maggiore contatto con la città e i suoi abitanti, proponendo dei momenti riflessivi di altissimo livello con artisti di rilevanza internazionale.
Seguendo lo stesso filo logico, gli artisti con cui stiamo lavorando per questo anno affrontano tramite linguaggi differenti il concetto stesso di identità liquida, in continua mutazione. Nei singoli appuntamenti cercheremo di ricreare  la struttura del festival, unendo momenti laboratoriali e di ricerca con le mostre, gli incontri pubblici e le attività ludiche e musicali”.
L’edizione 2019 di Ratatà avrà infatti una forma diversa rispetto agli anni passati, si svilupperà in tre macro eventi distribuiti nell’arco di tutto l’anno, da aprile a dicembre, più una serie di eventi minori che metteranno in luce progetti di rilevanza nazionale ed internazionale che stanno nascendo nel nostro territorio e che in un modo o nell’altro sono legate agli autori che nel tempo hanno gravitato attorno al festival, come testimonianza del profondo lavoro che Ratatà ha portato avanti negli anni di produzione culturale.
L’obiettivo è quello di preparare il pubblico all’edizione del festival 2020, “L’anno del topo”, dove sono previste esposizioni di disegno contemporaneo e non, una mostra mercato ancora più ricca, workshop e concerti con artisti di richiamo nazionale ed internazionale.
L’attività del 2019 è rivolta principalmente al pubblico locale, con un occhio ancora più attento al territorio, mantenendo la proposta culturale di altissimo livello internazionale.
IL PROGRAMMA
Venerdì 12 aprile
Ore 18.30,  Galleria Antichi Forni
Inaugurazione mostre:
“Bordar o Sohnos”. Mostra di Flavia Bomfim , in collaborazione con Expandido, Festival di illustrazione e letteratura di Bahia (Brasile).
La mostra, consta di circa 60 opere realizzate da artisti brasiliani sotto la guida di Flavia Bomfim, in cui si esplorano, attraverso l’utilizzo del ricamo come mezzo espressivo e comunicativo, i profondi legami fra arte contemporanea e sapienza artigiana.
“RiVolti”. Mostra a cura di Monica Monachesi, Flavia Bomfim e Barbara Rigon.
Mostra in divenire in cui verranno esposte 50 opere in cui illustratori provenienti da tutto il mondo reinterpretano il proprio ritratto fotografico attraverso l’uso del ricamo.
Le mostre saranno fruibili fino al 25 aprile tutti i giorni dalle 16 alle 20, il mercoledì amche al mattino, chiuso invece il lunedì.
Ore 22 e 00, CSA Sisma
Festaaaa! Concerto di Montoya, Amphibian, dj Balli, B667.
Sabato 13 aprile
Ore 10 – 18,30, Galleria Antichi Forni
– Workshop RiVolti, Ricamare i volti, laboratorio di ricamo su ritratti fotografici, a cura di Monica Monachesi, Flavia Bomfim e Barbara Rigon.
Domenica 14 aprile
Ore 10 – 18,30, Galleria Antichi Forni
– Workshop Bordar os Sohnos, ricamare i sogni, laboratorio di ricamo su tessuto, a cura di Flavia Bomfim.
Ore 10 – 12,30, Galleria Antichi Forni
– Workshop Magliette Sfacciate, laboratorio di stampa su magliette, a cura di Monica Monachesi.
 LE ARTISTE e GLI ARTISTI
 Flávia Bomfim. Artista visiva, psicologa e ricercatrice di ricami nel mondo. Organizza a Salvador / Bahia il Festival di illustrazione e letteratura ampliata Expandido e fiere e pubblicazioni indipendenti; promuovere esempi di discussione sulla letteratura illustrata, produzione indipendente e commercializzazione di arti grafiche.
Ha fondato la casa editrice Movimento Continuo che è un editore ma anche una serie di azioni educative attraverso l’arte.
Sviluppa il progetto narrativo ricamato “Bordar os Sonhos” con gruppi di donne provenienti da distretti periferici in Brasile. Sviluppa anche il progetto RiVOLTI e del progetto “O Rosto é um Mapa” ( La Faccia è una Mappa), piattaforma di riflessioni sul viso come superficie di lettura e transito.
Monica Monachesi. Si occupa da oltre vent’anni di illustrazione, le interessa il mondo del libro illustrato come ambito di libertà, come luogo privilegiato di esperienze estetiche ed etiche, come spazio per la crescita dell’individuo.
È stata curatore della mostra internazionale di illustrazione Le immagini della fantasia (1998 -2017). Per Franco Cosimo Panini Ragazzi è art director della collana dedicata alle Fiabe dal Mondo ed è autrice di Le Meravigliose favole di Antonio Canova nella collana PIPPO di Topipittori (Premio Andersen Miglior progetto di divulgazione alla collana) e per la stessa collana ha coordinato Per Gioco, l’arte di divertirsi.
Assieme ad Else cura la serie dei Memory serigrafici (Memory cileno e Yōkai, memory giapponese) ed è ideatrice del progetto internazionale RiVOLTI – fotografia illustrazione e arte tessile. Come designer ha progettato giocattoli per Sevi e realizzato allestimenti scenografici. Scrive per riviste e blog specializzati e ama dedicarsi a workshop per bambini e a progetti di formazione.
Partecipa come giurato a concorsi italiani e internazionali (Tapirulan – Cremona; La Tribù dei lettori – Roma; Oltre, Disegni Diversi – Fano; Catalogo Iberoamericano – FIL Guadalajara, Messico; BIISA – Amarante Portogallo) coordinando incontri e tavole rotonde ad essi collegati.
Barbara Rigon. Fotografa italiana specializzata in musica, teatro, ritratti ed eventi.
Jhon Montoya. Nato a Pereira Colombia, residente in Italia dal 2001, Diplomato in Violino nel Conservatorio Steffani, di Castelfranco Veneto, lavora a Fabrica dal 2010, ha suonato nei più importanti teatri della Regione.
Con Fabrica ha realizzato i suoi primi lavori, El Viale e Mohs, collaborando con artisti di grande talento, attualmente è un collaboratore attivo del Venice Music Project e ha partecipato con la Filarmonia Veneta diretta dal M°Tandun alla inaugurazione del Padiglione della Cina per la Biennale d’arte di quest’anno, il suo Ultimo album IWA è prodotto dalla White Forest Records.
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saggiosguardo · 6 years
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Samsung presenta Galaxy Fold, la gamma S10 e i nuovi indossabili per il fitness
Si è spesso dibattuto su come e quanto Samsung possa ispirarsi ad Apple, dividendo la platea tra sostenitori e detrattori del colosso coreano. Un ambito in cui Samsung sta migliorando quest'eventuale ispirazione è probabilmente quello commerciale: proprio come Apple, ha imparato a dissociarsi dagli eventi tecnologici tradizionali per "terrorizzare" a puntino le rivali che invece preferiscono porti sicuri come il Mobile World Congress. Che per l'appunto è tra pochi giorni, e questo è un elemento di differenziazione con la strategia di Apple: nel bene e nel male, a mesi di distanza sai che l'iPhone può ancora costituire una presenza ingombrante all'ombra ma hai una possibilità di replica appropriata. Nel caso dei Galaxy, sarà molto dura per le altre mostrare questo weekend delle controffensive in grado di smorzarne l'inevitabile predominio della scena (prudentemente Huawei ha deciso di agire a fine marzo ad acque più chete).
Basta digressioni, però, e veniamo a ciò che ha presentato Samsung qualche ora fa. Non iniziamo tuttavia dagli S10, bensì da un altro dispositivo molto atteso e soprattutto pieghevole. Il Galaxy Fold, appunto. Guardandolo da chiuso può non sembrare esteticamente così invitante. Lo schermo stesso da 4,6", per quanto Super AMOLED con risoluzione 840x1960, è piccolo in confronto agli standard odierni. Ma nelle intenzioni di Samsung, la maggior parte delle volte questo prodotto lo si utilizzerà aperto, rivelando 7,3" tutti a disposizione dell'utente.
Non c'è trucco, non c'è inganno: nessuna linea di demarcazione a metà dello schermo, con risoluzione 1536x2152. Samsung lo chiama Infinity Fold, e ricopre quasi per intero la superficie del dispositivo aperto fatta eccezione per la parte destra superiore dove sono racchiuse le fotocamere anteriori. Buona parte del merito va al nuovo strato di polimeri aggiunto, che in aggiunta ad un pannello leggero specifico per il Galaxy Fold ha conferito al display ottime doti di flessibilità senza sacrificare la resistenza. Non sono però meno fondamentali i cardini strutturati per garantire centinaia di migliaia di aperture a libro senza conseguenze.
Guardando ora alle caratteristiche tecniche sotto la scocca, troviamo un SoC octa-core da 7 nm (non viene però meglio specificato di quale si tratti, se un proprietario Exynos o uno Snapdragon), assieme a 12 GB di RAM LPDDR4X e 512 di spazio d'archiviazione UFS 3.0. Per quel che riguarda le fotocamere, il Galaxy Fold ne include 6 complessive. Si parte dal trio nella parte posteriore, composto da un sensore ultra-grandangolare da 16 Megapixel con apertura f/2,2, un "semplice" grandangolare da 12 Megapixel f/2,4 comprensivo anche di autofocus dual pixel e stabilizzazione ottica e un teleobiettivo da 12 Megapixel in grado di realizzare uno zoom ottico 2x. La coppia presente nel dispositivo aperto prevede invece un sensore principale da 10 Megapixel f/2,2 e uno secondario da 8 Megapixel dedicato soprattutto al rilevamento della profondità. L'ultima fotocamera si trova infine nel frontale del dispositivo chiuso ed è da 10 MP.
