Tumgik
#Sotto la traccia frecce
fauststuff · 3 months
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Non mi ascolterà nessuno ma ok.
Molto tempo fa, ho scritto l’inizio di un racconto.
Ecco la premessa di due anni fa:
“Ho scritto un tema di recente, un compito in classe che la professoressa di italiano ci ha assegnato, di cui potevo rifarmi a una delle tre tracce da lei impartiteci: ora, non è importante di cosa parlassero le altre due, poiché io ho scelto quella sul racconto horror e questa mia decisione, ebbene, è stata una cattiva idea. Perché lo dico? Per due motivi: primo, io in due ore faccio molta fatica a sviluppare un intero racconto, anche se molto breve, secondo, ero talmente ispirata che volevo recitare la parte della Poe della situazione: insomma, per suprema ignoranza, pensavo di poter creare una prosa che avrebbe commosso la professoressa e una trama di cui lei si sarebbe innamorata. Sembrava che, allegata a quella traccia, ci fosse l'espressione latina vista nel cielo dall'imperatore Costantino nel suo famoso sogno, la suddetta in hoc signo vinces; il dio mi aveva, sembrava, illuminata. Ma non si trattava di un segno mandatomi da quel dio, ma era tutt'altro; e mannaggia a Mefistofele. Ma penso sia il momento di parlare di quel disastroso racconto che ho messo sotto gli occhi a quella povera santa della professoressa. Inizio col sottolineare che ciò che ho descritto e narrato in quell'obbrobrio è, e diciamolo senza francesismi, un mucchio di stronzate. Inoltre voglio dirti, mio caro Lettore o mia cara Lettrice, che è questa la storia, anche se modificata nella trama e nella stessa prosa, che andrai a leggere. "Perché hai scelto di pubblicarlo, allora, se non ti piace?", mi chiederai, e io ti risponderò aggrappandomi al fatto che l'idea, per quanto sviluppata male nel tema, fosse abbastanza decente e ho quindi la voglia di darle la giustizia che, secondo l'opinione inutile della sottoscritta, merita.”
Il racconto
"O supremo giudice Minosse che ascolti i miei lamenti: non proverò a giustificare le mie mancanze, perché queste ultime trovarono la pietà soltanto da parte degli uomini, ed è un essere infido, tale l'essere umano, che poté discolparmi. Prima che tu mi possa consegnare ai tuoi diavoli, permettimi di ricordarti che questa mente, che diverrà spossata dalle torture che mi saranno inflitte dai tuoi demoni, fu amata da qualcuno; ed è a questo qualcuno che la natura mi spinge ad abbandonarmi al piacere del ricordo: tu stesso ne pronunci il nome, ma io non riesco a capirne più il suono... Che sia questa la vera condanna? O che, addirittura, io sia un innocente che abbia subito un'infamia? Da parte di chi? Oh, te ne prego, liberami!
Che tutti qui siano innocenti? Cos'è, in verità, il peccato?
Prima di giungere qui, su questo monte Calvo trovatosi però nella profondità incendiata della Terra, ero, e permettimi, mio giudice, un uomo come lo fosti tu: fui maestro d'ingegno e la mia arte consisté nell'essere loquace: fui genio, scoccando le mie frecce ma nella mente delle genti, ed esse mi stimarono, di quell'ammirazione che si riserva a pochi eletti; studiavo con ardore, ogni mistero per me era una sfida che riuscivo a vincere e a questa dedicavo la mia intera esistenza imponendomi la disciplina. E questo sin da giovinetto. Fin dalla tenera età, infatti, io mi ponevo le domande più variegate: esse, spesso, sembrava trovassero delle risposte, le quali si irradiavano come in molteplici strade, ma tutte (tutte quante!) finivano con il raggiungere una meta collettiva e, a seguire, un'unica soluzione.
Una notte di tempesta, mentre faticavo sui miei libri, udii bussare alla porta del mio studio; e ne apparve, con un fulmine, una figura di donna sulla soglia; e con essa si calmò la tempesta. Essa cercava riparo sotto il mio tetto: era fradicia per la pioggia e proferì: "uomo! Guarda le mie ferite!" e mostrò, infatti, che sul corpo ne aveva di innumerevoli. Continuò: "ho sentito parlare di te: uomo d'intelletto superlativo, accoglimi da te!"
Era una donna, anzi, un essere umano, come mai ne vedetti uno: le sue doti cognitive, lo dimostrò più avanti, erano illimitate, i suoi modi imperiosi; inizialmente non sembrava bella, ma col passare del tempo mi assuefai al suo aspetto al punto tale da scorgerne la grandiosità. Presto, io stesso non so dirne il come, diventava mia compagnia di studi.
Ella mi guidava, ed io, come un marinaio che si affida alla Stella Polare, la seguivo nella notte; e anche nei posti più remoti della mia coscienza, in me si imponeva Lei."
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marcogiovenale · 2 years
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milli graffi, "sotto la traccia, frecce": un frammento
milli graffi, “sotto la traccia, frecce”: un frammento
https://www.ilverri.it/index.php/le-collane/collana-rossa/sotto-la-traccia-frecce-detail  
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eddietheforgotten · 2 years
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       𝐅𝐋𝐀𝐒𝐇𝐁𝐀𝐂𝐊 ╱ 𝘵𝘩𝘦 𝘯𝘪𝘨𝘩𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘭𝘦𝘧𝘵 𝘮𝘦
       https://youtu.be/wBuif8IAOKo          somewhere in 𝙃𝙖𝙬𝙠𝙞𝙣𝙨
             ・・・
era la sera del 4 Luglio del 1985, era già buio, si udivano le cicale, e faceva caldo, il cielo era limpido e potevi vedere persino le stelle dall'uscio della tua roulotte. si respirava la classica brezza estiva, chi cucinava al barbecue, e chi come te fumava un po' d'erba.
ti è sempre piaciuta quell'atmosfera.
è la sera in cui l'onda d'urto di un'esplosione, avrebbe frantumato il tuo cuore in mille, minuscoli pezzi, e avrebbe fatto perdere alle tue ossa la capacità di sorreggere te e il peso del tuo dolore, ma tu questo non lo sapevi ancora.
non sapevi che quella sera era la fine tragica di un capitolo importante per te, forse l'ultimo di quel libro, di cui stavate riempendo le pagine vuote.
era la notte tra il 4 e il 5 luglio che hai appreso la devastante notizia, che Billy Hargrove era morto in un'esplosione, che del suo corpo non ne era rimasta traccia, e che avresti solo avuto una tomba vuota a cui fare visita, su cui piangere.
silenzio da parte sua per oltre più di un mese, ricordi i pugni, i calci del vostro ultimo incontro, poi è scomparso, ed ora neanche la possibilità di dirgli addio.
era quella la notte in cui gli attacchi di panico sono diventati più frequenti, più forti, più distruttivi, lasciandoti inerme a tremare senza fiato, ed i polmoni a bruciare senza ossigeno, rannicchiato su quel letto vuoto che di tanto in tanto hai diviso con lui.
lo ricordi, è impresso a ferro e fuoco nella tua mente, sulla tua pelle, ricordi quella notte come se non fosse già passato un anno da allora. ricordi le voci ovattate, ricordi la vista offuscata dalle lacrime, le viscere dilaniarsi, i conati di vomito, ricordi le braccia di Laurence avvolgerti, stringerti, non ricordi le sue parole ma sai per certo che stessero cercando di donarti conforto, di alleggerire quel macigno, ma come poteva? quello non era un macigno, era l'intero mondo che ti stava crollando sulle spalle, e tu lo potevi sentire schiacciarti come fossi un piccolo, insignificante insetto.
una cellula di quel vasto e complesso universo.
ricordi la lotta per allontanare Laurence e correre a perdifiato su per quella collina, il desiderio di consumare ogni energia per arrivare lì e non aver neanche la forza di piangere, solo chiederti: perché?
una lotta che ha vinto, e ad oggi ti consideri fortunato che l'abbia fatto; ricordi il buio nel retro del van, il freddo che hai provato nonostante ci fosse caldo, il gelo nelle vene, il tremore alle ossa, la sensazione di un terreno instabile sotto ai piedi, pronto a crollare in qualsiasi momento.
potevi ancora inspirare l'odore del vostro ultimo spinello, sentire l'eco della sua voce, della sua risata, mentre gli occhi erano chiusi, le gambe strette al petto, e il volto nascosto nelle braccia.
𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐦𝐢 𝐪𝐮𝐢, 𝐭𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐠𝐨.
le uniche parole che hai rivolto al tuo migliore amico, a tuo fratello, che è costretto ad assistere da lontano alla tua distruzione, al tuo decadimento, a vederti cadere, strisciare, e accasciarti al suolo.
osservi dall'alto quel centro commerciale le cui fiamme non si sono ancora placate, respiri l'odore di bruciato nell'aria, ne riempi i polmoni come se in qualche modo potessi riprenderti, respirare Billy ancora una volta, e conservarlo lì per sempre dentro di te.
ed il tuo corpo comincia ad essere scosso sempre di più dai singhiozzi di un pianto silenzioso, l'espressione contratta in una smorfia di puro dolore, il petto colpito, trafitto infinite volte, una più dolorosa dell'altra, da un coltello, e la schiena che accoglie frecce dalla punta affilata, ferite dolorose che ti portano a chinarti in avanti con il busto.
smetti di respirare per pochi, ma infiniti istanti, le dita che cercano di affondare nel petto come se potessero prendere il cuore e stringerlo per alleviarle il dolore, mentre le lacrime calde scendono lungo le tue guance, la bocca spalancata in un urlo che non osa uscire, gli occhi che adesso non vedono più nulla, né l'edificio divorato dal fuoco, né le stelle sopra di te.
𝑪𝒐𝒍𝒅 𝒔𝒉𝒆𝒆𝒕𝒔, 𝒃𝒖𝒕 𝒘𝒉𝒆𝒓𝒆'𝒔 𝒎𝒚 𝒍𝒐𝒗𝒆?
𝑰 𝒂𝒎 𝒔𝒆𝒂𝒓𝒄𝒉𝒊𝒏𝒈 𝒉𝒊𝒈𝒉
𝑰'𝒎 𝒔𝒆𝒂𝒓𝒄𝒉𝒊𝒏𝒈 𝒍𝒐𝒘 𝒊𝒏 𝒕𝒉𝒆 𝒏𝒊𝒈𝒉𝒕
dov'è il tuo amore? lo cerchi in alto, lo cerchi tra quei puntini bianchi, lo cerchi nell'aria, nel manto blu della notte, anche solo per vederne il fantasma, solo per qualche istante, ma non lo trovi.
lo cerchi, lo chiami, ma lui non ti risponde.
