Tumgik
#Adriano Sforzi
fashionbooksmilano · 9 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Glasstress
Adriano Berengo, Laura Mattioli Rossi, Rosa Barovier Mentasti, Francesca Giubilei, Giacinto Di Pietrantonio, Fausto Petrella, Tina Oldknow, Luca Beatrice
Charta, Milano 2009, 176pages, 149 illustrations in color 21,5x30,5cm, ISBN 9788881587438, English Edition
euro 42,00
email if you want to buy [email protected]
Relegato ad ambiti e utilizzi limitati, il vetro nel corso dei secoli ha dovuto esercitare grandi pressioni e compiere enormi sforzi per liberarsi dai cliché che lo hanno imprigionato in ruoli ben definiti. Il libro è un cannocchiale che mostra fino a dove si sono spinti i confini del vetro con il quale numerosi artisti contemporanei internazionali si sono rapportati e confrontati ottenendo risultati stupefacenti, di grande originalità e innovazione; un Nuovo Mondo, che ha liberato il vetro dalla sua identificazione in simbolo della tradizione. Il libro comprende opere di Louise Bourgeois,Joseph Kosuth e Kiki Smith tra gli altri. Evento collaterale della 53. Biennale di Venezia. Palazzo Franchetti, Venezia, June 5 - November 22, 2009
19/12/23
3 notes · View notes
micro961 · 6 months
Text
I campionati italiani di ciclismo paralimpico 2024 a Montesilvano
Le gare nazionali si disputeranno il 12 e 13 aprile e vedranno la partecipazione di oltre 150 atleti
Tumblr media
A poco meno di un anno dal Meeting Nazionale dei Giovanissimi, nel weekend torna a Montesilvano un’altra prestigiosa manifestazione tricolore dedicata al paraciclismo: i Campionati Italiani cronometro e strada. La manifestazione è stata ufficialmente presentata presso la sala consiliare del Comune di Montesilvano, alla presenza dell’assessore allo Sport Alessandro Pompei, del consigliere comunale Adriano Tocco, del CT della Nazionale Italiana di Paraciclismo Pierpaolo Addesi, del consigliere nazionale della Federazione Ciclistica Italiana Fabrizio Cazzola, del presidente del comitato regionale FCI Abruzzo Mauro Marrone e del presidente del comitato regionale CIP Abruzzo Mauro Sciulli.
I Campionati Italiani che si terranno in città il 12 e 13 aprile, sono il primo evento clou del 2024, che anticipa un ciclo di gare importanti per il paraciclismo italiano e per gli azzurri del commissario tecnico Pierpaolo Addesi che li vedrà impegnati nelle prossime gare di Coppa del Mondo, alle Paralimpiadi di Parigi e ai Mondiali di Zurigo.
L’assessore Alessandro Pompei: “Questi atleti sono porta voci di resilienza e forza di volontà. Da qui l’alto valore sociale della kermesse sportiva nazionale. Per questo abbiamo invitato anche le scuole a partecipare”.
Lo spettacolo è assicurato: questa grande festa dello sport inclusivo, nel segno del tricolore, è resa possibile dagli sforzi dell’Addesi Cycling in collaborazione con il Team Go Fast per la parte tecnica organizzativa. L’Addesi Cycling, presieduta da Caterina Seccia, non è nuova nell’organizzazione dei Campionati italiani di paraciclismo in Abruzzo: nel 2018 a Francavilla al Mare solo a cronometro, nel 2022 ad Avezzano si svolsero le prove tricolori sia a cronometro che in linea.
Il CT Pierpaolo Addesi: “Ringrazio l’amministrazione comunale per la collaborazione e il lavoro svolto in totale sinergia. È una manifestazione che darà indicazioni per le prossime competizioni internazionali, a partire dalle Paralimpiadi di Parigi. Ci sarà il top del movimento paraciclistico italiano, campioni del mondo e olimpici”.
La manifestazione gode del patrocinio dalla Regione Abruzzo e del supporto dell’amministrazione comunale di Montesilvano, sotto l’egida della Federazione Ciclistica Italiana e del Comitato Italiano Paralimpico.
0 notes
lamilanomagazine · 6 months
Text
Padova, un nuovo Ambulatorio di prossimità. L'attività verrà svolta grazie alla disponibilità di volontari Anteas e del supporto dell'associazione Medici in Strada
Tumblr media
Padova, un nuovo Ambulatorio di prossimità. L'attività verrà svolta grazie alla disponibilità di volontari Anteas e del supporto dell'associazione Medici in Strada. Grazie alla collaborazione tra l'assessorato ai Servizi sociali, l'associazione Medici in Strada e l'associazione Anteas S. Pio X Pescarotto riapre lo spazio di via Tonzig 9/a che da punto infermieristico diventa Ambulatorio di prossimità. Il locale è dato in concessione dal Comune ad Anteas e nel periodo del covid l'attività è stata sospesa, quindi ora, in accordo con il settore Servizi Sociali del Comune, l'ambulatorio riprende l'attività avvalendosi della disponibilità di volontari Anteas e del supporto dell'associazione Medici in Strada. Grazie ai medici volontari l'ambulatorio offrirà, gratuitamente, alle persone anziane, a quelle senza medico curante e in generale agli indigenti un aiuto per particolari esigenze riguardanti la salute e per quelle più di routine come: controllo della pressione e della glicemia, piccole medicazioni, prenotare le visite online presso le strutture della AULSS, per ritirare esami online, dare consigli su eventuali pratiche per la richiesta di invalidità civile. L'ambulatorio di prossimità sarà attivo 3 giorni alla settimana: lunedì, martedì e giovedì dalle 9.30 alle 11.30. L'Ambulatorio di prossimità di via Tonzig 9/a sarà inaugurato lunedì 22 aprile. «Ringrazio, in primis, il Comitato Melli che, nel tempo, continua a percorrere il cammino del suo fondatore pensando ai più bisognosi - dichiara l'assessora al Sociale Margherita Colonnello - e che anche quest'anno, con i suoi sforzi, ha tenuto fede alla tradizione devolvendo l'importante contributo, raccolto durante le scorse festività, all'ambulatorio di prossimità che inaugurerà nei prossimi giorni. Un grazie, poi, ai tanti volontari di Medici in strada, di Anteas, e a tutti coloro che con professionalità ed impegno fanno vivere questo spazio, che è servizio di comunità, capace di cogliere le esigenze di assistenza e di cura di chi, per vari motivi, si trova in difficoltà ad accedere al sistema sanitario pubblico. Ancora una volta, la rete solidale che tiene insieme Comune e realtà del terzo settore è vincente e forte nel creare contatti, sia in ambito sanitario che sociale, generando un contesto di maggiore fiducia e vicinanza, un modello di sussidiarietà aperto al dialogo e all'aiuto concreto dedicati alle persone più fragili». «Questa apertura nasce dalla nostra profonda convinzione che tutti i membri della comunità abbiano diritto a un accesso equo e dignitoso alle cure mediche di base, con uno sguardo particolare verso i più fragili - commenta Carmelo Lo Bello, presidente Medici in Strada - Questo ambulatorio vede la sinergia di due associazioni, perché con il lavoro in rete tra Enti del Terzo settore, Istituzioni e territorio è possibile rendere più giusta la comunità e gli ambulatori di prossimità, ce ne sono diversi in Veneto, molti dei quali in contatto tra loro attraverso la Rete degli ambulatori di prossimità del Veneto, ne sono un esempio» «Colgo l'occasione della riapertura dell'Ambulatorio di Prossimità per ringraziare il Comune di Padova per la concessione dei locali ed il comitato Melli per il contributo economico - commenta Adriano Zoncapè, presidente Anteas S. Pio X Pescarotto - Ringrazio inoltre Alfredo Steno presidente che nel 2009 ha creduto e realizzato questo progetto e Sandra Bortolato, infermiera volontaria, che per 11 anni ha donato il Suo tempo e la Sua professionalità. Oggi mi auguro che la sinergia tra le nostre Associazioni allarghi i confini dei rioni Pescarotto e S. Pio X° per arrivare con il servizio agli ultimi e ai bisognosi dell'intera nostra città»... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
0 notes
rallytimeofficial · 7 months
Text
Il meteo rovina la Finale di Ice Challenge a Pragelato slitta per l’impraticabilità della pista
🔴🔴Il meteo rovina la Finale di Ice Challenge a Pragelato slitta per l’impraticabilità della pista 📸Caldani
Con grande rammarico, BMG Motor Events comunica il rinvio della Finale di Ice Challenge – Campionato Italiano Velocità su Ghiaccio, previsto per questo weekend a Pragelato. Nonostante le recenti nevicate che proseguiranno anche nelle prossime ore, una perturbazione con pioggia ha compromesso la formazione del ghiaccio sulla pista nonostante gli sforzi profusi come sempre da Adriano Priotti e il…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
driadediyavimaya · 3 years
Text
Memorie di Adriano, 6.07.2021
Dormire. Mi è sempre piaciuta tanto questa attività e non ho mai fatto alcuna fatica ad addormentarmi in situazioni improbabili a tutte le ore del giorno.
Da quando sono con lui però questa operazione mi risulta sempre più difficile. Un po' perché mi sembra di sprecare il tempo, un po' perché mi metto a pensare, molto di più perché mi ritrovo senza coperte e cuscino rintanata in un angolo del letto cullata dai movimenti imprevedibili delle sue gambe.
Quando moriamo siamo soli, e se ci penso quando dormiamo è come se fossimo quasi morti; sono in questi momenti che ti rendi conto di quanto siamo soli e di come sia difficile riuscire a chiudere gli occhi serenamente senza pensare alle conseguenze di ciò che facciamo.
