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#Facoltà di Architettura di Firenze
cinquecolonnemagazine · 2 months
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Moda e sostenibilità: quando il connubio può essere perfetto
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Moda e sostenibilità sono un connubio possibile? Soprattutto negli ultimi anni ed in particolare tra le nuove generazioni si è sviluppata una forte cultura eco-sostenibile. Indossare capi second hand o dare nuova vita a materiali di recupero attraverso la creatività diventa un trend che non mostra segni di cedimento. Il brand FRii Shirt di Francesca Riillo nasce proprio dall’esigenza di stimolare questa cultura sostenibile. Soprattutto nelle generazioni che rappresentano il futuro ed attraverso la moda possono veicolare questo importante messaggio. Francesca Riillo eco-fashion designer, capisce che la moda è la sua grande passione già in tenera età tra i primi disegni di abiti ed i cartamodelli. Si forma nel settore da giovanissima fino a conseguire la laurea in 'Progettazione e Produzione Moda' all'Università degli Studi di Firenze, facoltà di Architettura e contemporaneamente si diploma al Polimoda. Durante questi anni inizia a lavorare per brand importanti. Questa sua passione le consente di spaziare tra la moda Prêt-à-porter e quella sportswear, facendo scouting trip in giro per il mondo scoprendo nuove culture, diversi tessuti e stimolando la creatività. Nel suo lungo percorso di stilista e designer oltre a conoscere il lato patinato della moda ha conosciuto anche quello meno etico, sviluppando una cultura molto forte sul tema eco. Così dopo un periodo molto intenso di lavoro nel settore, decide di prendersi del tempo per dedicarsi a focalizzare i suoi veri obiettivi. La sua massima aspirazione è sempre stata quella di diventare Direttore Creativo di una grande Maison di moda lontana dai vecchi fasti di un tempo, per risollevarne le sorti e riportarla in auge. È grazie al suo duro lavoro, a questa ambizione e alla forte cultura eco- sostenibile che nasce “FRii”. Un brand eco sostenibile che si occupa di creazioni nate da materiali di recupero. “Ad un certo punto ho creduto che anch’io che nel mio piccolo avrei potuto fare qualcosa, rimanendo fedele alla mia passione per la moda, per la creatività, per gli abiti, ma con uno scopo finale che fosse un messaggio positivo, di cambiamento, prima ancora che commerciale. Ed è così che è nato il mio brand. “ Francesca perché hai scelto questa strada? “Non è stata una scelta vera e propria, quanto qualcosa che mi si è palesata per caso. Durante un mio lavoro come fashion designer per un brand emergente, sono stata a stretto contatto con la sartoria per la realizzazione dei modelli. Avevo preso delle buste di cotone di scarto da una lavanderia industriale, erano lenzuola di un hotel destinate allo smaltimento come rifiuti tessili o, nella migliore delle ipotesi, venduti come stracci. Usavo questo materiale come ‘teletta’ per le prove. Mi resi conto da subito che questo tessuto, apparentemente di poco valore, era di una qualità straordinaria, se non in alcuni casi, superiore al tessuto scelto per la collezione. Era un cotone bianco, resistente, morbido, versatile e durevole. Presentava solo piccoli difetti che lo rendevano inutilizzabile per lo scopo al quale era destinato, ma che poteva rinascere se trasformato in qualcos’altro. In quel momento ho avuto l’intuizione: perché non utilizzare questo fantastico cotone per realizzare una camicia? Un capo senza tempo e senza stagione, senza genere, magnifico nella sua semplicità. Da quelle prime prove in sartoria fino alla nascita di FRii sono passati due anni. Anni di ricerca, di letture e informazione su sostenibilità, greenwashing, aziende ecologiche virtuose e colossi cinesi ultra-fast, capaci di sfornare dai 35 mila ai 100 mila capi al giorno! Un bel giorno decido che è il momento giusto, così compro 20 kg di lenzuola di scarto da una lavanderia industriale di zona. Cerco tre sarti, lavoro alla prima collezione (che poi quelle di FRii non sono vere e proprie collezioni ma modelli che escono saltuariamente) e parto. Spaventata ed entusiasta, con mille dubbi e felice come puoi esserlo solo quando fai qualcosa col cuore ancor prima che con la ragione”. Scegliere un Brand sostenibile oggi è un plus, pensi che il consumatore abbia maturato una coscienza sostenibile? “Penso che il mondo si stia a poco a poco (molto lentamente!) abituando all’idea che la moda, una cosa tanto amata e fino a ieri innocua e affascinante, sia uno strumento d’inquinamento così potente. L’Italia nello specifico non è ancora pronta ad abbracciare una sostenibilità vera, fatta di rinunce e di cambi di abitudini così radicati. I brand sostenibili, in genere, sono ancora retaggio di un target più alto perché si tratta di artigianato fatto a mano, di ore di lavoro pagate giustamente a chi le svolge, di materie prime naturali, mentre invece siamo abituati, specie i giovani, ad acquistare a poco, a troppo poco, abiti che non hanno il giusto prezzo. È chiaro che un/a ragazzo/a con una disponibilità economica limitata tenderà ad optare per il capo economico. Senza chiedersi perché costa poco, da dove viene e soprattutto, una volta dismesso, che fine farà. La nota positiva è che oggi molti corsi di studio hanno inserito nei loro programmi le materie che parlano di: fast fashion, impatto ambientale, economia circolare ed eco design per i creativi del futuro, affinché il cambiamento parta già dalla progettazione. Penso che una spinta importante per il mio percorso personale sia stato aver potuto insegnare ai giovani che saranno le figure del futuro fashion system. Attraverso uno scambio continuo di dare-avere, i ventenni attingono dalle nostre esperienze e attraverso la moda provano a comunicarci la loro visione del mondo, che a volte ci sfugge ed altre che non riconosciamo più”. Quali sono i valori che vuoi esprimere attraverso la nascita di FRii?  “Penso di essermi messa in testa di diventare portatrice di un messaggio che viene abbracciato ed allo stesso tempo espresso da chi compra una camicia, nel momento stesso in cui la si indossa. Quasi come a voler dire: “guardatemi, sto indossando una camicia che un tempo era un lenzuolo! Ed è pure bella! Naturalmente l’ultima parte della frase nasce dalla stilista che è fortemente presente ancora in me. La stilista alla quale piace il bello e che aspira alla condivisone di massa per una forma di accettazione. Quella parte di me che non voglio sopprimere, perché una parte del messaggio di FRii è anche questo. Un capo può essere durevole nel tempo e rispettoso dell’ambiente, ma anche bello e sostenibile! Al di là di FRii e del suo aspetto commerciale noi vogliamo seguire la regola delle: Tre R dell’economia circolare: RIDURRE, RIUSARE, RICICLARE. Ridurre beni e servizi usando una minore quantità di risorse naturali e moderare la richiesta. Riusare inteso come allungare il ciclo di vita di un prodotto, anche trasformandolo (che è il lavoro di FRii). Riciclare cioè smaltire i rifiuti in modo corretto cercando di trasformarli in nuove risorse”. Come stilista e designer quale è il look che consigli d’estate? "Sicuramente la camicia è un capo must-have e non solo di questa stagione: oversize, boyfriend, corta a mostrare la pancia o con tagli asimmetrici, tutto è concesso purché valga sempre il detto ‘less is more’! Aperta come copricostume in spiaggia, con grandi tasche militari, abbinata agli shorts per il giorno, con collo coreana per lui&lei. Per la sera opterei per una camicia classica dentro un jeans morbido con tacco a colonna, stiloso e sexy; se invece siamo ad un party possiamo sbizzarrirci fra i moltissimi modelli di abiti midi e lunghi portati con sandolo basso, gonne a ruota o shorts corti che scoprono le gambe abbronzate. Occhio agli accessori, potrebbero cambiare le sorti di un intero look!" Secondo la tua esperienza quali sono i tessuti più utilizzati nel periodo estivo? “Naturalmente si cercano tessuti leggeri per affrontare meglio il caldo. Il lino rimane senza dubbio una prima scelta: naturale, piacevole al contatto col corpo, anallergico, nei toni neutri di facile abbinamento sia per la sera sia per il giorno. Segue il cotone: naturale e biodegradabile, leggero e morbido, con elevate proprietà di assorbimento, ma anche resistente e versatile. “Quella di usare il 100% cotone bianco per il mio brand, non è stata una scelta casuale, sia in termini di sostenibilità che di design: intanto perché (da ultimi dati sensibili) sono circa 10 milioni i chili di biancheria alberghiera che ogni anno finiscono in discarica: questo vuol dire che c’è tanto materiale “da salvare” che può avere una seconda vita. Poi perché il cotone è estremamente versatile, sia d’estate che d’inverno, varia solo a seconda del modello (manica lunga o corta, ad abito estivo o camicia sotto il maglione). In ultimo perché il cotone bianco è “no gender!" "Sconsiglio sempre vivamente i tessuti sintetici che possono trarre in inganno. Hanno una mano morbida e setosa che fanno pensare al “fresco”, in verità non lasciano traspirare la pelle e sono irritanti dell’epidermide." Quale è il focus della progettazione di FRii ?  “Uno dei messaggi di FRii è quello della durata del capo. Non solo in termini di manutenzione e cura della camicia, ma anche di utilizzo nel tempo, motivo per cui nella progettazione dei modelli un occhio è puntato sulle mode del momento (è inevitabile farlo anche per chi dice che lo sia!), e uno sul creare modelli che vadano bene “anche dopo”: una camicia classica non è di stagione, un camicione lungo con le tasche lo rimetterai l’hanno prossimo, una camicia coreana va bene sempre. E se cambiano le mode? Prima di buttare armatevi di ago e filo (o di sarte) e modificate i vostri abiti!" Cosa c'è nel futuro di FRii? “C’è la sperimentazione e la curiosità, motori che spingono la creatività nei modelli. Dalle camicie ad altri capi di abbigliamento, in fondo il cotone si presta a moltissime silhouette e forme.Nei materiali: le lenzuola di scarto sono e rimarranno la materia prima di FRii, ma ci sono molti altri tessuti di recupero che possono essere usati: cotone da copriletto, antichi corredi delle nonne, abiti dismessi da mixare col cotone. È tutto un mondo che non vedo l’ora di scoprire…" Read the full article
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agrpress-blog · 8 months
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Con il titolo “Memorie di acqua e colore”, la Galleria della Tartaruga di Marco Pezzali presso la Libreria Eli, in viale Somalia, 50/a, rende omaggio all’artista russo Vladimir Khasiev, scomparso nel 2022, inaugurando a Roma sabato 3 febbraio alle ore 18:00, una mostra di suoi acquerelli su carta nei quali la precisione della visone di scorci urbani e paesaggistici è espressa attraverso una cromia dai toni caldi, ricca di effetti di luce che esalta i valori espressivi dei luoghi. Nato nel 1947 a San Pietroburgo dove ha frequentato, laureandosi nel 1973, l’Accademia d’Arte e Design della Facoltà di Architettura d’Interni, Vladimir Khasiev nel 1981 si trasferisce in Italia e si stabilisce a Roma dove, nel 1982, allestisce la sua prima mostra personale, ricevendo un ottimo commento del critico Antonello Trombadori. Entrato in rapporto con l’Associazione Nazionale Acquarellisti d’Italia, partecipa, su invito, a rassegne nazionali e internazionali ottenendo significativi riconoscimenti per la capacità di rinnovarne il linguaggio, attualizzandolo, attraverso i suoi luminosi acquerelli. Tra questi, nel 1986 il premio internazionale di acquerello intitolato a “Villa Borghese”, svoltosi nel complesso monumentale di San Michele a Ripa. Seguono numerose e ampie esposizioni sia in gallerie private che in musei o Istituzioni pubbliche (tra le quali la rassegna curata dall’Università degli Studi di Roma – Tor Vergata a Villa Mondragone e quelle ai Musei Civici di Albano e alle Scuderie Aldobrandini di Frascati) a Roma, Venezia, Firenze. Vladimir Khasiev, per giudizio unanime, è inserito nel solco della consolidata tradizione degli artisti stranieri che, affascinati dall’unicità e dall’essenza del paesaggio italiano, giunsero in Italia nel corso dei secoli passati per seguire le vie del ‘Grand-Tour’ e per interpretarne le eterne bellezze. Come ha notato Cinzia Virno, Khasiev, che è stato anche socio onorario dell’Associazione Romana Acquarellisti, “per la tecnica e per i soggetti è certamente il naturale erede dei pittori dell’Associazione acquarellistica romana, nata nel 1875 e del successivo gruppo dei XXV della Campagna Romana, primi fra tutti Ettore Roesler Franz ed Onorato Carlandi.” Apprezzato dalla critica e dal pubblico, sia in Italia che negli altri paesi europei, per la poesia e la dolcezza dei suoi acquarelli di suggestivi luoghi e scorci del paesaggio romano e laziale, ha diretto due scuole di acquarello, una a Roma l’altra a Ciampino, dove risiedeva. La mostra, allestita a cura di Luciana Spernanzoni Khasiev e Marco Pezzali, resta aperta, con orario feriale, fino al 14 febbraio dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 19:30. (Nella foto, Piazza del Pantheon)
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enkeynetwork · 1 year
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jacopocioni · 2 years
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La fontana traslocata!