Il comparto audio è curato altrettanto quanto quello video, con la presenza di altoparlanti stereo firmati AKG. La dotazione di connettività comprende 4G, Wi-Fi 802.11ac, NFC e Bluetooth 5.0, mentre il riconoscimento biometrico è affidato ad un sensore d'impronte a lato. Il sistema a doppia batteria è in grado di erogare complessivamente 4.380 mAh, con possibilità di ricarica rapida e wireless così come di caricare a sua volta senza fili un altro dispositivo.
Image from The Verge.
Parlando del software, il Galaxy Fold include alla base Android 9.0 Pie con le personalizzazioni proprietarie One UI; considerata però la particolare natura del prodotto, Samsung ha lavorato a stretto contatto sia con Google sia con gli sviluppatori di app per offrire da subito un'esperienza ottimizzata. Nella modalità Multi-Active è possibile avere a schermo ed utilizzare tre app aperte contemporaneamente, mentre una continuità interna permette d'iniziare le operazioni sul più piccolo display a dispositivo chiuso e proseguirle una volta aperto al punto esatto in cui ci si era interrotti (il discorso vale anche viceversa, da aperto a chiuso). Non manca nemmeno il supporto DeX, che permette collegando il dispositivo ad un'apposita docking station, a sua volta collegato a monitor, tastiera e mouse, di sfruttarlo quasi come se fosse un computer tradizionale all'interno di un ambiente desktop. Galaxy Fold arriverà nelle tonalità Space Silver, Cosmos Black, Martian Green ed Astro Blue, acquistabile dal 26 aprile ad un prezzo non per deboli di cuore, $1980 (quello europeo dovrebbe rimanere abbastanza fedele, attorno ai 2.000 €).
Parliamo ora dei Galaxy S10. Sono tre, anzi di più. Iniziamo però dal trio principale, dato che il quarto è un po' più particolare. Come previsto dai vari leak, per la decima iterazione del suo celebre smartphone top Samsung ha stravolto l'estetica, riducendo drasticamente i bordi anche sopra e sotto e ricollocando la fotocamera anteriore all'interno dello schermo, quello che alcuni hanno scherzosamente ribattezzato "buco". Parlando proprio dei display, non si parla più di Super AMOLED ma di Dynamic AMOLED. La parte dinamica è applicata nello specifico alla mappatura dei toni, che insieme ad altri miglioramenti e al supporto HDR10+ garantiscono secondo Samsung una resa decisamente migliore rispetto ai già buoni pannelli di S9. È integrato anche un filtro luce blu, riducendo così la necessità di ricorrere ad effetti software, e soprattutto un sensore d'impronte ultrasonico, che agisce attraverso una scansione tridimensionale della superficie del dito.
Dentro, come da tradizione troviamo il meglio dei flagship di casa Samsung, con SoC octa-core, RAM LPDDR4X in abbondanza e spazio d'archiviazione base ulteriormente espandibile tramite microSD. Feature immancabile dei recenti prodotti di punta è la NPU dedicata a tutte le funzionalità d'intelligenza artificiale. Essa viene adottata per ottimizzare nell'uso le prestazioni del dispositivo, mantenere la connessione più stabile e, come vedremo tra poco, predisporre sin da subito scatti fotografici nelle migliori condizioni. A ciò si aggiunge l'assistente digitale Bixby, controrisposta Samsung degli ultimi anni ad Alexa e Siri e che proprio da oggi parla anche italiano.
A livello fotografico, ognuno dei tre dispositivi fa un po' storia a sé, ma ci ritorneremo a breve. Nel frattempo iniziamo dalle caratteristiche peculiari per tutti, a partire dal sensore ultra-grandangolare con campo di visione fino a 123°, un nuovo sistema di stabilizzazione digitale per i video (in affiancamento a quello ottico) e il supporto HDR10+ in registrazione. Sono presenti le tecnologie già note dai precedenti modelli come Dual Pixel e l'apertura doppia, f/1,5-f/2,4 sul sensore principale. Come già anticipato nel paragrafo sopra, l'intelligenza artificiale è un perno del sistema fotografico degli S10, con la possibilità di riconoscere fino a 30 tipi di scene e soggetti per ottimizzazioni sia automatiche sia manuali; nel secondo caso, ad esempio, durante uno scatto al tramonto all'utente potrà essere proposto di affidare il compito all'ultra-grandangolare. Per i ritratti sono stati aggiunti ulteriori effetti bokeh a quelli già esistenti, mentre guardando alla fotocamera anteriore è supportata la realizzazione di AR Emoji sulla base del proprio volto.
Anche stavolta nel comparto audio stereo troviamo lo zampino di AKG, cui si aggiunge pure il supporto Dolby Atmos. La connettività prevede LTE fino a 2 Gbps, Wi-Fi 6, NFC e Bluetooth 5.0. Il comparto energetico supporta sia la ricarica rapida che quella wireless e, come già nel caso del Galaxy Fold, dà a sua volta con la modalità PowerShare l'opportunità di ricaricare altri prodotti compatibili con gli standard senza fili. La resistenza costruttiva è affidata alla certificazione IP68 contro liquidi e polveri. Il sistema operativo preinstallato è Android 9.0 con One UI e non mancheranno app espressamente ottimizzate per questi nuovi prodotti, come Adobe Premiere Rush CC. Finora abbiamo elencato le caratteristiche comuni a tutti gli S10, ora guardiamo singolarmente a ciò che portano in dote.
S'inizia dal più piccolo della gamma: Galaxy S10e. Ad esso il compito di scontrarsi direttamente con un certo XR, tanto sul piano tecnico quanto su quello economico. Ha uno schermo da 5,8" Full HD+ non curvo con sensore d'impronte capacitivo invece che ultrasonico, 6 GB di memoria RAM e 128 di storage. Le fotocamere posteriori sono due, la principale da 12 Megapixel e l'ultra-grandangolare da 16. Non è previsto il sensore teleobiettivo, anche se un minimo di zoom ottico, pari a 0,5x, viene comunque dichiarato pure qui. Davanti è presente una fotocamera da 10 Megapixel. La batteria integrata è da 3.100 mAh. Sarà disponibile al prezzo di 779 € a partire dall'8 marzo prossimo, nelle tonalità Prism White, Prism Black, Prism Green, Prism Blue, Flamingo Pink e Canary Yellow, quest'ultima esclusiva proprio del modello S10e. È preordinabile insieme agli altri da Amazon, coi link inseriti in corrispondenza dei prezzi.
S10 si colloca nel mezzo, portando lo schermo a quota 6,1" con risoluzione Quad HD+. Riguadagna anche le curvature ai lati, così come il sensore d'impronte ultrasonico. Ci sono due GB di RAM in più, per un totale di 8, mentre per l'archiviazione è disponibile anche una variante da 512 GB. Alle due fotocamere posteriori soprammenzionate per S10e si aggiunge qui il terzo sensore teleobiettivo da 12 Megapixel, che permette uno zoom ottico sino a 2x. La batteria è da 3.400 mAh. Sarà disponibile nelle medesime tonalità di S10e, fatta eccezione per il Canary Yellow, e costerà 929 € nella versione 8/128 GB e 1.179 € in quella 8/512 GB.
Chiude il cerchio Galaxy S10+, che alza ancora un po' le dimensioni dello schermo, qui da 6,4". Sempre sulla base di questo principio a step, aggiunge un ulteriore taglio d'archiviazione da ben 1 TB nonché una seconda fotocamera anteriore da 8 Megapixel per il rilevamento della profondità. La batteria è da 4.100 mAh. Si potrà acquistare nelle stesse tonalità di S10 più altre due scelte: Ceramic Black e Ceramic White. Il prezzo è di 1.029 € per 8/128 GB, 1.279 € per 8/512 GB e 1.639 € per 8 GB/1 TB (quest'ultimo al momento appare l'unico non disponibile al preordine).
Ma abbiamo detto più sopra che c'è pure un quarto modello, che arriverà più avanti degli altri. È il Galaxy S10 5G, un mostro da 6,7" che, come suggerisce il nome stesso, ha il suo cavallo di battaglia proprio nel supporto alle reti di nuova generazione. In realtà non si distingue solo per queste due differenze: ha anche due fotocamere 3D per il riconoscimento della profondità, una davanti ed una dietro, così come una batteria da 4.500 mAh che prevede una modalità di ricarica ancor più rapida. Ne sentiremo riparlare più avanti nel corso dell'anno. Anche in Italia? Affermativo: Samsung ha già stretto accordi con TIM e Vodafone per la commercializzazione del Galaxy S10 5G, che darà così manforte al prossimo lancio delle nuove reti dei due operatori.
Andiamo verso la chiusura di questo lunghissimo post parlando degli indossabili che Samsung ha introdotto oggi. Le Galaxy Buds sono le nuove proposte coreane per gli auricolari senza fili, con suono a cura di AKG, sistema di enfatizzazione dei rumori ambientali che consente di non isolarsi completamente dal mondo circostante senza compromettere la qualità di riproduzione e doppio microfono. L'autonomia garantita è di 6 ore in ascolto musicale o 15 in chiamata; per ricaricarle, è sufficiente porle nel loro case che può agire da "banca energetica" per un totale di 7 ore aggiuntive. Se si è di fretta, è possibile accontentarsi della ricarica rapida che restituisce in 15 minuti agli auricolari poco meno di due ore d'autonomia o ancora condividere in modalità wireless un po' di batteria dal proprio Galaxy S10. Non manca l'integrazione con l'assistente Bixby pr effettuare una serie d'operazioni senza dover azionare direttamente lo smartphone. Saranno disponibili in nero, bianco e giallo al prezzo di 149 € a partire dall'8 marzo. Per chi preordina uno degli S10 in questa fase sono incluse nel prezzo.