Una piccola azione che dovrebbe essere quasi spontanea diventa in queste situazioni un arduo compito difficile da portare a termine, e più ti sforzi più capisci che è tutto vano per noi umili mortali. Non tutti infatti hanno il favore di Hypnos, e il lusso del sonno ormai è concesso a pochi eletti.
Tanatos, gemello del dio del sonno, prendimi in una sera d'estate, consegnami il papavero che tuo fratello stringe con tanta passione al petto, e concedimi la grazia di cadere tra le braccia di Morfeo per sempre. Finché morte non ci separi.
Consanguineus lethi sopor,
6.07.2021
1 note · View note
paoloxl · 4 years
Text
Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste. Da anni soffriva di diverse gravi malattie, ma le richieste per la sua liberazione vennero accolte da Mussolini soltanto sei giorni prima della sua morte, quando ormai non era più in grado di muoversi da mesi. Arrestato (nonostante fosse protetto dall'immunità parlamentare) l'8 novembre 1926 durante l'ondata repressiva che seguì un attentato a Bologna contro il duce, fu accusato di attività cospirativa, incitamento all'odio di classe, apologia di reato e istigazione alla guerra civile: tutte accuse piuttosto fondate, data la sua decennale militanza sul fronte internazionale del comunismo rivoluzionario, ma che soltanto nel mondo capovolto del dominio capitalistico possono essere fonte di persecuzione, anziché di credito e onore.
Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni, moriva invece Danilo Montaldi, anch'egli, come Gramsci, militante comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti la seconda guerra) l'uno, partecipe della crisi storica del progetto marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l'altro. Gramsci visse la fase ascendente della dittatura del proletariato nell'URSS, sposando anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel segno della caratteristica più importante e tipica dell'intellettuale militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di precisare una strategia per la distruzione della società capitalista, regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della politica socialista e comunista.
Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili messe a disposizione dall'università di Torino per gli studenti poveri del Regno. Negli anni dell'università supera le posizioni sardiste, immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero 12 dell'odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione giovanile socialista e la sede dell'Avanti, dove inizierà la sua carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale (anche se ignorato dal mondo ufficiale dell'arte), risultando il primo critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello (ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci rivendicava con orgoglio).
Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il 1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino, Milano e Genova procedono all'occupazione armata delle fabbriche e in molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che l'assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa dell'immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni dell'Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare un'organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo sovietico, fondando il Partito Comunista d'Italia e, successivamente, il giornale l'Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica come rappresentante della sezione italiana dell'Internazionale, e dopo aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l'immunità parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924.
Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell'opinione pubblica è turbata e scandalizzata dall'accaduto. Per protesta tutti i gruppi d'opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l'unica cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i partiti d'opposizione e l'arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell'opposizione politica al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere.
Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di conquistare la direzione politica della società attraverso un'egemonia culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello ideologico volto all'annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre conquistare l'egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del potere politico è rimandata...) a tutto vantaggio della coesistenza pacifica tra due superpotenze capitaliste, l'URSS (capitalismo di stato) e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e si dedica ad un'attività organizzativa continua e inusuale, attraverso la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966).
Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama socialista (consistente, in base all'insegnamento di Lenin, nel rifiuto totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all'opposizione. In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia. Negli anni della ricostruzione postbellica l'operaio è chiamato a vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato come trasversale alle classi, ma l'interesse alla ricostruzione è l'interesse del capitale, poiché l'operaio non può che trarre giovamento dalla distruzione del sistema esistente.
L'antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto intellettualmente e astrattamente dall'avanguardia ai lavoratori; l'operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine, impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera (1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui l'agitazione politica e l'inchiesta diventano una cosa sola costituirà il nocciolo della pratica che verrà battezzata "con-ricerca" da Romano Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla grande stagione dell'operaismo italiano che, mettendo al centro la classe e il suo conflitto reale contro l'accumulazione capitalistica (anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del sindacato), imporrà all'attenzione delle nuove generazione il problema della conquista dell'autonomia operaia.
È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade, non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni; lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria. L'anticonformismo politico e l'autonomia di pensiero di entrambi è caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far propria, ossia l'attitudine all'eresia, anche rispetto alla propria stessa tradizione di pensiero.
Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre quelle, splendide, da lui dedicate all'Ottobre Rosso: "La rivoluzione dei bolscevichi è [...] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili".
Tumblr media Tumblr media
7 notes · View notes
persinsala · 7 years
Text
Il potere della parola / Ad Arte
Il potere della parola / Ad Arte
La parola madre ad Ad Arte Teatro Cine Festival di Calcata. (more…)
View On WordPress
0 notes
marcoferreri · 6 years
Text
INTERVISTA A MARCO FERRERI di Adriano Aprà (1969)
Tumblr media
Mi hai detto, uscendo dalla proiezione di Dillinger, che era il tuo film che preferivi, anche perché era fatto in totale libertà; una cosa, questa, che forse non avresti potuto dire per i tuoi precedenti film.
Lo posso dire anche per i film precedenti; certo, è stato più difficile e travagliato costruirli… Dillinger è una cosa pensata, decisa e girata… A parte che Dillinger era un'idea che avevo già in testa da abbastanza tempo. Certo, c'è più libertà a farlo direttamente, per conto proprio, non c'è bisogno che te lo dica io. La contestazione, cosa vuol dire la contestazione? Dillinger è nonostante tutto ancora un film borghese per i borghesi. Non abbiamo col pubblico un dialogo rivoluzionario. Le scelte, il problema delle scelte: dobbiamo essere degli operatori rivoluzionari, cioè degli agitatori culturali, o dobbiamo essere semplicemente dei registi? Queste poi sono riflessioni mie, perché tutti gli altri, anche quelli più sensibili, hanno subito detto che no, in fondo si sentono abbastanza tranquilli, si sentono di fare un'opera valida anche dentro il sistema. Bertolucci stesso, crede di non essere integrato, crede di essere un autore che si batte per le sue idee; dice: “l'autore si deve esprimere con l'opera”, questo è il concetto con cui cerchiamo di salvarci.
E tu in questo concetto non ti riconosci?
No, non mi riconosco, perché appena esci dal cinema… La contestazione, cioè quello che abbiamo fatto, quello che non abbiamo fatto, quello che abbiamo visto: abbiamo visto la repressione, abbiamo almeno sfiorato o intravisto i problemi che cerchiamo battendo nel nostro tema, oppure nel mio tema particolare, quello dell'alienazione, della solitudine; problemi che ignoriamo, perché piano piano non uscendo, non parlando con la gente ignori. Invece, in fondo, vedi che esistono problemi ancora primari, problemi quasi neorealistici, il problema del mangiare, del vestire, dell'avere i  soldi…
Tuttavia il tuo film ha ben poco di neorealistico…
Che vuol dire! I film non vogliono dire niente. L'opera di un signore può essere coerente, ma essere coerente non vuol dire essere rivoluzionario; io posso dire di essere coerente, non ci sono gli studenti che mi spernacchiano, ma comunque non posso dire di essere rivoluzionario.
Mi colpisce il fatto che parli di tornare fra la gente nel momento in cui fai il tuo film più lontano dalla gente.
Queste sono contraddizioni fondamentali in un individuo… Certo, l'ho fatto, ma riconosco i miei limiti… Comunque anche prima lo pensavo, già dai Palloni. Non nei film spagnoli, non nella Donna scimmia, perché erano film diciamo più neorealistici. Quando entri nell'isolamento lo fai per protesta, perché ti dici: “io non voglio essere assorbito, io non voglio entrare nel sistema”, ma non è che isolandoti non entri; vivi, vivi in isolamento ma vivi nel sistema, dai una ragione anche al sistema per dire “ma nel sistema si può criticare, si può parlare”… In fondo un film, che può essere non rivoluzionario ma che attaccava una parte del sistema, per noi attaccava la censura, era L'ape regina, perché dopo L'ape regina, che è stata ferma sei mesi, che ha costituito un precedente, qualcosa è cambiato. La mia opera la individuo anche in questa distruzione, in questo cercare di ottenere la libertà massima. Adesso è diverso. Dillinger è sì un film a basso costo, è un film abbastanza felice, è un film libero, ma poi deve rientrare nei canali, c'è una distribuzione, ci sono le vendite, cioè entra nei canali normali; è sempre una protesta borghese; ripeto, può darsi che noi possiamo fare solo questo, ma io non sono contento; sento gente che dice “ma io non sono integrato, io sono contento di quello che faccio, io faccio tutti gli sforzi per essere al di fuori”, ma non è vero, con le opere non intacchiamo.
E allora perché fai film?
È sempre una questione personale.
Dunque, che fare?
Ci sono due strade. Bisogna decidere: o fare delle opere quantitativamente numerose, tirare fuori le opere, cercare di distruggere il metodo attuale del cinema, fare cinquanta film in un anno se si possono fare, fare i film come li fa il signor Godard, in una certa direzione, con un certo capitale; oppure smettere per un momento di fare il cinema e cercare di fare la rivoluzione; questi sono i due sistemi. E la rivoluzione si fa facendo la rivoluzione, non facendo i film.
Ma tu fai i film, non fai la rivoluzione.
Ma io non lo so, può darsi che faccia i film perché mi serve per prepararmi a fare qualche altra cosa.
I film non possono contribuire a creare una sensibilità diversa?
