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#Recensione Più libero di prima
dilebe06 · 8 months
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Mafia the Series: Guns & Freaks
Giuro che non è un porno!
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Forse ha ragione @lisia81 quando mi dice che mi guardo drama assurdi e che trovo solo io.
Dopo Lost Tomb ed altri drama senza senso, davvero dovrei cominciare a pensarci sopra. Soprattutto dopo questo Mafia The Series che per certi versi è l'apice del discorso.
Ma d'altronde come potevo perdermi una serie che dal trailer pare una cosa a metà tra Il Padrino - girato tra le fogne - e una puntata di Paperissima e che non c'ha manco una recensione su Mydramalist?! Per non avere nemmeno due righe deve essere una parla nascosta.
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Allora... Io non so nemmeno da cosa cominciare.
Partiamo dalla trama:
La storia parla di Beam, un normale studente universitario . Anche se è debole nei confronti del mondo, dopo la morte misteriosa di suo padre Rachen, vuole diventare un eroe. La sua vita non sarà più la stessa quando scoprirà che suo padre era il leader della banda Nemesis, la più grande organizzazione mafiosa della Thailandia, e Beam, invece di diventare l'eroe dei suoi sogni, dovrà diventare il capo di un'organizzazione terroristica. [mydramalist]
Ok. A differenza di Lost Tomb qui la trama è chiara e comprensibile e la serie cerca di seguirla fino in fondo. Certo, con un approssimazione che rasenta la querela ma intanto ringraziamo tutti gli dei che almeno si siano attenuti alla storia.
Non mentirò, mi interessava la parte del conflitto interiore del protagonista tra il suo sogno e la realtà dei fatti e come sarebbe venuto a patti con il mondo mafioso. Ma ahimè, di introspezione psicologica in questa serie non c'è traccia. [introspezione psicologica AHAHAHAHAHAH]
Il nostro Beam assurge al ruolo di futuro capo mafia senza troppi problemi o drammi interiori. Solo nel finale cercherà di tirarsi indietro prima di scoprire che se lo facesse, dovrebbe dare indietro un botto di soldi alla Mafia. Meglio mafioso e ricco che libero ma povero!
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Ora, c'è da dire una cosa sulla trama. Essa è stata per gran parte imprevedibile. Difficile ipotizzare chi sarebbe spuntato fuori o cosa sarebbe successo. E vorrei davvero dire che questo punto fantastico è frutto di un bel lavoro da parte degli sceneggiatori, capaci di mantenere la tensione e creare una storia improvvisa ed ad alta tensione.
Ma...la storia non si può prevedere semplicemente perché è fatta male: personaggi che appaiono e scompaiono dalla scena come vuole la sceneggiatura, tizi che scappano dall'Università poiché inseguiti da degli assassini e si ritrovano - non si sa come - nella sala da pranzo di uno del Capo Mafia rivali, cameriere robot, un corridoio dentro una casa dove c'è un muro di cactus alla fine che gli blocca la strada... e potrei continuare per ore. Le cose che ho visto...Dio, non posso ancora crederci!
Essendo dei partecipanti alla fiera dell'assurdo, non mi sono quindi stupita quando nel finale, il padre di Beam resuscita dai morti per rivelarci che ha fatto finta di morire per preparare il figlio ad una futura carriera nella malavita. Un finale e una seconda stagione in arrivo che ha pure il sottotitolo di " più pistole e più pazzi". So già cosa aspettarmi. XD
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Io ovviamente mi sono divertita come una pazza. Senza prendere sul serio NULLA di ciò che viene messo a schermo, la trama scorre come un teatrino dell'assurdo che riesce comunque a far capire allo spettatore la progressione degli eventi ed ad arrivare ad un finale sensato. E non è poco. Sì, Lost Tomb sto pensando a te.
Se questa serie per certi versi ricorda quella perla del Tombaroli di Lost Tomb - soprattutto per quanto riguarda la povertà tecnica, registica, ambientale e così via... - si discosta per via della sua comicità: dove Lost Tomb fa involontariamente ridere perché si prende tremendamente sul serio, Mafia The Series fa sorridere perché si prende per il culo da sola. E questo l'ho apprezzato.
Un altra cosa c'è poi da dire: non ho mai trovato una serie con una realizzazione così discontinua. Alcune scene erano ben fatte, belle inquadrature ed anche un minimo di caratterizzazione. Altre invece pareva di essere dentro Paperissima Sprint. Si passa da scene toccanti dove si parla di un amore difficile per via della mafia dove si piange e ci si commuove a momenti dove fanno mangiare il pene di una mucca al protagonista solo per farci fare quattro risate. Questa serie mi ha ubriacata!
Essendo una serie comica sono innumerevoli le gag, le battute a sfondo sessuale (mai trovate così tante dentro una serie), le scene a mo' di caduta sulla buccia di banana, le musichette divertenti, la recitazione esagerata ecc ecc ... pensate ad una cosa assurda e quella ci sarà.
Ricorderò fino alla fine dei miei giorni che ho passato 2 minuti di puntata ad ascoltare Beam ed i suoi amici che parlavano della lunghezza dei loro peni. Così, per ridere.
L'assurdità poi si riscontra anche nei personaggi che attorniano Beam, prima tra tutti Anna. La sicaria migliore del mondo che pare Carmen San Diego e va in giro con la pistola con su scritto "BITCH" ed è decisamente sopra le righe in tutto quello che fa. In realtà Anna e tutti gli altri come Sven o Intenso, mi sono piaciuti e li ho trovati divertenti. I loro bisticci e scenette comiche erano carine e mi hanno strappato spesso una risatina.
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Mi è piaciuto che abbiano creato tutti assieme una piccola famiglia con Beam, pronti a proteggerlo ed aiutarlo a costo di rimetterci la vita. Speriamo che se fanno una seconda stagione, si possa rivedere queste dinamiche "familiari" un po' matte ma divertentissime.
A far compagnia ad Anna nel podio della follia c'è anche Sonya, la figlia della famiglia rivale di Beam. Ho capito che sarebbe stato un personaggio meraviglioso quando gli viene chiesto delle origini di Bunny, la sua bodyguard vestita da coniglietta sexy. Sonya racconta che da piccola era sempre sola, con la compagnia di un coniglietto di peluche. Così durante la notte, espresse il desiderio di avere un amica e la mattina dopo...Bunny era lì. La cosa più bella però è che in tutti questi anni, Bunny non è mai invecchiata.
Siamo nel paranormale? nella prossima stagione vedremo gli alieni?!
Sonya è la regina del dramma, esagerata in tutto che però fa sorridere e quindi l'ho amata parecchio. XD
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Gli altri personaggi sono "quasi" normali anche se i cattivi delle bande rivali avevano lo spessore della carta velina e il carisma di un carratrezzi. Discorso diverso per il padre Lazzaro di Beam che nel finale imbruttisce tutti i cattivi semplicemente facendosi vedere in faccia. Sarà che era interpretato dal Preside di the Gifted, ma solo lui ha saputo essere vagamente intimidatorio. Per essere un drama sulla mafia è tutto dire.
Il gravissimo problema di questa serie si ha con la parte tecnica: l'audio è stato atroce. Alcune volte si sentiva ovattato. In altre, non so il perché, si è deciso di modificare la voce dei personaggi con un modificatore della voce. In altre la musica di spengeva all'improvviso e certe volte ho avuto paura che addirittura partissero le risate registrate.
Il montaggio ha dei tagli spaventosi, scavalcamenti di campo che dovrebbero essere considerati illegali in almeno due terzi dei Paesi del mondo ed in altre, hanno ben pensato di girare una scena da più di 2 minuti, girando attorno ad un tavolo con la telecamera, mentre i personaggi parlano. Il risultato è stato un atroce mal di mare e quel vago senso di nausea che solo drama così ben fatti possono garantirti.
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giro giro tondo...casca il mondo....
Anche i combattimenti sono stati discontinui. Alcuni erano ben girati, con ottime coreografie e scene avvincenti. In questo, il personaggio di Sven svetta su chiunque altro. In altre scazzottate invece, sembrava di vedere due bambini dell'asilo che si menano. In alcune scene scorre sangue come se non ci fosse un domani. In altre i personaggi non hanno un graffio dopo che si sono gonfiati di botte per un buon quarto d'ora. Io boh...
Poi l'ambientazione ed il poco budget mi hanno dato il colpo di grazia. Pensi a combattimenti tra gruppi mafiosi e ti immagini una cosa e la serie ti da quattro stronzi presi al mercato che fanno finta di menarsi a mani nude. Le famiglie mafiose sono composte da 4 persone in croce che paiono più spacciatori che boss di mafia.
Le locations sono o capannoni abbandonati o luoghi pubblici dove non c'è un cazzo di passante manco a pagarlo oro. Sparatorie per strada, inseguimenti con truppe d'assalto in una Facoltà dove ci dovrebbero essere studenti ed invece pare che in Tailandia ci abitino solo i personaggi di sta serie.
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Infine, le storie d'amore. Questa serie è PIENA di love story. In pole position c'è quella di Beam e della sua compagna di corso che però è più un triangolo perché anche Sonya è innamorata di Beam. Che diventa un quadrilatero a metà serie perché anche un ragazzo della classe del lead si scopre innamorato del protagonista. In tutto questo intrallazzo d'amore io però voto Sonya che almeno mi fa ridere.
Poi c'è la storiella tra l'amico di Beam e La Pazza. Sono stati carini da guardare e sono contenta che l'amico alla fine si sia rivelato un bel personaggio coraggioso e leale. E che abbia accettato l'amore e la relazione con la sua compagna di corso superando il fatto che fosse piatta come una tavola. Peccato però che nonostante sia un personaggio presente per gran parte della storia, non compare manco in nessuna pagina del cast di questa serie. Pare che lui non esista proprio.
Poi c'è la relazione unilaterale tra l'altro amico di Beam e Sven che però quest'ultimo è etero ed ha già una ragazza che ha dovuto lasciare per via del suo lavoro per la mafia e la cui storia ci ha regalato uno dei pochi episodi con un minimo di struggimento ed emozioni.