Il Galaxy Watch Active si aggiunge alla già nutrita schiera di smartwatch Samsung, con un design che strizza più l'occhio agli sportivi pur mantenendo gran parte delle caratteristiche del modello più raffinato introdotto lo scorso anno. Ha anche una sua peculiarità, ovvero il monitoraggio della pressione sanguigna (solo in nazioni selezionate ed Italia esclusa), compito per la prima volta affidato ad uno smartwatch non proveniente da aziende mediche specializzate. Arriverà dal 15 marzo al prezzo di 249 €, nelle tonalità Silver, Black, Rose Gold e Sea Green. Poco dopo ed a prezzi decisamente inferiori arriveranno i due modelli Galaxy Fit, il secondo contrassegnato dalla e finale, che si distingue dal fratello maggiore soprattutto per schermo (bianco e nero contro colori), NFC (non presente nel Fit e) e batteria (70 contro 120 mAh). Entrambi condividono però impermeabilità fino a 5 ATM e sensore di battito cardiaco.
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catalogointeriore · 6 years
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Roberto Goffi, 2013
Il 27 novembre del 2013 inauguravamo "MÉMOIRES, sali d'argento e dagherrotipi di Roberto Goffi". Era la 16° esposizione in ABF | Scatola Chiara, l'ultima in via Peyron 17/E a Torino. 
Questo è il testo che scrissi per la mostra di Roberto
A ROSE IS A ROSE IS A ROSE
"Vorrei tanto (poiché è già molto poterLe esprimere i miei più umili desideri) che a questo ciclo di "Rose", appena ritrovato fra le mie carte, Lei concedesse l'onore di figurare tra le sue belle edizioni..." così Rainer Maria Rilke in una lettera datata 5 dicembre 1926 indirizzata all'editore Alexandre Alphonse Marius Stols. Il poeta, scrittore e drammaturgo austriaco di origine boema, uno dei più importanti poeti in lingua tedesca del XX secolo, morirà poche settimane dopo, il 29 dicembre e la raccolta intitolata Les roses verrà pubblicata postuma già nel gennaio del 1927, corredata da un breve testo dell'aprile del 1926 scritto da Paul Valéry. Le 24 liriche sono in lingua francese e vennero composte da Rilke fra il 7 ed il 16 dicembre 1924 (ad eccezione della quattordicesima e della ventesima in ordine di pubblicazione, scritte nell'estate del 1926). Per la critica letteraria Les roses costituisce uno dei nuclei più alti della produzione di Rilke. Potremmo definire l'ultima ricerca fotografica di Roberto Goffi, dedicata alle rose di Rilke, un tautologico florilegio: immagini floreali, generate non dalla contemplazione di un giardino bensì dalla lettura di versi poetici dedicati a delle rose, prodotte a seguito della scelta di brani, attinti però solo da un unico corpus poetico. Le immagini realizzate sono stampe fotografiche con emulsione argentica alla gelatina, stesa su carta dalla mano dal fotografo, degli unicum imprigionati in fredde cornici in profilato in ferro e protetti da un vetro, sul quale è stata incisa una lirica di Rilke nella versione originale francese. "A rose is a rose is a rose", così Gertrud Stein in Sacred Emily del 1913. Non è possibile scindere la rosa dal significato simbolico in esso insito, la Stein in questo verso introduce con chiarezza gli elementi di Significante e del Significato, quindi se quella che guardo è l'immagine di una rosa essa è anche l'archetipo della rosa, della poesia romantica e in particolare della Rose di Rilke e di Goffi. L'interazione fra fotografia e poesia, ricorrono in alcuni cicli autoriali di Roberto Goffi, ispirandogli già dal 1999 i manufatti fotografici della serie Portraits che contengono (in alcune di queste opere realizzate con tecnica mista, fotografia e assemblaggi di materiali di differente origine e natura come legno, ferro, fili di rame, gesso) dei ritratti fotografici con le fattezze di poeti quali Emily Dickinson o Ezra Pound; in particolare a Rainer Maria Rilke il fotografo aveva già dedicato la serie Notturni, rilettura delle Poesie alla notte  raccolte in un unico quaderno da Rilke nel 1916. Questo omaggio  floreale prosegue anche nei piccoli gioielli fotografici, unica argentici su rame rivelati dai vapori di mercurio, raccordati in mostra da una peonia realizzata con la medesima tecnica di produzione e montaggio delle rose ma estranea al corpus di Rilke. La peonia è affiancata ad altri fiori in dagherrotipia: copia positiva unica non riproducibile, su supporto in argento o rame argentato, procedimento fotografico presentato al pubblico nel 1839 dallo scienziato François Arago, messo a punto nel 1837 da Louis Jacques Mandé Daguerre. Se guardiamo alla produzione complessiva di Roberto Goffi, notiamo che vi è corrispondenza con  i temi cari ai quali si dedicarono Daguerre ed i dagherrotipisti: la natura morta e l'architettura; vi è un'analogia nella serie dei bassorilievi, delle statue, nelle teste alate di cherubini presenti nelle calcografie e in molte inquadrature del ciclo di lavoro "Rivelazioni Barocche". Altra corrispondenza tematica la ritroviamo nei marmi impressi con la tecnica della stampa al carbone e disegnati a china su alcune porzioni, con notevole padronanza tecnica del disegno, del segno tonale e del chiaroscuro, risalenti agli anni nei quali il lavoro fotografico di Roberto Goffi era dedicato alle strutture architettoniche e ai monumenti torinesi. L'autore si cimenta in quell'occasione non con le tautologie floreali ma con quelle monumentali;  citando le parole dell'autore i marmi sono "frammento-supporto di un altro frammento, che è un ricordo dell’origine di un monumento-momento". Nelle fotografie dei fiori la luce tipica della natura morta in pittura è sostituita dalla luce usata nello still life fotografico del XX secolo, per le stampe alla gelatina ritorna parzialmente in gioco un linguaggio di ripresa in voga negli anni '50. La storia della fotografia è costellata da immagini floreali: i disegni fotogenici di William Heny Fox Talbot, la memorabile ortensia pittorialista  di Adolph de Meyer, le autocromie di Karel Šmirous, i Flowers di Robert Mapplethorpe, per citarne alcuni fra i più noti. Gli esemplari floreali di Goffi in dagherrotipia rappresentano le varietà presenti nel giardino di famiglia della sua infanzia. Così a lato della peonia troviamo questi Fiori della memoria: la calla, la bignonia, l'iris, il giglio, racchiusi in oggetti personali riesumati e destinati a nuova vita, figli della poetica del ready-made: una vecchia scatola in latta o piccoli cassetti in legno. Roberto Goffi scrisse e fornì delle note, delle linee guida, utili alla stesura del testo critico per la sua personale “Soldato Daguerre” che si tenne nel 1997 alla Galleria Salzano di Torino, esprimendo un concetto ancora oggi applicabile al suo lavoro, utile se letto con un atteggiamento analitico/critico rivolto alla mole di proposte autoriali e curatoriali, con le quali quotidianamente siamo sollecitati in ambito fotografico; Goffi scriveva: "[...]. Gran parte della fotografia, [...] Non incorpora il tempo, ne è una sezione sottile, sottilissima. Vermeer impiegava mesi per fare un quadro, che è un oggetto bidimensionale come la fotografia, mesi in cui il tempo ed il suo pensiero veniva stratificato nelle due dimensioni“. Guardando queste immagini di fiori, la tecnica di ripresa, la scelta della distanza focale, il taglio dell'inquadratura, la tecnica di stampa e gli oggetti utilizzati con la funzione di cornice/teca/contenitore (il discorso è applicabile sia alla serie Les Roses che ai Fiori della Memoria), potremmo essere coinvolti da un sentimento  molto simile a quello che pervade al cospetto di alcuni versi poetici, una stratificazione di pensieri, considerazioni, sintesi. Goffi nei suoi segni fotografici non è mai chirurgico bensì ermetico, quindi per dirla con Roland Barthes, chi guarda queste fotografie, lo spectator, nella fruizione e percezione delle immagini dovrà impiegare del tempo per leggerle, utilizzando il proprio patrimonio di nozioni, la propria sensibilità, attivando il sentimento di accoglienza dello spectrum, nel nostro caso i fiori argentici in mostra, che l'autore ci porge per poter essere pervasi dal punctum: qualcosa che ci attiri e leghi almeno per un attimo. Nell'intervento alla giornata di studio “Architettura e Fotografia” organizzata in occasione della presentazione del libro “Rivelazioni Barocche” per l'edizione 1999, Roberto Goffi citava proprio l'amato Rilke (I quaderni di Malte Laurids Brigge, 1910)  "[...]. E anche ricordare, non basta. Occorre saperli dimenticare i ricordi, quando siano numerosi; possedere la pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi, in sé, non sono ancora poesia." Quindi, sempre citando le parole di Rilke, Abf vi invita a scoprire se  "[...] in un attimo rarissimo di grazia"   dalle letture poetiche di Roberto Goffi e dai suoi ricordi floreali   "[...] si levi la prima parola di un verso.”