Impossibile in questo momento. Esistono certe strutture, ma non servono neanche i canali laterali. Un film come Dillinger in fondo è come se lo avesse fatto lo stato: lo distribuisce l'Ital Noleggio, l'Ente di Stato, che non funziona. È costato poco, ma non basta ancora, perché non arriverà, perché sarà sommerso; non parliamo poi solo di cinema: quello che martella la gente quotidianamente è la televisione, è la radio, i giornali, tutti i canali di diffusione, di informazione, di persuasione; un film non ha la verità di un fatto, di una notizia; in fondo è vecchio il sistema del cinema così com'è. Insomma, c'è un termine abbastanza bello, anche se molto borghese, quello di “ghetti culturali”. Il cinema sta diventando forse ancora più del teatro un prodotto per ghetti culturali. Certo cinema, s'intende.
Un discorso, il tuo, abbastanza deprimente, che non sembra spiegare la carica d'entusiasmo che c'è, ne sono sicuro, dietro Dillinger.
È sempre una carica di entusiasmo personale, ripeto. Non è nemmeno più di ribellione. O è una ribellione solo personale. Però oggi come oggi le ribellioni personali o le rivoluzioni personali non servono. La rivoluzione con il film che uno si produce non serve a niente. Che cosa cambia, quali strutture cambia? Vedi i giovani: c'è un festival, vanno a un festival; credono ancora che i festival servano. Tutti quanti, anche quelli picchiati dalla polizia, poi credono alla funzione di una giuria, ai venti signori che possono comprare un film; tutti premiati, anche quelli che fanno i documentari…
E un modo di fare il cinema tipo quello del nostro comune amico Mario Schifano?
Mario Schifano fa bene a fare il suo cinema, ma addirittura quello è un cinema, come per Leonardi, da cavaliere teutonico, non serve a niente. Può darsi che fra un anno Mario Schifano faccia i film che costano 300 milioni. Io lo apprezzo, stimo quello che fa; Mario Schifano fa un film, lo vorrà far vedere, ha bisogno di distribuirlo, ha bisogno di premi, passa la censura, sta nei canali; che lo faccia poi più economicamente non cambia molto le cose: sta nelle formule, gioca con le formule.
Ma a questo punto non si può fare altrimenti. Bisogna pensare che l'opera alla lunga serva.
Il cinema alla lunga non serve a niente.
Allora non vedi soluzione?
Non ne vedo. E bisogna tanto essere onesti da dire che non si vede soluzione. Forse è sempre meglio fare invece di una cattiva opera rivoluzionaria, un'opera negativa al massimo, un'opera che voglia distruggere. Dillinger non è certo un film positivo, è un film negativo, perché è un film abbastanza tragico. Ecco, al massimo possiamo arrivare a fare gli sciacalli di un mondo che va distruggendosi, e basta. Ma ormai la gente ha bisogno di soluzioni, ha bisogno di contare su qualche cosa. Film positivi, però, come sono adesso le cose, ancora non si possono fare. Il pianto sul personaggio, l'alienazione del singolo, il mondo distrutto vanno bene, sì, ma non ci sono mai soluzioni. Il suicidio cinematografico non è proibito.
Ma il sole rosso con cui finisce Dillinger?
Va bene, il sole rosso di Dillinger può essere la speranza, ma sempre letteraria. Dillinger è un'opera cinematografica, ripeto; la nostra funzione è sempre più limitata, più chiusa. Poi, veramente, parlare del film… È inutile. Parlandone con voi o parlandone con altri è sempre ricadere nello stesso sistema. Non sarete più Sadoul, non sarete altri cinquanta morti che stanno morendo, però stiamo sempre a parlare fra di noi dei film che facciamo, ci facciamo delle belle riviste, ci facciamo una cultura cinematografica, ci facciamo dei bei film…
Un tentativo di sopravvivere, forse…
Sì, perciò un tentativo veramente egoistico, provinciale, chiuso. Noi siamo i vitelloni, i vitelloni della cultura, ci facciamo vedere fra di noi i film. “Moravia l'ha visto il film?”, “No, lo deve vedere”; “E Pasolini, l'ha visto?”, “No, bisogna che lo veda”; il tutto poi si riduce a venti persone; poi sei eroico, dici “No,  Bevilacqua non lo invito, però posso invitare Dacia Maraini”. Poi hai altre sette persone, tre in Francia, un'altra in America, Susan Sontag… Piccoli gruppetti, sempre.
Nonostante questo, visto che il film lo hai fatto, non vedo perché non se ne debba parlare. Per esempio, nei confronti dell'Harem, un film in cui fra sceneggiatura e regia…
Ma la fase di sceneggiatura in Dillinger è molto ridotta; è un rapporto col personaggio, la scena, la casa; questo termine che avevi trovato tu, processo di accumulazione, sarebbe il miglior titolo per il film. Ma è disonesto parlare dei film. Dato che già facciamo una cosa che non serve, che si distrugga per contro proprio! Nel silenzio. Il film l'ho fatto per tanti motivi: perché mi piaceva fare questo film, perché con questo film ci ricavo un po' di lire; ma comunque faccio una cosa che non serve a niente, perciò è inutile parlarne.
Parliamo allora del tuo atteggiamento nei confronti del “fare cinema”. Mi colpisce in te, che credevo un istintivo, come Rossellini, la capacità di costruire un'opera, come in Dillinger…
Ma sì, perché poi l'istinto diventa razionale: l'istinto dei moribondi diventa razionale a un certo punto… E difatti diventa sterile. Quando uno è istintivo, dopo si sterilizza e diventa istintivo razionalmente. Non è che serva a molto. Certo, Dillinger è più razionale come costruzione perché tu ti rinchiudi e parli con te stesso, fai la tua piccola guerra personale con le idee riflesse dentro di te, ma che non serve a niente. I film non servono a niente. Quello che facciamo non serve a niente.
Forse il problema è che i film non vanno al pubblico adatto. Per esempio, è necessario un rapporto diverso con la classe operaia…
Sì, ma non ce l'abbiamo non solo con la classe operaia, ma con tutto un insieme di cose, con tutto il mondo, non abbiamo approcci, non abbiamo possibilità di arrivare… Le immagini, poi, che cosa vuoi che lascino nella gente? Insomma, il cinema è razzista, e basta. Il cinema nostro è un cinema di bianchi per i bianchi, che poi non lo capiscono: è il più grande razzismo possibile. Non serve ai gialli, non serve ai neri, non serve a nessuno.
Ma tu poni il problema in termini cosmici, quasi di eternità.
Non lo so. Ti ripeto solo che non mi interessa parlare di Dillinger. Dillinger è finito, penso che sia un bel film, sono contento di come è venuto, sono contento così, per me; credo che anche chi fa una seggiola è contento della seggiola che fa, e se l'ha fatta bene, t'immagini, ci si siedono per 50 anni, sono molte persone, più di quante recepiscano un film. Il film è stato girato con 9800 metri di pellicola in quattro settimane e tre giorni, quattro giorni in Spagna, due nella barca finale e basta. Il trucco del sole l'ha fatto il signor Natanson, piuttosto male.
Mi pare che Dillinger, per il suo aspetto astratto, sia il proseguimento dell'Harem; ma si riallaccia anche, per la carica di sensualità che lo caratterizza, ai film precedenti.
Nessun film è il proseguimento dell'altro. Nell'Harem ho fatto un certo bagaglio di esperienze; ci sono delle sensazioni avute, proprio delle misure, degli studi di tempi, di colore, di reazioni di un personaggio… Certo, le esperienze che ho avuto mi servono per quello che devo fare: non credo di essere ancora a una fase per cui quello che fai non ti serve, non ti aiuta. In Dillinger ci sono le esperienze dei film precedenti, dei momenti passati, di altre cose… E poi, oltre ai film ci sono dei giorni, dei momenti, delle impressioni, delle sensazioni che capitano…
(Tratto da: Cinema & Film, nn. 7-8, primavera 1969)
Adriano Aprà
7 notes · View notes
amorr-fati · 7 years
Quote
La vita è atroce; lo sappiamo. Ma proprio perché aspetto tanto poco dalla condizione umana, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che compensano quasi la massa dei mali, degli insuccessi, dell'incuria e dell'errore. Sopravverranno le catastrofi e le rovine; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine. La pace s'instaurerà di nuovo tra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato d'infondervi. Non tutti i nostri libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante; altre cupole, altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole; vi saranno uomini che penseranno, lavoreranno e sentiranno come noi: oso contare su questi continuatori che seguiranno, a intervalli irregolari, lungo i secoli, su questa immortalità intermittente.
M. Yourcenar, "Memorie di Adriano"
335 notes · View notes
punti-disutura · 7 years
Quote
La vita è atroce; lo sappiamo. Ma proprio perché aspetto tanto poco dalla condizione umana, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che compensano quasi la massa dei mali, degli insuccessi, dell'incuria e dell'errore. Sopravverranno le catastrofi e le rovine; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l'ordine.
“Memorie di Adriano”, Marguerite Yourcenar.