𝑰 𝒈𝒐𝒕 𝒂 𝒇𝒆𝒂𝒓, 𝒐𝒉, 𝒊𝒏 𝒎𝒚 𝒃𝒍𝒐𝒐𝒅
𝑯𝒆 𝒘𝒂𝒔 𝒄𝒂𝒓𝒓𝒊𝒆𝒅 𝒖𝒑 𝒊𝒏𝒕𝒐 𝒕𝒉𝒆 𝒄𝒍𝒐𝒖𝒅𝒔, 𝒉𝒊𝒈𝒉 𝒂𝒃𝒐𝒗𝒆
e una delle paure più stupide, più inutili che ci siano, diviene bruscamente realtà, strappandoti via la speranza di un suo ritorno.
aver paura di perdere la persona che si ama è normale, ma quante volte quella persona si perde davvero, ed in simili circostanze?
chi immagina che un momento fumi erba, e poche ore dopo piangi distrutto la morte dell'amore che hai perso?
che è stato portato lì su, in alto, tra le nuvole nel manto notturno, lasciandoti un senso di solitudine che non può esser lavato via con qualsiasi presenza, con una voce qualsiasi, con degli occhi che non siano i suoi.
e più ci pensi, più fa male.
pensi che non potrai mai più specchiarti in quegli occhi azzurri, parlare con lui a tarda notte su quella collina, stesi sull'erba o nel tuo van, coperti da un lenzuolo, abbracciati.
non potrai mai più vederlo ridere, fumare e sbuffarti il fumo sul volto. non potrai mai più farlo sorridere, osservare quella curvatura dell'angolo delle labbra, di un sorriso che ha poi smesso di nasconderti. non potrai più litigarci, farci pace, sentire quella nota dolce nel suo tono, né bearti, gioire di attenzioni e piccoli gesti che riservava a te, solo a te.
non potrai più vederlo e basta. né ascoltare più la sua voce.
dovrai confrontarti con il peso della sua assenza ora.
i polmoni bruciano e ti ricordano di prendere fiato, e lo fai, ti carichi di ossigeno, solo per lasciarti andare in un urlo disumano che squarcia la notte, un ringhio che raschia prepotentemente la tua gola, la graffia come stessi vomitando piccole lame affilate che ti tagliano dall'interno, facendoti maledettamente male.
stringi i fili d'erba, li spezzi, li strappi, ti lasci andare in un pianto disperato, vorresti strapparti via quella pelle, che brucia, fa male, ci avresti provato se adesso Laurence non ti abbracciasse da dietro e ti fermasse.
ti dimeni, ti sporgi verso quell'edificio distrutto, come se potessi raggiungerlo con una folata di vento, come fossi una foglia e poter viaggiare cavalcando le correnti d'aria; cerchi di liberarti, cerchi di raggiungere con la sola mano la sua tomba, tra i singhiozzi, tra il pianto, i gemiti di disperazione, ed infine ti accasci al suolo chinando il busto in avanti, nascondendo il volto contro il terreno.
senti il petto di Laurence sulla schiena, lo senti abbracciarti, farti da scudo, cercare di proteggerti, e lo senti che ti porta su, a sé; ti alzi con il busto e ricadi indietro, sul suo corpo, accasciandoti per l'ultima volta, e finendo per nasconderti, abbandonarti a lui, alle sue carezze, alla sua voce che ti chiama, che ti parla, ma non riesci a sentirla. una mano che ti viene tesa, ma che tu adesso non riesci ad afferrare, ti è più facile smettere di lottare e lasciarti andare, affondare, lasciare che l'oceano ti sovrasti, mentre volgi lo sguardo al cielo e trovare un senso di pace, di vuoto, di silenzio.
lo hai pianto tutta la notte su quella collina, lo hai pianto le notti dopo, hai consumato ogni lacrima, ogni soffio di voce, spento ogni spiraglio di luce.
quel che non si è mai spento, quel che è rimasto sempre vivo, persino quando chiuso in uno scrigno per provare ad andare avanti, è l'amore che notte dopo notte, sguardo dopo sguardo, spinello dopo spinello, bacio dopo bacio, verità dopo verità, confessione dopo confessione, hai cominciato a provare per lui.
era una persona completamente diversa ai tuoi occhi, fatto di carne, ossa, ferite, cicatrici, sentimenti, emozioni.
e forse sei davvero riuscito a conoscerlo davvero, a conoscere il vero William Hargrove. Non Billy, non il nuovo Re della Hawkins, ma William.
è per lui che hai pianto.
è lui che vuoi salvare.
𝐞̀ 𝐥𝐮𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐦𝐢.
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corallorosso · 4 years
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LA MOLESTIA BESTIALE La molestia sessuale é tra le più odiose forme di ricatto. Il "se me la dai ti do" esercitata da chi ha un potere verso chi ha bisogno, non é solo un reato ma un affronto alla Dignità della Persona che lo subisce e che per lungo tempo, di quell'affronto, porterà dentro di sé la traccia. Sappiamo tutti quanto é importante il sesso nei rapporti tra Persone. E tutti sappiamo anche che, da sempre, viene usato come "veicolo trainante" per il commercio di qualsiasi genere di oggetti, dalla macchina, allo shampoo, dalle calze al formaggio. Si chiama pubblicità indotta. Se una bella (o un bello) pubblicizza un prodotto, le vendite crescono, se ci metti una brutta (o un brutto) fai flop. Subiamo quindi ogni giorno una "molestia sessuale" che fa leva sui nostri "istinti" per propinarci un prodotto. Il famoso detto "tira più un pelo di f... che un carro di buoi" sarà volgare quanto volete ma é la pura e semplice verità. E lo stesso discorso vale ad esempio per un profumo. Splendidi animali maschili seminudi che lanciano frecce per vendere una bottiglietta di Versace o atletici giovanotti che si lanciano da una rupe per affermare che D&G é la fragranza ideale. Chi cavolo guarda il profumo in quegli spot ? Tutti a controllare ogni centimetro del corpo del testimonial, facendosi corrompere dal suo sex-appeal. Per la serie "se ti metti quel profumo sarai bono quanto lui". Dalla molestia tv (consentita) a quella lavorativa (non consentita) il passo é breve. L'uomo Denim non deve chiedere mai, pretende e basta. In virtù della sua posizione di comando, elargisce favori in cambio di prestazioni. Monica Lewinsky é andata a carponi sotto una scrivania per poter continuare a lavorare nella Casa Chiusa Bianca. Attrici, attori, soubrette e cantanti hanno dovuto spesso piegarsi alla logica del "do ut des" per arrivare più velocemente al successo. Senza "do" probabilmente non ci sarebbe stata nessuna occasione per il "des". Ma quante altre Donne e quanti Uomini hanno dovuto accondiscendere al ricatto sessuale per poter difendere il loro posto di lavoro ? Un esercito silenzioso, perché pochi alla fine denunciano il turpe baratto. Ma quello che più sgomenta é il giudizio degli astanti. La colpa maggiore é di chi ha ceduto e non di chi ha proposto. Monica L. é andata sotto la scrivania perché é una puttana. E quelle o quelli che seguono il suo esempio non sono da meno. Nessuno parla del porco che ce le ha messe (o messi). Lui ha recitato il suo ruolo di "provocatore". Se tu ci caschi é perché sei fatta cosi'. La solita morale del "te la sei cercata". La doppia morale di chi condanna una vittima ed assolve l'assassino. D'altra parte Eva é stata presa a calci in culo e buttata fuori dal Terrestre per aver ceduto alle lusinghe del Serpente. Di Lui sappiamo solo che é diventato Re. Degli Inferi o meno ma sempre di un Regno si tratta. Quando finiranno le molestie sessuali ? Solo quando nessun pelo tirerà più di un bue. Vale a dire mai. Claudio Khaled Ser
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sirenadimaggio · 4 years
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Warrior
“Mamma mia e che hai oggi che sei così fredda? Hai le tue cose?” chiese, trattenendo a stento una risatina per la sua battuta tanto originale.
“Io veramente…” balbettò Maia, tuffandosi dietro il bancone, paonazza. L’uomo la seguì e la guardò per un po’ affaccendarsi, con la testa nascosta nel frigo, a sistemare qualche bottiglia di succo. Quando riemerse se lo ritrovò davanti a sbarrarle il passaggio. Lei teneva lo sguardo fisso sul suo petto, in silenzio.
“Ti sei arrabbiata? Scusa dai facciamo pace, dammi un bacino.” L’uomo protese la guancia verso Maia che, colta alla sprovvista, non seppe come altro rispondere se non poggiando le sue labbra sul quel viso ispido. Si sentì improvvisamente un bambina. Una bambina di trentacinque anni.
“Allora, se non hai bisogno d’altro io andrei” disse lei, lo sguardo sempre fisso sulla maglia di lui.
“No, puoi andare.” Nella voce di lui si sentiva un certo disappunto.
“Con oggi concludo la settimana di prova.” Maia si arrischiò ad alzare lo sguardo verso di lui. Il suo viso era adesso improvvisamente serio, non c’era più traccia della giocosità di un momento prima.
“Sì, ecco questo è quanto ti devo”, pescò dalla cassa cinque banconote da cinquanta euro e gliele porse. “Ti faccio sapere se avrò bisogno di te lunedì.”
“Buonanotte, allora.” In fretta e furia prese la borsa e il cappotto e si fiondò fuori dalla porta.
Nel buio dell’una di notte, stava in piedi sotto la pensilina, saltellando da un piede all’altro per cercare di scaldarsi. Una settimana di battutine, di occhiate ammiccanti e sorrisi sornioni. Maia stava zitta perché non aveva mai lavorato in vita sua e chi altro avrebbe dato un lavoro ad una donna come lei, senza capacità? Ma non poteva fingere che fosse la disperazione a renderla tanto remissiva. Non aveva mai imparato a farsi rispettare. Non sarebbe stata in quella situazione altrimenti.
Salì sul bus, deserto se non per un uomo addormentato e una coppietta che si baciava ardentemente, avvinghiata sui sedili in fondo al mezzo. Appoggiò la testa al finestrino unto.
“Vostra Maestà!” Maia aprì gli occhi di scatto, il suo Gran Consigliere la guardava accigliato. “Sono spiacente di interrompere il Vostro riposo, ma ci è giunta notizia dalla Torre del Gorgo: il Leviatano si avvicina alle mura!”
La sirena scivolò giù dal suo baldacchino, risoluta “Voglio ogni uomo in grado di combattere alla Piana Sabbiosa, che lo intercettino lì e lo spingano verso le Porte Tychee. Sulle Porte voglio un dispiegamento massimo di arcieri.” Rapida si recò all’armeria: indossò la sua armatura, ricavata dallo scheletro di uno squalo bianco, calcò l’elmo sul capo e impugnò la sua lancia. Così spartanamente armata e senza il tempo di poter orchestrare un vero piano d’attacco, nuotò fino alle Porte, dove era determinata a finire una volta per tutte il mostro, che tanto spesso aveva minacciato il suo regno.
Alle Porte il Leviatano ruggiva inferocito. Un gigantesco serpente marino, si dimenava, impedito nei movimenti dalla stretta spaccatura di roccia in cui era confinato. La coda, impigliata sul fondale dove la fenditura era più stretta, gli impediva di nuotare verso l’alto. Lì gli arcieri, piccoli come pesciolini al suo cospetto, senza posa scagliavano frecce dalla punta avvelenata che sembravano appena scalfire la corazza coriacea del mostro; sul fondo i fanti caricavano con i loro arpioni.
Sembrava una lotta senza speranza e i suoi soldati cadevano come fantocci ad ogni colpo del corpo muscoloso della creatura, il cui capo pericolosamente si avventava contro gli arcieri. Maia, sprezzante del pericolo si portò all'altezza della testa della bestia che subito si scagliò su di lei. Le zanne, ognuna lunga quanto la coda della principessa, squarciavano le acque, cercando di trafiggerla, ma lei agile evitava ogni fendente.
“Mirate agli occhi!” Subito nubi di frecce, da tutte le direzioni, colpirono il viso del Leviatano. Non molte andarono a segno, ma abbastanza perché perdesse la vista. In preda al dolore il serpente smise di accanirsi sui soldati, emise un sibilo potente e rovesciò la testa all'indietro, le fauci spalancate. Subito Maia nuotò dentro la bocca del mostro, ora vulnerabile. Lì, nel buio, viscido puzzolente antro conficcò la sua lancia nella carne molle. Subito fu inondata da un getto di sangue caldo e vischioso, ma non si fermò. Spingendo con tutto il suo corpo lacerò la gola del Leviatano da parte a parte. Come un terremoto, la testa schiantò a terra.
“Prossima fermata, Stadio.” Maia sobbalzò sul sedile. Afferrò la borsa pronta a scendere. Il cellulare mostrava una notifica. “Ciao, guarda, non venire lunedì, per ora non ho bisogno.”
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Apollo e Dafne.
Sentì uno strano dolore al petto. Abbassò lo sguardo e riuscì a vedere, piantata sul cuore, una freccia dorata che dopo qualche istante svanì. Fu una cosa veloce, se fosse stato colpito nel sonno probabilmente nemmeno se ne sarebbe accorto. Sulla sua pelle liscia e perfetta rimase soltanto una polvere luminosa; anche questa non tardò a sparire. Fu come se non fosse successo nulla. 
Alzò lo sguardo e vide, davanti a sé, la bellissima Dafne e si accorse che il dolore rimaneva vivo, anche se non aveva alcuna ferita visibile sul corpo; sapeva bene che le frecce di Eros non ne provocavano. 