Infine, ma non per importanza, c'è la relazione tra l'hacker ed Anna. Con Intenso che all'ultimo episodio ci rivela che anche lui è sempre stato innamorato della nostra Carmen San Diego, senza però avercelo mai fatto vedere questo grande amore. Eh va bene, gli crediamo sulla fiducia.
Qui la ship diventa più difficile perché ho adorato entrambi i ragazzi. L'hacker è un ragazzo normale, un bravo ragazzo che è giustamente terrorizzato da pistole, sangue e sparatorie. Intenso è un assassino mezzo pazzo che prima ti sgozza e poi si domanda se ha fatto bene.
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Comunque sia, la critica più grave la devo fare al protagonista. Beam in realtà mi è piaciuto ed è stato bravo nel suo ruolo. Interpreta un bravo ragazzo che ama i suoi amici e preferisce discutere più che usare la violenza.
Il problema è che Beam è stato un personaggio troppo passivo ed in balia degli eventi. All'inizio della serie ci poteva pure stare. Ma andando avanti con la storia, doveva prendere consapevolezza e determinazione e soprattutto, essendo il lead, essere lui a muovere la trama. Invece Beam è spettatore come noi, limitandosi a farsi trascinare dalla storia senza un briciolo di presenza. Ed è un peccato.
Speriamo che nella seconda stagione - ma la faranno??!!! - Beam prenda più spazio e ruolo per diventare quel Capo Mafia che pare destinato ad essere. se lo dite voi...
Concludendo: Drama comico perfetto per farsi due risate sapendo che nulla deve essere preso sul serio - manco i personaggi - mettendo in conto che scene serie verranno interrotte da gag comiche spesso basate sul sesso.
Voto: 7.6
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thebeautycove · 2 years
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SERGE LUTENS - LA FILLE DE BERLIN - Edizione Speciale 10° Anniversario - Collection Noire - Eau de Parfum - Novità 2023 -
There’s always something surfacing from your past, belonging to your living experience, preceding your future in a fragrance. Some scents are like those amazing people you’ve met over time and are substantial part of memories, constant feed for thoughts and emotions. That’s what really matters to me. Making the fire of emotions unquenchable. Time after time.
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Nella primavera del 2013 incontravo per la prima volta La Fille de Berlin di Serge Lutens. Mi è rimasta nel cuore. Il suo carattere audace, intraprendente, libero, prometteva molto al mio istinto, sfidava una certa intransigenza olfattiva, alzava il sipario su atmosfere mitteleuropee decadenti, cupe, fitte di mistero che facevano breccia nel mio immaginario, si specchiava in una femminilità elusiva e maliziosa, nella seducente androginia di Marlene Dietrich nel film Morocco.
Oggi, la ritrovo ancora più bella e matura, famosa e osannata, nell'edizione esclusiva che ne celebra il decimo anniversario. Mi sorprende tanto da sollecitare una riflessione. È cambiata da allora? Forse no. Sono cambiata io. Risento questa rosa narcotica, fiera, la percepisco attraversare lentamente la ribalta, uscire dal buio delle quinte e guadagnare la luce speziata di pepe e geranio, ne ammiro la bellezza oscura fascinante, la potenza espressiva, una corolla cremisi circondata da velluti e argenti. Poi nella meraviglia dell'evoluzione, mi appare meno tagliente, quasi romantica, avvolta da un incanto di miele, muschi e legni, pronta ad evocare sentimenti complessi, di assalto e resa, in un'attrazione sottilmente cerebrale, di sguardi perduti nelle ombre scure della notte. Un Fascino primordiale che non lascia scampo.
Splendido il flacone dedicato con etichetta disegnata da Serge Lutens che riporta un'elegante silhouette femminile in abito maschile dandy, illuminata da un lampione nella notte berlinese. Richiama alla memoria la celebre immagine di Lili Marlene e quella canzone dal significato profondo e ancora attuale.
La Fille de Berlin - Eau de Parfum Edizione Limitata 10° Anniversario, 50 ml.
In selezionati p.v. e online
Scopri la recensione del lancio della fragranza qui
©thebeautycove  @igbeautycove
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katnisshawkeye · 2 months
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Abhorsen
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Scheda informativa
Titolo originale: Abhorsen
Terzo capitolo de: Trilogia del Vecchio Regno
Autore: Garth Nix
Editore: Fazi Editore
Prima edizione: 2024
Pagine: 380
Prezzo: € 18,50
Trama
Dopo secoli di cattività, il Distruttore sta per tornare libero: Orannis non è più imprigionato nelle profondità della terra e sta cercando di spezzare l'ultimo vincolo che gli impedisce di esercitare i suoi terribili poteri. Mentre il Vecchio Regno cade ancora una volta nell'oscurità e nel terrore, la popolazione può confidare solo nell'Abhorsen, flagello dei morti. Ma l'Abhorsen Sabriel si è recata ad Ancelstierre insieme a suo marito il re e nessuno ha più ricevuto notizie. Soltanto Lirael, erede alla carica di Abhorsen, ha qualche possibilità di fermare Orannis, anche se non ha idea di come fare. Fino a poco tempo fa era semplicemente un'assistente bibliotecaria, che speranze può avere di salvare il mondo? Guidata da una visione delle Clayr, Lirael decide di mettersi in viaggio insieme ai suoi fidati compagni – Sameth, la Canaglia e Mogget – per cercare ovunque, sia nel regno dei vivi che in quello dei morti, qualcosa che la aiuti a fermare il Distruttore. Ma tra i mostri d'ombra e malvagi negromanti, sembra che Nicholas, il migliore amico di Sameth, si sia lasciato manipolare dai poteri di Orannis e stia collaborando con lui. Che possibilità ha una giovane donna di sconfiggere un potere in grado di distruggere la vita stessa?
Recensione
È sempre meglio agire.
Con l'Abhorsen — il terzo volume della Trilogia del Vecchio Regno — si conclude il viaggio di Lirael che, partita dal Ghiacciaio delle Clayr come “Clayr senza vista” trova non solo il suo posto nel mondo, ma anche una famiglia e degli amici che, con il tempo, imparerà a conoscere, così come diventerà un'Abhorsen degna del suo ruolo, orgoglio di suo padre, Abhorsen prima di Sabriel,e della stessa Sabriel sua sorellastra, proprio come sua madre Arielle aveva previsto.
Meglio non contare le mele prima di aver piantato l'albero. [...] La vita andava avanti, sebbene in una lotta continua.
Come nei precedenti volumi Lirael e, prima ancora, Sabriel, anche nell'Abhorsen sono contenuti preziosi insegnamenti, tra cui il non mettere fretta al tempo e alle proprie capacità e abilità di spledendere, e il non arrendersi mai di fronte alle difficoltà.
La scrittura di Garth Nix ti tiene incollato alle pagine, piene di colpi di scena e avventure che vorresti davvero vivere in prima persona, nonostante l'oscurità e l'incombente malasorte del mondo che potrebbe polverizzare tutto il conosciuto, tanto che anche nel fortuito caso in cui Lirael e i suoi compagni non fossero riusciti a fermare il Orannis, il Distruttore, la fantasia del lettore sarebbe galoppata: se per pura fortuna un singolo individuo, o un paio di esseri viventi, fossero riusciti a scampare alla morte certa, cosa sarebbe loro successo? Un interrogativo che, comunque, non si pone se non in un finale alternativo.
L'epilogo dell'Abhorsen lascia comunque spazio all'immaginazione: in cosa consiste il nuovo e inaspettato percorso di Nicholas Sayre?