16 notes · View notes
fotopadova · 6 years
Text
A Torre di Mosto la storia della fotografia dal paesaggio verace ai territori mentali con e senza confini.
di Carlo Maccà
 --- Torre di Mosto. Un piccolo centro di antica origine, nato al tempo delle invasioni barbariche in un angolo della paludosa e lagunare zona di rifugio di popolazioni provenienti dall'interno, quiescente per secoli e sviluppatosi solo di recente (4780 residenti censiti nel 2017) a presidiare un ampio territorio di bonifica degli acquitrini fra Piave e Livenza, e ora parte della Città Metropolitana (l'ex Provincia) di Venezia. Sant'Anna di Boccadasse, piccola località isolata dal capoluogo, imbrecanata fra canali di bonifica entro un orizzonte senza fine (salvo un profilo di prealpi nelle giornate più limpide) di piatte coltivazioni estensive. Qui (per qualche magìa?) sorge una struttura riservata a esposizioni ed eventi culturali quale centri anche molto maggiori se la sognano. Si pensi che Padova, centro mondiale di ogni cultura da Tito Livio al Bò (1222) e poi a Giotto, Andrea Mantegna, la Bisbetica Domata, Giovan Battista Morgagni e via dicendo, soltanto alla fine del 2019 riuscirà a disporre del suo complesso di spazi espositivi pubblici (Centro S. Gaetano e museo degli Eremitani) finalmente adeguato agli standard internazionali di conservazione e sicurezza delle opere d'arte e potrà permettersi mostre di livello più che provinciale.
Tumblr media
La struttura di Boccadasse è nata qualche anno fa col nome di Museo del Paesaggio, "impegnato a promuovere tutte le iniziative che mirano alla conservazione e alla valorizzazione culturale e turistica del paesaggio di Bonifica in un’accezione non solo locale ma nazionale." Ma ora mi sembra che la finalità dichiarate e la stessa denominazione comincino a essere riduttive. Dal 2018 il Museo dedica stabilmente una sezione alla fotografia contemporanea, offrendo "ai cittadini e agli appassionati una serie di esposizioni a cadenza annuale sul tema della fotografia in Italia con un focus particolare sui fotografi del triveneto" e aprendo "una sezione stabile sulla fotografia contemporanea in Italia, con attenzione particolare alla ricerca di nuovi temi, linguaggi e di nuovi protagonisti della stessa".
Ma anche i confini qui sopra dichiarati mi sembrano superati dall'attività più recente. In questi giorni (e fino al 18 maggio) gli spazi sono completamente occupati da una mostra d' interesse veramente raro, denominata Fini e Confini. Dal Paesaggio al Territorio. Opere di una collezione privata, il cui perimetro si espande ben al di là del Triveneto, dell'Italia e dell'Europa stessa. Si tratta, in sostanza, di un compendio di storia mondiale della Fotografia di Paesaggio (in senso molto. ma molto lato) dagli anni '60 dell'800 (fra le stampe d'epoca, di cui sono esempi quelle di Figura 2, la più antica e forse la più importante è un'albumina col Cortile del Louvre di Gustave Le Gray, 1859) fino a questi giorni in senso letterale: l'opera esposta più recente (ultimi mesi del 1968) è una Vita nei boschi dell'artista cividalese Adriana Iaconcig  [Nota 1].
Tumblr media
La collezione privata esposta (solo in parte, immagino) è stata messa insieme in più di trent'anni di scelte oculate e mirate da un commercialista trevisano che si intuisce abbia approfondito e affinato professionalmente, culturalmente ed eticamente la propria formazione universitaria sotto l'egida di Adriano Olivetti, per la cui azienda ha lavorato in Italia e all'estero quando ancora l'Olivetti era un'impresa e non un investimento speculativo.
Si capisce presto che la raccolta è nata non per gretto spirito di investimento collezionistico, ma come supporto, quasi un prontuario, al servizio d'un serio e profondo interesse culturale. Forse per comprendere appieno la ratio con cui le opere sono state prima scelte ed ora esposte non è sufficiente percorrere la mostra con attenzione badando ai titoli delle sezioni tematiche e ai relativi inserti didascalici (e all'complementare funzione di alcune opere di pittori italiani fra i più significativi, da Balla a Lucio Fontana). Se a quello scopo neppure bastasse consultare il catalogo che riproduce con cura tipografica tutte le 280 opere esposte (211 sono gli autori), raggruppate in 3 sezioni (Territori dell'anima; Industria e urbanesimo; Altri mondi), suddivise a loro volta in un totale di 11 sottosezioni, si può ricorrere ad un ponderoso volume scritto dal collezionista stesso (Dionisio Gavagnin, Fini & Confini. Il territorio nell'arte fotografica, 2018). A differenza di altri scritti di esperti e critici di fama internazionale sui quali mi sto arrabattando a cercar di capire quali siano gli intenti e i meriti reali o presunti di tanta "arte fotografica" corrente, separando il tanto fumo di parole e di (im)pertinenti immagini da ciò che è polpa, cioè reale nutrimento dell'occhio e della mente, la scrittura di questo autore è chiara e coinvolgente; non si potrà né si dovrà correrla tutta d'un fiato, ma non richiede sforzi interpretativi, mentre si manifesta prodotto d'una cultura che col mio metro appare sconfinata.
Tumblr media
Ma la mostra è perfettamente fruibile anche soltanto come rassegna di immagini. Non è da mancare l'occasione di vedere a confronto stampe originali di, tanto per citare in perfetto disordine alfabetico (cioè in successione alfabetica corretta ma tematicamente confusa) alcuni fra i nomi più famosi, generalmente presenti con immagini diverse da quelle iconiche fin troppo viste e risapute: Berenice Abbot, Eugene Atget e Gabriele Basilico; Letizia Battaglia, Giuseppe Cavalli e Brassai; E.S, Curtis, Ph-L. diCorcia, William Eggleston e Walker Evans; Joan Fontcuberta, Robert Frank e Leonard Freed; Ghirri, Giacomelli, Gioli; Lewis Hine, Candida Hofer, William Klein, Paolo Monti, Ugo Mulas, Martin Parr, Renger-Patsch e Thomas Ruff; Salgado, Vittorio Sella, Stephen Shore e Aaron Siskind; Massimo Vitali, Weegee e Edward Weston. Non mi dilungo sui rappresentanti delle recenti tendenze dell'arte fotografica, per lo più classificabili in quella che i francesi chiamano Photographie Plasticienne, nella quale abbondano manipolazioni e commistioni di tecniche.
Tumblr media
In sintesi: una mostra che, per chi ama davvero la fotografia, è obbligatorio visitare. Se il Museo del Paesaggio continua su questa strada, diventerà una tappa privilegiata del mio circuito dei Santuari della Fotografia [http://www.fotopadova.org/post/182368210498].
In coda, una parola su termine Astrazione, che è il titolo d'una delle sottosezioni della mostra. Personalmente ritengo che qualsiasi opera (fotografia, pittura, grafica, scultura) in cui c'è forma significante, per quanto immaginaria o ingannevole rispetto alla realtà materiale, possieda una concretezza in ragione della quale non possa essere considerata astratta; e che invece la vera astrazione sia quella operata dal fotografo "concettuale" quando, incurante o immemore della forma, si propone incongruamente di illustrare (quindi materializzare) l'oss-im-morale fenomenologia del noumeno.
 ......
Nota 1. Fotografa artista dei cui lavori sul tema del Territorio e del Confine questo sito si è occupato fin dal 2014:
http://www.fotopadova.org/post/99716727358 http://www.fotopadova.org/post/123537940193
-------------------
Museo del Paesaggio, Via Boccafossa (Loc. Boccafossa) Torre di Mosto (VE)
Orari di apertura, con mostre in corso: Sabato: 15.00-18.00; Domenica: 10.00-12.00 / 15.00-18.00.  Ingresso: € 3
Alla mostra Fini e confini si affiancano nel pomeriggio di sei dei sabati di apertura (in primo è già trascorso, il prossimo è il 30 marzo) eventi collaterali a cura di D. Gavagnin. Per primo  viene presentato Il Libro della settimana. Segue Incontro coll'Artista (fra cui Olivo Barbieri, Luca Campigotto, Franco Vaccari); presentazione di opere di vari autori, soprattutto in video; interviste agli autori. La partecipazione è a numero chiuso.
Informazioni: [email protected]
0 notes
Quote
La vita è atroce; lo sappiamo. Ma proprio perché aspetto tanto poco dalla condizione umana, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che compensano quasi la massa immensa dei mali, degli insuccessi, dell'incuria e dell'errore.
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano
6 notes · View notes
Photo
Tumblr media
Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/27/otranto-dintorni-carta-aragonese-del-xvi-secolo/
Otranto e dintorni in una carta aragonese del XVI secolo
di Armando Polito
Caccumoli sopr(a):  oggi Cocumola
Caccumoli sot(to) dir(uta)
Casale delle Fantanelle: da leggere Fontanelle; ha dato il nome ad un agriturismo sulla strada provinciale 366 Otranto-Alimini. Fontanelle nelle carte di Ianssonius e del Bulifon (XVII secolo):
Casa Massella: oggi Casamassella
Corfiniano: oggi Cerfignano
Fanale della Serpe: oggi Torre del Serpe. Si ritiene che la prima costruzione risalga al periodo romano e fungesse da faro. Fu restaurata in età federiciana. Il toponimo è legato ad una leggenda narrante di un serpente che ogni notte saliva sulla torre per bere l’olio che alimentava la lanterna del faro. Un’altra leggenda, probabilmente più recente, narra che, pochi anni prima della presa di Otranto nel 1480, i Saraceni avevano già tentato di prendere la città ma l’impresa era fallita perché il serpente, bevendo l’olio, aveva provocato lo spegnimento del faro.
Jordiniano: oggi Giurdignano
Porto2 badiscio: il successivo Porto fondo fa pensare ad un nucleo abitato del vicino entroterra.