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Che cosa c'entra, chiederete voi, un palazzo di FIRENZE con una fontana di PALERMO? L'altro giorno visitando il GIARDINO DEI SEMPLICI, arrivato nella parte vicina a Palazzo Capponi, vedendo sopra la serra del giardino la parte superiore del Palazzo San Clemente, mi è venuta in mente una storia che vi voglio raccontare e che penso possa interessare.
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Palazzo San Clemente-Via Micheli ang. Via Capponi. Quello che si vede è la parte superiore del palazzo, sopra una serra del Giardino dei Semplici, lato Via Micheli.
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Fontana Pretoria-Palermo               Il Palazzo quando era proprietà del fratello di Eleonora de' Medici, moglie di Cosimo I, aveva un giardino che all'epoca, così dice il Vasari, "non aveva pari a Firenze, né in Italia". In questo giardino era collocata nel 1554 la FONTANA PRETORIA, forse la più grande d'Italia. L'aveva commissionata Don Pedro di Toledo a Francesco Camilliani. La Vasca aveva una circonferenza di 133 metri ed un'altezza di 4. Nel 1581 la fontana venne venduta, smontata e rimontata a Palermo, dove ancora fa bella mostra di sé. La prossima volta che capiterò a Palermo non mancherò di visitare Piazza Pretoria e la sua fontana, nata a Firenze, emigrata a Palermo per ragioni economiche. Non finisce qui la storia. Ce n'è una precedente a Don Pedro, che vi risparmio e ce n'è una successiva che invece è interessante. Il Palazzo, ora sede della Facoltà di Architettura, è conosciuto come Palazzo San Clemente, ma io lo rammento sempre col l'altro nome "IL PALAZZO DEL PRETENDENTE", perché appartenne a Carlo Edoardo Stuart, che si considerava l'erede al trono d'Inghilterra. Il pretendente, non era altro che il marito della CONTESSA D'ALBANY, colei che pagò per il monumento all'Alfieri del Canova in Santa Croce, chiesa nella quale è sepolta anche la contessa.
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Elio Padovano Read the full article
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garadinervi · 2 years
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Pettena's lectures: photographic documentation – Ketty La Rocca, 1975 [photo taken during the architectural history course by Gianni Pettena at Facoltà di Architettura, Firenze, 1975] [Fondazione Bonotto, Molvena (VI)]
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radiobigworld · 4 years
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Conoscere Firenze: Museo Stibbert - Documentario
Tesi di Laurea di Pasquale Miglionico - Design Campus Calenzano - Unifi Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Architettura - Corso di Laurea in Disegno Industriale
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danielscrepanti · 3 years
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Stamattina ho raccontato ai miei studenti di terza media, alle prese con l’elaborazione di un piccolo ma complesso progetto tecnologico, ciò che ricordavo di quando una volta, nella Biblioteca della Facoltà di Architettura in Via Micheli a Firenze, lessi questo testo del compianto Adolfo Natalini: «Se l'architettura fosse una scienza sarebbe paragonabile all'euristica, la scienza della soluzione di problemi a dati incompleti. Come ogni euristica non ci prometterebbe la soluzione giusta, ma solo di evitare gli errori evitabili. Così il progetto di architettura cerca di comprendere la maggior quantità possibile di dati significanti, assume poi la responsabilità di sceglierne alcuni come generatori e lavorando su questi sia razionalmente che poeticamente (potrei dire intuitivamente per non spaventare nessuno), corre infine il rischio di ogni creazione»
(Natalini A., Figure di pietra, in Quaderni di Lotus, Electa Editrice, 1984, p.7)
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SAIL 2017 - Enrico Zaccagni ‘Zacboats’ l’uomo delle barche d’epoca - 2017
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22 dicembre 2017 - Navigatore, istruttore di vela, divulgatore, conferenziere, viaggiatore, ex presidente delle Vele Storiche Viareggio e attuale Commodoro, ma soprattutto consulente di barche d’epoca. Dalla fine degli anni Novanta il fiorentino Enrico ‘Chicco’ Zaccagni è stato coinvolto nel restauro di innumerevoli e importanti scafi che hanno fatto la storia dello yachting. Tra questi Alzavola, il ketch del 1924 appartenuto alla sua famiglia, Magda XIII, Delfino, Kipawa, Orianda, Eilean di Officine Panerai, Marga e Ganbare, il plurivittorioso One Tonner. Tutto comincia a 19 anni, quando … Da Firenze ai Caraibi Enrico Zaccagni nelle occasioni formali, ma per il popolo delle banchine che ne apprezza l’esperienza e le abilità è noto con l’appellattivo di ‘Chicco’. Fiorentino classe 1951, primo di cinque figli, a soli 19 anni assume il comando e la responsabilità di Alzavola, ketch del 1924 lungo 21 metri, costruito in Inghilterra in pregiato fasciame di teak della Birmania. A 27 anni interrompe gli studi di Ingegneria Navale a pochi esami dalla laurea, fonda