Guardava il bel corpo della ninfa, così sottile, così armonioso. I capelli del colore del grano le scivolavano dolcemente lungo la schiena e la pelle pallida rifletteva la luce. 
Sentì qualcosa di potente muoversi dentro al suo corpo, tanto potente da far tremare le vene dei polsi. Si sentiva pronto a distruggere il mondo e l’Olimpo, tutti e due insieme, ma allo stesso tempo si sentiva debole, fiacco, come mai gli era successo prima di allora. Voleva poterle toccare le mani, seguire con le dita la linea perfetta che conduceva dal braccio fino al collo, voleva poi accarezzarle il viso e baciare le sue labbra morbide e piegate in un leggero sorriso.
Capì di essere innamorato di Dafne. 
Quindi quello che provava era il famoso ‘amore’, quello per cui gli uomini tanto lottavano?
Non credette possibile che una cosa del genere fosse capitata a lui. 
Quando però alzò lo sguardo, lei non c’era più.
Tentò di mettere a tacere quella sensazione che gli divorava le membra, almeno quel tanto che gli sarebbe bastato per trovarla. Dafne doveva essere sua.
Anche lei aveva sentito un dolore al petto, ma abbassando lo sguardo aveva visto che la freccia che l’aveva colpita era di piombo.
Il suo dolore era sparito immediatamente, ma provava una sorta di angoscia che le stringeva il collo, le impediva di respirare.Capì immediatamente che Eros, con lei, era stato ingiusto. Sapeva che non sarebbe mai stata in grado di amare il dio del Sole.
Era inginocchiata, ma immediatamente si alzò per correre e fuggire via. Apollo doveva starle lontano, non voleva essere toccata da lui. 
Si muoveva veloce nel bosco, la sua dimora; conosceva a memoria  i luoghi più bui e nascosti, ma la paura le aveva afferrato tutti i pensieri e non riusciva a ricordarne più nessuno. 
Apollo sentì dei passi svelti perdersi tra la vegetazione, ma la ninfa era silenziosa e dopo i primi momenti, non riuscì più a sentirla. Camminò a lungo tra gli arbusti, senza riuscire a scorgere qualche indizio che gli mostrasse la strada più breve per raggiungerla. 
Sentiva il bisogno innato di dimostrarle il suo amore, di farle capire quanto fosse forte, puro, reale. La sua testa pulsava per le troppe parole d’amore che non aveva ancora pronunciato. 
Pensò che così non sarebbe potuto andare avanti, sarebbe impazzito se non l’avesse trovata subito.
Dafne poggiò la schiena contro la ruvida corteccia di un albero. Era stanca, la corsa le aveva tolto quasi tutte le forze. Si sentiva impotente e sommersa da ciò che le stava accadendo.
Odiava la situazione e l’incapacità di poter reagire ai sentimenti che provava. Calde lacrime le scivolavano sul viso e cadevano nel verde di una foresta che la nascondeva da un amore che non poteva ricambiare. 
Era sopraffatta dalla repulsione che provava nei confronti di Apollo e distrutta dal pensiero di non poter ricambiare il suo amore. Si sforzò molto, ma non ci riuscì. Nei suoi confronti provava soltanto paura e... indifferenza. Si chiedeva perché, perché fosse successo proprio a lei e non ad un’altra. Voleva amarlo, ci provò con tutta se stessa, ma la freccia di piombo glielo rendeva impossibile.
Apollo era troppo pieno d’amore per rendersi conto di subire la vendetta di Eros. La la sua mente non fu nemmeno sfiorata dal pensiero che averlo deriso per i suoi presunti insuccessi avrebbe provocato una reazione; eppure lo sapeva che tutti gli dei sono suscettibili. Il dio dell’Amore non fu da meno e si vendicò facendolo innamorare perdutamente di qualcuno che non avrebbe mai potuto ricambiare il suo amore. Voleva dimostrare la potenza di questo sentimento e ci riuscì.
Apollo infatti non era più la stessa persona: una semplice freccia aveva sconvolto la sua personalità e prodotto in lui emozioni mai provate prima. 
Cominciò a correre, alla ricerca di un amore che gli sfuggiva di più ad ogni passo.
Ma lei era sfinita, non voleva più continuare questa fuga che sembrava dover proseguire in eterno. Asciugò le lacrime dal suo viso e si avvicinò al corso d’acqua che scorreva lì vicino.
Decise di porre fine alla sofferenza che entrambi stavano provando.
Lui l'aveva quasi raggiunta e cercò di non farla andare via, le disse di restare, le disse di amarla, ma ogni sua parola e ogni suo passo verso di lei allontanavano di più la ninfa. 
Il caos, la creazione del mondo, niente avrebbe fatto più rumore di quell’urlo che squarciò il cielo. Dafne era esausta e gridò così forte da far tremare tutta la terra e se ciò non è ritenuto possibile, fece tremare perlomeno la terra sotto i piedi di Apollo.
Invocò sua madre, Gaia, e suo padre, il dio del fiume Peneo. Non seppe mai chi dei due fu così benevolo con lei da concederle di sparire.
Mentre correva si voltò un’ultima volta verso Apollo, lo guardò e lui la toccò, ma ormai era tardi. 
I suoi piedi delicati erano già trasformati in robuste radici e le sue braccia si stavano ramificando. La trasformazione fu veloce, lui non ebbe nemmeno il tempo di avvolgerla con un abbraccio perché, ormai, il suo corpo era diventato un vero e proprio tronco, solido e forte. Anche dei suoi bellissimi capelli non c’era più traccia, erano divenuti foglie verdi e rigogliose. 
Apollo si ritrovò a stringere tra le braccia un albero di alloro, invece che la tanto amata ninfa. 
Pianse e soltanto in quel momento, quando ormai Dafne era sparita, capì che a ridurlo così non era stato tanto Eros, quanto la sua vanità. Cosa gli importava di essere più bravo con l’arco e le frecce, se poi gli spettava tutto questo dolore? Avrebbe preferito, piuttosto, non saper fare nulla. 
Si maledisse per aver sminuito il potere del dio, provocando la sua atroce e terribile vendetta che non solo si era scagliata su di lui, ma anche su chi non c’entrava nulla.
Toccò l’albero che fino a poco prima era la sua ninfa e sentì di non poterla abbandonare così. 
Decise che in sua memoria, da quel giorno, l’alloro sarebbe stato la sua pianta. 
Strappò un ramoscello con alcune foglie e se lo avvolse attorno al capo.
Dafne, il suo amore, lo avrebbe accompagnato per tutta l’eternità. 
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djqal · 4 years
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[Storia] Intermezzo (o Riassunto di Quasi Tutto)
La stanza è illuminata da poche candele che emanano una luce fredda. Senza un apparente criterio, fluttuano in lente traiettorie lungo la stanza, mutando continuamente le ombre delle figure sulle pareti. Il tavolo è un semicerchio, fatto di pietra, rifinito in argento. La sua superficie racconta la storia dalla quale sono nati l'Ordine e molto altro. Attorno al tavolo stanno cinque scanni, costruiti in legno e rifiniti in metalli e materiali pregiati. Ognuno è unico sia nei materiali che nelle decorazioni, eccetto i due più esterni, che sono uno lo specchio dell'altro. Tutto ciò non però visibile in questo momento, poiché ogni centimetro delle sedute è coperto dal mantello dell'occupante. Il volto di coloro che siedono al tavolo è sconosciuto al resto del mondo, e tale deve sempre rimanere, eccetto alle altre figure presenti nella stanza. L'unica nota comune tra coloro che siedono al tavolo d'argento, sembra essere la loro natura umanoide, o presumibile tale. Uno ha una folta barba. In essa sono bloccati, come incastonati, piccoli pezzi di metalli preziosi. Rame, argento, oro, platino. Ogni pepita rappresenta un uomo ucciso per l'ordine. Il materiale indica la sua rilevanza. Un tempo rossiccia, ormai la barba è di un colore pallido e luminoso. Uno ha due tatuaggi sotto gli occhi. Entrambi rappresentano la stessa bestia maestosa. Se vuoi nascondere qualcosa, fallo in piena vista. Uno ha una benda sull'occhio destro. Circolano numerose storie e leggende riguardo a cosa ci sia al di sotto della benda. Nessuna di esse corrisponde a verità. Uno è decisamente più giovane degli altri. Le sue mani sono rovinate da calli e escoriazioni come i suoi compagni, ma il suo volto è solcato da decisamente meno linee del tempo. Uno è calvo. Il cranio espone una vistosa cicatrice nerastra che copre quasi tutta la parte posteriore. Nessun chierico è mai riuscito a curarla. Le radici della magia che l'ha causata hanno scavato troppo in profondità. Uno regge una penna d'oca. Davanti a sé ha diversi rotoli di pergamena intonsi e un piccolo calamaio. Alla fine della riunione brucerà tutte le pergamene, non deve rimanere traccia di cosa è stato detto. Uno ha una mano diversa dall'altra. Diversa da tutto il resto del corpo. I più pensano sia stato per scelta, pochi credono si sia trattato di una necessità. In realtà, è stata entrambe le cose. Uno sta mangiando. Un piccolo vassoio di ferro accanto a lui contiene diversa frutta di stagione. È stato un dono e sarebbe scortese non approfittarne. Uno indossa numerosi anelli. Quelli nella mano destra hanno numerose gemme incastonate e sono fatti con metalli preziosi. Quelli nella mano sinistra sono fatti di metalli poveri, ma hanno incise parole in varie lingue. Se vuoi nascondere un albero, nascondilo nella foresta.
Un secondo tavolo, più piccolo, un semicerchio di ferro e bronzo, è adiacente al primo. Ad esso siede una sola figura. Davanti a sé ha un libro rudimentale, rilegato a fatica per quanto voluminoso. Sulla sinistra, pochi fogli di pergamena, un calamaio e una penna. È l'unico autorizzato a tradurre su carta quello che verrà detto e deciso.
"Allora, Maestro delle Storie. Dall'altezza del libro ho timore che non sarà una sessione breve". L'uomo con la mano diversa è il primo a parlare. "So bene quanto apprezziate il dono della sintesi, ma purtroppo questa storia è piena di piccoli avvenimenti casuali e dettagli che potrebbero essere rilevanti. Data la natura dell'argomento, ho pensato che la precisione fosse la virtù preferibile" "La quantità di materiale che avete accumulato in così breve tempo è impressionante". L'uomo che mangia la frutta sembra al contempo stizzito e compiaciuto. "Dovete considerare che cercare la conferma di qualcosa è più facile che cercare la cosa stessa. Ciò nonostante, alcuni passaggi risultano incoerenti e di altri non ho trovato alcuna prova, né a favore né il contrario. La Fonte si è rivelata precisa e dettagliata in aspetti inconsueti, ma ciò non è conferma della sua affidabilità" "La fiducia è una materia che riguarda noi. Ciò che riguarda voi, Maestro, è fornirci le basi per un giudizio assennato". La voce dell'uomo calvo è tagliente.