Valutazione
★★★★★ 5/5
La serie Trilogia del Vecchio Regno
Sabriel Lirael Abhorsen
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tecnoandroidit · 5 months
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La serratura smart di Welock protegge le porte con l'impronta e non solo - Recensione
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La sicurezza avviene certamente prima di tutto, soprattutto quando si tratta dei propri beni. Questi vengono custoditi gelosamente all'interno di una stanza della casa, quest'ultima chiaramente protetta da una porta. Rendere complicato l'accesso al posto in cui vengono conservati i propri averi più preziosi è un dovere ma talvolta non è semplice. In questo caso però ecco un prodotto unico nel suo genere che consente proprio tale facoltà: si tratta del cilindro elettronico Smart Lock, la serratura smart di Welock, azienda che ha sviluppato un vero e proprio sistema invalicabile. Sostituendo la maniglia tradizionale di una porta con questo dispositivo, tutto cambia. Il livello di sicurezza si innalza vertiginosamente, essendo necessaria l'impronta digitale per sbloccare la serratura. In realtà ci sono anche altri metodi che Welock comprende. Come funziona la serratura Smartlock di Welock Basta guardare le immagini per capire il funzionamento di questa straordinaria invenzione di Welock. L'azienda ha realizzato un prodotto davvero unico, in grado di favorire la sicurezza in casa. Il dispositivo in questione permette di aprire la porta usando la propria impronta digitale ma non solo. All'interno della confezione ci sono infatti anche 3 schede RFID, ugualmente utili per sbloccare il cilindro elettronico e dunque la serratura. Lo stesso vale per l'applicazione ufficiale del brand. Sia nel caso dell'impronta che delle carte RFID, basta l'avvicinamento. Per aprire usando il fingeprint, serve solo posizionare il dito registrato sul lettore di impronte per poi girare il cilindro ed aprire come fosse una serratura normale. Lo stesso vale avvicinando la scheda: si sentirà lo stesso rumore di quando si posiziona il dito sul lettore di impronte. A quel punto si avrà libero accesso alla stanza. Per riattivare il sistema di sicurezza e dunque bloccare la porta, basta solo uscire e richiuderla. Ovviamente aprire dall'interno prevede la stessa procedura di qualsiasi altra porta non provvista di cilindro elettronico: basta solo girare il pomello. La vostra impronta è la chiave di apertura Parlando proprio dello sblocco con impronta digitale, il mezzo principale attraverso cui si può aprire la porta su cui è installato il cilindro, se ne possono registrare addirittura fino a 100. Solo 3 di queste però potranno avere una funzione di amministratore. Il cilindro Smart Lock è in grado di riconoscere senza problemi l'impronta digitale registrata nel 98% dei casi. È praticamente infallibile: basta posizionare correttamente il dito e la porta si aprirà. Il tempo che intercorre tra il posizionamento del polpastrello sul sensore e l'effettivo sblocco è di 0,5 secondi. Di certo dunque è tutto più rapido rispetto al semplice utilizzo di una chiave. Smart Lock si apre anche con card RFID Il concetto di poter sbloccare una serratura facilmente senza dover utilizzare per forza di cose una chiave, continua. Oltre ad utilizzare l'impronta digitale, gli utenti possono sbloccare il cilindro elettronico Smart Lock anche usando le card RFID. In aggiunta alle 3 presenti nella confezione, se ne possono registrare anche altre 17 per un totale di 20 schede RFID. Una volta avvicinate al cilindro, ecco che avverrà l'apertura della porta. App ufficiale compatibile con Android ed iOS Anche tramite tramite l'applicazione ufficiale tutto ciò è possibile, basta solo usare l'interruttore predisposto mediante lo smartphone. La soluzione in questione non funziona solo da vicino, ma anche da remoto. Si può sbloccare o bloccare la porta da qualsiasi luogo ci si trovi, semplicemente con lo stesso pulsante presente in app. Per rendere disponibile questa funzionalità è opportuno acquistare il Wi-Fi Box di Welock, che in un secondo momento può essere collegato anche con l'assistente vocale Alexa o con Google Home. Ci sarà anche un report completo con tutte le volte in cui la porta è stata aperta, capendo così, in base all'impronta o alla scheda RFID utilizzate, chi è entrato. L'applicativo è ampiamente compatibile con tutti gli smartphone e tablet. Welock rende infatti l'applicazione disponibile sia per il sistema operativo Android che per quello iOS. Quanto durano le batterie e come aprire in caso di autonomia esaurita Essendo un dispositivo wireless, il cilindro Smart Lock ha bisogno di batterie per offrire i suoi servizi. L'utente non dovrà mai preoccuparsi che l'energia possa esaurirsi. Grazie all'utilizzo di batterie con tripla A, si potrà bloccare e sbloccare una porta fino a 8000 volte senza intoppi vari. In poche parole, questo significa che un utente che apre e chiude la porta su cui è montato il sistema per un totale di 11 volte al giorno, dispone di un periodo di autonomia lungo un anno per ogni set di batterie utilizzate. Tranquilli però: l'applicazione segnala l'energia in esaurimento quando arriva al di sotto del 20%. Ma cosa bisogna fare nel momento in cui l'energia si esaurisce e la porta resta bloccata? Welock ha previsto tutto in ogni minimo particolare. Non bisogna assolutamente preoccuparsi: tutto quello che l'utente dovrà fare sarà prendere un semplice power bank di qualsiasi potenza e dimensione. Collegandolo alla porta USB presente nel cilindro elettronico, gli si potrà dare l'energia adatta per riprendere a funzionare almeno per quel momento. L'uso di un power bank non offre la ricarica di Smart Lock, in quanto non è un cilindro ricaricabile; risulta necessario sostituire le batterie una volta esaurite. Caratteristiche e compatibilità Esteticamente l'intero apparato presenta alcune caratteristiche contraddistintive. Il lato esterno è quello rappresentato dal cilindro elettronico di Welock, mentre quello interno da un semplice pomello apri-porta. Nel mezzo c'è il sistema di bloccaggio della serratura. Per quanto riguarda le dimensioni, questo cilindro è adatto per tutte le porte che hanno uno spessore compreso tra i 30 e i 70 mm, per cui nel range standard. Con un sistema di bloccaggio esteso fornito sempre dall'azienda, ci si può spingere fino a porte con uno spessore da 100 mm. Il kit di estensione è disponibile direttamente in confezione e non c'è bisogno di spese extra. Non servirà assolutamente chiamare un esperto per sostituire il pomello della serratura pre-esistente: seguendo il manuale di istruzioni, risulterà tutto più che intuitivo. Basta semplicemente rimuovere il vecchio pomello ed installare il cilindro elettronico Smart Lock: da quel momento in poi la vostra porta avrà tutto un altro livello di sicurezza. Non ci sono rischi di alcun genere in quanto c'è la protezione elettrostatica fino a 30.000 V e anche l'impermeabilità grazie alla certificazione IP54. Chiunque dovesse nutrire dubbi sull'effettivo funzionamento prolungato della serratura, è stata testata fino a 10 milioni di chiusure. Le temperature non sono assolutamente un problema: tutto è perfettamente funzionante da -25 °C fino a 60 °C. La condizione necessaria affinché questo dispositivo funzioni è che venga installato su porte interne e non su portoncini esterni o cancelli. Cosa c'è nella confezione di Welock? La confezione che Welock spedisce a casa dei suoi utenti è davvero ricca sotto ogni aspetto. Oltre alla serratura intelligente con impronta digitale, è presente un cilindro di chiusura insieme a 3 schede RFID, anch'esse utili per sbloccare il sistema. Non può mancare il manuale di istruzioni che include al suo interno diverse lingue: ci sono il tedesco, l'inglese, l'italiano, il francese e lo spagnolo. Ovviamente occorre anche un kit per il montaggio ed ecco quindi un cacciavite a stella e una chiave a brugola su misura. Fare tutto senza contattare un esperto sarà talmente semplice da risultare sorprendente. Prezzo in promo, disponibilità e garanzia Dopo aver appreso di un sistema così all'avanguardia ed elaborato, gli utenti potrebbero pensare di essere al cospetto di un prodotto molto costoso. In realtà Welock intende rendere disponibile il cilindro elettronico Smart Lock per tutte le tasche ed è per questo che il costo non è affatto inaccessibile. Il prezzo di base disponibile sul sito ufficiale ed anche su Amazon è di 189 €. Partendo da Amazon, la serratura smart è disponibile con due anni di garanzia e con uno sconto di 7 € al check-out: costa dunque solo 132 € usando il codice sconto "RUILONIT01" con spedizione entro 24 ore.   Acquistando il prodotto direttamente dal sito dell'azienda, si ha diritto ad un'estensione della garanzia. Se su Amazon il periodo equivale, come detto, a 2 anni, tramite il sito ufficiale la copertura sarà equivalente a 3 anni. Non ci sono problemi neanche per il pagamento, che può avvenire eventualmente anche in 3 rate sfruttando PayPal o Klarna. Anche tutte le altre carte sono supportate dal sito ufficiale. Conclusioni finali e considerazioni La serratura smart di Welock è un dispositivo unico, utile e semplicemente utilizzabile. Chiunque può avere un'ottima esperienza pur essendo neofita nel settore. Acquistare un prodotto del genere significa desiderare la massima sicurezza nel proprio ambiente domestico e di fronte ad un prezzo del genere si può dire che ne vale decisamente la pena. Abbiamo trovato l'istallazione estremamente semplice come indicato nel manuale e inoltre l'applicazione ufficiale funziona davvero bene. Nulla da dire anche sulla serietà del produttore che ci ha spedito il prodotto in tempi molto brevi e con un ottimo packaging. Siamo qui di fronte ad un acquisto super consigliato, di quelli da non lasciarsi scappare quando si desidera il meglio in termini di domotica, comodità e sicurezza. Read the full article
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marikabi · 9 months
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'o Schustèr
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Per scrivere questo pezzo (che è un articolo, ma anche una storia, un racconto di sensazioni ed emozioni, una cartolina da un luogo della memoria, una recensione emotiva di nuove canzoni, un invito. Fate voi) ho scelto di non appoggiarmi all’amicizia che ho da molto tempo con Massimo Vietri, o alla stima che provavo per il padre (avuto come preside e poi ritrovato come sodale in tante manifestazioni d’impegno civile e sociale, nonché amico nonostante la grande differenza d’età).
Ho dovuto cancellare il ricordo di tutti i discorsi fatti con entrambi intorno all’Irpinia, circa Avellino e sugli ultimi, sui poveri e sui dimenticati di questa e di tante terre nel mondo.
Ho voluto scordarmi dei Lumanera (o della Lumanera, come dice Massimo) e del video risbaldente e colorato che è ’O ballo r’ ’o Schustèr (trovabilissimo su YouTube), perché sennò mi partiva la nostalgia e quella - si sa - ti porta lontano, nelle lande del dolore e della hopelessness.
Ho ricominciato daccapo. Ho ricominciato dalle parole delle sue canzoni, quelle contenute nel suo ultimo disco, il primo da solista, che ha titolo, appunto, Schustér .
(Massimo guadagna questo soprannome da ragazzino - dall’estroso ma ’ncapotico libero tedesco che giocò in più squadre spagnole - a motivo della passione per il pallone e dell’infantile bionditudine, di cui il piccolo Nicola - suo figlio - è ora erede.)
Ho voluto incontrare Massimo preparando l’incontro di venerdì 1° dicembre, (ore 18 all’Angolo delle Storie) e prima della presentazione alla città della sua nuova raccolta di canzoni (mercoledì 6 dicembre - San Nicola! - all’Auditorium del Polo Giovani della Città).
Il curatore della Rassegna del Tè letterario, Federico Curci di InfoIrpinia, ha scelto di ospitare - tra tante altre interessanti proposte - anche Massimo Vietri, la sua musica, la sua poesia, ma soprattutto la sua cosmogonia.
Già, perché l’Irpinia cantata da Schustèr è un cosmo dilatabile. Magari parte da piazza Macello, ma arriva ai cieli blu della terra dell’osso. Sosta sotto i portici del luogo più attraversato amato-ed-odiato della Città, però poi vola fino agli speroni del brandello di Appennino che ci è toccato in sorte, facendo il giro lungo per Cuba, per il Mediterraneo e il Medioriente.
Canta di un’Avellino che non c’è più e che ha perso l’occasione di essere migliore. La città di Schustèr ragazzino era trepidante e speranzosa, quale entomata in difetto (cit. Dante Alighieri), ma è oggi antropologicamente e socialmente avvizzita. (Politicamente, poi, è pressoché defunta.)