Porto fondo: oggi Porto Badisco; il toponimo aragonese sembra quasi una nota etimologica, una sorta di traduzione dal greco βαθύς (leggi bathiùs), che significa profondo. Il riferimento sarebbe a prima vista al mare e in tal caso bisogna ipotizzare che la parte finale di Badisco sia il suffisso –ίσκος (leggi –iscos) con valore diminutivo; in tal caso l’allusione sarebbe alla modesta profondità del mare. Tuttavia, proprio il badiscio della carta aragonese apre la possibilità che il nome derivi dal greco βαθύσκιος  (leggi bathiùschios) composto dal ricordato βαθύς e da σκιά (leggi schià) che significa ombra, per cui il riferimento sarebbe alla folta vegetazione, di cui abbiamo un indizio nel in Girolamo Marciano (1571-1628) che, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto, opera usscita postuma per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855, dove, a p. 375 si legge: Vadisco è piccola ed amenissima valle vestita di oliveti, dalla quale trascorrono nel mare alcuni ruscelli di acque ov’è il Porticciolo, ricovero di piccoli vascelli. E subito dopo cita un passo del De situ Iapygiae del Galateo: Quarto ab Hydrunto lapide convallis parva, attamen amoenaissima et oleis consita est, quam incolae pomarium nuncupant; per hanc rivulis acqua decurrit. Haec pusillum portum efficit, quem ideo Vadiscum incolae dicunt; parvarum navicularum statio est (A quattro miglia da Otranto c’è una valle piccola ma amenissima e ricca di olivi, che gli abitanti chiamano frutteto; attraverso questa valle l’acqua scorre a ruscelli. Essa forma un piccolo porto un piccolo porto che perciò gli abitanti chiamano Vadisco; è riparo di piccole navicelle).
S.a M(aria) del Soccorso. Attendo notizie.
S.ta Pelagia: oggi Punta Palascìa; vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/27/antonio-maria-il-pescatore-etimologo-di-punta-palascia/
S.to Emiliano: oggi Torre di S. Emiliano. La mappa mostra, come già in altri casi, un nucleo abitato in corrispondenza del toponimo e la torre distante sulla costa. È legittimo pensare, quando ciò succede con l’implicazione del nome di un santo che il nucleo abitato ne abbia tratto il nome per motivi devozionali che intuitivamente si perdono nella notte dei tempi e in epoca successiva l’abbia trasmesso alla torre. Se tutto ciò corrisponde al vero la mappa costituirebbe una sorta di ibrido sospeso tra il passato e il presente, Molto più, insomma, di quello che s’intende per carta storica.
S.to Francesco: oggi Convento dei Cappuccini
S.to Stephano: l’attuale Torre di S. Stefano presenta un’ubicazione in corrispondenza orizzontale sulla costa per cui quella che si nota in basso probabilmente è frutto di un errore di rappresentazione. 
Torre [di] Coccoruccio. Nelle carte di Hondius,  di Magini e di Ianssonius (XVII secolo) Torre di Cocorizzo.
   Nella carta di Bulifon (XVII secolo) Torre di Coccorizzo
Nella carta del De Rossi (1714), aggiornamento di quella del Magini, la torre e il toponimo sono assenti. Cocoruccio, Cocorizzo e Coccorizzo potrebbero essere italianizzazione  del salentino cucuruzzu (Cicirizzu è pure il nome di una località nel territorio di Nardò) che indica l’insieme di pietre che dopo il dissodamento del terreno venivano sistemate in un cumulo conico. Se è cosaì il nome della torre potrebbe essere connesso con la sua forma oppure con la sua dislocazione nel punto più alto del promontorio. Di essa, comunque, oggi non v’è traccia.
Torre della Vecchia: oggi Torre di Specchia di guardia)
Torre di S. Cesarea: oggi S. Cesarea terme
Torre Pelagia: vedi Santa Pelagia e il relativo link.
Torrione di Orte: oggi Torre dell’Orte o dell’Orto
Ugiano: oggi Uggiano la Chiesa
E siamo al caso disperato che non a caso ho lasciato per ultimo:
Il nunc S.to Eligio (?), che mi pare di poter leggere nel secondo rigo, grazie al nunc (ora) ci fa intuire che il primo rigo reca la forma antica del toponimo, che, per quanti sforzi abbia fatto, anche con l’ausilio delle carte precedentemente usate per la comparazione degli altri e con gli strumenti messi a disposizione dai migliori programmi di grafica, non sono riuscito a decifrare a causa de”evidente degrado del supporto. Chiudo con la speranza, ormai ricorrente, che ci riesca qualcun altro.
___________
1 http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/15/brindisi-suo-porto-carta-aragonese-del-xv-secolo/ 
2 Anche se appare scritto Porta.
1 note · View note
asscult3dproduction · 4 years
Text
CARO DIARIO (delle riprese) di Paolo D'Alessandro Iniziò per gioco e divenne una cosa seria (per quanto può esserlo un film demenziale). Fu un'estenuante corsa contro il tempo, ma alla fine giungemmo al traguardo. Eccovi di seguito la cronaca dettagliata di un capolavoro immortale, anzi "IMMORALE". 9 FEBBRAIO: Ebbe tutto inizio in questa poco invernale giornata di febbraio quando io, Ettore, Francesco,Maurizio e Sandra ci recammo nell'abitazione estiva di quest'ultima ad Agropoli. L'ispirazione fulminò Ettore nel pomeriggio quando mi vide affacciato ad una terrazza mentre contemplavo lo stupendo paesaggio agreste che ci circondava. Fu proprio il panorama che ricordò ad Ettore le colline scozzesi viste in Highlander - l'ultimo immortale, mentre la giacca di pelle che indossavo gli ispirò l'immagine di un eroe solitario e melancolico sulla falsa riga di quello interpretato da Christopher Lambert. Essendo muniti di videocamera decidemmo, di comune accordo, che sarebbe stato un delitto non sfruttare quell'occasione. Non avevamo progetti ambiziosi, ma volevamo solo girare uno sketch autoconclusivo che parodiasse Highlander. Per il ruolo dell'antagonista fu scelto Maurizio che, per assumere un aria truce, fu costretto ad indossare un cappellino di paglia ed un accappatoio bianco che, con molta immaginazione,avrebbe dovuto rappresentare un'impermeabile. Ancora più improbabili furono le spade, che altro non erano se non bacchette di plastica (quella di Maurizio era addirittura spezzata!) Gli effetti scenici, ossia rami che cadevano, sassi che rotolavano ed il tavolino che si capovolgeva, furono arte di Francesco. Unico neo fu, nostro malgrado, il forte sole pomeridiano che, con la sua intensità, mi impedì di assumere un'espressione rilassata, deformando ulteriormente la mia fisionomia già scarsamente telegenica. 13 OTTOBRE: Dopo mesi riprendiamo quel soggetto improvvisato per realizzare una vera e propria storia. Le prime riprese hanno come set la nostra sede scout che per l'occasione verrà adibita a tempio cinese. Io e Luca infatti, mentre Ettore cura lo storyboard, addobbiamo un angolo del container con lunghi striscioni di carta sottoparati appesi al soffitto e fatti scendere fino al pavimento. Veniamo così a creare una piccola stanza di preghiera per il maestro Joco; l'atmosfera è resa suggestiva dalla parete lasciata libera, sulla quale campeggia un'illustrazione naturalistica, e dalla luce di due ceri. La novità di queste riprese sta nell'uso del trucco: Luca infatti per impersonare il maestro Joco, ha dovuto indossare una maschera da vecchio (usata anche in Rhys Blond, vi ricordate?) alla quale è stata tagliata la parte del mento per renderla più "realistica". Per favorire maggiormente l'effetto realistico è stato usato anche del cerone, che purtroppo ha retto per poco, facendo penzolare lievemente i bordi della maschera. E fu così che rischiando un'intossicazione (stare per più di mezz'ora chiusi in una stanza a respirare il fumo di due ceri non è molto salutare!) realizzammo le scene dell'arrivo di McLot nel tempio di Shang-at, del suo addestramento, e del dono da parte del maestro della spada da samurai, una vera e propria "arma bianca". 18 OTTOBRE: La scena da girare è quella del malinconico ritorno a casa di McLot dopo lo scontro con Kulingan. La location è l'appartamento di Luca, e più precisamente il soggiorno alla cui finestra il protagonista, mesto e pensieroso, si affaccia scorgendo il suo vicino (Luca) che gioca col cane, che poco dopo finirà per sbranarlo. La "recitazione" di Max, il cane in questione, è stata l'unica cosa che ha causato un pò di difficoltà, ma alla fine la sua prestazione è stata (grazie soprattutto al suo padrone) all'altezza della situazione. 23 OTTOBRE: La sequenza da girare (a mezzanotte ormai trascorsa) è quella che precede i titoli di testa: McLot percorre un oscuro vialetto sguainando la sua spada, mentre la sua voce narrante lo presenta al pubblico. Inizialmente fu scelto un viale nel parco di Luca che al momento delle riprese ci parve troppo freuentato. Ritornammo allora nella nostra sede scout dove avevamo avuto una riunione poc'anzi e trovammo la location adatta in un tratto fra il container e la chiesa. Con l'illuminazione derivata dagli abbaglianti della macchina di Ettore, ricavammo così una sequenza piuttosto suggestiva che ripetemmo varie volte solo per puro perfezionismo. 28 OTTOBRE: La scena odierna è quella dell'interrogatorio, senza esito, del tenente Palombo a Scandal McLot nel suo appartamento. Il dialogo fra i due protagonisti è stato, sorprendentemente, tutt'altro che difficoltoso e Luca e Serena hanno offerto un valido apporto. L'unica difficoltà si è presentata nella sequenza in cui McLot esce da casa e si avvia alla sua auto. La sorte ha voluto che proprio in quel momento ci fosse un andirivieni di gente che entravano nel palazzo. 31 OTTOBRE: Appuntamento intorno alle dieci di mattina e destinazione Monte Sant'Angelo per le riprese della scena finale, ossia lo scontro mortale tra McLot ed il perfido Tamarr. La troupe è composta da me, Ettore, Luca, Davide ed Alessandro, un amico di quest'ultimo che, interessato alla nostra attività, è stato subito reclutato come "ciacchista". Il teatro della battaglia è l'area attorno al santuario, da noi spacciato come "Tempio di Shang-at" in Cina!!! Dopo un "Camel Trophy" per le impervie strade di montagna, raggiungiamo il santuario e, nonostante il forte vento forza azzurri alè alè, portiamo a termine le riprese prima che venga a piovere. Per la strada del ritorno inoltre, ci fermiamo più volte per girare alcune sequenze dell'auto in viaggio per la Cina (hi!hi!) Instancabili lavoratori ci diamo appuntamento alle 20:30 nella nostra sede scout per poi recarci nel garage di Luca, che sarà la location per la scena del ritrovamento del cadavere di Kiakiel. Questo personaggio viene interpretato da Francesco il quale essendo quella sera assente, viene sostituito da Antonio, che si improvvisa controfigura dalla "testa mozzata". Gli altri attori sono Ettore nelle vesti del suo personaggio più riuscito, l'implacabile (poi placato) tenente Palombo, Adriano dietro gli occhialoni dello stralunato agente Four Eyes (quattr'occhi), Luca ed ancora Antonio nel ruolo di due agenti della scientifica. Io non essendo impegnato nella recitazione ho aiutato Ettore nelle riprese. Particolare degno di nota è stato l'improvviso arrivo della cugina di Luca che ha spostato la sua auto che, essendosi trovata nel bel mezzo del set, era apparsa in quasi tutte le scene. Fortunatamente ciò è avvenuto a riprese ultimate. Degna di lode infine è l'interpretazione cadaverica di Antonio, che anche dopo che la sua sequenza era stata girata, non si è alzato da terra, tanto che ad un certo punto ci siamo chiesti dove fosse finito. 