il Centro Nautico Italiano del quale sarà Segretario Generale fino al 1984 e diventa membro dell’Associazione Internazionale Skipper fin dalla sua nascita. A 30 anni parte per Taiwan, dove per conto della società Clipper Club segue l’allestimento di quattro Eastern Vagabond, piccola serie di yachts a vela sicuri e marini, lunghi da 12,80 a 14,20 metri, concepiti e costruiti per lunghe crociere. Nel 1984, rilevata dalla famiglia la proprietà di Alzavola, si dedica al charter e all’organizzazione di crociere. L’anno successivo acquisisce la patente per navi da diporto e per lui comincia un ventennio durante il quale navigherà ininterrottamente tra il Mediterraneo e i Caraibi. Collabora con agenzie nautiche e turistiche e associazioni come i Venturieri di Gian Marco Borea d’Olmo, cantieri navali e operatori del settore, impara l’inglese, il francese e lo spagnolo, studia meteorologia approfondendo la conoscenza di temi specifici riguardo la Meteorologia Tropicale. Vagabondo dei mari Tra gli anni Ottanta e Novanta Chicco Zaccagni partecipa a numerose regate d’altura, a bordo di scafi d’epoca, classici e moderni, si fa conoscere nel mondo della nautica agonistica e presso i club velici. Forma marinai e comandanti  di unità da diporto, che grazie alla sua esperienza imparano a lavorare a bordo e a relazionarsi con i clienti. Tra il 1993 e il 1999 redige e trasmette quotidianamente via radio un bollettino meteorologico per il Mar dei Caraibi in italiano, francese e spagnolo, segnalato dai naviganti come il miglior riferimento meteo per questo bacino. A questo, tra il 1995 e il 1998, aggiunge l’assistenza meteo via radio per una flotta di oltre 20 barche a vela che ogni anno attraversano l’Oceano Atlantico. Zaccagni continua a dedicare tempo e energie in quella che continua a profilarsi come una vita decisamente fuori dal comune. Traduce in italiano per conto della Casa Editrice il libro inglese “Sails” di Jeremy Howard-Williams, manuale di teoria, utilizzazione e progettazione di vele. Compie tre traversate atlantiche e percorre oltre 50.000 miglia di mare. 1999, nascono ‘Zacboats’ e le collaborazioni universitarie Nel 1997 Chicco Zaccagni segue per conto della società Floating Village la ricostruzione di Pandora, un motoryacht lungo 20 metri del 1934. Non è che l’embrione di quell’attività di supervisore dei lavori e di team manager che sfocerà nel 1999 nella nascita di Zacboats, ditta specializzata nella consulenza, perizia, project managing e brokeraggio nel campo delle imbarcazioni d’epoca, classiche e tradizionali. Si tratta di una nuova e decisiva svolta alla propria carriera di ‘uomo di mare’. A partire dall’anno accademico 2001-’02, grazie al background di conoscenze e in qualità di docente esterno alla Facoltà di Architettura di Firenze, tiene un corso di “Storia dello Yachting e Restauro di Imbarcazioni d’Epoca” presso il Dipartimento delle Tecnologie, dell’Architettura e del Design. Giovani studenti rimangono affascinati da questo mondo e nel 2003 Zaccagni si presenta come correlatore in occasione di una tesi di laurea in Architettura intitolata “Ipotesi di sviluppo industriale nel restauro di imbarcazioni d’epoca” discussa da Marco Gungui. Nel frattempo proseguono le collaborazioni con l’Università di Firenze e con il Dipartimento di Scienze e di Architettura dell’Università di Genova. Nel 2016 è di nuovo correlatore per la tesi di laurea di Francesco Rocchetti sul restauro dello yacht Barbara, uno yawl di Camper & Nicholson del 1923 lungo 15,50 metri. I restauri delle barche d’epoca Nel 1999, dopo essere appartenuto per 35 anni alla sua famiglia, il ketch Alzavola viene acquistato da un nuovo armatore romano e trasferito via cargo dai Caraibi a Livorno. Da qui raggiunge Viareggio, dove presso il cantiere Del Carlo la barca viene smantellata e ristrutturata. A Zaccagni viene affidata la direzione dei lavori. Tra gli interventi effettuati la ricostruzione dei madieri in acciaio e il rifacimento del 20 per cento delle ordinate in quercia. La barca può così tornare sui campi di regata in occasione dei più importanti raduni di vele d’epoca. Da quel momento per Chicco Zaccagni inizia un interminabile coinvolgimento nel recupero di numerosi scafi d’epoca e classici. Di seguito un elenco delle imbarcazioni per le quali ha seguito la ristrutturazione in qualità di direttore dei lavori, sia presso i cantieri viareggini Del Carlo e Pezzini che presso altre realtà come la Tecnomar di Fiumicino o il Cantiere Luciano Gavazzi di Castiglioncello. ·         Magda XIII (1937) - 23 mt. ·         Windswept (1936) - 16,50 mt. ·         Don Quixotte (1933) - 11,50 mt. ·         Tesse (1963) - 10,50 mt. ·         Mopi (1953) - 9,90 mt. ·         Delfino (1940) - 14,80 mt. ·         Kipawa (1937) - 16,80 mt. ·         Ganbare (1973) - 10,80 mt. ·         Orianda (1938) - 23 mt. ·         Ojalà (1973) - 11 mt. ·         Eilean (1936) - 22,30 mt. ·         Oenone (1935) - 13,50 mt. ·         Marga (1910) - 15,50 mt. ·         Nocturne (1935) - 18,80 mt. ·         Agostina (1946) – 10 mt. Zaccagni è