Mediante la sua icastica poesia, canta la terra, la nonna, i detti, la solidarietà svanita (ci siamo persi tutti nel dopo-terremoto) e una comunità tralignante, affogata nella ’rassa (che non è l’opulenza, bensì la comodità, l’agio, l’ozio, il consumismo narcotizzante).
Racconta di una Storia cui anche la nostra vituperata città ha fatto parte, ma di cui ha perso memoria e nobiltà (Maria de Cardona).
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Massimo-Schustér è il canta-operaio (o il canta-contadino, perché ha vissuto molte esperienze) delle cose semplici, quelle che appianerebbero le rughe dell’uomo moderno, il quale ha perso il senso della vita e del tempo.
Quasi sicuramente, il senso della vita e del tempo - sub specie aeternitatis - non esiste (mi auguro che magari sia semplicemente non intelligibile ai mortali), tuttavia aiutano a vivere le storie di piccole cose, di povera gente, di quando anche i clochard erano nel tessuto iconografico e solidaristico del territorio (Mariniello, ’o mammone, dall’incredibile storia umana).
Schustér ha preso tutto quello che la città (e l’Irpinia) gli ha offerto, in bene e in male. Ha egli stesso frugato negli angoli ed anfratti - dei vicoli e dei cuori - per scoprire perle di sguardi e di storie, diventate canzoni.
Schustér è un nostalgico. Schustér si commuove raccontando di sé, della nonna sua, del padre, e Schustèr è cresciuto, soprattutto musicalmente. Ha introdotto musicalità e sonorità che esondano dall’Irpinia (il cosmo dilatabile, appunto), la quale rimane sempre e comunque l’inizio e la fine del viaggio.
(photo courtesy, Federico Curci)
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orianagportfolio · 10 months
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Vai a vedere Cyrano e capisci cos’è l’amore. Come vorrei essere la sua Rossana, e poi la colonna sonora dei The National. / Il Bullone - OrianaG
Pubblicato su Il Bullone n° 63, aprile 2022.
Su Cyrano le chicche da raccontare sarebbero milioni. Che la versione teatrale debutta off-Broadway al limite del lockdown globale, nel 2019. Che il film è girato interamente in Sicilia. Che il protagonista, Peter Dinklage, è negli occhi della maggior parte di noi per Game of Thrones e che Erica Schmidt, regista e drammaturga a teatro e sceneggiatrice del film (oltre che sua moglie), in realtà non aveva scritto il ruolo pensando a lui. Che Joe Wright, il regista, non si è mai occupato di musical, ma di sogni e amore sì (Pride and Prejudice e Pan - Viaggio sull’Isola che non c’è da vedere, se ancora non l’avete fatto). Potrei andare avanti, ma non lo farò. Il motivo per cui ho chiesto di raccontare di questo film è l’Amore, un amore che arriva da lontano.
Sono andata a vederlo quasi solo per la musica firmata dai The National, gruppo indie-rock americano, non nuovo alle colonne sonore, ma vergine di musical. Li ho conosciuti nel 2017, sul lungomare di Ostia, durante la Maker Faire a cui partecipammo a Roma con i ragazzi del PiuLab. Era la prima uscita pubblica del progetto Cicatrici, il seguito è storia. Dei The National quella sera mi raccontava Valerio, futuro angelo custode, e l’album appena uscito che mi consigliò era Sleep well beast, ancora oggi uno dei pochi antidoti infallibili ai miei attacchi di panico. Perciò, a prescindere dalla qualità, Cyrano era già Amore prima di entrare in sala.
La trama è nota. Cyrano, ottimo poeta e spadaccino, è follemente e da sempre innamorato della bella Rossana, ma non ha il coraggio di dichiararsi per un proprio difetto fisico. Quando lei gli confessa di essersi innamorata di Cristiano, cadetto da poco arrivato in città (sano e bello, ma molto meno abile con le parole), e gli chiede di aiutarla, Cyrano accetta. In segreto, scriverà lui per Cristiano le lettere a Rossana, affidandogli quelle parole d’amore che non ha mai osato dirle.
Tutto nel film è di una bellezza disarmante: i luoghi, le parole, gli attori, i costumi (di un italiano, Massimo Cantini Parrini, candidato agli Oscar 2022), i movimenti coreografici... è un quadro, un ipnotico, delicatissimo acquerello. Anche per i non amanti del genere. Le acute parole di Cyrano, in musica acquistano potenza. E la scelta di Schmidt di sostituire l’originale nasone con il nanismo di Dinklage regala universalità al racconto, al senso di inadeguatezza e vulnerabilità, al timore di essere rifiutati che tutti, innamorati, abbiamo provato almeno una volta.
Quel Cyrano guerriero, combattente che ha la meglio da solo su dieci uomini, è lo stesso che trema con gli occhi lucidi mentre canta a Rossana: «Ogni volta che ti vedo / sono sopra atto / provo a dirti / dirti quanto ho bisogno di te / ma mi volto e scappo». Dualità che attraversa ogni personaggio, perfino il perfido De Guiche («Mi merito un po’ di gentilezza / Merito che il mio amore venga ricambiato / Come tutti») e i soldati al fronte, che col brano Wherever I fall meritano una nota in più. «Una delle canzoni più forti che abbiamo scritto nella nostra carriera», ha dichiarato la band.
Cyrano, a capo del battaglione, ordina al messaggero di aspettare le ultime lettere di ogni soldato prima di levarsi di mezzo per l’ultimo, forse fatale, attacco del nemico. Quell’ultima lettera è per tutti d’amore. Per papà, i figli, l’amore mai confessato: «Ditegli di non piangere affatto / Il paradiso è ovunque io cadrò». Un inno, a ritmo di marcia, all’Amore che non muore, nemmeno in guerra.
Riciclo le parole di una recensione del Cyrano di qualche anno fa: forte, fragile, libero. Questo è Cyrano, questo è l’Amore.
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philosofdecay · 1 year
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Giornata tipo di fine estate
Oggi mi sveglio come tutti i giorni più o meno verso le 9, che per me è assolutamente presto rispetto agli orari che fanno i miei coetanei in estate, ma non riesco più a dormire così tanto, anche se le notti precedenti ho fatto baldoria in qualche locale queer con musica che puoi ascoltare solo se sei fatto di qualche sostanza.
Il mio pensiero va solo all'appuntamento delle 10:30 alle poste, per consegnare i pacchi che verranno spediti alle mie acquirenti di vinted.
Ma per prima cosa, una sana colazione degna di un qualunque studente di filosofia a Bologna: caffè e sigaretta. Senza il caffè di prima mattina non ragiono, e infatti oggi non riuscivo a capire niente tant'è che ho preso lo zucchero invece del caffè da mettere nella moka.
Dopo mi metto a fare dei bellissimi pacchettini per i libri che ho venduto, con tanto di bigliettino di ringraziamento che se non mi fanno una bellissima recensione mi metto a piangere.
Arrivano le 10:20 e mi dico che è il momento di avviarmi verso le poste, e rimango veramente sconvolta quando vedo che sono l'unica. Di solito le poste sono il covo dei vecchietti veramente lenti che non sanno mettere una firma digitale. Per questo le odio. Per fortuna io sono intelligente, e appertenendo alla generazione Z so che faccio prima a prenotarmi sull'apposita applicazione così da saltare tutta la fila.
La signora che mi serve è una bassa e tozza bisbetica che ti guarda sempre male, infatti io spero sempre che non sia lei a servirmi, e puntualmente è sempre lei.
Poi devo andare da inPost, perché non sia mai che scelgono tutti le poste, quindi mi tocca fare strada in più per consegnare un altro pacco. Ma mi sarei rallegrata con un meritatissimo caffè e cornetto al bar lì vicino che è davvero molto carino.
Sfortuna vuole che quel bar è chiuso perché oggi era il suo giorno libero. E vabbe, torno sconfitta a casa indecisa su cosa fare.
Mio padre mi ha lasciato un bigliettino con tutte le faccende di casa, ma a dir la verità non mi va proprio, sono troppo pigra.
Quindi mi armo del libro che sto leggendo, "La campana di vetro" di Sylvia Plath, un colore rosso per evidenziare le parti che mi piacciono (sì, sono quel tipo di persona che scarabocchia i libri, linciatemi) e il mio tabacco e me ne vado in giardino perché nella mia camera non arriva abbastanza luce.
Passo due orette a leggere tra una sigaretta e l'altra, ma oggi sono troppo lenta e ho letto solo 40 pagine stamattina, così chiudo il libro e mi metto a fare le faccende con musica dark wave sparata a palla, mentre ballo e canto. I miei vicini non me possono più.
Dopo, una doccia e inizio a preparare il pranzo, che in realtà è già pronto e devo solo calare la pasta.
Finisce qui la mia mattinata.
Dopo il bel pranzetto, tutto sembrava scorrere fin troppo liscio come l'olio, ma solo dopo aver esalato l'ultimo tiro di sigaretta mia madre si accorge di una terribile catastrofe: avevo messo a lavare i vestiti del mercato, e a lei questa cosa fa tremendamente schifo.
Così dopo qualche sbuffo, qualche parola sussurrata contro di me, inizio ad infervorarmi, perché quest'episodio mi ricordava molto la litigata di due anni addietro, quando successe più o meno la stessa cosa è quella pazza sclerotica che mi ritrovo come madre s'e l'è portato alla lunga per ben tre mesi.
Non volevo che finisse di nuovo in quella maniera, così continuai ad urlarle in faccia perché non conosco altro modo per sopportare mia madre, e i miei vicini oltre alla musica dark wave si sono subiti anche le mie urla.
Tutto questo teatrino, però, mi ha fatto passare la voglia di leggere, così tornai su tiktok sconfortata in cerca di un nuovo litigio, che tanto su quella piattaforma ce ne sono a bizzeffe.