L'uomo pone sul tavolo diversi fogli. Ognuno contiene il ritratto di una persona. "Artigan" "Quanzar" "Jarvis" "Dividacious" "Lyusio"
"Sono loro?". L'uomo con la piuma trascrive i nomi. "In parte. Ma è da loro che dobbiamo cominciare"
"La storia rilevante comincia poco dopo che lasciarono il Regno del Drago. All'epoca facevano parte di una banda di mercenari con a capo un certo Priadan della Torre Verde, ora è arruolato nei Vulcani. Vennero coinvolti nella cospirazione che ha scosso la Marca dei Fiumi 5 anni orsono. Lord Terem, meglio noto come il Lord Pescatore, aveva rapito il legittimo erede al trono. La banda di Torre Verde avrebbe dovuto sorvegliare il ragazzo, ma pare si sia rivoltata e lo abbiano aiutato nella fuga" "Non molto etico" borbotta l'uomo dalla folta barba. "E questo è solo l'inizio. Il loro comportamento nel tempo è stato tutto meno che etico, ma in svariate occasioni potrei spingermi a definirlo quasi onorevole." "Osservazione interessante. Sono molto incuriosito". L'uomo tatuato sembra divertito. "A seguito di quegli eventi il gruppo si divise. I cinque che vi ho detto rimasero insieme, mentre gli altri presero diverse direzioni. I più rilevanti rimangono Torre Verde, il presunto cavaliere Sir Roland di Colle Cremisi, anche se non ho trovato traccia di questo luogo in nessuna mappa. E infine, Dwayne il Monco, uno stregone. Nella speranza di far perdere le proprie tracce, si diressero a sud, nel cuore della marca. Lungo la strada ebbero modo di aiutare il venerabile Li Mu Bai, un monaco Zapaliano che ora possiede un piccolo ma rinomato monastero in quelle terre. Successivamente si scontrarono contro alcuni seguaci delle Fiamme Rivelatrici insieme a una cacciatrice di taglie chiamata Efora. Pare che incapparono per sbaglio in una delle operazioni di "inseminazione" del culto. Inutile dire che i fanatici non presero bene l'uccisione del loro cucciolo di drago e negli anni successivi operarono vari attacchi ai loro danni, quando ancora erano pressoché sconosciuti e agivano in quasi totale libertà." "Questa storia sembra ricca di personaggi secondari o sbaglio?" Non c'è malizia nella voce della figura con gli anelli, solo genuino interesse. "Efora è una delle persone che siamo riusciti a interrogare riguardo ad alcuni di questi avvenimenti. In effetti si è rivelata una risorsa preziosa ed è stata incaricata di svolgere alcuni compiti minori. Non è al corrente della natura del committente, ma è stata segnalata come potenziale e preziosa adepta. Li Mu Bai non avrà altri ruoli importanti nella storia, né siamo riusciti a ottenere alcune informazione utile da lui, ma ritengo importante evidenziare fin da subito ogni persona di rilievo con cui i soggetti sono venuti in contatto. Per sottolineare sia la loro natura, sia potenziali loro alleati." La mano diversa fa cenno di continuare, la voce la accompagna "Come al solito la tua dedizione è encomiabile maestro, prosegui pure" "Il secondo avvenimento davvero rilevante avviene a Elaba. Qui il Barone Rebdo del Passo Insanguinato, deceduto due anni fa durante la guerra coi barbari, incaricò i soggetti di risolvere e fermare una disastrosa serie di misteriosi e brutali omicidi, 48 vittime per la precisione, che stava avvenendo nella città. Ricostruire l'accaduto è stato piuttosto intricato: nelle bocche dei popolani la verità si accompagna al mito a ogni pasto. Ma l'operato dei soggetti pare fu impeccabile: nonostante il sospetto che fosse una bestia dei boschi non importunarono nessuno degli abitanti della foresta e riuscirono ad aiutare la comunità locale. La versione ufficiale dei fatti è che gli omicidi vennero commessi da un malavitoso locale, aiutato da un sicario a pagamento e dal vice conestabile. I primi due vennero condannati a morte, mentre il terzo morì nello scontro. Approfondendo alcuni dettagli poco chiari siamo però riusciti a scoprire che le morti sono probabilmente responsabilità del conestabile stesso, Lord Derken delle Terre Libere, probabilmente un licantropo. Supponiamo che i soggetti abbiano stipulato un accordo col governatore per mettere a tacere la cosa ed evitare complicazioni. Pare che un altro licantropo fosse coinvolto nella faccenda, un orso mannaro chiamato Randall, specializzato nella caccia verso i suoi stessi simili. Le poche informazioni che la fonte ha dato su di lui sono state confermate, ma non sono state sufficienti a rintracciarlo." "Ah! Un mannaro che caccia mannari! Arruoliamo! Sarebbe un perfetto animale domestico! Ahahaha" la risata scuote la barba e le sue pepite. L'uomo calvo scuote lentamente la testa.
"Questo avvenimento aprì ai soggetti le porte verso i complotti in atto nella regione. Giunti alla capitale, Fine del Dan, entrarono al servizio di Lord Jordanus Arena, leale al lord pescatore, Nei mesi di servizio successivi pare che Lyusio, l'incantatore, venne iniziato alle arti necromantiche e venne coinvolto in un paio di omicidi. Non sappiamo di preciso cosa girasse nella sua mente, ma riteniamo non sia stato coinvolto in nessun altro, ehm, incidente nei mesi successivi. Prossimi alla cerimonia che avrebbe ufficializzato la nomina del nuovo marchese, i soggetti vennero coinvolti in un torneo clandestino a Rocca delle Frecce, dove si guadagnarono il ruolo di prescelti da Lord Jordanus per il torneo ufficiale. Durante questo secondo torneo però, furono gli stessi soggetti ad assalire il palco del Lord Pescatore e causarne la morte. Per poi fuggire e trovare asilo politico nei territori adiacenti presso Lord Mathras, il cosìdetto Lord Sanguisuga." "Un altro doppio gioco?" l'uomo tatuato sembra intrigato dal racconto. "Indubbiamente. Rebdo era infatti un lealista, e in segreto supportava il ritorno del legittimo erede.  Supponiamo che dal loro arrivo a Fine del Dan i soggetti abbiano operato per conto Lyonel Erebir, il legittimo erede e tutt'ora Marchese delle Terra dei Fiumi. In particolare pare che il torneo a Rocca delle Frecce fu occasione per organizzare l'evasione di alcuni prigionieri politici, tra cui alcuni dei loro vecchi compagni mercenari. Secondo la fonte, ma non abbiamo avuto modo di verificare in alcun modo, tra i prigionieri vi era addirittura l'Ombra, nelle sembianze di un mezzorco." "Il capo dei servizi segreti della Marca dei Fiumi?" "Precisamente" l'uomo con la piuma prende nota scrupolosamente, mentre l'uomo con la mano diversa commenta secco "Non mi aspettavo questo genere di contatti da soggetti simili" "Il prendere parte a queste cospirazioni è stata probabilmente la fortuna dei soggetti, che sono potuti entrare nelle grazie di personaggi tanto influenti. Per quanto non sappiamo se la morte del Lord Pescatore sia avvenuta direttamente per mano loro, sicuramente ne sono stati la causa. E anche le successive sventure del Lord Sanguisuga, sono probabilmente state coadiuvate dall'azione dei soggetti."
"Un altro avvenimento fondamentale avvenne lungo il tragitto verso Faro delle Pianure: Lyusio rimase infatti ucciso in uno scontro nelle paludi. Venne resuscitato dai compagni nella forma di uno gnomo, ma presto abbandonò il gruppo. Non è stato possibile accertare le motivazioni di tali azioni, se fossero state pianificate da tempo, se fu il trauma della morte, il trauma della resurrezione, o qualunque cosa sia avvenuta alla sua anima nei piani esterni. Ma per certo sappiamo che da quel momento Lyusio venne seguito da una scia di morte e necromanzia, lungo la sua strada verso Il Gufo." "E gli altri soggetti? Erano al corrente dell'esistenza del Gufo?" "Più o meno nello stesso periodo, entrarono in contatto con una Erinni, incaricata di estorcere loro informazioni. Secondo la fonte, all'epoca non avevano idea di chi o cosa fosse il Gufo, ma sicuramente lo avevano incontrato in incognito nei mesi precedenti. Avevano infatti già svolto ricerche riguardo a Delimonde nelle biblioteche della città. Ciò ovviamente non prova nulla, però è altamente sospetto. In ogni caso, giunti a Faro delle Pianure svolsero diversi incarichi presso Lord Mathras. Tra le varie cose mi preme sottolineare un'indagine presso Dolcecolle, piccolo feudo nel quale erano avvenute alcune morti sospetti. Dai racconti raccolti a Faro delle Pianure, la responsabilità delle morti è da imputare a diversi individui separatamente: gli esperimenti di un incantatore, un sacerdote che in segreto adorava gli inferi, lo stesso governatore, e i ribelli che gli si opponevano. Purtroppo ogni tentativo di ottenere informazioni da Dolcecolle si è risolto con la scomparsa dei nostri informatori. Temiamo ci sia qualcosa all'opera nella zona, ho già compilato rapporto al riguardo." "Cioè, nessuno che si sia recato nella zona ha più fatto ritorno?" "Temo di sì. Ed erano tutti individui qualificati" "Ma nessun'altro nella Marca è preoccupato al riguardo?" "Non sembrano esserci stati avvenimenti degni di nota nell'ultimo anno" "Estremamente sospetto. Non è da escludere che i Prosperi o qualcuno delle terre libere abbia una base o un presidio lì. Prego, continua." "Il successivo avvenimento rilevante fu il loro incontro con alcuni preti della Prospera Chiesa di Konkresh, capeggiati da Ormund il Pacificatore, ora Primo Pugno della Libera Chiesa di Konkresh. Essi avevano posto sotto protezione alcune province. Con il loro comportamento diplomatico, ottennero il favore dei chierici, un tassello importante per gli avvenimenti dei mesi seguenti. Vennero infatti inviati verso il regno della prosperità a seguito di alcuni messaggeri di Sanguisuga, anche se non sappiamo se stessero agendo come scorta per Mathras o come assassini per l'Ombra. Ciò non è rilevante poiché la sorte dei messaggeri era già stata segnata da un'insorgenza di non morti nella zona. Lungo la strada incontrarono Elisya, dell'ordine dei Vulcani, e Dagbar il Severo, un chierico di Konkresh che ora svolge il ruolo di addestratore in una delle chiese della capitale. I soggetti riuscirono a fermare i necromanti autori dell'invasione, sebbene secondo le nostre ricostruzioni un ulteriore individuo, un vecchio a cavallo, potrebbe aver svolto un qualche ruolo nella vicenda. Purtroppo, né le nostre informazioni, né la Fonte sono state in grado di fornire indicazioni più precise."
"La tappa successiva dei soggetti fu quindi il Regno della Prosperità, dove grazie alle imprese precedenti vennero assunti per sventare un omicidio, compito che svolsero efficacemente, sebbene l'assassino riuscì a fuggire. Venne però identificato come Zanna del Drago." "E questo è il punto in cui mi viene rinfacciato di aver sottovalutato la situazione e che avrei dovuto dedicare più agenti alla missione, giusto?" l'uomo che mangia sputacchia pezzi di mela mentre sbotta contro i propri pari. L'uomo con la mano diversa è secco nella risposta "La discussione avvenne già all'epoca, lasciamo il passato al passato. Maestro…" "In seguito a questi numerosi successi, e all'amicizia con Torre Verde e Elisya, i soggetti ricevettero udienza da Zarken, Gran Maestro dei Vulcani, che li incaricò di recuperare del materiale dall'antica dimora del drago rosso conosciuto come Urathear Valignat, ovvero Irlym Faessi, possa l'argento eternamente squarciare la sua anima" "Possa l'argento eternamente squarciare la sua anima" Al coro che segue il maestro si uniscono tutte le altre voci, eccetto quella del giovane, che mima le parole soltanto. "L'impresa costò la morte a tre dei soggetti, che vennero poi resuscitati. Per il resto fu un successo: parte dei manufatti ritrovati sono stati vitali nella lotta contro le Fiamme Rivelatrici, e il nostro stesso Ordine ha beneficiato della conoscenza che i Vulcani hanno condiviso con noi" "Questi commenti rispetto ai nostri trattati non appartengono alla storia maestro" l'uomo calvo commenta con in modo apatico. "Vero mio signore. Successivamente vennero incaricati di risolvere una questione inerente a delle tribù del nord, una faida tra drow e elfi dei boschi. Inaspettatamente si comportarono in modo molto diplomatico coi Drow, che lasciarono la zona. I simboli tribali della tribù che loro aiutarono sono stati poi osservati in alcuni drow morti nelle Terre Libere. Difficile capire se si trattasse di esuli, agenti, o l'intero clan abbia compiuto una migrazione così impegnativa. Ma mi pare rilevante sottolineare come tra i potenziali alleati dei soggetti possa esserci anche una tribù Drow." "Dal tuo racconto sembra che Artigan e la sua Gang stiano simpatici a tutto il continente". "Credo che sarebbe più corretto dire che coloro che li avevano in antipatia sono caduti in disgrazia o hanno perso la vita. Difficile identificare precisamente se ciò sia causa o conseguenza di queste antipatie." L'uomo con la barba scoppia in una sonora risata di approvazione. "Il successo e il ruolo politico dei soggetti li portò ad avere udienza con nientemeno che sua maestà Re Julius Prosper, in una serie di incontri diplomatici in cui un'alleanza venne stipulata tra Regno della Prosperità e Marca dei Fiumi, con lo scopo di unificare i rimanenti territori limitrofi sotto l'una o l'altra bandiera. Ovviamente, tutto a scapito del Lord Sanguisuga. Conscio del tradimento dei suoi emissari, Sanguisuga chiese soddisfazione per duello. Ma proprio in quell'occasione degli assassini tentarono di uccidere tutti i membri delle due delegazioni. L'Impalatore, generale degli eserciti barbari del sud, fu la mente dietro li omicidi, che tentò di far ricadere su emissari della Marca dei Fiumi, dimostrando una sagacia inusuale. Una curiosità che potrebbe essere rilevante: pare che fu Sir Roland, il cavaliere che ho citato a inizio racconto in quanto compagno dei soggetti, a uccidere il precedente capo dei barbari e che l'Impalatore assunse il comando dopo aver ucciso Roland. Queste informazioni ci sono stata pervenute da Efora, che cadde in schiavitù per i barbari e riuscì a scappare grazie al sacrificio del cavaliere. In quel periodo il re presentò poi loro  Lord Elhat'Ohas, del casato Yanahisa, Signore della Torre di Cobalto e Primo Arco di Boscoghiaccio. Egli era sulle tracce di un adepto fuggito dalla sua corte molti anni prima: nientemeno che Lyusio. I soggetti non mostrarono molta fedeltà verso il precedente compagno, e raccontarono ogni dettaglio in loro possesso. Ma ancora più ecclatante fu ciò che avvenne nei giorni successivi durante grande torneo di Konkresh: Lyusio tentò di contattare i propri compagni per un piccolo favore, ma a quanto pare Artigan cercò di catturarlo e consegnarlo alle autorità. Lo gnomo riuscì a fuggire, ma lasciò dietro di sé una scia di indizi riguardo alle proprie intenzioni. In particolare il nome Elesya Shanaith, un'elfa che si supponeva vivesse nelle Isole dell'est. Riguardo al torneo, Artigan e Quanzar si qualificarono, ma non vinsero nessuno dei duelli successivi."