inoltre socio dell’AIVE, Associazione Italiana Vele d’Epoca, nonchè membro dell’Association of Yachting Historians. Dopo averne ricoperto la carica di Presidente per un circa un decennio, dal 2015 è Commodoro dell’Associazione Vele Storiche Viareggio. I restauri in corso: Barbara, Tirrenia II, Lo Spray, Tonino e Astarte Non passa anno senza che non vi siano alcuni importanti restauri in corso da seguire. In questo periodo Chicco Zaccagni sta curando il ritorno in mare di cinque imbarcazioni. Barbara è uno yawl bermudiano costruito nel 1923 dal cantiere inglese Camper & Nicholson. La barca, lunga 15,50 metri, in passato è appartenuta al creatore del marchio Dom Pérignon. Dal 2015 si trova presso il cantiere Del Carlo di Viareggio, dove verrà varata ufficialmente sabato 19 maggio 2018. Quel giorno, chiunque lo desidererà, potrà assistere alla cerimonia del ritorno in mare presso la sede del cantiere in Darsena Italia a Viareggio. Sempre presso Del Carlo si trovano altre due imbarcazioni, lo storico ketch aurico Tirrenia II del 1914 lungo 18,80 metri, già protagonista di numerose partecipazioni ai raduni di vele d’epoca del Mediterraneo, e Lo Spray, un motorsailer armato a ketch bermudiano lungo 16,20 metri, varato dal cantiere Picchiotti nel 1961 su piani di Franco Anselmi Boretti. Infine Tonino del 1911 e Astarte del 1907, entrambi appartenenti alla classe dei 10 Metri S.I. (Stazza Internazionale), ai lavori presso il cantiere Tecnomar di Fiumicino. I riconoscimenti e le collaborazioni editoriali Numerosi i ‘meriti sul campo’ ottenuti nel corso degli anni da Chicco Zaccagni. Nel 2002 ha ricevuto il premio per il miglior restauro di Windswept a Le Vele d’Epoca di Imperia e nel 2003 lo Yacht Digest Award. Stesso premio nel 2004 per il restauro di Alzavola, seguito nel 2005 dall’ ”Oscar” per il miglior restauro assegnato a Mopi in occasione del Trofeo Accademia Navale di Livorno. Altri riconoscimenti gli sono stati assegnati per il restauro di Kipawa e Delfino. Nel 2015 la prestigiosa rivista inglese Classic Boat lo ha premiato per il recupero di Marga. Suoi articoli e recensioni sono stati pubblicati su Yacht Digest, Yachting World, Via Mare, Yachting Quarterly e Barche d’Epoca e Classiche. Ha anche scritto un capitolo del libro Yachts Restoration, edito dal Dipartimento di Scienze per l’Architettura dell’Università degli Studi di Genova. E il tempo libero? Si potrebbe dire … “di mare e di terra”. Zaccagni ama infatti veleggiare, compiere immersioni in apnea, collezionare libri e documenti d’epoca dello yachting, ascoltare musica classica … e andare a funghi.
FROM http://www.navigamus.info/2017/12/enrico-zaccagni-zacboats-luomo-delle.html
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italianartsociety · 7 years
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Coming to the Palazzo Strozzi on October 20, 2017, the exhibition Radical Utopias: Beyond Architecture, Florence 1966-1976 will explore the radical movement in Florence through the lens of architectural experimentation.  The multimedia exhibition puts the work of artists, architects and collectives in relation to one another, many of which developed as a product of the student revolutions and in the aftermath of the 1966 flood.  Represented in the exhibition are groups like Archizoom, a Florentine student collective of the 1960s responsible for the “No-stop City” design--an urban grid that covered the entire world.  Also featured in Radical Utopias is the work of Gianni Pettena, who graduated from the Facoltà di Architettura di Firenze in 1968 where he would later become a professor of contemporary architectural history until 2008, and who was interested early on in the relationship between the built environment and the natural world.  Radical Utopias will be on view until January 21, 2018.
Further reading
Gargiani, Roberto. 2008. Archizoom. Lausanne: Ecole Polytechnique Federale.
Pettena, Gianni. 1996. Radicals: architettura e design 1960-75 = design and architecture 1960-75 : [VI mostra internazionale di architettura La Biennale di Venezia, Giardini di Castello, 15 settembre-17 novembre 1996]. [Venezia]: La Biennale di Venezia.
Archizoom, No-stop City, 1970, Casabella magazine.
Gianni Pettena, Tumbleweed Catcher, 1972, Salt Lake City, Utah.
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retegenova · 6 years
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AMICI DELL’ACQUARIO:
SECONDO APPUNTAMENTO CON IL CICLO “CAMBIAMENTI E CIVILTÀ CONTEMPORANEA”
  Mercoledì 7 novembre, alle ore 17, nell’auditorium dell’Acquario di Genova avrà luogo il secondo incontro del ciclo su “Cambiamenti e civiltà contemporanea” organizzato dagli amici dell’Acquario in collaborazione con l’Acquario stesso e con il Festival della Scienza.
  Il tema “ARTE IN VIAGGIO AMBASCIATRICE DI BELLEZZA” sarà trattato dalla dott. Caterina Olcese Spingardi, storica dell’arte presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Liguria, che mostrerà con l’ausilio di immagini, quanto sia cambiato oggi il nostro modo di porci di fronte alle opere d’arte.