L'ho trovato, signori miei, ma non posso svelare il nome della persona, perché dopo aver espresso un parere personale senza insultare nessuno (cosa strana perfino per me) quella persona, da fascista com'è, mi blocca. Fortunatamente ho un secondo profilo, cosicchè posso dare libero sfogo ai migliaia di insulti che affollano i miei pensieri. E lo faccio.
Sono piena di odio nella mia vita, e non so come liberarmene.
La sera vado a cenare da una mia cara amica, questo perché lei era sola a casa ed entrambe avevamo voglia di mangiare indiano.
Inutile dire che il cibo era piccantissimo, così piccante che non ho sentito la lingua fino al giorno seguente. Ma forse questa è una forma di masochismo, perché era anche talmente buono che non riuscivo a smettere di mangiarlo.
La serata procede con i soliti pettegolezzi, che non posso rivelare se no mi querelano, e non succede nulla di veramente rilevante, quindi tornata a casa sprofondo tra le braccia di Morfeo fino all'indomani.
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tempi-dispari · 2 years
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Claudio Orfei, 'essere liberi non è scontato'
Il suo disco di esordio, My Wonderland, è di recente pubblicazione. Un’opera imponente, coraggiosa, libera. Un concept che spazia tra più generi musicali offrendo un vero tour in un mondo di favola e nell’animo umano. Un disco mastodontico per un solo uomo. In questa Intervista l’autore, Claudio Orfei, racconta come è nato il progetto, i diversi gradi di lettura, il messaggio principale che vuol trasmettere. Soprattutto parla di ciò che desidera per domani. Una chiacchierata davvero interessante. Tutta da leggere.
Una presentazione per chi non ti conosce Claudio Orfei, classe 1992. Sono un cantautore, giovane compositore, serenamente “un diverso cresciuto bene”, nato nella provincia di Roma. La mia formazione musicale inizia quando avevo 12 anni, nelle scuole della provincia, passando poi per il Conservatorio, poi l’Erasmus a Manchester, poi l’Università e l’Officina Pasolini (classe canzone). Segno zodiacale Vergine, ascendente sconosciuto, vivo di grandi passioni organizzate, che mi hanno portato alla realizzazione del mio primo album “My Wonderland”.
La prima domanda è: come hai fatto? Come sei riuscito a scrivere un disco così intenso e complesso. Basta organizzarsi… Ovviamente questa complessità va gestita, va costruita nel tempo, servono strumenti adatti che sono il frutto dell’introspezione, dello studio, della condivisione, della ricerca, della tecnica, degli imprevisti della vita e della passione.
Occorre essere liberi, cosa che dovrebbe essere scontata, ma non è sempre così. “My Wonderland” è un progetto autoprodotto, in cui mi sono preso la responsabilità di ogni singola decisione, pesando note e parole, scegliendo i preziosi musicisti e collaboratori. In questo disco sono racchiusi molti desideri realizzati, tra cui quello di riunire le preziose ospiti che mi accompagnano in questo viaggio.
Pubblicare questo concept album come “indipendente” è stata una scelta netta, a cui sono arrivato solo nel momento in cui ho capito chi sarei voluto essere nella vita. Essere il produttore di me stesso mi ha reso libero, pagando però il prezzo del coraggio, dell’ossessione, della paura e dell’attesa. Tuttavia questo mi ha consentito di evitare le mode lontane dal mio sentire, per soffermarmi e perseguire solo quella che per me è la strada della Bellezza.
Perché la canzone tradizionale napoletana? Parliamo di “Pace sarrà”, una serenata popolare in napoletano. Questo brano vuole essere il prequel di una delle canzoni più importanti della tradizione napoletana “Reginella”. Ho scelto questa forma perché siamo davanti a uno dei mezzi espressivi più potenti che hanno segnato il destino della canzone italiana nel mondo.
Vuole essere un omaggio alla nostra canzone d’autore, riportando alla luce anche quello che potrebbe suonare “vecchio” per qualcuno, per me, invece, meravigliosamente antico. È come indossare la collana di perle della nonna oppure la giacca in principe di Galles del nonno, sono gesti d’amore, in questo caso verso la musica e la nostra tradizione.
Nella recensione il disco è stato accostato alla colonna sonora per un musical. Ti ci ritrovi? È un’idea a cui ha pensato? Ti ringrazio per aver portato alla luce anche questo aspetto del mio lavoro. I musical, nella loro accezione più tradizionale, come anche l’opera e le VHS Disney, mi hanno sempre affascinato e condizionato nella mia formazione e scrittura, indicandomi forme, generi e mezzi espressivi da adottare.
Sicuramente “My Wonderland” si presta a questo mondo: deriva da una visione in cui si intrecciano parole, musica, movimento, narratività, immagine, personaggi e storie. Ogni canzone è autonoma ma, se viene letta in relazione alle altre che compongono il concept album, crea un percorso, un viaggio intorno al mondo e dentro l’essere umano, in cui il protagonista è il Cappellaio Matto, che in realtà è una semplice maschera dietro la quale potersi riconoscere.
Per quanto l’idea dell’allestimento per i live sia già di carattere teatrale, trasformare il disco in un vero e proprio musical sarebbe il passa successivo che ovviamente richiederebbe, però, energie maggiori rispetto a quelle già vestite nell’auto produzione del disco stesso. È un altro sogno da realizzare.
Cosa vuoi trasmettere con My wonderland? Come succede spesso nel mondo della musica e dell’arte in genere, anche “My Wonderland” contiene in sé diversi livelli di significazione: rispetto alla storia raccontata, alle tematiche sociali e personali di carattere universale proposte e, non ultimo, il valore meta-musicale, rispetto a quello che è divenuta oggi la musica nei suoi vari processi produttivi.
Sicuramente come primo passo c’è il significato “manifesto” dell’opera, ossia il viaggio intorno al mondo, le varie storie che si intrecciano attraverso i vari riferimenti fiabeschi, i generi musicali affrontati, il suono, le voci, gli arrangiamenti e la narrazione in generale, attraverso musica e parole.
Il secondo significato che voglio trasmettere è quello “latente”, è il contenuto dietro la favola, è il valore semantico dell’opera (se così si può definire questo mio lavoro), in cui ho voluto riportare l’attenzione su tematiche sociali, per me rilevanti, ossia: il supporto delle minoranze, l’incontro tra culture, lo schieramento contro ogni forma di discriminazione e l’accettazione di ogni tipo di diversità che ci tiene distanti come popoli ed esseri umani.
Terzo ed ultimo punto è quello meta-musicale, su cui non vorrei dilungarmi molto perché vorrei che fosse il mio lavoro a parlare per me. L’unica cosa che mi sento di dire è che, nel bene e nel male, esiste anche altro, oltre alle mode.
Che cosa è venuto a mancare all’animo umano oggi e di che cosa avrebbe di nuovo o più bisogno? Del tempo per guardare dentro se stessi e dentro le cose.
L’aspetto più complesso della fase compositiva? In quanto a complessità nei miei processi compositivi, potrei scrivere per ore. Diffido sempre da quelli che dicono che per scrivere una canzone ci hanno messo 5 minuti… Ogni mia singola canzone ha richiesto mesi prima di vedere la luce, sono state lunghe gestazioni. Ciascuna canzone ha vissuto la sua fase più complessa: dalla ricerca della frase giusta, a quella della nota più colorata, dall’arrangiamento più articolato, fino alla ricerca dell’ospite più adatta a raccontare quella storia.
Forse, provando a risponderti in modo univoco però, parlerei dei testi che sono sempre, per me, la parte più difficile da chiudere, soprattutto se consideriamo il lungo lavoro di adattamento nelle 8 lingue, realizzato in compagnia di amici madrelingua.
La mia fortuna è stata, nonostante le varie complessità di ogni singolo caso, avere le idee chiare su dove andare e cosa raccontare, il resto è solo una questione di organizzazione. Sono le idee, la passione e il lavoro che fanno la differenza tra complesso e complicato.
Riascoltando il disco hai pensato che il risultato era esattamente quello che volevi, superiore alle aspettative o c’è qualcosa che avresti cambiato? In tutta onestà, al momento non ricordo quale fosse di preciso il risultato sonoro desiderato, è stato un lungo processo di costruzione. Sicuramente posso dirti che oggi sono pienamente soddisfatto del risultato e, in qualche momento, sono addirittura sorpreso di quello che è venuto fuori.
Tutti i miei desideri sono stati realizzati grazie al lavoro fatto insieme ai preziosi collaboratori scelti per questo progetto e anche grazie a un po’ di ossessione che mi ha permesso di portare a casa questo risultato. Ci sono cose che pensavo impossibili e invece sono successe, come radunare le meravigliose artiste che mi accompagnano in questo viaggio, e altre che neanche immaginavo e che poi sono capitate, grazie a fortunati incontri, come quello con Claudio Martinez che ha realizzato il comparto visivo.
Ci sono canzoni che sono state escluse? Si, sicuramente due, forse tre… Ma nulla è perduto, il viaggio è appena iniziato.
Dal tuo disco quello emerge è la forza della musica. Secondo te, la musica, può essere definita la più universale delle arti? Soprattutto adesso con l’avvento di internet? Il termine universale può avere diverse accezioni, anche legate alla musica. In alcune di queste mi trovi d’accordo, in altre meno. Sicuramente il bisogno di fare musica è universale, nello spazio e nel tempo; i mezzi espressivi e i codici possono cambiare ma il valore comunicativo resta.
Inoltre la musica ha sempre cercato relazione con altre forme di espressione, con la parola, con il movimento con la luce… A volte in relazioni cooperative e simbiotiche e in altri momenti rivendicando la propria autonomia. Non so se la musica possa essere la più universale tra le arti: forse direi di si, peccando però di presunzione, facendo questo nella vita… In realtà non ne sono neanche così sicuro. Credo che oggi, con internet, la musica sia ovunque, in ogni sua espressione, è tutto li, tutto più democratico, fintamente democratico, ed è tutto più superficiale, ampiamente superficiale. Di certo, però, non direi universale.