Daniela Giordi
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fashionbooksmilano · 4 years
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Vis Voluntatis
Charles Fréger
introduzione di  Prosper Keating
Peliti Associati, Roma 2010, 175 pagine, ISBN  978-8889412404
euro 39,90
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"Ai giovani soldati viene insegnato ad essere all'altezza dell'uniforme che indossano: ecco perché la più recente collezione di ritratti fotografici di Charles Fréger è così insolita. Fréger, senza violare i suoi soggetti con l'obiettivo, ci offre una visuale intima quasi tormentata degli esseri umani che si trovano dietro uniformi disegnate non solo per impressionate i nemici, ma anche per disumanizzare chi le indossa, che è lo scopo fondamentale di tutte le uniformi." Dalla prefazione di Prosper Keating.
C’est avec la garde royale anglaise, qu’il engage Empire, série ample qui amène le photographe, au cours de trois années, à traverser 16 pays ou principautés d’Europe à la rencontre de 31 régiments. Aux Royal Horse Guards, Queen’s Life Guards et Grenadiers succèdent rapidement les figures majeures des gardes danoise et suédoise, puis norvégienne, écossaise, belge, hollandaise, française, princière (Monaco), autrichienne, portugaise, espagnole, italienne, vaticane, saint marinoise et grecque.
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patti-campani · 7 years
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Prospettiva Nomade#02 IL RITRATTO  opere di  Luca Dimartino e Andrea Cataudella e La Nebbia, racconto dedicato di Luca Martini a cura di Patti Campani
«La vera vita è altrove», ha scritto Rimbaud, ma questo altrove è accanto a noi, a un millimetro da dove ci troviamo, ma parallelo al nostro sguardo. O retrostante. E ciò che è parallelo al nostro sguardo o retrostante non è visibile: per percepirlo ci vuole uno sguardo obliquo (…) - Di tutto resta un poco, Antonio Tabucchi
Per questo secondo appuntamento di Prospettiva Nomade Andrea Cataudella e Luca Dimartino hanno realizzato un progetto dedicato a Il Ritratto decidendo di declinarlo insieme, unendo la propria personale ricerca attraverso una sorta di visione pluriprospettica che superasse i significati precipui dei singoli media, pittura e fotografia. Come se ci invitassero a stringere il campo focale sulla costante memoria involontaria che ci prende ogni volta che ci troviamo di fronte al ritratto di uno sconosciuto e, non meno, sul significato stesso del ruolo attribuito al soggetto ritratto. La doppia presenza dei ritratti pittorici di Andrea Cataudella, varie identità compreso l’autoritratto, e di quelli fotografici di Luca Dimartino dedicati tutti ad un unico soggetto - lo stesso Cataudella - si intrecciano in un continuo rimando di sguardi, significati e momenti. Memoria, sogno, visioni si rapportano con il qui e ora, con la faticosa elaborazione artistica, con il documento possibile o impossibile, senza per questo rinchiudere i mezzi espressivi utilizzati in campi separati e definitivi, mettendoli anzi in un continuo e sottile scambio di ruoli. Le tele realizzate da Cataudella, per esempio, sono ritratti fantasmatici, come lui stesso li definisce, ed hanno un legame evidente con la realtà spettrale che fin dalla sua nascita ha accompagnato la fruizione dell’immagine fotografica. Volti che affiorano dall’oscuro, presenze mai completamente definite, impressioni fugaci della retina – pellicola. Ed anche le visioni doppie, che si riferiscono dichiaratamente alle stereoscopie in uso alla fine dell’ottocento e che Luca Dimartino inserisce tra i ritratti singoli, ci suggeriscono ulteriormente  la possibilità del riconoscimento di una identità ponendo in questo senso l’accento sulle differenze, contraddizioni?, tra le due immagini associate, quasi a negare un ruolo documentativo e certo all’immagine fotografica, allargandone il campo alla ricerca artistica, cui si rimanda costantemente nelle opere di Dimartino. Così il campo della visione in questa mostra è continuamente attraversato da punti di eterogeneità e di frammentazione, pur essendo un corpo unico, e per questo turba - come un orologio che segna più ore allo stesso tempo – ibidem, A.Tabucchi Pur affiancate le opere restano tra di loro in comunicazione asincrona, anche di poco, ma tanto basta. Questa duplice modalità narrativa crea indubbiamente una visione d’insieme perturbante e lo straniamento è dato dai differenti sguardi che, paralleli, ci rendono quello obliquo, necessario per raggiungere ciò che è latente, interiore più che ulteriore. Una sorta di “sguardo ritornato” che evidentemente non è da associare alla visione puramente speculare bensì al rimando, a quello sguardo che ci pone di fronte al quesito in merito a chi sia o possa essere considerato il soggetto della visione.
Della mostra è parte integrante il racconto dedicato da Luca Martini - La nebbia – 
Patti Campani, novembre 2017 fino al 10 febbraio 2018 Fiorile+Tatler , via Rialto 29/2 Bologna dal lunedi al sabato, dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19 chiuso il  giovedi pomeriggio e i  festivi
La mostra è parte del progetto Prospettiva Nomade, a cura di Patti Campani. La rassegna, che si svolge nel corso della stagione 2017/2018 nello spazio espositivo di Tatler - Gianfranco Salomoni - vede la partecipazione di cinque artisti, cinque fotografi e cinque scrittori.
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fashionbooksmilano · 5 years
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Sorolla
Giardini di Luce
a cura di Tomàs Llorens, Blanca Pons-Sorolla, María López Fernández e Boye Llorens Saggi di Blanca Pons-Sorolla, Tomàs Llorens, María del Mar Villafranca Jiménez, Ana Luengo e David Ruiz López Introduzioni di sezione di María López Fernández e Boye Llorens
Fondazione Ferrara Arte, Ferrara 2012, 200 pagine, ISBN  9788889793343
euro 35,00
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Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 16 marzo - 17 giugno 2012. Granada, Museo de Belllas Artes, 29 giugno - 14 ottobre 2012. Madrid, Museo Sorolla, 29 ottobre - 5 maggio 2013.
Joaquín Sorolla è una delle personalità artistiche più affascinanti del panorama spagnolo in quel periodo cruciale segnato dalla diffusione dell'impressionismo e del simbolismo. Protagonista della Belle Epoque, celebrato ritrattista accanto a Sargent e Boldini, fu un maestro nel restituire sulla tela l'incanto della luce, con una pittura immediata e allo stesso tempo sapiente, che guarda alla lezione di Velázquez oltre che al paesaggismo nordico e francese dell'Ottocento. Per la prima volta in Italia, nel 2012 Palazzo dei Diamanti rende omaggio a questo grande artista con una mostra dedicata alla produzione della maturità. In questa fase della sua carriera, Sorolla è all'apice della notorietà e inizia a creare, soltanto per se stesso, opere di sorprendente modernità che hanno come tema privilegiato il giardino. Ad accogliere il visitatore è una suggestiva sequenza di ritratti di famiglia nella cornice di giardini con fontane, del 1906-07, capolavori nei quali le figure si fondono con l'atmosfera sfavillante di pennellate di colore puro o sembrano assorbite da un gioco di riflessi. Di fondamentale importanza nell'evoluzione del suo percorso artistico è l'incontro con l'Andalusia, come testimoniano i dipinti creati a più riprese dal 1908 al 1918. Quella terra, la sua cultura millenaria e la poesia delle sue architetture segnano profondamente l'immaginazione di Sorolla e concorrono ad ispirare la nascita di una poetica del silenzio e di una cifra stilistica personale ricca di risonanze simboliste. L'entusiasmo del pittore di fronte alla visione dell'Alhambra di Granada e della Sierra Nevada traspare dalle imponenti vedute della fortezza e dai cristallini scenari della catena montuosa, nei quali egli sperimenta una luce del tutto nuova e una pittura più essenziale. Anche le donne andaluse catturano la sua attenzione offrendo materia per visioni intime e raccolte o per messe in scena con tagli fotografici.
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saggiosguardo · 8 years
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Recensione Fujifilm X-T2, lo stato dell’arte di Fujifilm
Torniamo a parlare di Fujifilm dopo pochi mesi dalla recensione della X-Pro2. Quella che analizzeremo di seguito è una macchina fotografica che fin da subito si è posta sotto i riflettori per quello che sarebbe potuta essere, ovvero la Regina della Mirrorless APS-C: la Fujifilm X-T2. Nel corso della recensione ho cercato di spremerla a fondo nelle situazioni più disparate, provando a tirare fuori tutto il potenziale di cui dispone. Vi posso anticipare che sa davvero stupire il fotografo che la usa e che i "difetti" che leggerete nelle conclusioni, sono in realtà semplici annotazioni, piccolezze che non vanno minimamente ad incidere sul giudizio finale. La X-T2 si è rivelata essere un buon successo commerciale e, nei primi mesi della commercializzazione, è stata praticamente introvabile, segno che la filosofia alla base di questo sistema X di Fujifilm piace a tutte le tipologie di utenti, compresi ovviamente i professionisti. In rete si sono moltiplicate le testimonianze di chi ha convertito il proprio corredo reflex “tradizionale” (di Canon e Nikon in primis) passando in un sol colpo a Fujifilm. Io sono più moderato, conservo con grande affezione la mia 5D MK III, ma sono sincero quando dico che per la prima volta non sento il desiderio di prendere il nuovo modello Canon (la 5D Mark IV), e non perché non sia davvero la 5D perfetta (anzi è davvero bella) ma perchè dopo anni di sostanziale indifferenza verso il mercato mirrorless, ho iniziato a vedere i reali vantaggi che questo approccio comporta. Ma alla faccia della mia moderatezza, appena il corriere mi ha consegnato il pacco con la X-T2 e il 16-55 f/2.8 (più altri accessori), l’ho eletta a primo corpo e mi sono costretto ad usarla negli eventi di dicembre come unica fotocamera, perché anche se ci fossero stati dei problemi o delle incertezze, avrei dovuto cavarmela per portare a casa il lavoro. Non voglio annoiarvi oltre con questa premessa ma devo aggiungere che, data l’estrema condivisione di elementi e funzionalità tra questa e la X-Pro2, mi soffermerà meno su argomenti già trattati nella precedente recensione e che sono uguali nelle due macchine, come ad esempio il menu.