"Vennero assegnati come scorta a Niut l'Alto, in una missione diplomatica nelle Isole, quasi sicuramente un pretesto per evitare di attirare l'attenzione. Ebbero alcuni scontri a Ubia e Uk-Sha-Daim, ma nulla che valga la pena approfondire: nessuno dei coinvolti era rilevante e hanno tutti fatto una fine misera per un motivo o per l'altro. Vi prego di non considerarlo un evento sospetto, erano perlopiù uomini d'arme o mercenari, è la legge dei grandi numeri. E' invece utile menzionare un certo Arthur, che per un certo periodo è stato assunto come paggio da Quanzar. Al momento è sottoufficiale nella guardia cittadina delle capitale. Nutre una discreta stima nei confronti di Quanzar e non è propenso a raccontare troppo, ho ritenuto opportuno non insistere per non risultare indiscreti, ma è sicuramente una persona informata su alcuni avvenimenti. Pare che Elesya si fosse rifugiata in un remoto arcipelago, zona di caccia di diversi pirati Rakshasa, e qui abbia trovato la morte. Lyusio pedinò i soggetti fino all'arcipelago e qui ci fu uno scontro dal quale lo gnomo riuscì a scappare perdendo numerosi seguaci. Il suo piano come già saprete era quello di spezzare i sigilli del Gufo,  per fare ciò intendeva sfruttare gli insegnamenti di un necromante ormai morto, Recros, ma i cui frammenti di anima erano contenuti in una collana affidata a sua figlia Elesya. A suo dire, la sua intenzione non era quella di tenere il Gufo in vita, ma anzi spezzare i sigilli per renderlo mortale e ucciderlo, ma di ciò abbiamo solo la sua parola. La parola di un necromante morto. Sulla via del ritorno ci fu un incidente diplomatico che coinvolse Niut a causa di un omicidio, ma tutto si risolse per il meglio.
I successivi incarichi del gruppo furono relativi a contrastare i piani i Lyusio. Zarken aveva recuperato alcune indicazioni dal cadavere di un suo vecchio compagno, Valar Talavir, che fu allievo di Recros. Gli appunti parlavano un ancestrale luogo di potere, un vecchio impianto magico, capaci di incanalare energie positive e negative. Usarono uno di questi luoghi, denominato il "Catalizzatore" per ricostruire l'anima di Recros dai frammenti che aveva infuso in alcuni oggetti. Il processo portò la morte di alcuni sacerdoti e riguardo al suo esito ho dei dubbi. Pare che Dividacious abbia offerto la sua stessa energia vitale nel processo per evitare un disastro, ma di più nessuno sa, se non forse i soggetti stessi. Sicuro è che l'anima di Recros venne esorcizzata dagli oggetti, e non poteva più essere quindi consultata da Lyusio. Jarvis fu mandato a spiare uno studioso, Efius Mahlan, il cui nome forse vi suona familiare." "Certo, se ne è occupato uno dei miei uomini migliori" tuona la barba. "Esatto" riprende il maestro "e ricorderete che all'epoca vi riportai come all'appello mancassero svariati documenti. Ecco, fu Jarvis ad appropriarsene, senza che Efius scoprisse mai nulla. Il contenuto dei documenti lo conoscete già, ma nel caso siamo riusciti a ottenerli. Si tratta di appunti su altri luoghi di potere del continente, che svolgeranno un ruolo importante nella nostra storia: l'Infusore e il Prosciugatore."
"Ora, il successivo incarico che i Vulcani affidarono ai soggetti dovrebbe darvi l'idea della fiducia che essi nutrono in loro. Mentre Jarvis si occupava di Efius, il resto del gruppo venne incaricato di rintracciare una spedizione inviata a trattare con il ��Drago Nero Hesjing Vhir, per restituirgli il teschio di suo padre (recuperato dalla dimora del drago rosso) e negoziare un'alleanza nel caso del ritorno dei Draghi Rossi." Il giovane sbotta "Il fatto che Zarken abbia aperto un negoziato con Colui che sta sotto le acque è la prova evidente del suo carattere, e non smetterò mai di dire che non possiamo concederci il lusso di essere tolleranti nei suoi confronti." La mano aliena si muove, e il giovane si cheta. "Dicevo, durante il negoziato i soggetti reclutarono un certo Bjorn, un sopravvissuto alla Piaga dell'Orchidea, che si guadagnava da vivere come cacciatore di bestie. Insieme a lui soccorsero gli emissari e negoziarono col drago. Ecco, non posso ovviamente sapere i dettagli di tali negoziati, ma sappiamo che uno dei dignitari venne divorato dal Drago, quindi lascio a voi le deduzioni."
"Questo Bjorn…è rilevante?" "Beh, probabilmente ha avuto un ruolo vitale nella sopravvivenza del gruppo nelle paludi del nord-est…ma non è stato con loro per molto per sua sfortuna: venne ucciso da un Inevitabile che era sulle tracce del gruppo" "Un inevitabile?" la pacatezza dell'uomo calvo viene meno per un attimo. "Miei signori, qui purtroppo la storia sfocia nel mito. E' possibile che Jarvis sia responsabile di un naufragio avvenuto svariati anni prima a Fine del Dan, con più di una decina di morti e moltissimi danni. Pare che il proprietario del mercantile sia riuscito a invocare un Inevitabile per avere soddisfazione. Ma ci tengo a sottolineare come questa sia una mera supposizione. Avrete notato come i soggetti non si siano fatti problemi a infrangere le leggi in più occasioni, quindi quale contratto tale Inevitabile dovesse imporre è impossibile da sapere." "E quindi Jarvis ha sacrificato l'ultimo arrivato per salvarsi la pelle?" ghigna l'uomo con i tatuaggi vistosi. "Non conosco le dinamiche dello scontro, conosco solo il suo esito"
"Le informazioni sulla missione successiva purtroppo sono molto fumose. Sappiamo che l'Impalatore aveva proposto un'alleanza coi Sarkrith, i mangiamagia, fornendo loro schiavi in cambio di aiuto con un prigioniero. E sappiamo che l'incarico affidato al gruppo fu quello di indagare su un Sarkrith nelle terre contese, ma oltre ciò sappiamo poco. Sappiamo però che alcuni dei condottieri schiavisti cominciarono a farsi la guerra l'uno contro l'altro precisamente nel periodo in cui il gruppo era in quella zona. Ah sappiamo che a loro si unì un certo Giora, ma non abbiamo trovato alcuna informazione su di lui, supponiamo sia morto durante la missione. La missione durò diverse settimane, in cui non abbiamo idea di cosa successe, ma sappiamo che al gruppo in compenso si unì un certo Sawyer, un mago delle Isole. Ma anche il come si siano conosciuti, rimane un mistero." Il maestro delle storie capovolge un foglio bianco che era stato posto sul tavolo all'inizio. "Sawyer è tutt'ora membro del gruppo. E fu presente durante la sconfitta di Lyusio, quindi diventa un personaggio centrale nella storia."
"Pur non sapendo cosa i soggetti abbiano fatto in quelle settimane, evidentemente fu un successo. Nei mesi successivi l'Impalatore perse diversi territori, e l'esercito dei Territori Liberi ottenne numerose vittorie. Al gruppo fu quindi commissionato un incarico su un altro fronte: portare a Colui che sta sotto le acque le ossa del padre. Ora, non sappiamo cosa avvenne in quel luogo. Né sappiamo perché il Drago scelse un vecchio tempio come punto di incontro. Ma sappiamo che quel luogo era in realtà il Prosciugatore. E con o senza intenzione, i soggetti lo attivarono. Il risultato fu la morte di ogni cosa si trovasse nel circondario, tra cui l'intera delegazione. Però i soggetti tornarono con qualcosa. Una teca contenente qualcosa, un'entità probabilmente pericolosa che sappiamo essere rinchiusa nei sotterranei di Rocca del Faro." "Siamo sicuri che la missione col drago fosse il vero movente? E che Zarken non li abbia invece mandati a utilizzare il Prosciugatore per i suoi scopi?" il giovane è impaziente. "Non posso esserne sicuro mio signore, ma questo è ciò che dice la Fonte, e nessun documento sembra suggerire che nessuno di loro sapesse del funzionamento del Prosciugatore quando fu stabilito il luogo di incontro. Ma io comunque mi limito a raccontare la storia, interpretarla è vostro compito miei signori."
"La storia comunque è ormai giunta al termine. Vennero mandati in un piano dell'abisso a recuperare uno studioso, e dallo scontro con alcuni diavoli ottennero ulteriori informazioni sul Gufo. E infine si recarono all'Infusore, nella Marca dell'Orchidea, dove Lyusio intendeva spezzare i sigilli. Da ciò che sappiamo, Lyusio venne definitivamente sconfitto e sigillato. I sigilli del Gufo non vennero spezzati, ma al contrario vennero rinnovati. E questo costò la vita di vari dei sacerdoti che Lyusio stesso aveva rapito. Non sappiamo se vennero sacrificati dai soggetti o erano già morti. E il resto lo sapete. I vostri uomini si scontrarono contro di loro poco dopo, ma ebbero salva la vita."
"Sappiamo che erano in viaggio quando ci fu l'attacco a Rocca del Faro, attacco su cui tutt'ora sappiamo pochissimo. L'unica altra informazione importante per concludere la storia è il presente. I soggetti sono tutti a Sigil. Jarvis non era con loro all'inizio, ma li ha da poco raggiunti. E stanno raccogliendo informazioni riguardo al Conte della Memoria. Che, stando alla Fonte, potrebbe avere informazioni sul Gufo."