4 NOVEMBRE: La scena da girare è tanto breve quanto complicata per coordinamento: McLot entra nella sua auto per correre dal maestro, ignaro del fatto che il tenente Palombo gli si nasconde nel portabagagli. Per realizzare una sequenza continua la videocamera deve seguire me che entro nell'abitacolo per poi spostarsi sul retro dell'auto dove Ettore si intrufola, mentre Luca mi da il cambio, a tempo di record, per mettere in moto ed avviarsi al cancello. La prova di Sandra, a cui era affidata la videocamera, è stata ottima. L'unico inconveniente che ci ha fatto ripetere la scena più volte è stato il continuo passaggio delle persone fuori del cancello, che ogni volta rischiavano di essere investite. 5 NOVEMBRE: Ritorniamo nel garage di Luca per la scena del combattimento con Kiakiel. Essendo questo personaggio affidato alla recitazione di Francesco, ci prepariamo psicologicamente non meno che fisicamente a delle lunghe e faticose riprese a causa della sua congenita ed ormai famosa incapacità a non ridere davanti all'obiettivo Come potrete vedere nella sigla di coda, l'intera troupe è stata costretta con la faccia al muro per permettergli di recitare seriamente, cosa che poi, dopo tanti sforzi, gli è riuscita alquanto bene. Questa scena ci ha permesso inoltre di usare, finalmente, la mano ed il moncone che Ettore realizzò tempo fa e mai utilizzati. https://www.3dproduction.it/produzione/produzione_item.asp?id=2#diario
CARO DIARIO (delle riprese) di Paolo D'Alessandro Iniziò per gioco e divenne una cosa seria (per quanto può esserlo un film demenziale). Fu un'estenuante corsa contro il tempo, ma alla fine giungemmo al traguardo. Eccovi di seguito la cronaca dettagliata di un capolavoro immortale, anzi "IMMORALE". 9 FEBBRAIO: Ebbe tutto inizio in questa poco invernale giornata di febbraio quando io, Ettore, Francesco,Maurizio e Sandra ci recammo nell'abitazione estiva di quest'ultima ad Agropoli. L'ispirazione fulminò Ettore nel pomeriggio quando mi vide affacciato ad una terrazza mentre contemplavo lo stupendo paesaggio agreste che ci circondava. Fu proprio il panorama che ricordò ad Ettore le colline scozzesi viste in Highlander - l'ultimo immortale, mentre la giacca di pelle che indossavo gli ispirò l'immagine di un eroe solitario e melancolico sulla falsa riga di quello interpretato da Christopher Lambert. Essendo muniti di videocamera decidemmo, di comune accordo, che sarebbe stato un delitto non sfruttare quell'occasione. Non avevamo progetti ambiziosi, ma volevamo solo girare uno sketch autoconclusivo che parodiasse Highlander. Per il ruolo dell'antagonista fu scelto Maurizio che, per assumere un aria truce, fu costretto ad indossare un cappellino di paglia ed un accappatoio bianco che, con molta immaginazione,avrebbe dovuto rappresentare un'impermeabile. Ancora più improbabili furono le spade, che altro non erano se non bacchette di plastica (quella di Maurizio era addirittura spezzata!) Gli effetti scenici, ossia rami che cadevano, sassi che rotolavano ed il tavolino che si capovolgeva, furono arte di Francesco. Unico neo fu, nostro malgrado, il forte sole pomeridiano che, con la sua intensità, mi impedì di assumere un'espressione rilassata, deformando ulteriormente la mia fisionomia già scarsamente telegenica. 13 OTTOBRE: Dopo mesi riprendiamo quel soggetto improvvisato per realizzare una vera e propria storia. Le prime riprese hanno come set la nostra sede scout che per l'occasione verrà adibita a tempio cinese. Io e Luca infatti, mentre Ettore cura lo storyboard, addobbiamo un angolo del container con lunghi striscioni di carta sottoparati appesi al soffitto e fatti scendere fino al pavimento. Veniamo così a creare una piccola stanza di preghiera per il maestro Joco; l'atmosfera è resa suggestiva dalla parete lasciata libera, sulla quale campeggia un'illustrazione naturalistica, e dalla luce di due ceri. La novità di queste riprese sta nell'uso del trucco: Luca infatti per impersonare il maestro Joco, ha dovuto indossare una maschera da vecchio (usata anche in Rhys Blond, vi ricordate?) alla quale è stata tagliata la parte del mento per renderla più "realistica". Per favorire maggiormente l'effetto realistico è stato usato anche del cerone, che purtroppo ha retto per poco, facendo penzolare lievemente i bordi della maschera. E fu così che rischiando un'intossicazione (stare per più di mezz'ora chiusi in una stanza a respirare il fumo di due ceri non è molto salutare!) realizzammo le scene dell'arrivo di McLot nel tempio di Shang-at, del suo addestramento, e del dono da parte del maestro della spada da samurai, una vera e propria "arma bianca". 18 OTTOBRE: La scena da girare è quella del malinconico ritorno a casa di McLot dopo lo scontro con Kulingan. La location è l'appartamento di Luca, e più precisamente il soggiorno alla cui finestra il protagonista, mesto e pensieroso, si affaccia scorgendo il suo vicino (Luca) che gioca col cane, che poco dopo finirà per sbranarlo. La "recitazione" di Max, il cane in questione, è stata l'unica cosa che ha causato un pò di difficoltà, ma alla fine la sua prestazione è stata (grazie soprattutto al suo padrone) all'altezza della situazione. 23 OTTOBRE: La sequenza da girare (a mezzanotte ormai trascorsa) è quella che precede i titoli di testa: McLot percorre un oscuro vialetto sguainando la sua spada, mentre la sua voce narrante lo presenta al pubblico. Inizialmente fu scelto un viale nel parco di Luca che al momento delle riprese ci parve troppo freuentato. Ritornammo allora nella nostra sede scout dove avevamo avuto una riunione poc'anzi e trovammo la location adatta in un tratto fra il container e la chiesa. Con l'illuminazione derivata dagli abbaglianti della macchina di Ettore, ricavammo così una sequenza piuttosto suggestiva che ripetemmo varie volte solo per puro perfezionismo. 28 OTTOBRE: La scena odierna è quella dell'interrogatorio, senza esito, del tenente Palombo a Scandal McLot nel suo appartamento. Il dialogo fra i due protagonisti è stato, sorprendentemente, tutt'altro che difficoltoso e Luca e Serena hanno offerto un valido apporto. L'unica difficoltà si è presentata nella sequenza in cui McLot esce da casa e si avvia alla sua auto. La sorte ha voluto che proprio in quel momento ci fosse un andirivieni di gente che entravano nel palazzo. 31 OTTOBRE: Appuntamento intorno alle dieci di mattina e destinazione Monte Sant'Angelo per le riprese della scena finale, ossia lo scontro mortale tra McLot ed il perfido Tamarr. La troupe è composta da me, Ettore, Luca, Davide ed Alessandro, un amico di quest'ultimo che, interessato alla nostra attività, è stato subito reclutato come "ciacchista". Il teatro della battaglia è l'area attorno al santuario, da noi spacciato come "Tempio di Shang-at" in Cina!!! Dopo un "Camel Trophy" per le impervie strade di montagna, raggiungiamo il santuario e, nonostante il forte vento forza azzurri alè alè, portiamo a termine le riprese prima che venga a piovere. Per la strada del ritorno inoltre, ci fermiamo più volte per girare alcune sequenze dell'auto in viaggio per la Cina (hi!hi!) Instancabili lavoratori ci diamo appuntamento alle 20:30 nella nostra sede scout per poi recarci nel garage di Luca, che sarà la location per la scena del ritrovamento del cadavere di Kiakiel. Questo personaggio viene interpretato da Francesco il quale essendo quella sera assente, viene sostituito da Antonio, che si improvvisa controfigura dalla "testa mozzata". Gli altri attori sono Ettore nelle vesti del suo personaggio più riuscito, l'implacabile (poi placato) tenente Palombo, Adriano dietro gli occhialoni dello stralunato agente Four Eyes (quattr'occhi), Luca ed ancora Antonio nel ruolo di due agenti della scientifica. Io non essendo impegnato nella recitazione ho aiutato Ettore nelle riprese. Particolare degno di nota è stato l'improvviso arrivo della cugina di Luca che ha spostato la sua auto che, essendosi trovata nel bel mezzo del set, era apparsa in quasi tutte le scene. Fortunatamente ciò è avvenuto a riprese ultimate. Degna di lode infine è l'interpretazione cadaverica di Antonio, che anche dopo che la sua sequenza era stata girata, non si è alzato da terra, tanto che ad un certo punto ci siamo chiesti dove fosse finito. 4 NOVEMBRE: La scena da girare è tanto breve quanto complicata per coordinamento: McLot entra nella sua auto per correre dal maestro, ignaro del fatto che il tenente Palombo gli si nasconde nel portabagagli. Per realizzare una sequenza continua la videocamera deve seguire me che entro nell'abitacolo per poi spostarsi sul retro dell'auto dove Ettore si intrufola, mentre Luca mi da il cambio, a tempo di record, per mettere in moto ed avviarsi al cancello. La prova di Sandra, a cui era affidata la videocamera, è stata ottima. L'unico inconveniente che ci ha fatto ripetere la scena più volte è stato il continuo passaggio delle persone fuori del cancello, che ogni volta rischiavano di essere investite. 5 NOVEMBRE: Ritorniamo nel garage di Luca per la scena del combattimento con Kiakiel. Essendo questo personaggio affidato alla recitazione di Francesco, ci prepariamo psicologicamente non meno che fisicamente a delle lunghe e faticose riprese a causa della sua congenita ed ormai famosa incapacità a non ridere davanti all'obiettivo Come potrete vedere nella sigla di coda, l'intera troupe è stata costretta con la faccia al muro per permettergli di recitare seriamente, cosa che poi, dopo tanti sforzi, gli è riuscita alquanto bene. Questa scena ci ha permesso inoltre di usare, finalmente, la mano ed il moncone che Ettore realizzò tempo fa e mai utilizzati. https://www.3dproduction.it/produzione/produzione_item.asp?id=2#diario
0 notes
paoloxl · 5 years
Text
27 aprile: morte di Antonio Gramsci e Danilo Montaldi
Il 27 aprile 1937 muore, nella clinica di Quisisana a Roma, Antonio Gramsci, dopo undici anni di detenzione nelle carceri fasciste.