  Caterina Olcese Spingardi è responsabile dell’ufficio che si occupa dei prestiti per mostre dei beni di pertinenza del territorio regionale.
I suoi studi si sono soprattutto incentrati su scultura e architettura tra Otto e Novecento; si occupa anche di committenza, collezionismo e istituzioni culturali a Genova e in Liguria nella stessa epoca.
Ha insegnato alla Facoltà di Architettura dell’Università di Genova ed è stata ed è docente presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze; a lungo ha inoltre collaborato con la Facoltà di Lettere di Genova.
Ha lavorato alla realizzazione di esposizioni (tra cui le mostre genovesi Ottocento in salotto. Cultura, vita privata e affari tra Genova e Napoli e Da Rodin a D’Annunzio. Un monumento ai Mille per Quarto, di cui è stata ideatrice e curatrice) e ha al suo attivo numerose pubblicazioni.
  Appuntamento alle ore 17 presso l’auditorium dell’Acquario di Genova. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per informazioni, 010/2345.279-323, [email protected], www.amiciacquario.ge.it.
  Il ciclo di incontri proseguirà fino al 12 dicembre 2018 con il seguente calendario:
  Mercoledì 14 novembre, ore 17
DA VIA GLUCK A DUBAI COME CAMBIA LA CITTA’
Relatore: Enrico Pinna, architetto, presidente A.M.S. (Architettura Modernità Scienze).
  Mercoledì 21 novembre ore 17
TOCCARE IL SUONO, ABITARE LA VOCE COME LA TECNOLOGIA HA MUTATO IL RAPPORTO CON LA MUSICA
Relatore: Antonio Camurri, professore ordinario di Ingegneria Informatica, DIBRIS (Università di Genova), Centro di Ricerca Casa Paganini – InfoMus, ARIEL (Ospedale Gaslini).
  Mercoledì 28 novembre ore 17
INDIA ANCESTRALE DOVE NON ARRIVA LA CIVILTA’
Relatori: Iago Corazza e Greta Ropa, fotoreporter antropologici e naturalistici.
  Mercoledì 5 dicembre ore 17
NOI  E  LO  SPAZIO: COME E’ CAMBIATO IL NOSTRO RAPPORTO COL COSMO A 50 ANNI DALLO SBARCO SULLA LUNA
Relatori: Walter Riva, direttore dell’Osservatorio Astronomico del Righi Patrizia Caraveo,(direttore di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.
  Mercoledì 12 dicembre ore 17
DAI VIRUNGA A RANTHAMBORE: PARCHI E MUTAMENTI TRA NATURA, ECONOMIA E CONSERVAZIONE
Relatore: Alessandro Bee, naturalista e fotografo di conservazione della natura e delle sue risorse.
  Emanuela Ratto
Responsabile ufficio stampa
COSTA EDUTAINMENT SPA
Acquario di Genova
www.costaedutainment.it
  Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
Contatti
Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
Informatica Servizi
Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
ARTE IN VIAGGIO AMBASCIATRICE DI BELLEZZA – Mercoledì scienza Amici dell’Acquario AMICI DELL’ACQUARIO: SECONDO APPUNTAMENTO CON IL CICLO “CAMBIAMENTI E CIVILTÀ CONTEMPORANEA”   Mercoledì 7 novembre, alle ore 17, nell’auditorium dell’Acquario di Genova avrà luogo il secondo incontro del ciclo su “Cambiamenti e civiltà contemporanea” organizzato dagli amici dell’Acquario in collaborazione con l’Acquario stesso e con il Festival della Scienza.
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littlenemonathalie · 7 years
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redazionecultura · 8 years
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sede: Galleria Nicola Pedana (Caserta); cura: Marco Tonelli.
“In un certo senso infinito – sottolinea nel suo testo Marco Tonelli – vuole essere un titolo di una mostra, ma anche una provocazione intellettuale, un modello visivo, una comunicazione estetica, un’affermazione che sollecita domande. Cosa si nasconde nel certo di un senso infinito? Certo come certezza o, al contrario, come modo in(de)finito e vago di esprimere un significato? E senso allude all’aspetto sensibile dell’esperienza, quello appunto dei sensi, o al significato, alla direzione? Come se esistesse un senso dell’infinito, una direzione infinita? Tutto dipenderà appunto da come interpreteremo l’infinito compreso nel titolo. Concetto di per sé impensabile nella sua interezza, proprio perché senza fine e quindi senza limiti per esseri finiti e limitati come noi, l’infinito lo possiamo solo dire o scrivere, simboleggiare, avviare in sequenze numeriche (1…3…5…7…11…13…), ma mai fisicamente contenere. Vittorio Messina è un artista a cui piace sfidare inafferrabili e sottili inquietudini, praticando installazioni che vogliono spingersi oltre la loro pur oggettiva materialità costruttiva. Le sue opere sono tentativi di uscire dalla gabbia del pensiero razionale, dalle ovvietà dei dati sensibili, dai dogmatismi del trascendente, anzi ambiscono in un certo senso a fondere razionalità-sensibilità- metafisica nell’opera d’arte. Oltre la metafora, oltre l’analogia, forse l’opera di Vittorio Messina è da sempre in cerca di un’estetica basata proprio sull’in un certo senso, essenza stessa dell’Arte, che è a sua volta un concetto inafferrabile, non delimitabile, illimitato. Ovvero, in un certo senso, infinito”.