La piuma si ferma. L'uomo tira un sospiro di sollievo. Comincia ad avere la mano indolenzita. L'uomo giovane esprime un commento. L'uomo che mangia sbrotta una risposta. Sale un vociare concitato La mano aliena alza un dito. Il vociare si muta, tutti fissano l'individuo al centro del tavolo. "Direi che una prospettiva  importante è come al solito quale figura forma la luce che filtra attraverso i buchi. Quello che non siamo riusciti a scoprire forse ci può raccontare più di molti dei dettagli su cui abbiamo informazioni certe. La fonte sembra sapere dettagli estremamente insignificanti, ma è all'oscuro di dinamiche fondamentali. Maestro delle storie. Sei congedato." L'uomo raccoglie i suoi documenti. Si alza, produce un debole inchino, ed esce dalla stanza, chiudendo i pesanti portoni dietro di sé.
Il mistero di come il Maestro delle Storie sia riuscito a raccogliere così tanto materiale sugli eroi rimane per ora insoluto. Così come altri piccoli misteri: chi è questa Fonte di cui ha riferito? E perché il racconto non include alcuni importanti personaggi della storia? Perché non vi è menzione dello Stregone Nero, negromante dalla dubbia redenzione in cerca di vendetta, più volte alleato degli eroi? Perché non è menzionato l'Aquila, defunto oracolo e guida in tante missioni? Perché non sanno di come Recros abbia posseduto Dividacious per più di un anno? Perché non è stata svelata la vera natura dell'Impalatore, che altri non è che Sir Roland armato di Naxxyrix, un vecchio amico degli avventurieri ormai schiavo della lancia maledetta dello Stregone Nero?
Infine, cosa sanno gli uomini chiusi in quella stanza della vera natura del Gufo? Quali sono le intenzioni del Culto della Fiamma rivelatrice? Davvero i draghi rossi stanno per tornare? Lyusio è davvero morto? Spoiler: sì, Lyusio è morto. Abbiamo già abbastanza cattivi per le mani, non ci serve resuscitare quelli già sconfitti.
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ziellablog · 8 years
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La ferita   A Est, il cielo è più chiaro , sopra la città lontana; di un colore che tende al rosa, ma appesantito da qualcosa di grigio, che non è semplice sfumatura, bensì sostanza di pulviscolo vagante. Tutto intorno, il nero delle montagne è punteggiato dalle cento luci dei villaggi sparsi a mezza costa. Non si sentono ancora, fra i rami del ciliegio, gli uccelli proclamare il loro risveglio dal giardino della vicina. Il gatto dell’altra vicina, lasciato all’addiaccio durante la notte, tenta di intrufolarsi in cucina, strusciandosi contro le mie gambe mentre sto uscendo. Non è buio fitto e solo per questo lo vedo e non inciampo. Risalendo la valle lungo la strada  del paese ancora addormentato, mi vengono incontro i fari delle poche automobili dirette al lavoro e qualche autobus. Gruppi di studenti sono in attesa alle fermate. L’addetto al distributore attesta la sua presenza presso la stazione di servizio appendendo cartelli alle vetrate dell’ufficio; poco più in là, alcune luci brillano sul retro della panetteria dalle serrande abbassate. Tutti i lampioni sono ancora accesi, sottraendo alla vista il paesaggio che sta intorno. Le ultime case, il campo sportivo; bene allineati sul bordo dei fossi, ammassi fangosi di detriti lì trascinati dalla recente alluvione, ammonticchiati e abbandonati in attesa di ulteriori provvedimenti. Oltrepasso il Malanaggio (De Malasorte), piccola borgata sovrastata da grandi rocce, un tempo luogo di imboscate per chi si apprestava ad entrare nell’alta valle, fino a quando non venne costruita da Napoleone l’attuale strada statale numero 23.L’acqua del torrente alla mia sinistra ha ormai perso l’impeto devastante di qualche giorno prima e gorgoglia appena fra i massi e i cumuli di pietrame del suo letto.  Alla base del contrafforte roccioso incombente sulla destra, protetta da un’imponete muraglia, l’ampia curva della strada buca la strettoia all’imbocco della valle del Chisone.  Volendo, puoi proseguire all’infinito lungo il corso del torrente in direzione dei valichi persi nell’oscurità e immaginare di fermarti in una delle più rinomate mete turistiche invernali, oppure di raggiungere paesi esteri dai quali non fare ritorno. Se invece non temi l’estraneità delle valli laterali, puoi imboccarne qualcuna a caso, e saprai di esserti addentrato nelle terre di uno dei tanti mondi che non esistono, perché estranei alla coscienza e alla comprensione dei contemporanei. Terre a volte impietose, quando le popolazioni stremate dalle privazioni e dall’isolamento non avevano altra scelta che di valicare a piedi quei monti per cercare lavoro nell’emigrazione, ma anche sicuro rifugio dai persecutori, proprio per l’inaccessibilità  e per la conformazione selvaggia dei luoghi. Alla seconda rotonda, dal vecchio ponte a volta, che ha resistito immobile sotto l’urto della piena, per un bizzarro fenomeno ottico fatto di luci ed ombre, sembrano condensarsi in presenze quasi corporee figure di visitatori giunti da molto lontano. Perché, se oltrepassi quel ponte, come gli altri sulla desta orografica che incontrerai man mano che procedi, finirai con l’infilarti, che tu lo sappia o no, in una delle tante fenditure verticali che a intervalli non sempre regolari aprono passaggi momentanei nel muro del tempo. Bastano pochi passi in salita verso le montagne che si elevano alte incontro al cielo, basta un’occhiata ai cartelli stradali, o uno sguardo di sfuggita agli edifici laterali, per cadere a capofitto nella Storia, ma se vuoi muoverti a tuo agio in quella dimensione devi per forza andare a piedi. Ti imbatterai in segnalazioni di percorsi guidati, cartelli esplicativi, aree turistiche attrezzate, frecce direzionali che rimandano a decine di piccoli musei, a rocce a strapiombo, a remoti pianori già sede di adunanze, persino a siti preistorici e incisioni rupestri. Quello che non puoi fare, incontrando abitanti di vecchia data, è di scorgere nella loro fisionomia dei richiami a qualche figura della letteratura europea che puoi esserti immaginato grazie alle letture più diverse. Nessuno scrittore, infatti, ha mai reputato le persone che qui vivono o hanno vissuto suscettibili di essere innalzate a protagoniste di storie che seguano una trama, abbiano un loro sviluppo e una loro conclusione. Niente innamoramenti, né triangoli amorosi, né fughe romantiche, né tradimenti sui quali sorvolare, che sono gli ingredienti ritenuti degni di un racconto scritto che ambisca a trovare un suo mercato. Non che siano mancati accoppiamenti di varia natura, suicidi, adulteri, ubriachezza molesta, botte da orbi, persino omicidi, ma tutta roba che fa parte della tragedia della vita, e di cui è bene tacere. Oppure trasfigurarle in racconti di apparizioni, di sogni, di presenze,  narrati a mezza voce a tarda ora, che passino di bocca in bocca a rappresentare un destino comune, e che rimangano impressi nella memoria orale attraverso i nomi dei luoghi e la loro configurazione. Malanaggio; le Garde; il Salto del diavolo; la Roccia delle fate; la Roccia dei folletti; il Lago dell’uomo; la Fontana della peste; il Lago della Malanotte …  La costruzione del ponte di San Germano risale al 1836, quando il re Carlo Alberto volle collegare il Vallone del torrente Risagliardo con la strada di Napoleone. Il Risagliardo, in realtà, ha nome Rûzilhart, vale a dire «colui che rosicchia», con sfumature di significato che potrebbero connotarlo anche come «litigioso» o «attaccabrighe», e confluisce nel Chisone in prossimità dell'ex cotonificio Widemann, impiantato all’entrata del paese dal barone Mazzonis di Pralafera nel 1862.  Correva l’anno  1894 quando il pastore Carlo Alberto Tron (1850 –1934) fondò l’«Asilo Dei Vecchi - Umberto-Margherita» con l’aiuto economico di vari donatori. L’Asilo fu aperto il primo gennaio 1895, proprio per venire incontro alle necessità più impellenti della popolazione valligiana, umiliata dalla povertà e dall’isolamento. Più risali all’indietro nel tempo, e più ti giunge all’orecchio l’eco di nomi altisonanti, dei quali rimane traccia cospicua nei libri e negli opuscoli. L’Ospizio fatto costruire dal pastore Tron, dunque. Ristrutturato nel 1989 con il sostegno finanziario della popolazione e delle Chiese Evangeliche della Germania e della Svizzera, da severo e un po’ tetro edificio qual era (il primo fu edificato «per raccogliere quei vecchi che sono senza casa e senza famiglia dando loro l’opportunità di vivere in pace»), è stato trasformato in una ampia ed accogliente casa di riposo per anziani, inserita nella rete dei Servizi territoriali, che può ospitare fino a 96 persone. Così la pubblicità. Ad ogni buon conto, tutti continuano a chiamarlo «Asilo dei vecchi», ed è innegabile che quella sia la sua funzione: di essere un asilo, un rifugio, un tetto sopra la testa, un boccone di pane, un bicchier d’acqua, un letto. E di ospitare dei vecchi. Attualmente quella è anche la casa della mia amica. Un giorno mi dice: «Me la puoi recitare, quella poesia che racconta della foglia di faggio che il vento divide dal suo ramo? Mi fa piangere, ma è un pianto che fa bene».  E alla fine piange a singhiozzi: «Io sono quella foglia!»  L’ultima volta che l’ho vista, la scorsa settimana, si era appena esaurita l’ondata di piena di fine Novembre; tutto intorno rimanevano le strade comunali ostruite dalle frane, le borgate isolate, gli acquedotti danneggiati, gli alberi divelti. Il Chisone aveva da poco restituito la sua vittima di qualche giorno prima, ghermita alcuni chilometri più a monte, e abbandonata nei pressi del ponte alla compassione di un isolotto appena riemerso. Con  occhi senza lacrime e sbarrati sulla scena del sogno dal quale non riusciva a districarsi, scrutava nelle profondità di mondi paralleli, che lei continuava a vedere davvero. Scenario di sostegno e responsabilità condivise, ma anche di debolezza, di tradimento e di abbandono.   Tre donne ancora giovani, che si conoscono molto bene, si preparano a un incontro importante con altre donne per l’indomani. Tutte le camere dell’albergo che le ospita sono occupate, tranne una. Il letto che la arreda, dalle dimensioni insolite, ne ingombra quasi tutto lo spazio, ma si presta bene ad accoglierle tutte e tre: due dalla parte della testa, una dalla parte dei piedi. «Mi ero appena addormentata, quando un chiodo mi lacera le carni. Dalla coscia all’ascella, tutto il fianco destro. Scendo dal letto per chiedere aiuto, e mi accorgo che la responsabile che riposava accanto a me è andata via. Provo a svegliare la seconda compagna, all’altro capo del letto, ma la vedo infilarsi in modo brusco sotto le coperte, che si spostano piano, segnando l’onda del suo corpo strisciante. Tutta la superficie dove dormiva è bagnata al tatto e lo spazio del suo nascondiglio si fa sempre più profondo. Suona un telefono, dal comodino. È mio fratello, che mi grida: c’è l’alluvione! Vengo a prenderti. Esci da quell’albergo, ché è un posto orribile! Ma mio fratello non è più con noi ormai da molti anni. Mi ha telefonato dall’aldilà! Chi mi ha ferita in questo modo? Provo a scappare dell’albergo. Lunghi corridoi, con tante porte chiuse. Solo una è aperta, e dà sulle scale, ma a quelle scale non ci arrivo. Ti posso far vedere la ferita? Scusa, mi dispiace, devo sollevare la camicia da notte e non ho niente sotto. Non dirmi che non vedi il segno del chiodo!» «Lo vedo, dico. Ma non sanguina più». E mentre, piano piano, lo sguardo le si fa più presente, passi echeggiano nel corridoio, un rotolìo di ruote di carrelli, un tintinnìo di stoviglie. Porte che si aprono dopo il riposo pomeridiano degli ospiti, voci che si rincorrono. Tutto torna al presente, ora,  in questo Asilo.  Dicembre 2016
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evilvenator · 5 years
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Capitolo 13
Dopo un paio di giorni di viaggio, si accamparono per la notte nelle vicinanze del villaggio di Bowerstone, con l'intenzione di raggiungerlo la mattina seguente. Non avevano incontrato viaggiatori e, dalla collina su cui erano, il villaggio appariva silenzioso, soltanto alcune fioche luci erano accese. Il Lago Calenhad, dietro di esso, si estendeva a perdita d'occhio come una massa scura.