Caratteristiche principali
La X-T2 vanta una serie di specifiche da prima della classe: il sensore è un unità X-Trans III da 24,3MP in formato APS-C (fattore di crop di 1,5x) capace di acquisire foto fino a 14 fps e video fino al formato 4K/30fps; la sensibilità ISO va da 200 a 12800 ed è espandibile fino a 100ISO in basso e 51200 in alto, dispone di un otturatore meccanico fino a 1/8000s ed elettronico fino a 1/32000s, l’AF è per ricerca di contrasto e per rilevamento di fase e conta ben 325 punti (nella configurazione 25x13) e grazie a questo si espande fino a ricoprire quasi l’intera area del fotogramma, anche se la zona più sensibile è quella che ricopre la parte centrale del fotogramma; inoltre dispone di molte opzioni per l’AF continuo che analizzeremo nel paragrafo dell’AF. Il mirino è un’unità OLED da 2,36 milioni di punti, mentre lo schermo LCD dispone di 1,040 milioni di punti ed è doppiamente incernierato. È presente il Wi-Fi, la connessione USB 3.0, l’uscita HDMI e le connessioni per cuffie, microfono e SYNC Flash. Il peso con batteria e scheda di memoria è di 507g.
Corpo ed ergonomia
La X-T2 è una macchina compatta, misura infatti 132,5 x 91,8 x 49,2mm ed è molto leggera perché costruita in lega di magnesio che la rende anche molto robusta. Il corpo è tropicalizzato e tutte le chiusure e gli sportellini hanno le guarnizioni a protezione da schizzi e polvere; per avere però la tropicalizzazione completa bisogna utilizzare gli obiettivi che recano la sigla WR. Per quanti avessero le mani grandi (come me) è disponibile il battery grip VPB-XT2 che aumenta le dimensioni generali della macchina, aggiunge 2 batterie (portanto il totale a 3 batterie utilizzabili contemporaneamente), oltre a replicare i principali comandi di scatto nell’uso in verticale; inoltre, dato il curioso design, aggiunge uno spessore all’area grip dedicata alle dita che reggono la fotocamera; credo sia la prima volta che c’è un simile design per questo tipo di accessori e infatti è stato argomento di discussione fra alcuni di noi che l'hanno provato. A me non reca alcun fastidio, anzi, lo gradisco, ma lo scalino non è ad esempio piaciuto a Maurizio, che ne ha parlato nella puntata 18 di PixelClub
L’impugnatura è ben prominente e si tiene con una sola mano senza problemi. L'abbinamento ideale per questa fotocamera è con ottiche fisse, come il 35 f/1,4 e similari, mentre con quelle più ingombranti tende a sbilanciarsi inevitabilmente verso l’obiettivo.
Paragonandola con la macchina che è andata a sostituire nel mio corredo (la 5D Mark III) la Fujifilm X-T2 è più piccola su tutti i fronti, ma il vantaggio maggiore si ha nella profondità, che è praticamente la metà della 5D. Sarei però disonesto a paragonare queste 2 macchine così come sono, perchè la 5D mi consente di iniziare un evento e di portarlo a termine fino a sera inoltrata con una sola batteria mentre nello stesso tempo ho la necessità di cambiare 3 batterie sulla Fuji, quindi ho pensato di fare il paragone utilizzando anche il Vertical Power Booster Grip su quest'ultima.
A destra la X-T2 con Vertical Power Booster Grip
Nella foto sovrastante possiamo notare la stranezza della situazione: La X-T2 è più alta della 5D, anche se tutte le altre misure sono invariate (tranne un leggero incremento della profondità). Messe così le macchine sono quasi identiche a livello di confort di impugnatura e durata della batteria ma la Fuji, nonostante questo paragone improprio, mantiene dalla sua ancora il primato del peso, inferiore di ben 400g rispetto alla 5D (2000g vs 1630g) ma bisogna anche considerare che così composta la X-T2 ha la possibilità di scattare comodamente in verticale ed arrivare a 14fps di raffica.
Ho provato ad utilizzarla con il battery grip, ma vi confesso che se non ho la necessità di scattare tanto in verticale e non necessito della raffica da 14fps (mi accontento degli 8fps), preferisco avere 1 o 2 batterie di riserva in tasca e tenere il collo più leggero (il VPB con 2 batterie pesa ben 370g).
X-T1 vs X-T2: scova le differenze
I paragoni con i modelli precedenti sono sempre molto interessanti e devo dire che se si guardano le 2 Fuji qui sopra è davvero difficile capire quale sia il nuovo modello. Ho volutamente cancellato la sigla per proporvi un giochetto: qual è la X-T2? Difficile vero? Le dimensioni del corpo sono quasi sovrapponibili e ci sono solo alcuni dettagli che le differenziano: la X-T2 è leggermente più alta, cambia di pochissimo la curvatura dell’area di grip frontale e le torrette degli ISO e dei tempi sono più grandi.
Display e mirino
Il display della X-T2 è un LCD da 3" con risoluzione di 1,040MP e dotato di un ottimo livello di luminosità (regolabile). Non dispone di funzionalità touch, ma in compenso è montato su un meccanismo particolare bi-articolato. La prima inclinazione possibile è quella tradizionale, che va da 90° verso l'alto a 45° verso il basso (niente ribaltamento per i selfie, quindi).
La particolarità risiede nella seconda articolazione che viene sbloccata tramite una leva posta a sinistra del display e permette una inclinazione verso destra di circa 70 gradi. In una prima fase non mi spiegavo benissimo il senso di questa cosa, ma poi ho avuto la possibilità di apprezzarne l’estrema utilità nel corso di questo Natale, quando ho realizzato molti set fotografici per i bambini e mi è stata di grande aiuto per scattare ritratti in verticale abbassando solo la fotocamera.
La X-T2 ha quello che credo essere il miglior mirino elettronico fra tutte le mirrorless in commercio: è ampio (ingrandimento di 0,77x eq. 35mm) risoluto (2,36MP) e veloce (60 fps che diventano 100 fps in modalità Boost). Inoltre è capace di visualizzare numerose informazioni (personalizzabili), è ben luminoso ed ha una copertura del 100% del fotogramma: è davvero difficile richiedere qualcos’altro.
Controllo, impostazioni, menu
Il sistema X di Fuji è famoso, fra le altre cose, per aver riportato la ghiera dei diaframmi nel posto che più le si addice: sul barilotto dell’obiettivo. Questa affermazione è vera per tutti gli obiettivi, ma mentre per i fissi e gli zoom con apertura costante troviamo una ghiera “classica” con le varie aperture e scatti di 1/3 di stop fra le stesse, negli zoom con luminosità variabile abbiamo una ghiera non graduata ma che comunque assolve al suo compito. Inoltre in questa macchina abbiamo anche la torretta dei tempi, quindi un approccio alla fotografia che potremmo definire classico: imposti gli ISO, selezioni il tempo, selezioni l’apertura, metti l’occhio nel mirino e scatti. In realtà si possono sfruttare automatismi praticamente per ogni parametro e le funzioni sono davvero molte, ma ciò che colpisce è proprio questo approccio visuale alle impostazioni principali. Ovvero basta un colpo d’occhio alla fotocamera per capire tutti i parametri attivi e si è sempre pronti a fotografare. Approfondendo le funzionalità di controllo si scopre che tutti i pulsanti disposti sul corpo macchina sono personalizzabili (tranne cestino, play, Q, menu e back) quindi possiamo impostare i pulsanti secondo le opzioni che usiamo più spesso. Io ad esempio ho modificato il pulsante Fn con l'opzione per il rilevamento del volto, Fn2 con Drive e su AE-L ho le impostazioni dell’autofocus continuo. Tutto questo unito al quick menu (anch'esso personalizzabile) fa si che l’utente non debba praticamente mai andare a scorrere le voci del menu principale, se non per spostare delle impostazioni particolari (ad esempio per il flash o per il video(.
La X-T2 ha una buona disposizione dei comandi e, una volta programmata per le proprie esigenze, si riesce a compiere gran parte delle operazioni senza passare dal menu, anche quelle non proprio comuni. Guardandola frontalmente, partendo dal basso a destra e girando in senso antiorario, abbiamo il selettore della modalita AF (AF-singolo, continuo e MF), il connettore SYNC, la luce di assistenza alla MAF, il pulsante Fn2, la ghiera cliccabile frontale e, in basso, il pulsante per sganciare l’obiettivo.