Il mondo ha bisogno di più musica? “No, assolutamente e inequivocabilmente no!” (Spero che gli appassionati di Harry Potter possano cogliere la citazione). No, credo che oggi il mondo abbia bisogno di fari, di candele, di poesia e magia, di lenti di ingrandimento e telescopi per mettere a fuoco la Bellezza, costretta a vivere sotto la superficie. Poi possiamo parlare anche di musica.
Ieri l’idea, oggi il disco… e domani? Domani, come oggi, altre 1000 idee e altri 100 dischi, viaggi, bella musica, incontri… Si spera!
Una domanda che non ti hanno mai posto ma ti piacerebbe ti fosse rivolta Nella vita una domanda travestita da proposta di lavoro dalla Disney non sarebbe male. Per un’intervista mi piacerebbe rispondere a domande surreali, per viaggiare con la fantasia… Non si sa mai nascano nuove idee per nuove canzoni.
Se fossi tu ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervisteresti e cosa gli chiederesti? La lista di personaggi è infinita, da Bach ai Beatles, da Mozart a Tenco, dal Signor Neanderthal a Battisti. Chiederei sicuramente il motivo per cui lo fanno, per capire cosa li spinge nel creare, e poi ruberei qualche consiglio.
Ma se proprio devo farti un nome, uno solo, per chiudere questa intervista con un ulteriore tocco di egocentrismo, utilizzerei questa macchina del tempo per intervistare Claudio Orfei, me stesso, quando avevo 12 anni e quando ne avrò 80, sperando di ritrovare la stessa passione dentro la mia voce.
Un saluto e una raccomandazione a chi ti legge Grazie per aver sopportato i miei sproloqui e le mie metafore da giovane romantico. Vi consiglio di ascoltare il nuovo lavoro di Claudio Orfei… E vi raccomando di seguirlo nei concerti che inizieranno da marzo!! Mi raccomando, siate gentili con il prossimo, dite sempre grazie al bar e lavatevi le mani prima di mangiare!
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hermioneblk · 2 years
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Il cambiamento è sconvolgimento e questo è il tema principale del film che narra le vicende di un ventennio molto particolare ad Hollywood. La storia inizia negli anni 20, 1926 e finisce nel 1952 e in questo lasso di tempo il cinema è cambiato radicalmente, si è passati dal muto in bianco e nero al sonoro e poi in seguito al colore. All’inizio fare film era più spensierato, libero da regole, non c’erano per esempio neanche i problemi dei suoni né della luce, era tutto molto libero dinamico, divertente, gli attori potevano recitare persino ubriachi, le comparse facevano quello che volevano quasi a caso, la regista diceva all’attrice quello che fare direttamente durante le riprese e si recitava tutti quanti in un grande campo all’aperto. L’avvento del sonoro però ha richiesto a tutti una maggiore concentrazione, bisognava imparare regole, studiarsi i copioni e saper recitare e quelli che erano i migliori attori del muto nel sonoro si sono rivelati incompetenti e sono precipitati dal loro piedistallo di fama. Quel loro successo tanto consolidato viene facilmente perso se non riescono ad adeguarsi alle esigenze del nuovo mercato e se prima erano amati presto si ritrovano dimenticati e rimpiazzati. Il film segue in particolare le vicende di due attori un tuttofare e un musicista. I due attori vengono travolti del cambiamento e non riescono ad adeguarsi tanto che perdono tutto, il tuttofare invece dandosi da fare con caparbietà riesce ad adeguarsi e a guadagnare terreno. Il musicista dopo un iniziale successo capisce che più il cinema si sviluppa più deve saper fingere e si rifiuta di trasformarsi per essere al servizio del mercato e torna su palchi più piccoli lontani dal cinema per essere più sincero e fedele a se stesse. Dopo varie vicende anche il tuttofare se ne va da Hollywood e quando nel 1952 torna vede un film e rimane travolto dalle emozioni che il cinema sa dare, nonostante tutto. La #recensione del #film continua nei #commenti perchè su #Instagram ci sono anche problemi di spazio per quanto riguarda la descrizione, il social per chi non sa parlare… mai lol (presso Falconara Marittima) https://www.instagram.com/p/Comh0oHKClp/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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[ARTICOLO] Recensione di “BE (Edizione Deluxe)” dei BTS: un meraviglioso, delicato resoconto della vita in pandemia
“Per il loro quinto album in coreano i giganti del pop hanno dato vita a un trionfo di generi nel loro tentativo di guidare i propri fan in questi giorni di incertezza.
Quando la situazione pandemica si è aggravata, i BTS erano impegnati con le promozioni del loro album ‘Map of the Soul: 7’ e con i preparativi per un tour che li avrebbe portati nei più importanti stadi del mondo.
Una settimana dopo le date che avrebbero dovuto aprire, a partire da Seoul, un tour ormai cancellato, però, il leader del gruppo RM ha fatto un annuncio in un’aspettata live sul canale YouTube del gruppo: i BTS avrebbero usato questo tempo libero a disposizione [dovuto alla posticipazione del tour] per dare vita a un nuovo album. 
Con il passare del tempo tante altre live si sono susseguite e, attraverso queste, i membri hanno dato la possibilità ai fan di accedere al dietro le quinte della produzione di suddetto album. I sette artisti si sono divisi i ruoli perché ognuno si occupasse di un aspetto preciso e necessario, non solo musicalmente parlando, della creazione di questo nuovo progetto. Oltre a questo, i membri hanno reso i fan partecipi di molte delle conversazioni da loro avute circa il modo di reagire a questa crisi pandemica che ha stretto il mondo nella sua morsa. 
Sette mesi dopo, ‘BE (Edizione Deluxe)’ è stato donato al mondo come il più accurato incapsulamento musicale della giostra di emozioni che la vita in pandemia è stata fino a ora; una vita in cui si passa repentinamente da momenti di gioia esplosiva a quelli di svogliatezza ed estrema infelicità a quelli ancora di apatia e neutralità. 
Stando alle loro dichiarazioni, lo scopo dei BTS con questo album era quello di confortare le persone, ma, in uno dei vlog in cui i membri discutevano delle idee per l’album e delle tematiche da trattare, il cantante Jimin aveva messo in guardia gli altri dicendo che ‘in certe occasioni, anche qualcosa detta originariamente con l’intenzione di consolare qualcuno potrebbe far sentire quest’ultimo peggio’. 
Nel corso di sette canzoni (e uno Skit), i BTS sono riusciti a raggiungere un equilibrio perfetto tra l’incoraggiamento e la rassicurazione da un lato e la condivisione dei loro momenti più bui vissuti in questi mesi in cui la vita di ognuno è stata controllata dal COVID-19. 
Il gruppo è riuscito a fare tutto questo attraverso dei testi onesti e trasparenti e quella sincerità che ha sempre contraddistinto la musica dei BTS. 
In ‘Life goes on’ (N/B: ‘La vita va avanti’), canzone che racchiude il tema centrale dell’album, prende forma il persistente stato di frustrazione provato davanti a uno scenario, come quello creato dalla pandemia, in cui tutto meno che il tempo sembra essersi fermato.
‘Non se ne vede una fine/ c’è una fine [a tutto questo]? / I miei piedi si rifiutano di muovere anche un solo passo’, canta V mentre la strada scintillando scorre dolcemente sotto di lui. Invece che focalizzarsi su ciò che non possono controllare, però, i membri decidono di concentrarsi sulla speranza: ‘Come un’eco nella foresta / il giorno tornerà indietro di nuovo / Come se non fosse successo niente / Sì, la vita va avanti’. 
Per la maggior parte di ‘BE’ il gruppo cerca di trovare qualcosa a cui aggrapparsi tenendo stretti tra le mani piccoli momenti di felicità, ovunque questi possano essere trovati. Nella scintillante traccia retro pop con sprazzi di piano in stile anni ‘70 dal titolo ‘Fly to my room’ (N/B: ‘Volare nella mia stanza’), Jimin, J-Hope, V e Suga celebrano la capacità sì di viaggiare, ma di farlo in modo particolare attraverso i ricordi, Zoom e la televisione. ‘Il suono della TV fa sembrare [la stanza] piena di gente e trafficata come se fossi in giro in centro’, rappa J-Hope. ‘Le tue idee possono essere cambiate dalla tua stessa mente’.
L’arco redentivo di ‘Blue & Gray’ (N/B: ‘Blu e Grigio’) è più lungo, più basso e più difficile da individuare. La canzone più devastante dell’album, descrive ‘disagio e tristezza’ in termini che sono estremamente vulnerabili. ‘Non dire che va bene / perchè non lo è’, cantano Jimin e V all’unisono, le voci grondanti di disperata emozione. ‘Per favore, non lasciarmi solo / Fa troppo male.’ Dopo che la band ha svelato il suo malessere, però, Jin suggerisce che potrebbe esserci ancora luce alla fine del tunnel. Anche se sembra lontana miglia: ‘Se, in un futuro lontano, sarò in grado di sorridere / io ti dirò che l’ho fatto.’
‘Skit’ (N/B: ‘Scenetta’), la loro prima traccia non musicale dal 2017, incarna forse meglio l’idea di godersi i pochi momenti di positività che il 2020 ci ha offerto. Qui i membri del gruppo parlano delle loro reazioni alla scoperta che il recente singolo ‘Dynamite’ (che completa l’album) ha segnato il loro primo numero uno nella Billboard Hot 100; la notizia è arrivata per il compleanno di Jungkook. ‘Questo è il miglior regalo della mia vita’, dice ai suoi compagni di band. ‘Non credi che sia questa la felicità?’, chiede RM mentre le loro chiacchiere svaniscono. Il successo personale che si scontra con il tumulto universale arriva con il suo complesso insieme di emozioni, uno scontro di felicità e senso di colpa, ma la conversazione casuale dei BTS è un promemoria per celebrare ciò che si può.
Proprio come ‘BE’ scorre attraverso i vari stati d'animo in continua evoluzione, cosa che la pandemia ha reso una costante nelle nostre vite, anche la band si muove costantemente tra i generi, ogni tentativo un trionfo. ‘Stay’ (N/B: ‘Resta’) di Jin, Jungkook e RM, prende la forma di una scalata costante nel future house, il suo coro è un lampo di gioia tremolante, ma melodico.