Era una notte buia, lo spesso strato di nuvole che li aveva accompagnati per tutto il giorno non accennava a diradarsi.
«Castalia, posso parlarti un attimo?» Le chiese Julian, una volta che ebbero sistemato a terra i giacigli e Riful si stava occupando della zuppa.
La ragazza annuì, seguendolo fuori dal cerchio di luce proiettata dal falò.
«Che succede?»
Julian sembrava incerto, spostava il peso da un piede all'altro e continuava a guardare poco oltre di lei. Chiaramente, non sapeva da dove cominciare, ma quello che stava per dirle era per lui importante.
«Sai che sono cresciuto a Bowerstone, no?» Si decise finalmente a parlare. «Il Conte Volkhardt mi ha cresciuto, fino a che non sono stato mandato alla Fratellanza per diventare un Venator...»
Castalia gli fece segno di continuare, non avendo idea di dove lui stesse andando a parare.
«Ecco, quello che non ti ho detto è che Volkhardt sapeva benissimo chi fossi e per quello mi ha tenuto con sé finché ha potuto. Mia sorella...» Si fermò di nuovo, prendendo un profondo respiro. «Mia sorella era la Divina Adelasia.» Rivelò abbassando lo sguardo sul terreno. Dopo qualche attimo, non ricevendo riscontro dalla Druida, la guardò di sottecchi. «La Divina…» Ripeté.
La ragazza rimase qualche attimo a fissarlo, in silenzio.
«Quindi... La Divina era tua sorella?» Gli chiese finalmente.
«Sorellastra, tecnicamente.»
Di nuovo il silenzio.
«Questo spiega l'idiozia di entrambi.» Disse Castalia, scrollando le spalle.
«Ehi!» Esclamò Julian, facendo una smorfia. «Non offendere la mia delicata sensibilità!»
«Non capisco perché questa informazione mi dovrebbe interessare? Dimmi, dovrebbe cambiare qualcosa?»
L'altro sembrò spiazzato dalla domanda. «Beh, no. Comunque, non te lo volevo dire Perché... Di solito appena qualcuno scopre che sono il fratello bastardo di una Divina, cominciano a trattarmi diversamente. Persino Rylan, per proteggermi, mi ha tenuto fuori dalla battaglia. Pensavo che…»
«Nah.» Lo interruppe Castalia. «Eri un scemo prima, resti un scemo adesso, non cambia di chi sei fratello.»
«Grazie... credo. Non so se dovrei sentirmi offeso o rincuorato.»
«Altro da dirmi?» Chiese lei. «Non so, hai un drago come animale da compagnia, o un'arma segreta per sconfiggere l’Orda... Sai, qualcosa di effettivamente utile a sapersi.»
Julian scoppiò a ridere. «Se avessi un drago, credo che ormai l'avresti notato, no?» Scosse la testa, visibilmente sollevato. «Comunque ti farò sapere.»
«Sembra troppo tranquillo.» Commentò Castalia guardando il villaggio.
«In effetti me lo ricordavo più... vivace.» Esclamò Julian. «E non abbiamo incontrato nessuno sulla strada, per tutto il giorno.»
Rimasero in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri.
«Mi dispiace, che tu sia stata trascinata in tutto questo, sai?» Disse lui. «Deve essere stato orribile essere portata via dalla tua famiglia... Io ero felice con il Conte, e capisco quello che provi.»
«No invece.» Lo interruppe lei. «Non puoi capirlo.» Strinse i pugni, il pensiero che volava alle rovine dove aveva perso Caleb. Cosa ne poteva sapere?!
«Hai ragione, scusa. È che... Rylan ti ha salvato la vita, no? Mi ha raccontato di avere temporaneamente fermato la Corruzione dei Risvegliati, e di averti portato con sé per…»
«Non mi ha salvato la vita.» Ringhiò Castalia. «Mi ha costretta ad andare con lui ad Ostagar. E ora che è morto...» Si interruppe bruscamente.
«Ora che è morto...?» Ripeté Julian. «Cosa intendi dire?»
«Ora che è morto, me ne posso anche andare.»
«Cosa?!» Sbottò l’uomo, mettendosi quasi ad urlare. «Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Siamo gli unici rimasti, gli unici che possono fermare l’Orda! Non puoi andartene!» Si era alzato in piedi, fronteggiandola, rosso di rabbia. «Come puoi essere così egoista?!»
«E non è egoista trascinarmi in questo casino?!» Sbottò lei, mettendosi a gridare a sua volta. «Non volevo averci nulla a che fare, con tutto questo!»
«Hai giurato!»
«E chi mi costringerà a mantenerlo, eh? Tu?» Lo sfidò.
Julian indietreggiò, guardandola ferito. «Non...»
«La città!»
Miria arrivò correndo verso di loro, l'arco a tracolla, gli occhi sbarrati. Guardò entrambi sorpresa.
«Che sta succedendo?» Chiese. Senza aspettare risposta, indicò qualcosa alle loro spalle. «Non abbiamo tempo, qualsiasi cosa sia. Guardate!»
Si voltarono: il villaggio sotto di loro era in fiamme, nuvole di fumo e scintille che si alzavano a brillare nella notte. Il vento cambiò direzione, portando verso di loro delle urla disperate.
Rimasero per qualche secondo ancora a fronteggiarsi, poi Julian scosse la testa, facendo due passi indietro. «Non è finita.» Disse, prima di fare cenno a Miria e correre di nuovo verso l'accampamento.
Castalia rimase a fissarlo per qualche istante, poi si decise a fare lo stesso.
«Julian e la pazza sono già corsi giù.» La avvisò Riful, una volta arrivata di fronte al falò. «Peccato, la cena era quasi pronta.» Indicò il pentolone, che ribolliva invitante.
«Cosa stiamo aspettando?» Chiese loro Kamal, la grande spada a due mani che Castalia gli aveva procurato già pronta a falciare qualcuno.
La ragazza annuì, controllando i lacci che tenevano insieme la propria armatura. «Andiamo, prima che si facciano ammazzare.» Disse, per poi fare cenno di seguirla.
«Dobbiamo proprio?» Commentò Riful, scocciata, ma la seguì ugualmente.
Corsero giù per la collina. Il cielo era illuminato dalle fiamme provenienti da Bowerstone, che proiettavano ombre sinistre sul terreno.
Arrivati davanti alle porte del villaggio, uno spettacolo terrificante si parò loro davanti.
Almeno tre cadaveri, in fiamme, si voltarono verso di loro. Le orbite vuote, la carne morta che si inceneriva e cadeva a pezzi rivelando l'osso sottostante, le armi in pugno. Si scagliarono contro i nuovi arrivati.
Presa di sorpresa, Castalia fece un balzo indietro, per evitare di essere scottata dalle fiamme. Una saetta di elettricità colpì il suo aggressore, scaraventandolo indietro e dandole la possibilità di contrattaccare, colpendolo al fianco.
Roteò su sé stessa, colpendo anche il secondo prima che potesse avvicinarsi a Riful. Vide Kamal decapitare di netto il terzo, facendolo afflosciare a terra. Un raspare sotto di lei la fece sobbalzare: uno dei cadaveri strisciava sul terreno schioccando le mascelle, trascinandosi solo sulle braccia, il busto troncato dal resto del corpo, le cui gambe giacevano inerti poco distante, il fuoco che lo stava consumando quasi interamente. Fece un salto indietro, imprecando. La lama di Kamal calò sulla testa del cadavere, silenziandolo in modo permanente.
«Cosa ci fanno qui questi cosi?!» Urlò Castalia a Riful.
«Cadaveri rianimati.» Rispose lei, osservandone uno da vicino. «Ci deve essere della magia oscura molto potente all'opera, per riuscire ad averne un esercito sufficiente ad attaccare l'intera città. Quasi sicuramente è opera di un Risvegliato.»
«Risvegliati.» Commentò Kamal, disgustato. Entrambi non sembravano voler proseguire verso la città.
«Voi fate come volete, ma io vado ad assicurarmi che Julian non si faccia ammazzare.» Disse ai compagni, superandoli. Cercava di non pensare all'ultima volta che aveva affrontato dei cadaveri come quelli, concentrandosi sulla battaglia. Gli altri due, dopo un attimo di esitazione, la seguirono di malavoglia. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Si fecero strada tra le fiamme e i cadaveri. Una decina di soldati stavano combattendo quelle creature, cercando di bloccare l'accesso al resto del villaggio.
«Verso la Chiesa!» Urlò loro Miria, centrando con una freccia l'orbita vuota di un cadavere. «Hanno bisogno di rinforzi!»
Castalia vide Julian precederli, buttando a terra un paio di cadaveri putrescenti usando il suo scudo e proseguendo oltre, lasciando che Kamal e la Druida li finissero. Superarono diverse barricate di fortuna, alcune di esse in fiamme, arrivando alla piazza principale. Il grosso dei soldati era posto a difesa della Chiesa, ma i nemici li superavano in gran numero. Si gettarono nella mischia, andando in aiuto dei soldati. Miria li bersagliava con le sue frecce, mentre Riful lanciava incantesimi di supporto. Kamal e Castalia caricarono, facendosi strada tra i cadaveri con potenti fendenti che spezzavano loro le ossa e li facevano caracollare a terra. Uno dei cadaveri si attaccò alla gamba di Castalia, cercando di azzannarle un polpaccio ma colpendo i gambali, che le evitarono qualsiasi ferita.
«Fenedhis lasa!» Sbraitò lei, staccandoselo di dosso con uno strattone e un colpo di spada. Distratta, non vide quello che sopraggiungeva dietro di lei. Sentì solo un colpo sulla schiena, protetta anch'essa dall'armatura, e vide Kamal colpire con un poderoso pugno il suo aggressore. Castalia girò su se stessa e recise la testa del cadavere. Si premette una mano sul braccio, dove la lama nemica era riuscita a insinuarsi tra le giunture dell'armatura. Lo ritirò, guardandosi la mano sporca di sangue. Imprecò nuovamente, affiancandosi a Kamal, che nonostante fosse privo di armatura non batteva ciglio davanti alla massa di nemici che si fiondavano contro di loro. Riful ne buttò a terra un piccolo gruppo con un incantesimo di telecinesi, permettendo ai soldati della città di finirli rapidamente. Quando ebbero respinto l'ondata, si fermarono un attimo a prendere fiato. Castalia cercò di individuare Julian, ma del Venator non c'era traccia.
«Siamo arrivati giusto in tempo.» Urlò Miria, avvicinandosi a loro. «Non sono rimasti in molti a difendere il villaggio...»
«Vi ringraziamo del vostro aiuto, signori.» Disse loro un uomo di mezz'età, la folta barba che spuntava da sotto l'elmo, un arco lungo stretto in pugno. Castalia notò che stava finendo le frecce.
«Quando sono arrivati?» Gli chiese.
«Al tramonto, come al solito.» Rispose l'altro. «Ormai è la quarta notte che ci attaccano. Ieri mattina è arrivata una ragazza, ci ha dato una mano ad organizzare le difese... Il fuoco è stata una buona idea, anche se all'inizio è più difficile colpirli, dopo un po' bruciano completamente e cadono giù.» Spiegò, indicando una pila di corpi carbonizzati accatastati contro le barricate.
«Ogni notte?» Chiese Miria. «E avete scoperto Perché?»
L'altro scosse la testa. «No, sappiamo soltanto che vengono dal castello. E non abbiamo notizie da là sopra da quando è iniziato tutto.» Prima che potessero rispondere, una nuova ondata di nemici apparve dietro le case, costringendoli a rimandare qualsiasi discorso a più tardi.
-
Ellena si tolse l'elmo con un gemito, lasciandolo cadere a terra. Un colpo alla testa l'aveva ammaccato in modo irrecuperabile, ferendola alla nuca. Spostò da una parte la treccia di capelli biondi, ora intrisi di sangue, guardandosi attorno mentre riprendeva fiato. Attorno a lei una massa di cadaveri, tra cui due soldati che erano stati travolti dal tetto crollato di una casa.