Guardando la fotocamera dall’alto, partendo da sinistra abbiamo la ghiera per la selezione degli iSO (da 200 a 12800 in passi da 1/3 e modalità L, H e Auto) ed in asse con questa c’è una seconda ghiera, attivabile con l’indice sinistro, che permette di selezionare il metodo di avanzamento: video, bracketing, raffica veloce, lenta, scatto singolo, esposizione multipla, filtri avanzati e panorama. Sulla parte sinistra della torretta dove risiede il display OLED notiamo la piccola ghiera per l’aggiustamento del piano focale per il mirino; sulla parte destra troviamo il pulsante per la selezione del display (display, mirino, off e sensore occhi che effettua lo switch automatico) mentre al centro della torretta c’è la slitta per il flash. Procedendo verso destra abbiamo la ghiera dei tempi che va da 1 a 8000 (da 1s a 1/8000s) e dispone delle opzioni Auto, posa B e T (selezione dei tempi tramite ghiera frontale cliccabile). Per non farci mancare nulla, in asse alla torretta dei tempi troviamo il selettore del metering, attivabile sulle posizioni spot, media pesata al centro, valutativa e media complessiva. Entrambe le torrette hanno un pulsante di blocco a 2 posizioni, ovvero è possibile lasciarle bloccate (o sbloccate) premendo il pulsante posto al loro centro. Continuando ancora c’è il pulsante di scatto che in asse ha lo switch per l’accensione ed è anche forato e filettato per l’inserimento di uno scatto a vite di tipo tradizionale. Il pulsante Fn è assegnabile liberamente (di base ha la selezione del riconoscimento del volto) e all’estremità destra è presente la ghiera di compensazione che va da –3 a +3 EV con scatti da 1/3 e il modo C che consente la selezione tramite ghiera frontale e porta la compensazione dell’esposizione da –5 a +5 EV.
Il retro della X-T2 è pulito ed ha una buona quantità di pulsanti disposti ordinatamente lungo la cornice del display. Se cominciamo l’analisi dall’estremità superiore sinistra, abbiamo il pulsante cestino, quello per la riproduzione delle immagini, il mirino OLED sotto al quale è posto il sensore di rilevamento di prossimità dell’occhio, il pulsante per il blocco dell’esposizione (personalizzabile), la ruota cliccabile utilizzata per molteplici funzioni e il pulsante per il blocco della MAF (anch’esso personalizzabile). Scendendo troviamo il pulsante per l’accesso al menu rapido (Q), il joystick a 8 direzioni cliccabile (utilizzato principalmente per la selezione del punto di MAF), un pad a pulsanti separati completamente assegnabili dalle impostazioni (set up/impostazioni pulsanti ghiere/impost. puls. Fn/AE-L/AF-L) utilizzato anche per la navigazione; infine c’è il pulsante DISP BACK che consente di tornare indietro nei menù e cambiare le visualizzazioni del display (dettagli/visualizzazione standard/solo immagine).
Il menu della X-T2 è progettato abbastanza bene, è di facile consultazione ed è ben diviso nelle varie sezioni. Probabilmente si potrebbe rinfrescare un po' il Quick Menu, specie per i modelli che possiedono il touch screen, ma forse è una cosa che verrà fatta quando ve ne saranno un numero maggiore. Le etichette sono chiare e la traduzione accurata, il menu è ramificato in verticale con le varie opzioni ulteriori disposte in orizzontale. La ramificazione per alcune voci non principali è eccessiva ed è inoltre di tipo continuativo: se si scende verso il basso si rischia di cambiare area di competenza senza nemmeno accorgersene. È possibile creare una voce di menu che contiene 9 opzioni fra quelle che utilizziamo più spesso e questa scheda sarà la prima a comparire quando si preme il tasto menu.
AF - Messa a fuoco
L’AF è una delle sostanziali differenze tra la X-T2 e la X-Pro2 (anche se molte funzionalità sono state portate su quest’ultima grazie ad un aggiornamento firmware) ed è anche uno dei punti di forza di questa macchina. Partendo dalle specifiche tecniche, abbiamo un motore con 325 punti, l’area più sensibile è quella che copre il centro del fotogramma ed è a rilevamento di fase e contrasto, mentre le aree a sinistra e a destra sono solo per rilevamento di contrasto. Si può selezionare la grandezza della griglia (13x7 oppure 25x13) tramite il menu (impostazione AF MF/numero punti messa a fuoco) e abbiamo la possibilità di scegliere il punto singolo, l’area o la zona estesa.
La selezione del punto di MAF avviente tramite il comodo joystick, azionabile con il pollice destro, mentre ad una pressione dello stesso corrisponde la visualizzazione di tutta la griglia e ad una seconda il posizionamento centrale. Durante la visualizzazione della griglia è inoltre possibile scegliere la grandezza del punto o dell’area tramite la rotella posteriore. L’AF si comporta bene e riesce ad agganciare i soggetti anche in ambienti molto scuri, soprattutto nelle aree ibride. Il tasso di fallibilità è davvero molto basso, quando il fuoco è confermato è difficile che la foto non sia effettivamente a fuoco. Ho provato a scattare in controluce, luce radente senza paraluce, al buio, o in situazioni a basso contrasto, i risultati sono stati ottimi. Credo di aver portato a casa solo 10 foto sfocate durante tutto il periodo di prova (che è durato oltre 2 mesi).
L’area su cui Fujifilm ha lavorato di più è però l’AF continuo. Possiamo selezionarlo ruotando il selettore frontale sulla lettera C e impostare le proprietà di tracciamento tramite il menù Impostazione AF MF/Impost. Personalizz. AF-C. Qui troveremo 5 modalità preimpostate, adatte per la maggior parte degli scenari ipotizzabili, ed una personalizzabile in toto. In particolare abbiamo le impostazioni
multifunzione, che si adatta automaticamente alla maggior parte delle situazioni;
che segue il soggetto cercando di evitare gli ostacoli che si pongono fra noi e lui;
ottima per fotografare i soggetti che effettuano brusche accelerazioni o decelerazioni;
configurata in modo da essere sensibile ai soggetti che si presentano improvvisamente nel fotogramma;
utile per le foto sportive di soggetti in movimento costante. che accelerano e decelerano improvvisamente.
Nelle prove che ho effettuato ho potuto constatare che quando agganciamo il soggetto (e buona parte di questo compito tocca al fotografo) la X-T2 lo mantiene a fuoco per tutta la durata dell’inseguimento. Ho testato le varie impostazioni a disposizione e, scegliendo quella più corretta per l’uso che vogliamo farne, si ottengono risultati eccellenti. In media direi che il 90% delle foto scattate vengono a fuoco.
Un breve cenno anche agli aiuti per la MAF manuale: selezionando la leva frontale su M sarà possibile usare la ghiera MF dell’obiettivo per mettere a fuoco. Fujifilm ha inserito gli aiuti nel menu/impostazione AF MF/assist MF e menu/impostazione AF MF/controllo fuoco. La prima voce permette di selezionare fra l’immagine divisa (a colori o bianco e nero) e il focus peaking (bianco, rosso o blu con alto e basso per ogni colore), mentre la seconda voce fa sì che non appena si tocchi la ghiera di MF l’immagine venga zoomata sul punto di MAF selezionato.
Sempre parlando della messa a fuoco manuale, è degna di nota la voce di menu/impostazione AF MF/scala profondità di campo, selezionabile su due voci: basato su pixel e basato sulla pellicola. Questa non ha effetti sulla foto ma sulla precisione dell’iperfocale visualizzata. Selezionando la voce “basato su pixel” avremo una rappresentazione del valore di iperfocale sulla scala delle distanze calibrata sui pixel della fotocamera,  mentre selezionando “basato su pellicola” vedremo che l’area di iperfocale sarà più estesa di circa 4 stop, ovvero simulando i calcoli che si facevano tenendo presente l’uso delle 35mm a pellicola.
Drive - Scatto continuo
Fujifilm ha dotato la sua ammiraglia di ottime doti velocistiche per quanto riguarda lo scatto continuo e di tante impostazioni per quel che riguarda la modalità di avanzamento. Per selezionarle è sufficiente agire sulla ghiera posta alla base della torretta degli ISO, dove si trovano le seguenti opzioni (partendo da sinistra):
filmato: che configurerà la X-T2 per girare dei video e il pulsante di scatto avrà la funzione di pulsante rec;
bracketing (BKT): in questa modalità avremo la possibilità di effettuare 3 scatti a forcella variando l’impostazione desiderata tramite il pulsante Fn2 (quello frontale) o tramite menù se il pulsante fosse stato rimappato; nel menù del bracketing possiamo selezionare il tipo (di esposizione, di ISO, di simulazione film, di WB oppure di gamma dinamica) e variare per ognuno di essi i parametri della forcella (l’AE arriva a +/- 2EV con scatti da 1/3);
scatto continuo veloce (CH): la cui impostazione è selezionabile, sempre tramite il pulsante Fn2, su 8 fps, oppure su 11 o 14 se si installa il battery grip.
scatto continuo lento (CL): la cui velocità è selezionabile tra 3, 4 e 5fps;
scatto singolo (S): che non dispone di altre opzioni;
esposizione multipla: che consente di fondere insieme 2 scatti per creare una singola foto, durante la seconda esposizione è possibile vedere in anteprima l’effetto sovrapposto.
filtri avanzati: che consente di creare delle foto (solo in formato JPG) utilizzando dei filtri presenti in camera; gli effetti disponibili sono: Toy camera, miniatura (simulazione effetto tilt-shift), colore pop, high key, low key, toni dinamici, soft focus, colore parziale (rosso, arancio, giallo, verde, blu, viola);
panorama: qui possiamo selezionare l’ampiezza del panorama, tra Panorama M e Panorama L (largo), premendo la freccia sinistra del pad (etichettata come angolo) oppure modificarne la direzione premendo la freccia destra del pad; il panorama viene creato a partire dagli scatti multipli effettuati (il rumore dell’otturatore ci accompagnerà lungo tutta l’esecuzione), e non da un filmato come avviene per molte altre fotocamere, ed il risultato sarà unito insieme in un unico JPG.