Il 27 aprile 1975, in un mondo radicalmente mutato in soli 37 anni, moriva invece Danilo Montaldi, anch’egli, come Gramsci, militante comunista, intellettuale e scrittore. Apparentemente una distanza abissale separa i due personaggi: autore di fama mondiale, inserito ufficialmente nel canone della letteratura e della storiografia italiane, il primo, sconosciuto ai più il secondo; protagonista della stagione classica del movimento comunista (dal 1917 agli anni precedenti la seconda guerra) l’uno, partecipe della crisi storica del progetto marxista-leninista tradizionale (dopo il 1945) l’altro. Gramsci visse la fase ascendente della dittatura del proletariato nell’URSS, sposando anche una rivoluzionaria bolscevica, Julia Schucht, da cui ebbe due figli; Montaldi maturò la scelta di abbandonare il PCI nel 1946, proprio a causa della consapevolezza della degenerazione burocratica che aveva interessato successivamente il socialismo sovietico, nella sua fase discendente. Nonostante queste e altre differenze biografiche, culturali e politiche, molti aspetti permettono di accostare le due figure nel segno della caratteristica più importante e tipica dell’intellettuale militante/comunista tra primo e secondo novecento: il tentativo di precisare una strategia per la distruzione della società capitalista, regolarmente in contrasto con le stesse organizzazioni ufficiali della politica socialista e comunista.
Gramsci era nato nel 1891 ad Ales, in Sardegna, e si era trasferito a Torino per motivi di studio, in estrema povertà, nel 1911. Arrivò nella città sabauda con 45 lire in tasca, avendo speso 55 lire per il viaggio delle 100 dategli dalla famiglia; negli anni successivi sarebbe sopravvissuto grazie a una delle 19 borse di studio da 70 lire mensili messe a disposizione dall’università di Torino per gli studenti poveri del Regno. Negli anni dell’università supera le posizioni sardiste, immettendole nella più ampia e globale idea socialista; presso il numero 12 dell’odierno corso Galileo Ferraris frequenta la federazione giovanile socialista e la sede dell’Avanti, dove inizierà la sua carriera di scrittore grafomane, furioso e tenace, producendo in dieci anni migliaia di pagine di riflessione politica, filosofica e di costume. In quegli anni è anche molto impegnato come critico teatrale (anche se ignorato dal mondo ufficiale dell’arte), risultando il primo critico ad aver scoperto e valorizzato il teatro di Luigi Pirandello (ben prima del più noto critico Adriano Tilgher, come lo stesso Gramsci rivendicava con orgoglio). Nel 1917 segue gli eventi russi e diviene fervente sostenitore della rivoluzione bolscevica; nel 1919 fonda il giornale Ordine Nuovo; tra il 1919 e il 1920 definisce la linea dei giovani militanti socialisti che, a differenza del ceto politico del partito, appoggiano e promuovono le lotte operaie del biennio rosso che, con particolare forza a Torino, Milano e Genova procedono all’occupazione armata delle fabbriche e in molti casi alla loro autogestione e direzione produttiva. Dopo che l’assalto operaio al potere di fabbrica fallisce a causa dell’immobilismo/tradimento della dirigenza socialista, nel 1921 è parte del gruppo di militanti che, a Livorno, accoglie le indicazioni dell’Internazionale Comunista, proclamando la necessità di formare un’organizzazione rivoluzionaria costituita da avanguardie dedite alla promozione del conflitto operaio, per una presa del potere di tipo sovietico, fondando il Partito Comunista d’Italia e, successivamente, il giornale l’Unità. Dopo aver compiuto diversi viaggi in Unione Sovietica come rappresentante della sezione italiana dell’Internazionale, e dopo aver trascorso periodi come esule, soprattutto a Vienna, a causa delle prime repressioni fasciste dopo il 1922, torna in Italia con l’immunità parlamentare, essendo stato eletto deputato il 6 aprile 1924. Poche settimane dopo, il 10 giugno, una banda di fascisti uccide un deputato socialista, Giacomo Matteotti, e gran parte dell’opinione pubblica è turbata e scandalizzata dall’accaduto. Per protesta tutti i gruppi d’opposizione abbandonano i lavori parlamentari, ma tra essi è solo quello comunista, capitanato da Gramsci, che chiede di fare l’unica cosa sensata, ossia proclamare lo sciopero generale. I socialisti temono che il ricorso allo sciopero favorisca il desiderio diffuso di una rivoluzione di tipo bolscevico, i liberali e i cattolici temono socialisti e comunisti molto più dei fascisti, e si appellano sterilmente al Re come supposto garante di una legalità che il delitto Matteotti avrebbe infranto. Tutto questo produce uno stallo durante il quale aumenta la tensione reale nel paese, finché, il 12 settembre, il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram, per vendicare Matteotti, il deputato fascista Armando Casalini, e si scatenano le ondate della repressione più dura, con lo scioglimento di tutti i partiti d’opposizione e l’arresto di militanti e dissidenti. Lo stesso Gramsci sarà arrestato dopo due anni di sforzi nell’opposizione politica al fascismo, e si dedicherà in prigione alla scrittura della sua opera più famosa e internazionalmente conosciuta, i Quaderni del carcere. Una delle tesi contenute nei Quaderni, quella della necessità di conquistare la direzione politica della società attraverso un’egemonia culturale antagonista, verrà riletta in modo moderato dal PCI del dopoguerra, passato nelle mani di Togliatti, interessato a bloccare, su ordine di Stalin, ogni prospettiva rivoluzionaria in Italia. Una tesi ben più complessa e articolata viene banalizzata come grimaldello ideologico volto all’annacquamento della pratica rivoluzionaria (occorre conquistare l’egemonia culturale in primo luogo, quindi la presa del potere politico è rimandata…) a tutto vantaggio della coesistenza pacifica tra due superpotenze capitaliste, l’URSS (capitalismo di stato) e gli USA (capitalismo di mercato). È in questi anni che Danilo Montaldi, nato nel 1929 a Cremona, esce dal PCI di cui era militante e si dedica ad un’attività organizzativa continua e inusuale, attraverso la frequentazione attiva di gruppi cui non aderisce formalmente (Partito Comunista Internazionalista, Gruppi Anarchici di Azione Proletaria) o la fondazione di gruppi che talvolta successivamente abbandona (Gruppo di Unità Proletaria, 1957, e Gruppo Karl Marx, 1966).