In ‘Dis-ease’ (N/B: ‘Malattia’), J-Hope, Suga e RM sono nel loro elemento: su una melodia hip-hop vecchia scuola, che propone giochi di parole inventivi a un miglio al minuto, la canzone trasmette un messaggio di forza: ‘Non c'è notte eterna / Sono più forte / Una scintilla di fuoco / Non svanirò mai.’ 'Telepathy' (N/B: ‘Telepatia’), nel frattempo, estrae un diverso tipo di registro rispetto alla vibrante ‘Dynamite’ (N/B: ‘Dinamite’), la cui tavolozza è ancora ricca e colorata, ma con una lucentezza più metallica.
‘Stai andando bene, vero? / Non stai soffrendo da nessuna parte, giusto?’ chiede Suga in quest'ultimo. ‘Ultimamente, non sono sicuro / sento come se stessi galleggiando.’ Sono parole semplici, destinate ad aiutare i fan nei giorni incerti, con cura e sensibilità. Quando NME aveva parlato con la band che ha conquistato il mondo in agosto, RM aveva detto che erano ‘desiderosi più che mai di confortare e dare gioia alle persone, attraverso la nostra musica e performance’. Missione compiuta’’.
 Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©jimindipityR,©Machamochi, ©VRonnie ) | ©NME
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gazemoil · 4 years
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RECENSIONE: Shame - Drunk Tank Pink (Dead Oceans, 2021)
Nel secondo disco Drunk Tank Pink la band post-punk inglese Shame sorprende con l’approdo ad una poetica e a delle sonorità nuove, sicuramente più personali rispetto al debutto del 2018 che già prometteva molto, dimostrando una maturazione che raramente sentiamo compiere ad una band innanzitutto così giovane ed in soli tre anni.
Durante il tour nel quale si sono affermati come protagonisti della nuova scena post-punk inglese insieme agli Idles ed i dublinesi Fontaines D.C., gli Shame hanno risentito gli effetti della vita on the road, argomento di cui nel corso dei decenni molti artisti hanno parlato, svelando come le tournée possano rappresentare un aspetto particolarmente critico e delicato della carriera. Le ripercussioni sullo stato fisico e mentale della band sono state non indifferenti e preoccupanti. Se c’è chi ha dovuto affrontare il problema dell’abuso di alcolici consumati dopo i concerti, c’è anche chi dopo esser salito sul palco per due anni di fila ha sentito la crisi manifestarsi su un piano artistico, attraverso il rigetto nel rapporto col proprio strumento. 
Dunque la band ha scritto il disco perlopiù a distanza tra le mura rosa delle loro camere, mentre affrontavano le loro situazioni personali prima che potessero degenerare, e poi lo hanno portato nello studio di James Ford - già dietro i successi di Arctic Monkeys, Florence + The Machine, Foals ed una grandissima fetta dell’indie rock degli ultimi anni - che ha sicuramente influito sulla maturazione di una band che già di suo aveva molto da dire, colorando a tutti gli effetti un disco che fondamentalmente è mosso da emozioni e sentimenti molto scuri in tempi neri. Come risultato Drunk Tank Pink si porta dietro il volume e la velocità del disco precedente, ma li incanala con un’energia ed un’elettricità inedita, incorporando nuove influenze con ottimo gusto, senza essere troppo derivativi. 
Drunk Tank Pink è pieno di riff accattivanti e taglienti, di strumenti suonati molto dritti e lisci e contemporaneamente belli grezzi per essere complementari alla voce di Charlie Steen. In una scena relativamente satura, sempre ad un passo dall’essere troppo poco scremata, gli Shame si allineano anche ad un panorama più trasversale pur puntando molto al mainstream. Richiamano nomi nuovi come quello dei Black Midi con la loro mischia cervellotica tra il math-rock ed il prog-punk che a primo impatto può sembrare un paragone improbabile, ma che secondo noi potrebbe anche non esserlo così tanto date le strutture ed i ritmi post-punk molto irregolari di alcuni brani. Parliamo della quasi teatrale ed estemporanea Water In The Well, di Born in Luton con le sue chitarre tremolanti che accelerano e rallentano il tiro nei momenti più inaspettati, di Snow Day coi suoi giochi tra chitarra e batteria dove Steen se la gioca quasi con lo spoken-word, poi approfondito nella tesissima conclusiva Station Wagon che finisce in un tornado cacofonico di strumenti oppure ancora di Harsh Degrees. Le stesse tracce non sono una cosa sola e tra le influenze non possiamo non pensare ai Talking Heads e ai Parquet Courts col loro punk-funk ed il cantato sincopato. Uno dei passaggi più funky è proprio March Days dove si incontrano chitarre ritmiche luminose, batteria strettissima e la coralità della parte vocale. Abbiamo i passaggi art-rock e new-wave di Nigel Hitter e Human, for a Minute dove il mix è quasi sognante. 
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Cambiano i contenuti dei testi - e soprattutto il tono generale - che se prima erano rivoltosi con consapevolezza, ma pur sempre animati da una foga giovanile, arrabbiati nei confronti del sistema politico e sociale della propria nazione, adesso sono assolutamente concentrati su sé stessi e la disillusione di Songs Of Praise si è trasferita su un piano molto più introspettivo, sommandosi ad una maturità alla quale si è arrivati attraverso un dolore del tutto nuovo. Ci soffermiamo su questo punto perché ci rendiamo conto che in questo passaggio si gioca l’approdo ad una produzione di una nuova poetica che è personale e molto più originale. 
Ritorna più volte il tema della circolarità, una rotazione dalla quale non si riesce ad uscire, un loop che ammutolisce l’emotività ed il libero arbitrio, rendendo tutto un’operazione meccanica. Presente anche la sensazione di non essere al proprio posto, di stare stretti, di non riuscire a comprendersi e di sentirsi persi. C’è l’irrequietezza e l’immobilità, si parla di un isolamento premonitore di uno stato collettivo che al momento della pubblicazione del disco proviamo tutti e che rende le tematiche di Drunk Tank Pink ancor più rilevanti e risuonanti. Alla fine c’è sempre lei, la morte, nascosta più o meno velatamente all’interno dei brani che sprofondano in un’atmosfera molto opprimente.  
“They say don't live in the past / And I don't / I live deep within myself / Just like everyone else”
Dice in Snow Day - soltanto uno degli esempi di come la penna di Steen sia cambiata. C’è un buco tra Songs Of Praise e Drunk Tank Pink, nel senso che sembra di ascoltare quasi due band diverse e questa distanza crea spaesamento ed è uno stato d’animo perfetto per ascoltare il disco, suggestionato quasi ad arte. Ci porta ad accorgerci inevitabilmente di una crepa sul muro, a chiederci cosa sia successo in questo lasso di tempo non raccontato. Alla fine abbiamo capito che basta perdere il contatto con la propria routine, con la realtà per come la conoscevamo, per esporci al rischio di scoprire i nostri punti deboli e di finire schiacciati nel non conoscere una buona maniera per affrontarli. 
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Tuttavia dagli errori si impara e dal disincanto, dal totale scoraggiamento, nel caso degli Shame sembra essere nata una nuova lente lucida e cinica dove l’uomo è visto come cieco, disabituato alla poesia perché inghiottito da sistemi più grandi. Ma quella stessa lente infondo ammette che quella bellezza, che sia nella semplicità di una vita più lenta o nell’essenzialità dei rapporti umani, continua ad esistere - e lascia uno spiraglio per tornare ad accorgersene di nuovo. 
TRACCE MIGLIORI: Nigel Hitter; Born In Luton; Water In The Well, Snow Day
TRACCE PEGGIORI: Great Dog
VOTO: 85/100
di Viviana Bonura
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katnisshawkeye · 3 years
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Cromorama
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Scheda informativa
Autore: Riccardo Falcinelli
Editore: Einaudi - Stile Libero Extra
Prima edizione: 2017
Pagine: 414
Prezzo: € 24,00
Trama
Perché le matite gialle vendono di più delle altre? Perché Flaubert veste di blu Emma Bovary? Perché nei dipinti di Mondrian il verde non c’è mai? E perché invece Hitchcock lo usa in abbondanza?
Intrecciando storie su storie, e con l’aiuto di 400 illustrazioni, Riccardo Falcinelli narra come si è formato lo sguardo moderno, attingendo all’intero universo delle immagini: non solo la pittura, ma anche la letteratura, il cinema, i fumetti e soprattutto gli oggetti quotidiani, che per la prima volta ci fa vedere in maniera nuova e inconsueta. Tutte le società hanno costruito sistemi simbolici in cui il colore aveva un ruolo centrale: pensiamo al nero del lutto, al rosso del comunismo o all’azzurro del mando della Madonna. Ciò che è straordinario è accaduto nel mondo moderno è che la tecnologia e il mercato hanno cambiato il modo in cui guardiamo le cose, abituandoci a nuove percezioni.  Visto su uno smartphone, un affresco risulta luminoso come una foto digitale. Le tinte cariche e brillanti dello schermo sono ormai il parametro con cui valutiamo la purezza di ogni fenomeno cromatico. Chi ha conosciuto il colore della televisione, insomma, non può più vedere il mondo con gli occhi del passato. Magari non ne siamo consapevoli, ma abbiamo in mente il giallo dei Simpson anche di fronte a un quadro del Rinascimento. Cromorama ci racconta come oggi il colore sia diventato un filtro con cui pensiamo la realtà.
Recensione
Si tratta di un interessantissimo trattato sul colore, utile non solo a chi il colore lo usa nel proprio mestiere, come possono essere un artista, un designer o un fotografo, ma anche a chi è semplicemente curioso sulle “cose di mondo”. Tra scienza, fisica, storia, letteratura, filosofia, arte è infatti un’utile supporto culturale. Scritto scorrevole come un romanzo, è possibile anche sfogliare il libro per osservarne le immagini, i riferimenti e gli studi sul colore nel corso dei secoli, dalla preistoria fino a oggi. È una lettura tranquilla, per passare il tempo, ma anche per imparare molto, o per approfondire di più.