  Andiamo ora ad analizzare la raffica della X-T2. Come già detto in varie parti della recensione, la velocità massima dello scatto continuo è di 14fps, questa però si ottiene solo utilizzando il VBP-XT2 e l’otturatore elettronico. passando all’otturatore meccanico, ma sempre con il battery grip inserito, la raffica scende a 11fps. Senza il battery grip ci si attesta invece su 8fps. Per il test ho utilizzato una scheda Lexar SDXC UHS-II da 64GB e 150MB/s inserita nello slot 1, e verranno analizzati solo i dati relativi ai 14fps, 11fps e 8fps. Con la velocità di 8fps in RAW+JPG si ottengono 24 scatti, in RAW 25 scatti ed in JPG gli scatti sono praticamente infiniti (mi sono fermato dopo 156).
Innestando il battery grip ho registrato 11fps con i seguenti risultati per il buffer: RAW+JPG 23 scatti, RAW 24 scatti e JPG 112 scatti dopo i quali scende a circa 2,5fps. Sempre con il battery grip innestato passiamo all’otturatore elettronico e quindi otteniamo 14fps; purtroppo il rumore emesso dall'otturatore elettronico è difficilmente indicativo e quindi non disponiamo di un grafico, ma questi sono i risultati per il buffer: RAW+JPG 22 scatti, RAW 24 scatti e JPG 46 scatti, dopo i quali il frame rate risulta variabile tra 5 e 10 fps a seconda dello stato del buffer.
Metering - Esposizione
La X-T2 è dotata di un efficace sistema di metering, che se la cava abbastanza bene in quasi tutte le situazioni. In genere tende a conservare un po' troppo le luci, sottoesponendo di circa 1/2 stop, qualunque sia il metodo di misurazione attivo. La selezione del metodo avviene tramite il selettore posto alla base della torretta dei tempi, dove abbiamo 4 possibilità: misurazione spot (misura la quantità di luce nel punto centrale), media pesata al centro (fa una media della luce della scena dando però priorità al punto centrale), multi (misurazione intelligente che tiene conto della quantità di luce, del colore e della composizione) e media (che fa la media matematica della luce presente nella scena).
La gamma dinamica degli scatti in formato JPG si attesta sui 10 STOP in modalità Provia, ma per ottenere risultati migliori si può scegliere di scattare in RAW e possiamo recuperare informazioni sia dalle ombre che dalle luci come nello scatto di prova inserito qui in alto. L’apertura delle ombre non comporta un eccessivo aumento del rumore cromatico e di luminanza ed anche le luci si riescono a recuperare bene, mostrando informazioni che nel JPG risultavano inesistenti.
WB - Bilanciamento del bianco
Il bilanciamento del bianco automatico della X-T2 è generalmente molto buono, io lo utilizzo praticamente sempre, scattando esclusivamente in RAW, ma ho notato che in alcune situazioni tende a restituire risultati differenti sulla stessa scena; vi faccio un esempio: quando faccio le foto con i parenti tendo ad eseguire 4 o 5 scatti della stessa scena per evitare di trovarmi con persone con gli occhi chiusi o smorfie indesiderate e a volte trovo delle divergenze sia nella temperatura colore che nella tinta. Mi sembra che questa problematica si verifichi più spesso utilizzando la modalità boost senza il battery grip, ma non lo fa sempre. Come per la sorella X-Pro2, anche questa macchina ha una buona dose di preset del WB che, oltre al modo automatico, includono la selezione della temperatura colore, la luce diurna, ombreggiatura, fluorescente 1, 2 e 3, incandescenza, subacqueo e 3 modi personalizzati: per ogni modalità, premendo il tasto centrale del pad, possiamo spostare il bilanciamento del bianco su un grafico R/B a 2 assi.
Flash
La X-T2 non possiede un'unità flash integrata nel corpo ma viene fornita con il piccolo EF-X8 che va montato tramite la slitta posta sopra al mirino. Le impostazioni sono tutte racchiuse nella scheda del menù impostazioni flash, e consentono di scegliere la funzionalità TTL, M (manuale, la potenza va selezionata manualmente), commander (utile per pilotare altri flash) e off. La modalità TTL può essere regolata su 3 opzioni ovvero Auto (il flash scatta solo se c’è la necessità di ulteriore illuminazione), standard (il flash scatta sempre se è carico, la luminosità viene calcolata in TTL) e sincro lenta (utile ad esempio per ritratti serali realizzati con tempi lenti); inoltre è possibile impostare la sincronizzazione del flash con la prima o la seconda tendina e attivare la funzionalità di rimozione degli occhi rossi.
La X-T2 possiede anche il contatto Sync per i flash da studio o per collegare vecchi flash. Contrariamente ad altre macchine (come ad esempio la GH4) la X-T2 non adegua il proprio funzionamento quando colleghiamo un flash non TTL, ma bisogna andare nel menù/set up/impostaz schermo/antepr. esp./bil. bianco in mod. man e selezionare Off o Ant. bil. bianco per disattivare la simulazione dell’esposizione ed avere la scena corretta visualizzata sul display. Senza questo passaggio l'anteprima sarà molto scura e risulterà difficile impostare l'inquadratura.
Qualità d’immagine e resa ad alti ISO
Ragionando sulla qualità di immagine a volte ci dimentichiamo che questa macchina ha un sensore APS-C, perché analizzando i file da 24MP otteniamo dei RAW corposi e pieni di informazioni (50MB per un file non compresso) o dei JPG in camera ben colorati e nitidi (13MB per file) che sembrano provenire da una macchina di ben altre prestazioni (la Canon EOS 5Ds da 50MP genera file RAW da 65MB). Scattare con le varie simulazioni pellicola (richiamabili velocemente tramite freccia sinistra del pad) è davvero appagante, a volte ho scattato in solo JPG proprio per godermi questa esperienza. La mia simulazione preferita è la Velvia, la uso praticamente per ogni foto che faccio all’esterno, mentre per le foto in interno vario dalla Classic Chrome all’Astia. È importante sottolineare che non sono profili così banali, in quanto volendone riprodurre il risultato manualmente su Lightroom, bisogna lavorare molto il file RAW.
La resa ad alti ISO è molto buona, il rumore cromatico è ben controllato fino a 3200 ISO, il rumore di luminanza è più somigliante alla grana della pellicola che al rumore digitale; generalmente i file JPG prodotti dalla camera sono privi di rumore fino a 6400 ISO, anche se tendono a diventare morbidi già a partire da 3200 ISO.
Lavorando con il formato RAW ci possiamo spingere oltre: esponendo bene la foto in fase di scatto, riusciamo ad utilizzare con soddisfazione anche file da 3200 ISO e, con un po’ di accortezza, pure quelli da 6400 ISO.
In caso di necessità abbiamo 3 ulteriori step di sensibilità: 12800, 25600 e 51200 ISO. Lavorando su una foto da 12800 ISO e convertendola in bianco e nero è possibile che il risultato sia ancora utilizzabile per piccole stampe o per il web, oltre questa soglia i rumori digitali diventano poco controllabili e la perdita di dettaglio e definizione è vistosa. Magari si possono usare con dei filtri di Instagram per stravolgere la natura della foto e postarla sul social network ma niente di più. Di seguito vi lascio una piccola gallery di foto scattate in ogni condizione con la X-T2.
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Andiamo ora ad analizzare anche il comportamento della X-T2 in studio con luce controllata. Le foto sono scattate in formato RAW+JPG, con la camera sul cavalletto controllata tramite l'applicazione per iPhone. Quelle in formato RAW sono state esportate senza applicare nessuna correzione ed impostando a 0 la riduzione di rumore per la luminanza e per i colori.
File Sensibilità JPG 100 200 400 800 1600 3200 6400 12800 25600 51200 RAW 100 200 400 800 1600 3200 6400 12800 25600 51200
Le immagini prodotte dalla X-T2 sono generalmente ben bilanciate e con pochissimo rumore cromatico da 800 a 3200 ISO, mentre per quanto riguarda il rumore di luminanza possiamo notare la sua presenza leggera sui file RAW a partire da 1600 ISO. Salendo negli ulteriori step notiamo un generale ammorbidimento delle immagini JPG e una presenza maggiore di rumore cromatico e di luminanza nei file RAW fino a 6400 ISO. Soffermandoci su questo che secondo me è il limite massimo per utilizzare un file dalla X-T2, partendo da una foto ben esposta e grazie ad un sapiente mix dei valori di correzione del rumore e di nitidezza dei dettagli in post produzione, si riescono ad avere dei file (e delle stampe) generalmente molto godibili. Gli ulteriori step nella scala degli ISO consentono di ottenere immagini buone per divertirsi con effetti e filtri o per l'uso sul web, sebbene non di rado si possa considerare l'uso dei 12800 ISO per portare a casa una foto ricordo. Le sensibilità 25600 e 51200 sono presenti per lo più per pareggiare i conti con le fotocamere della stessa fascia, ed hanno pressappoco la stessa utilità: nessuna.
Connessioni, memoria, batteria
Il lato sinistro presenta uno sportellino dietro al quale sono celate, partendo dall’alto, la presa da 3,5mm per il microfono, la porta microUSB 3.0, la porta micro HDMI e l’ingresso da 2,5mm per lo scatto remoto. Oltre allo sportellino che protegge le connessioni, qui possiamo notare la leva di sgancio del display.