Vittorio Messina Vittorio Messina compie gli studi all’Accademia di Belle Arti e alla Facoltà di Architettura di Roma, città nella quale vive e lavora e dove, alla fine degli anni Settanta, esordisce nello spazio di Sant’Agata dei Goti – punto di incontro e luogo di sperimentazione della giovane arte di quegli anni, con “La Muraglia Cinese”, una mostra articolata intorno all’omonimo testo kafkiano. Già con la “Muraglia” e con le mostre alla galleria ‘La Salita’ di Roma (1982) e alla galleria Locus Solus di Genova (1983), il lavoro di Messina è orientato verso una forma di scultura ambientale dove scompare progressivamente l’uso di materiali organici e naturali. Così, passando per le mostre alla galleria Minini di Brescia (con Garutti nel 1985), al PAC di Milano, alla mostra ‘Il Cangiante’ curata da Corrado Levi (1986), Messina espone le prime “celle” nel 1986 alla Moltkerei Werkstatt di Colonia e alla galleria Shimada di Yamaguchi (Giappone), veri e propri edifici costruiti con materiali seriali di uso edilizio, di solito autoilluminati con lampade industriali. Nella sua ricerca l’artista ha elaborato ripetutamente questa iconografia come unità di riferimento, sinonimo della “stanza”, elemento base dell’architettura e in specie dell’edilizia urbana. Dalla metà degli anni Ottanta Messina, utilizzando i materiali e i modi, ha messo in evidenza l'”abuso” consumato dall’arte in rapporto al degrado e alle tematiche ambientali e sociali in atto nelle periferie metropolitane. Nel 1987, a Palazzo Taverna in Roma (Incontri Internazionali d’Arte), all’interno di un ciclo dove si succedono gli interventi di Maria Nordman, Bruce Naumann e Luca Patella, Messina costruisce una ‘cella’ e pubblica un testo, ‘Paesaggio con luce lontana’, dove affiora la tematica heisenberghiana dell’indeterminazione, già presente peraltro nella mostra ‘Spostamenti sulla banda del rosso’ di Villa Romana (Firenze 1985). Da questo momento il lavoro di Messina si svolge con stringente continuità visionaria nel grande ‘Krater’ esposto alla mostra ‘Europa Oggi’ del Museo Pecci di Prato (1988), nell’installazione totale alla galleria Oddi Baglioni di Roma dello stesso anno, fino alla mostra ‘Aetatis suae’ alla galleria Tucci Russo di Torino (1990), dove uno schermo televisivo fuori sintonia fa da contrappunto a una serie di cinque grandi nicchie, che svolgono con una sorta di ‘scrittura plastica’ il tema della nominazione. Successivamente, dalla ‘cella’ della galleria Minini di Brescia (1991), a quella del Kunstverein di Kassel (1991) e della galleria Victoria Miro (Londra, 1992), ma anche della ‘Stanza per Heisenberg’ (opera notturna per Edicola Notte, Roma, 1991), come nelle 24 finestre della mostra ‘Lux Europae’ di Edinburgh (1992), fino ai lavori del Castello di Girifalco, Cortona (con Thomas Schutte, 1993), l’opera di Messina si configura, con l’imprevedibilità e il disincanto di un vero e proprio cantiere metafisico. Un’idea, questa, che si sviluppa a partire dagli anni Novanta, nelle mostre al Kunstverein di Dusseldorf, alla Villa delle Rose di Bologna, alla National Galerie di Berlino, al Museo di Erfurt, al Museo di Leeds, fino alle grandi installazioni nei “Dialoghi” (Maschio Angioino e Castel dell’Ovo, Napoli, 2002), integrando una forma di mobilità e di precarietà radicali all’immagine della città come organismo improprio e artificiale. Nella mostra “A village and its surroundings” (H. Moore Foundation, Halifax, 1999) alcune installazioni includono l’uso di film-video nella prospettiva del ‘tableau vivant’, della ‘segnalazione’ e del ‘controllo’. In ‘La discrezione del tempo 1′ (Museo Ujasdovki, Varsavia, 2002) e in “Una città visibile” (chiesa di San Paolo, Modena, 2004), e poi ancora nelle “Cronografie, o della città verticale” (Cavallerizza Reale, Torino, 2006), e in “Momentanea Mens” (DKM Foundation, Duisburg, 2009), lo spazio-tempo dell’habitat umano tende a espandersi ulteriormente, fino alla dilatazione estrema di “Hermes”, un’opera della durata di 72 ore, divisa in 9 “Capitoli”, nata dall’elaborazione di un film di 42 minuti primi, in formato 8 mm del 1970 (Insel Hombroich, 1970/2008). Nelle opere esposte al MACRO (“Eighties are Back”, Roma, 2011) e poi nel confronto con Thomas Schutte alla Villa Massimo (Roma, 2011), Messina rafforza la componente tautologica del suo lavoro e avvia una nuova riflessione sulle forze e le dimensioni dello spazio reale, come nel 2013 al Museo delle antiche Mura Aureliane di Roma, dove si rapporta ancora con un ambiente fortemente segnato dalla storia e dagli eventi. Nel 2014, con le due grandi mostre al MACRO di Roma e alla Kunsthalle di Goeppingen, sul tema di “Postbabel e dintorni”, i nuovi “Habitat” evocano temi profondi, dove il soggetto della città riemerge come riflessione sull’origine del linguaggio e della stessa forma dell’arte come tensione e portato culturale della comunità umana. Una complessità, questa, che pervade i nuclei plastici di “Teatro Naturale prove in Connecticut” della grande mostra all’Albergo delle Povere di Palermo (Museo Riso, 2016), che segna, insieme all’originario recupero kafkiano, l’impervia proiezione nel sistema della incompiuta modernità della globalizzazione.
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Vittorio Messina. In un certo senso infinito sede: Galleria Nicola Pedana (Caserta); cura: Marco Tonelli. "In un certo senso infinito – sottolinea nel suo testo Marco Tonelli - vuole essere un titolo di una mostra, ma anche una provocazione intellettuale, un modello visivo, una comunicazione estetica, un'affermazione che sollecita domande.
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danielscrepanti · 5 years
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“Tutti gli argomenti, per quanto scritti con tratti molto seducenti, hanno un retrogusto di schermaglie, querelle, gossip”
A Selinunte ho assistito questa estate alla presentazione dei lavori di Franco Zagari. Sono rimasto letteralmente impressionato dalla loro quantità e qualità. Ricordo di aver provato una sincera ammirazione per lui.