Se Gramsci concepì il suo compito come quello della fondazione del comunismo in Italia, inteso come prospettiva specifica nel panorama socialista (consistente, in base all’insegnamento di Lenin, nel rifiuto totale della guerra e nella direzione politica del conflitto sociale allo scopo di provocare una presa diretta del potere), Montaldi si mosse in un quadro dove la stessa soggettività comunista organizzata era divenuta compatibile con la società capitalista, trasformandosi in conservazione sociale burocratica dove era al potere e in involucro retorico di una sostanziale socialdemocrazia dove era all’opposizione. In particolare il compito del militante del dopoguerra è non solo costruire organizzazioni alternative (di qui le critiche di Montaldi ai trotzkisti, che a questo si limitavano), ma anzitutto indagare direttamente le condizioni di lavoro e di lotta della classe operaia. Negli anni della ricostruzione postbellica l’operaio è chiamato a vendere la sua forza lavoro al capitale in nome di uno sforzo presentato come trasversale alle classi, ma l’interesse alla ricostruzione è l’interesse del capitale, poiché l’operaio non può che trarre giovamento dalla distruzione del sistema esistente.
L’antagonismo operaio non va però, per Montaldi, imposto intellettualmente e astrattamente dall’avanguardia ai lavoratori; l’operaio non è oggetto di studio e di intervento dei comunisti, semmai soggetto, esattamente come loro. Egli si dedica quindi a una ricerca sul campo circa le reali condizioni e aspirazioni operaie e contadine, impegnandosi affinché fossero essi stessi a raccontarsi e ad esprimere la loro realtà, negli anni in cui la sinistra ufficiale maturava invece quel distacco reale dalla classe di cui ancora oggi si vedono le conseguenze. Ne saranno risultato opere come Milano Corea. Inchiesta sugli immigrati (1960, con Franco Alasia), Autobiografie alla leggera (1961) e Militanti politici di base (1971). Questo attivismo in cui l’agitazione politica e l’inchiesta diventano una cosa sola costituirà il nocciolo della pratica che verrà battezzata “con-ricerca” da Romano Alquati e, assieme alle analisi fortemente anticonformiste della soggettività operaia di Raniero Panzieri, apriranno la strada alla grande stagione dell’operaismo italiano che, mettendo al centro la classe e il suo conflitto reale contro l’accumulazione capitalistica (anche e soprattutto al di fuori dagli orizzonti del partito e del sindacato), imporrà all’attenzione delle nuove generazione il problema della conquista dell’autonomia operaia. È qui, a ben vedere, che Gramsci e Montaldi si incontrano: entrambi hanno dovuto non soltanto vivere la contrapposizione del comunismo alle forze riformiste o democratiche – o fasciste – ma anche quella tra classe oppressa e organizzazioni esistenti della sinistra: in riferimento al tradimento del PSI durante il biennio rosso il primo, e in relazione al tradimento del PCI con la politica della coesistenza democratica il secondo. I germi dei loro scritti, come spesso accade, non hanno ancora prodotto tutta la potenza dei loro frutti (anche a causa di una loro banalizzazione scolastica, come nel caso di Gramsci, o della loro espulsione dai circuiti editoriali ed educativi, come nel caso di Montaldi) nonostante abbiano già influenzato molte generazioni; lette in prospettiva storica, restano un esempio irrinunciabile di abnegazione militante e di intelligenza rivoluzionaria. L’anticonformismo politico e l’autonomia di pensiero di entrambi è caratterizzata da ciò che il vero comunista sa di dover sempre far propria, ossia l’attitudine all’eresia, anche rispetto alla propria stessa tradizione di pensiero.
Per questo tra le righe più potenti di Gramsci resteranno sempre quelle, splendide, da lui dedicate all’Ottobre Rosso: “La rivoluzione dei bolscevichi è […] la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico […] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili”.
8 notes · View notes
lacriptasblog-blog · 4 years
Text
Vivere nell’Alto Medioevo: manuale di sopravvivenza.
Tumblr media
  Immaginate di trovarvi nell’ Alto Medioevo, sul suolo italico. Siamo ormai lontani dai fasti dell’impero romano, la penisola è stata logorata in lungo e in largo da mutamenti politico-sociali, continue invasioni, malattie e calo demografico, completano il quadro. Gran parte della popolazione vive nei latifondi fortificati dei signori locali, molto più sicuri rispetto alle città ridotte in degrado; perfino Roma, per secoli capitale del mondo antico, è in rovina. Per quello che riguarda il lato culturale del momento, l’ignoranza dilaga, gli unici custodi del sapere umano sono i monaci rifugiati nei monasteri, unici luoghi dove verranno custoditi gli antichi testi.
Piccola menzione per la zona dell’impero romano d’oriente: nei confini di Costantinopoli, sostanzialmente, non si hanno troppi grattacapi. L’imperatore è ancora al suo posto e i meccanismi societari, sono tutti funzionanti. Sarà qui, che il mondo arabo apprenderà le basi, della propria cultura.
Detto questo, analizzando la situazione sotto vari aspetti, è chiaro che se vivevate nell’ Italia feudale, capite perché quei periodi, sono stati battezzati secoli bui.
La vita quotidiana era ovviamente diversa, in base allo stato sociale. I nobili erano la parte più privilegiata, chi possedeva un feudo, riscuoteva delle imposte dai suoi servi. In cambio, si impegnava a fortificare la proprietà e in caso di attacchi nemici, a difende con i suoi soldati, i coloni. I contadini lavoravano nel latifondo, gli sforzi erano tanti e il guadagno piuttosto misero. Le disparità sociali, da sempre nei secoli sono state enormi, ma una cosa accumunava il povero ed il ricco: la malattia. Le competenze in campo medico dell’Alto medioevo erano scarse, si moriva di dissenteria ad esempio. Anche i nobili, nonostante si potessero permettere le cure, avevano a che fare con medici totalmente impreparati, non esistevano farmaci e non si conosceva il corpo umano. Da quando l’uomo antico aveva scelto di vivere nelle città, sotto il punto di vista medico, aveva dimenticato quelle conoscenze primitive, che sfruttava per guarire alcune malattie: si dovrà attendere fino alla scoperta dell’America per riscoprire grazie agli indigeni, quelle antiche nozioni che porteranno l’uomo alla medicina moderna. Venivano usate le spezie come medicinali, perfino perle e pietre preziose sminuzzate, poiché il pensiero del tempo era quello che più fosse pregiata la materia, maggiore sarebbe stata la sua efficacia. A questo punto viene facile dedurre, che probabilmente se non si andava dal medico, si campava di più in certi casi.
L’uomo medievale aveva un’aspettativa di vita non delle migliori, non solo dal punto di vista medico. L’alimentazione del contadino era basata su quello che gli dava la terra, anzi quello che gli lasciava il padrone della terra. Se era fortunato e vicino c’era un bosco, magari poteva avere il lusso di cacciare un po' di piccola selvaggina e raccogliere qualche fungo. Discorso diverso per i nobili; la carne era l’alimento per eccellenza nella loro dieta, tant’è vero che si moriva facilmente di malattie causate da questo tipo di alimentazione, come la gotta.
E se si doveva andare in guerra? Anche in questo caso, la differenza sociale la faceva da padrone. Capitava che il duca, dovesse muovere guerra contro un altro regno e non essendoci più eserciti regolari dai tempi dei romani, venivano chiamati alle armi i feudatari, nobili e contadini al seguito. Chi aveva le possibilità economiche, si poteva permettere armatura, armi e cavallo e i meno abbienti si arrangiavano con mezzi propri, alla bene e meglio. I sovrani non fornivano equipaggiamenti per andare in guerra, si dovrà attendere l’epoca moderna per rivedere eserciti regolari con uniformi e armi tutte uguali. Per quanto riguarda l’igiene non ne parliamo, non si badava molto a questo aspetto, ci si lavava poco e non esistevano bagni; a causa dell’imbarbarimento sociale, nelle città le fogne traboccavano, non si avevano più le conoscenze, per far funzionare tali servizi. Altro elemento che contraddistingue questo periodo sono le leggi e la loro applicazione: il sistema era quello barbarico, la legge del taglione, a danno ricevuto veniva inflitta una punizione di egual misura e spesso ci scappava il morto. Il giudice era il signore locale che doveva risolvere i conflitti all’interno del suo feudo, non si seguivano leggi scritte, il sapere era tramandato a voce.
Per finire, una caratteristica importante, la ritroviamo nell’ambito religioso. Siamo in un periodo dove il cristianesimo è professato in tutto il mondo occidentale e l’uomo medioevale, è profondamente devoto e superstizioso. Il clero è rispettato, i regnanti ripongono nelle mani dei vescovi e del papa, le loro speranze; il potere di promettere protezione terrena e soprattutto ultraterrena, fa del papato nel corso dei secoli, un vero e proprio stato ricco e potente foraggiato da nobiltà e plebe.
Per fare un esempio di come la Chiesa fosse potente ed influisse nel quadro politico dell’Europa, basti pensare alle vicende che hanno fatto crollare il regno Longobardo: a metà dell’ VIII secolo d.C., Papa Adriano I, sotto la minaccia del re dei Longobardi Desiderio alle porte dell’Urbe, consapevole di non essere in grado di respingere un tale esercito, chiamò in aiuto Carlo Magno. Il re dei Franchi, in quel periodo, era in guerra con i Sassoni, ma alla chiamata del Papa, si diresse velocemente verso l’Italia, questo perché il sovrano desiderava rimanere sotto la protezione ecclesiastica di Roma. Il risultato, fu l’annientamento dei Longobardi.
In sintesi, l’uomo comune nell’ Alto Medioevo, viveva una vita molto dura, riponeva le sue speranze nella religione e in un buon raccolto. Viaggiava poco, perché era pericoloso, se andava in guerra si arrangiava come poteva e se non andava dal medico era meglio. Manuale di sopravvivenza, è un titolo un po' ironico, per sdrammatizzare quei secoli della storia umana, dove l’uomo fu costretto a ripartire da una condizione quasi primitiva, che però saranno le fondamenta del Rinascimento.
0 notes