Sul lato destro è presente lo sportellino che protegge i 2 slot per le schede SD (di tipo UHS-II); qui ho un dettaglio curioso: in tutte le altre macchine fotografiche in mio possesso, l’azione per sbloccare lo sportellino si esegue tirando verso di sé o lo sportellino stesso oppure una leva, mentre in questa Fuji l’azione è contraria e praticamente sempre mi trovo a dover ripetere l’operazione perché ormai la mia memoria muscolare mi suggerisce il movimento classico. Il doppio slot consente la memorizzazione sequenziale dei file sulle 2 schede, il backup automatico oppure il salvataggio RAW su una scheda e JPG sull’altra. Piccola nota: per i filmati non è possibile utilizzare il backup né la scrittura sequenziale, dovremo semplicemente scegliere su quale scheda salvare i filmati.
Analizzando invece il lato inferiore, abbiamo lo sportellino per la batteria, dove vi faccio notare un altro dettaglio curioso di questa Fuji: il gancio di sblocco è di colore arancione e sotto le batterie originali è presente un quadrato (o cerchio) arancione che va allineato con questo. Un semplice ma molto efficace metodo per inserire la batteria nel verso giusto. Spostandoci oltre c’è l’ingresso per l’attacco al cavalletto ed una connessione (protetta da uno sportello in gomma removibile) che serve per far comunicare la X-T2 con il proprio battery grip. La durata della batteria dichiarata dalla casa è di circa 340 foto (in modalità normale). Nella mia breve esperienza posso confermare questa durata ed estenderla anche ad oltre 400 scatti a seconda del modo di utilizzo. Per quanto riguarda l’eventuale innesto di battery grip con le 2 batterie aggiuntive, secondo Fuji l’autonomia passa a 1000 scatti, ma penso sia superiore perché durante le giornate d’uso non sono mai arrivato oltre gli 800 scatti e avevo ancora una batteria completamente carica.
Faccio una piccola menzione anche per il VPB-XT2 che è il più particolare grip che io abbia mai visto a partire dalla strana sagomatura che aggiunge uno spessore al grip frontale della X-T2. La connessione con il corpo macchina avviene meccanicamente tramite l’aggancio treppiedi ed elettricamente tramite un connettore proprietario a 25 poli. I pulsanti non sono messi esattamente come sul corpo principale e dispone inoltre di uno switch a due vie per la selezione della modalità (normal o boost). In asse con il pulsante di scatto vi è un selettore che permette di bloccare tutti i pulsanti ed in questo modo viene usato praticamente solo come riserva di energia per la X-T2. Sul lato sinistro abbiamo l’accesso alle batterie e uno sportellino in gomma che protegge l’uscita per le cuffie (da 3,5mm) e l’ingresso per l’alimentatore nel caso vogliamo alimentare o caricare le batterie senza usare il caricabatterie fornito. Un ultimo dettaglio è proprio nella slitta delle batterie: queste sono poste una di seguito all’altra e i vani sono etichettati come L (left, sinistra) e R (right, destra). Sembra un dettaglio inutile ma quando si scatta con il battery grip inserito, sul display compare lo stato di tutte le batterie con L ed R, così possiamo cambiare solo quella effettivamente scarica.
La X-T2 mantiene le stesse funzionalità wireless della X-Pro2, ovvero una connessione Wi-Fi stabile e funzionante, ma che ha dei limiti nel software fornito a corredo. Le funzioni selezionabili dall’app (disponibile per Android e iOS) sono:
Telecomando (include uno schermo remoto)
Ricevi (permette di ricevere le immagini dalla X-T2)
Cerca fotocamera (che mostra le foto già scattate dalla X-T2)
Geotagging (include le coordinate GPS nelle foto)
Purtroppo restano i difetti legati all’app che non permettono il passaggio da una funzione all’altra senza disconnessione, la mancanza di una modalità orizzontale e di una modalità solo monitor. I pregi invece sono il completo controllo delle opzioni relative allo scatto (apertura, tempo, ISO, WB, flash e autoscatto), la velocità e la quasi totale assenza di lag durante la connessione. Non possiamo però cambiare parametri come l’AF, la risoluzione di foto e video o il metering, quindi ci sono ancora molti aggiustamenti da fare ma in linea di massima è una funzione utilizzabile.
Video
Un altro aspetto che è molto migliorato rispetto alla X-Pro2 è quello dei video. Qui abbiamo più opzioni, un AF continuo nettamente superiore ed è arrivata anche la risoluzione 4K a 30fps. Innanzitutto la X-T2 dispone di un modo video separato dal lato foto, attivabile spostando tutto a sinistra il selettore del metodo drive, le opzioni relative ai filmati sono poche e tutte racchiuse nel menu filmato:
Risoluzione del filmato
Modalità AF
Display info su uscita HDMI
Uscita filmato 4K
Controllo registrazione HDMI
Regolazione livello microfono
In pratica possiamo regolare la risoluzione fra la 4K (2160p), FullHD (1080p) e HD (720p) con un framerate di 59,94 o 50fps (solo FullHD e HD) e 29,97/25/24/23,98 per tutte le modalità. L’AF è selezionabile tra la modalità multi (scelta automatica della MAF) e la modalità Area (scelta della zona di MAF tramite joystick, la zona è modificabile durante la registrazione). I file 4K possono essere salvati direttamente su SD oppure inviati tramite HDMI ad un registratore esterno, ma è solo tramite quest’ultima modalità che è possibile registrare in F-Log; inoltre l’uscita HDMI può essere utilizzata anche per visualizzare le informazioni su un monitor esterno e qui può tornarci utile l’opzione display info HDMI. Il microfono interno può essere regolato su 20 livelli, ma non possiede una modalità automatica; i vu meter sono visualizzati sul display ma non c’è un modo veloce per adattare il volume di registrazione all’ambiente se non quello di stoppare la registrazione e passare per il menu. Inoltre il microfono integrato non è qualitativamente adeguato, quindi consiglio l’uso di quelli esterni come l’ottimo VideoMic Pro Rycote.
Guardando i video generati, ci rendiamo conto che la qualità è generalmente molto alta (FullHD da 100Mbps), tiene bene il rumore fino a 2500 ISO ed è possibile utilizzare le simulazioni pellicola per donare un aspetto originale alle proprie riprese. Ho provato anche il formato 4K per verificare la bontà della risoluzione; il fattore di crop per i video 4K è di 1,17x (sul sensore APS-C) e il data rate è sempre di 100Mbps. Non ho potuto testare l’uscita HDMI e il profilo F-Log, ma per chi abbia interesse in tal senso segnalo che l’uscita è una 4:2:2 8 bit e che il profilo F-Log restituisce immagini flat con un'ottima gamma dinamica.
Conclusione
La Fujifilm X-T2 è senza dubbio la migliore mirrorless che io abbia mai provato, lo dico senza ombra di dubbio. Ha dei piccoli difetti, ma Fujifilm ha dimostrato di saper adeguare i propri prodotti con dei firmware update specifici e continuativi, conto quindi che verranno presto risolti. Le foto che scattiamo sono davvero ottime: in qualunque condizione io mi sia trovato, non è stato possibile mettere in difficoltà questa macchina. Lato video ha un grande potenziale, i filmati sono generalmente molto buoni, peccato solo l’impossibilità di utilizzare il profilo F-Log con la registrazione su SD. La buona autonomia (per il mondo mirrorless), il giusto feeling, l’ampia possibilità di personalizzazione, il grande (e qualitativamente valido) parco ottiche del sistema X la rendono perfetta per qualunque uso: street, fotografia di cerimonia, pubblicità, foto in studio, paesaggistica... ogni utente potrà spremere il meglio da questa macchina in base alle sue necessità. Il prezzo per il solo corpo è di 1630€ su Amazon e comprendo possa sembrare elevato rispetto alla concorrenza, ma credo sia proporzionale per la qualità e le funzionalità offerte. Ultima nota a margine: ho concluso questa recensione qualche settimana dopo aver riconsegnato la X-T2 e ritornare a lavorare di nuovo con la 5D Mark III è diventato incredibilmente pesante.
Vi segnalo una eccellente promozione in corso nel negozio Cine Sud Megastore, dove la Fujifilm X-T2 si può acquistare in questo momento a soli 1549,99€. Il prezzo è già di per sé ottimo ma lo è ancora di più se si considera che si tratta di fotocamere ufficiali italiane, essendo Cine Sud un Fujifilm Professional Dealer.
PRO  Ottima qualità di immagine  Resa ad alti ISO migliore della media  Maneggevole e leggera  Ampio parco ottiche Fujinon X  Buona possibilità di scelta dei formati video  Connettività completa Wireless/wired  Emulazione pellicole storiche Fujifilm  Messa a fuoco molto precisa  AF-C completo  Raffica veloce (vedi contro)  Corpo tropicalizzato contro polvere e schizzi d’acqua  Risoluzione e luminosità del display  Metering e WB precisi ed affidabili (vedi contro)  Doppio Slot SD (il principale è UHS-II)  Comodi aiuti alla MAF manuale (focus peaking e immagine divisa)  Porta Sync  Aggiornamenti firmware costanti
CONTRO Video F-Log solo su uscita HDMI Buffer migliorabile Display non è touch (ma per l'AF c'è il comodo joystick) WB non sempre costante durante scatti multipli in mod. boost Uscita cuffie non presente sul corpo (ma si ottiene con il Vertical Power Booster)
DA CONSIDERARE Scattando in modalità boost senza il grip, tende a scaldare nella zona in basso a sinistra L’autonomia è buona per una mirrorless, ma servono comunque altre batterie Flash non integrato (ma fornito a corredo) Fujifilm ci ha abituato ad importanti e costanti aggiornamenti firmware che tengono alto nel tempo il valore della macchina fotografica Il risveglio dalla modalità di risparmio energetico si ottiene solo premendo a lungo sul pulsante di scatto fino a metà corsa
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from Recensione Fujifilm X-T2, lo stato dell’arte di Fujifilm
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