Valutazione
★★★★★ 5/5
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tecnoandroidit · 5 months
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La serratura smart di Welock protegge le porte con l'impronta e non solo - Recensione
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La sicurezza avviene certamente prima di tutto, soprattutto quando si tratta dei propri beni. Questi vengono custoditi gelosamente all'interno di una stanza della casa, quest'ultima chiaramente protetta da una porta. Rendere complicato l'accesso al posto in cui vengono conservati i propri averi più preziosi è un dovere ma talvolta non è semplice. In questo caso però ecco un prodotto unico nel suo genere che consente proprio tale facoltà: si tratta del cilindro elettronico Smart Lock, la serratura smart di Welock, azienda che ha sviluppato un vero e proprio sistema invalicabile. Sostituendo la maniglia tradizionale di una porta con questo dispositivo, tutto cambia. Il livello di sicurezza si innalza vertiginosamente, essendo necessaria l'impronta digitale per sbloccare la serratura. In realtà ci sono anche altri metodi che Welock comprende. Come funziona la serratura Smartlock di Welock Basta guardare le immagini per capire il funzionamento di questa straordinaria invenzione di Welock. L'azienda ha realizzato un prodotto davvero unico, in grado di favorire la sicurezza in casa. Il dispositivo in questione permette di aprire la porta usando la propria impronta digitale ma non solo. All'interno della confezione ci sono infatti anche 3 schede RFID, ugualmente utili per sbloccare il cilindro elettronico e dunque la serratura. Lo stesso vale per l'applicazione ufficiale del brand. Sia nel caso dell'impronta che delle carte RFID, basta l'avvicinamento. Per aprire usando il fingeprint, serve solo posizionare il dito registrato sul lettore di impronte per poi girare il cilindro ed aprire come fosse una serratura normale. Lo stesso vale avvicinando la scheda: si sentirà lo stesso rumore di quando si posiziona il dito sul lettore di impronte. A quel punto si avrà libero accesso alla stanza. Per riattivare il sistema di sicurezza e dunque bloccare la porta, basta solo uscire e richiuderla. Ovviamente aprire dall'interno prevede la stessa procedura di qualsiasi altra porta non provvista di cilindro elettronico: basta solo girare il pomello. La vostra impronta è la chiave di apertura Parlando proprio dello sblocco con impronta digitale, il mezzo principale attraverso cui si può aprire la porta su cui è installato il cilindro, se ne possono registrare addirittura fino a 100. Solo 3 di queste però potranno avere una funzione di amministratore. Il cilindro Smart Lock è in grado di riconoscere senza problemi l'impronta digitale registrata nel 98% dei casi. È praticamente infallibile: basta posizionare correttamente il dito e la porta si aprirà. Il tempo che intercorre tra il posizionamento del polpastrello sul sensore e l'effettivo sblocco è di 0,5 secondi. Di certo dunque è tutto più rapido rispetto al semplice utilizzo di una chiave. Smart Lock si apre anche con card RFID Il concetto di poter sbloccare una serratura facilmente senza dover utilizzare per forza di cose una chiave, continua. Oltre ad utilizzare l'impronta digitale, gli utenti possono sbloccare il cilindro elettronico Smart Lock anche usando le card RFID. In aggiunta alle 3 presenti nella confezione, se ne possono registrare anche altre 17 per un totale di 20 schede RFID. Una volta avvicinate al cilindro, ecco che avverrà l'apertura della porta. App ufficiale compatibile con Android ed iOS Anche tramite tramite l'applicazione ufficiale tutto ciò è possibile, basta solo usare l'interruttore predisposto mediante lo smartphone. La soluzione in questione non funziona solo da vicino, ma anche da remoto. Si può sbloccare o bloccare la porta da qualsiasi luogo ci si trovi, semplicemente con lo stesso pulsante presente in app. Per rendere disponibile questa funzionalità è opportuno acquistare il Wi-Fi Box di Welock, che in un secondo momento può essere collegato anche con l'assistente vocale Alexa o con Google Home. Ci sarà anche un report completo con tutte le volte in cui la porta è stata aperta, capendo così, in base all'impronta o alla scheda RFID utilizzate, chi è entrato. L'applicativo è ampiamente compatibile con tutti gli smartphone e tablet. Welock rende infatti l'applicazione disponibile sia per il sistema operativo Android che per quello iOS. Quanto durano le batterie e come aprire in caso di autonomia esaurita Essendo un dispositivo wireless, il cilindro Smart Lock ha bisogno di batterie per offrire i suoi servizi. L'utente non dovrà mai preoccuparsi che l'energia possa esaurirsi. Grazie all'utilizzo di batterie con tripla A, si potrà bloccare e sbloccare una porta fino a 8000 volte senza intoppi vari. In poche parole, questo significa che un utente che apre e chiude la porta su cui è montato il sistema per un totale di 11 volte al giorno, dispone di un periodo di autonomia lungo un anno per ogni set di batterie utilizzate. Tranquilli però: l'applicazione segnala l'energia in esaurimento quando arriva al di sotto del 20%. Ma cosa bisogna fare nel momento in cui l'energia si esaurisce e la porta resta bloccata? Welock ha previsto tutto in ogni minimo particolare. Non bisogna assolutamente preoccuparsi: tutto quello che l'utente dovrà fare sarà prendere un semplice power bank di qualsiasi potenza e dimensione. Collegandolo alla porta USB presente nel cilindro elettronico, gli si potrà dare l'energia adatta per riprendere a funzionare almeno per quel momento. L'uso di un power bank non offre la ricarica di Smart Lock, in quanto non è un cilindro ricaricabile; risulta necessario sostituire le batterie una volta esaurite. Caratteristiche e compatibilità Esteticamente l'intero apparato presenta alcune caratteristiche contraddistintive. Il lato esterno è quello rappresentato dal cilindro elettronico di Welock, mentre quello interno da un semplice pomello apri-porta. Nel mezzo c'è il sistema di bloccaggio della serratura. Per quanto riguarda le dimensioni, questo cilindro è adatto per tutte le porte che hanno uno spessore compreso tra i 30 e i 70 mm, per cui nel range standard. Con un sistema di bloccaggio esteso fornito sempre dall'azienda, ci si può spingere fino a porte con uno spessore da 100 mm. Il kit di estensione è disponibile direttamente in confezione e non c'è bisogno di spese extra. Non servirà assolutamente chiamare un esperto per sostituire il pomello della serratura pre-esistente: seguendo il manuale di istruzioni, risulterà tutto più che intuitivo. Basta semplicemente rimuovere il vecchio pomello ed installare il cilindro elettronico Smart Lock: da quel momento in poi la vostra porta avrà tutto un altro livello di sicurezza. Non ci sono rischi di alcun genere in quanto c'è la protezione elettrostatica fino a 30.000 V e anche l'impermeabilità grazie alla certificazione IP54. Chiunque dovesse nutrire dubbi sull'effettivo funzionamento prolungato della serratura, è stata testata fino a 10 milioni di chiusure. Le temperature non sono assolutamente un problema: tutto è perfettamente funzionante da -25 °C fino a 60 °C. La condizione necessaria affinché questo dispositivo funzioni è che venga installato su porte interne e non su portoncini esterni o cancelli. Cosa c'è nella confezione di Welock? La confezione che Welock spedisce a casa dei suoi utenti è davvero ricca sotto ogni aspetto. Oltre alla serratura intelligente con impronta digitale, è presente un cilindro di chiusura insieme a 3 schede RFID, anch'esse utili per sbloccare il sistema. Non può mancare il manuale di istruzioni che include al suo interno diverse lingue: ci sono il tedesco, l'inglese, l'italiano, il francese e lo spagnolo. Ovviamente occorre anche un kit per il montaggio ed ecco quindi un cacciavite a stella e una chiave a brugola su misura. Fare tutto senza contattare un esperto sarà talmente semplice da risultare sorprendente. Prezzo in promo, disponibilità e garanzia Dopo aver appreso di un sistema così all'avanguardia ed elaborato, gli utenti potrebbero pensare di essere al cospetto di un prodotto molto costoso. In realtà Welock intende rendere disponibile il cilindro elettronico Smart Lock per tutte le tasche ed è per questo che il costo non è affatto inaccessibile. Il prezzo di base disponibile sul sito ufficiale ed anche su Amazon è di 189 €. Partendo da Amazon, la serratura smart è disponibile con due anni di garanzia e con uno sconto di 40 € al check-out: costa dunque solo 149 € con spedizione entro 24 ore. Tornando al prezzo disponibile sul sito ufficiale, c'è un codice sconto che può essere aggiunto per risparmiare 50 €. In fase di acquisto tutto quello che bisogna fare è aggiungere nel box dedicato il codice "VD50". È in questo modo che la serratura scenderà al prezzo di 139 €. Acquistando il prodotto direttamente dal sito dell'azienda, si ha diritto ad un'estensione della garanzia. Se su Amazon il periodo equivale, come detto, a 2 anni, tramite il sito ufficiale la copertura sarà equivalente a 3 anni. Non ci sono problemi neanche per il pagamento, che può avvenire eventualmente anche in 3 rate sfruttando PayPal o Klarna. Anche tutte le altre carte sono supportate dal sito ufficiale. Conclusioni finali e considerazioni La serratura smart di Welock è un dispositivo unico, utile e semplicemente utilizzabile. Chiunque può avere un'ottima esperienza pur essendo neofita nel settore. Acquistare un prodotto del genere significa desiderare la massima sicurezza nel proprio ambiente domestico e di fronte ad un prezzo del genere si può dire che ne vale decisamente la pena. Abbiamo trovato l'istallazione estremamente semplice come indicato nel manuale e inoltre l'applicazione ufficiale funziona davvero bene. Nulla da dire anche sulla serietà del produttore che ci ha spedito il prodotto in tempi molto brevi e con un ottimo packaging. Siamo qui di fronte ad un acquisto super consigliato, di quelli da non lasciarsi scappare quando si desidera il meglio in termini di domotica, comodità e sicurezza. Read the full article
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