Purtroppo, qualche giorno fa ho letto su Artribune un suo scritto prevalentemente volto a difendere il lavoro della giuria presieduta per il concorso di progettazione del Parco del Ponte sul Polcevera. L’affermazione che mi ha colpito di più è quella riportata in epigrafe.
Stamattina, Andrea Boschetti uno dei progettisti vincitori del concorso ha postato una riflessione di ringraziamento a Zagari per le parole del suo articolo. Nel post di Boschetti, oltre al tono ironico, mi ha fatto riflettere la seguente affermazione: “la critica (...) è cosa seria e diversa (....)”.
Da cosa? Dalla critica che non ci piace o che pensiamo voglia minare la percezione della serietà e correttezza del nostro lavoro?
Tra le critiche formulate al progetto vincitore del concorso, perlomeno quelle che ho letto, io non ho ravvisato né la delegittimazione del progetto né la delegittimazione di chi ha fatto il progetto. Ci sono stati legittimi tentativi di osservare, capire, giudicare e discutere gli effetti di un concorso mediaticamente straordinario: 1) in termini di politica professionale, con il post di Prestinenza che lamentava uno scarso ricambio ai vertici dell’architettura italiana e 2) in termini progettuali, anche perché i progetti presentati avrebbero dovuto ergersi a manifesto italiano sulla riqualificazione urbana. Per il secondo punto cito il post di Peluffo su comunicazione e condivisione, e mi riferisco anche ad alcune sciocchezze che ho scritto personalmente e di cui sono ancora convinto (per ora, non si sa mai).
Ma perché il nostro lavoro di architetti non vede la critica come una chance per esprimere meglio ciò che si vorrebbe comunicare con le scelte fatte o i progetti disegnati? “Ogni critica è un dono” ripetevo ai miei colleghi della Facoltà di Architettura di Firenze quando avevamo montato una specie di collettivo chiamato MHM (onomatopea al servizio del dubbio...) che partecipava a concorsi qua e là.
Ogni critica è un dono se si crede che la critica, purché argomentata, si possa comunque fare (e subire) e non ci si debba poi necessariamente sentir dire di essere dei pessimi informatori o dei quasi architetti.
Se le critiche più belle al progetto le faranno i cittadini che parteciperanno ai tavoli di discussione, che problema è se chi scrive qualcosa su un progetto non è un vip dell’architettura o ha qualche speranza in meno del presidente della giuria e dei progettisti sulla riuscita dello spazio progettato? Io sogno bambini delle scuole medie desiderosi di criticare lo spazio in cui vivono e di criticare i progetti per lo spazio in cui vivono. Argomentando. Solo così si migliora.
https://www.artribune.com/progettazione/architettura/2019/10/parco-ponte-genova-franco-zagari/
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bonvesin-and-co · 8 years
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Paola Marzoli. Ain karem 20 gennaio – 6 febbraio 2017
Inaugurazione: giovedì 19 gennaio, ore 19.00
Galleria Rubin è lieta di presentare "Ain Karem”, seconda mostra personale di Paola Marzoli nei suoi spazi, dopo l'esposizione "Getsemani" tenutasi nel 2005. Fedele a una rappresentazione e a un metodo di lavoro rigorosi, la pittrice procede per scarti minimi su un percorso di analisi approfondita della realtà. Già dodici anni fa, l'artista aveva virato dal suo primitivo interesse per l'architettura verso una rappresentazione di fenomeni di natura osservati da distanza ravvicinata. “Getsemani” era una mostra in cui l'albero dell'ulivo era protagonista: una pianta severa con minimi chiaroscuri tra il verde e l'argento. L'attività espositiva di Paola Marzoli è continuata, alternata a frequenti viaggi in Palestina, ricchi di spunti visivi, favoriti dalla luminosità e dalla particolare asprezza del territorio. Sono nati altri cicli di pitture su vari temi: distese di sassi, pietre divorate dall'arsura e dal muschio, materie parlanti a cui Paola Marzoli ha sempre risposto con acuta sensibilità e paziente lavoro. "Ain Karem"  prosegue idealmente la mostra "Cafarnao" del 2014, in cui un particolare, un dettaglio arboreo, occupa tutta la tela ma dove è possibile individuare nell'intrico della vegetazione delle forme riconoscibili, una struttura complessa ma leggibile. Come bene chiarisce Rodolfo Balzarotti nel catalogo di questa mostra: <Sempre meno nelle ultime opere le immagini lasciano trasparire panorami, consentono vedute in campo lungo. La vista è subito intercettata da dettagli, soprattutto di rami e foglie – mirto, olivo, palma, sicomoro - che bloccandoci lo sguardo lo costringono non a sfondare ma a sprofondare. [...] Questi rami e queste foglie hanno una nitidezza, una presenza di puro presente, senza sfumature di temporalità. Sono istanti assoluti. E in questa stessa misura assumono anche una consistenza che le sottrae alle contingenze del tempo>.
Paola Marzoli è nata nel 1944.   Vive e lavora a Milano. Dopo gli studi classici e una laurea in architettura nel 1969 al Politecnico di Milano, si dedica all'insegnamento nella medesima facoltà fino al 1975 nel gruppo didattico di Aldo Rossi.   Redattrice della rivista di architettura ‘Controspazio’ diretta da Paolo Portoghesi. Partecipa al progetto premiato nel 1972 al concorso per il cimitero di Modena. Collabora per l’immagine con il teatro d’opera di Bruxelles nella stagione 1981-82. Dal  1974 a oggi ha tenuto mostre personali a Milano, Roma, Firenze, Parigi, Bruxelles, Mannheim e al Museo d’arte di San Paolo in Brasile. Dal 2004 anno del primo viaggio in Terrasanta l’argomento della sua pittura sono le foglie, i sassi, i legni trovati in quel luogo.
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