All'inizio i fuochi tra le barricate erano sembrati una buona idea, ma presto il fuoco si era propagato grazie ai cadaveri semoventi per tutta la città, appiccando piccoli incendi che si erano poi trasformati in roghi violenti a causa delle case costruite prevalentemente in legno altamente infiammabile. Erano riusciti a respingere le prime ondate all'imboccatura della città, ai piedi della collina, ma poi i cadaveri li avevano spinti a ritirarsi all'interno, e ora si combatteva in ogni vicolo, in ogni angolo, tutto pur di non permettere a quei mostri di entrare nella Chiesa, dove tutti gli abitanti del villaggio avevano cercato rifugio.
Il suo lupo balzò giù da una palafitta, scuotendosi il pelo bagnato.
«Tundra!» Lo salutò lei sollevata. «Stammi vicino.» Ordinò al lupo, vedendo avvicinarsi altri nemici. Sollevò di nuovo lo scudo, pronta ad un nuovo scontro.
Dietro di lei, sopraggiunse Ser Perth, la spada a due mani in pugno. «Lady Ellena, state bene?»
Ellena annuì, abbattendo con lo scudo uno dei cadaveri e finendolo con un preciso fendente al collo.
«Com'è la situazione nella piazza?» Gli urlò per sovrastare il frastuono.
«Sopravvivono.» Rispose il cavaliere, falciando un paio di nemici roteando la grande arma con maestria. Si voltò alle loro spalle, sgranando gli occhi. «Dannazione.» Imprecò stringendo l'elsa con più forza e digrignando i denti.
Ellena si girò a sua volta, sbiancando. Almeno una decina di cadaveri stavano correndo verso di loro, alcuni di essi avvolti dalle fiamme. Urlò, attirando la loro attenzione e facendo segno al cavaliere di seguirla, mentre si intrufolavano in un vicolo stretto che portava alla spiaggia, inseguiti.
«Non finiscono più!» Gemette, schivando a malapena un fendente al fianco, rotolando per terra da un lato. Tundra corse in suo aiuto, buttando in acqua il cadavere e avventandosi su di esso sfruttando il fatto che le fiamme che lo avvolgevano si erano spente. Un altro cadavere le fu subito addosso, lei gli sferrò un calcio, facendolo barcollare. Lo stivale prese fuoco, ma lei lo strofinò nella sabbia, rimettendosi poi in piedi e finendo la creatura. Poco lontano da lei, Ser Perth stava tenendo a bada altri quattro cadaveri. Andò ad aiutarlo, colpendo con lo scudo uno di essi, che si stava arrampicando sull'armatura del cavaliere.
Un altro la colpì alle spalle, facendole perdere l'equilibrio.
Finì in acqua, annaspando per non affogare sotto il peso dell'armatura. Qualcosa le afferrò la gamba, strattonandola. Scalciò in preda al panico, cercando di liberarsi e finendo con la testa sott'acqua. Un dolore al polpaccio la fece urlare e ingoiò l'acqua del lago, andando più a fondo. Improvvisamente, la presa sulla gamba si affievolì, permettendole di fare leva sulle braccia per tirarsi fuori. Tossì violentemente, mettendosi in ginocchio tra i conati.
Tundra le fu subito accanto, aiutandola ad uscire dall'acqua. Aggrappata all'animale, strisciò sul bagnasciuga. Tutti i cadaveri erano a terra, immobili.
Ser Perth giaceva poco distante, l'armatura strappatagli dal petto a rivelare uno squarcio da cui usciva sangue a fiotti.
«Ser...» Tossì Ellena, trascinandosi verso di lui. Cercò di premere sulla ferita, per limitare la fuoriuscita di sangue, ma era chiaro che non ci fosse nulla da fare. Il cavaliere rantolava, in preda agli spasmi di dolore.
«Bruciatemi.» Sussurrò alla ragazza. «Bru...» Sputò un grumo di sangue rosso vivo, accasciandosi a terra. Altri due spasmi e smise di muoversi.
Ellena sbatté il pugno per terra, impotente.
Altri cinque cadaveri in fiamme sbucarono da dietro una palizzata, correndo verso di lei.
Tundra rimase al fianco della padrona, ringhiando disperato. Ellena si rese conto di aver perso la spada in acqua e strinse lo scudo, facendo leva su di esso per alzarsi in piedi.
La grande spada a due mani di Ser Perth giaceva a terra, ma lei non era in grado di usarla. In quel momento, non avrebbe avuto abbastanza forza nemmeno per un fendente solo.
Mise lo scudo davanti a sé, nascondendosi dietro di esso, pronta a caricare il primo cadavere.
Quello le si scagliò addosso, ma lei era pronta. Lo respinse con una spallata, buttandolo a terra e colpendolo alla testa con il bordo dello scudo, preso tra entrambe le mani. Il cranio si spaccò con uno schiocco, mentre il legno e il metallo spappolavano le cervella all'interno.
Il secondo cadavere venne abbattuto da Tundra, che lo spinse a terra nella sabbia, guaendo quando il fuoco gli lambì la pelliccia. Prima che quello potesse rialzarsi, Ellena lo schiacciò come aveva fatto con l'altro. I due cadaveri più vicini le corsero addosso, non dandole il tempo di proteggersi.
Cadde a terra, battendo la testa sulla sabbia, tenendo lo scudo tra sé e i mostri.
Tundra si scagliò contro uno di essi, cercando di liberarla, ma venne afferrato dal mostro e costretto a ritirarsi. Attaccò nuovamente, cercando di spingerlo in acqua.
Ellena nel frattempo sentiva la pelle bruciare sotto l'armatura resa rovente dalle fiamme sul cadavere. Quello si dimenava, cercando di azzannare il volto e le braccia. La ragazza si riparava dietro lo scudo, alzando le braccia davanti a sé, schiacciata sotto il peso di quel corpo. Sentì i bracciali cedere e i denti della creatura azzannarle l'avambraccio sinistro. Urlò, cercando di liberarsi. Non riuscendo più a tenere lo scudo, restò schiacciata sotto il cadavere ancora in fiamme, finendo ad un soffio dalle sue fauci spalancate.
Il fuoco invase il suo campo visivo. Urlò di nuovo, chiudendo gli occhi, in preda al dolore, sentendo il volto e le braccia in fiamme...
Di colpo cadde in acqua, il freddo che andava a lenirle il corpo ustionato.
Annaspò terrorizzata, non riusciva a respirare. Qualcuno la sollevò di peso. Cercò di riconoscere il suo salvatore, ma aveva la vista annebbiata.
«Tranquilla, è finita.» Le disse qualcuno, mentre Ellena perdeva conoscenza.
Si svegliò nel buio più assoluto. Non riusciva a sentirsi la faccia o le braccia e muoversi le provocava un dolore lancinante. Doveva essere stesa su qualcosa di morbido, al chiuso. La notte era passata, dunque, se era lì significava che avevano vinto. Per il momento. Cercò di parlare, ma non uscì alcun suono.
Senza altra scelta, rimase supina ad aspettare l'arrivo di qualcuno.
Dopo un'attesa interminabile, sentì dei passi avvicinarsi.
«Sei sveglia?» Chiese una voce femminile che Ellena non riconobbe. Riuscì a muovere le dita della mano destra, segnalando che sì, era sveglia.
«Bene. Ora bevi, ne hai bisogno.» Disse la voce. Sentì qualcosa di fresco premere sulla bocca, lasciando cadere delle gocce d'acqua che la ragazza deglutì avidamente. Ripeterono il processo un paio di volte, prima che la sua guaritrice si ritenesse soddisfatta.
«Non riuscirai a parlare per qualche giorno, credo.» Continuò lei. «Le lesioni interne erano lievi, però, sei stata molto fortunata. Julian ha detto che avevi gli abiti zuppi d'acqua, per quello le fiamme non hanno fatto grandi danni.»
“Lesioni interne? Fiamme? Julian?” Si chiese Ellena, ma non aveva modo di fare domande.
«Io sono Riful, comunque, mi hanno chiesto di rimanere qui a rimetterti in sesto.» Sentì le dita della donna toccarle le braccia. Soffiò di dolore. «Dovrò cambiarti le bende e metterti di nuovi gli unguenti. Purtroppo, non conosco alcun incantesimo di guarigione, quindi dovrai fare affidamento solo sulle mie conoscenze delle erbe. Ti ho già salvato la vita, comunque, e non sei la mia prima paziente, quindi puoi stare tranquilla.»
“Tranquilla?!” Ellena avrebbe alzato gli occhi al cielo, se fosse stata in grado di farlo.
«Ora, posso continuare i trattamenti senza descriverti nulla, oppure posso spiegarti esattamente quello che ti è successo. Cosa preferisci? Muovi le dita due volte, se vuoi che ti spieghi.»
Ellena mosse debolmente la mano.
«Molto bene.»
La ragazza la sentì trafficare con oggetti vari, poi una fitta al braccio le segnalò che la donna le stava togliendo le bende che lo avvolgevano.
«Hai riportato ustioni su quasi tutta la parte superiore del corpo, prevalentemente sugli avambracci e sulla parte destra del viso.» Iniziò a spiegare la donna mentre lavorava. «Non sentirai molto dolore, per i primi giorni, poiché la maggior parte delle terminazioni nervose in superficie sono state toccate dal fuoco. Dovrai stare il più immobile possibile, senza parlare, preferibilmente.»
Le ripose il braccio sul letto, prendendole l'altro.
«Dovrai bere molto, e in nessun caso contestare le mie indicazioni. So quello che faccio e non accetto lamentele.» Le passò qualcosa di fresco sulla pelle, coprendola di nuovo con le bende. «Ora, la parte peggiore.»
“Peggio di così?” Si chiese Ellena, ansiosa.
«Le fiamme ti hanno raggiunto il viso. E sei stata fortunata che i capelli bagnati abbiano impedito loro di attecchire, tuttavia...»
“Tuttavia...?” La ragazza sentiva un nodo alla gola. Perché non riusciva a muovere gli occhi, o battere le palpebre? Perché le aveva coperto il volto?
«Ho dovuto farti un piccolo incantesimo di paralisi, limitato alla zona degli occhi, per evitare che tu possa peggiorare la situazione. Il bulbo oculare destro era parzialmente fuso, quindi ho dovuto operarti per rimuoverlo, evitando di causare emorragie interne e infezioni. Il sinistro non è stato toccato, ma come saprai, muovi entrambi gli occhi quando li giri, quindi ho immobilizzato entrambe le orbite con una paralisi temporanea. Gli unguenti che sto applicando sono...»
Mentre la donna continuava a parlare, Ellena giaceva in preda alla disperazione.
Cieca.
Aveva perso completamente un occhio.
La vista era fondamentale per un guerriero, era ciò che le permetteva di evitare di essere colpita, di individuare i punti deboli del nemico... Come avrebbe fatto ad avere la sua vendetta, conciata in quel modo? Avrebbe pianto, se non fosse stato per l'incantesimo della maga.
“Magia.”
Il fatto di essere nelle mani di una maga, che avrebbe potuto ucciderla da un momento all'altro con i suoi poteri, soltanto con uno schiocco di dita, non la metteva a suo agio. Tuttavia, la donna la stava curando, quindi doveva significare che per il momento non aveva cattive intenzioni nei suoi confronti...
Non c'era una maga quando era arrivata al villaggio.
Che l’Accademia avesse sentito della situazione di Bowerstone e avesse mandato qualcuno ad aiutarli? E allora, perché mandare qualcuno che non conosceva incantesimi di guarigione?
Rabbrividì alla conclusione.
Quella doveva essere una dei maghi al di fuori del controllo della Chiesa, che erano scappati dall’Accademia o non erano mai stati dentro di essa.
Un'eretica.
Sentiva il battito cardiaco accelerare, mentre la maga era passata a svolgerle le bende intorno al capo, alzandole la testa con delicatezza ma con mano ferma.
Attraverso la palpebra chiusa, avvertì un poco di luce fioca, ma non riusciva ad aprire l'occhio. Si mosse, a disagio.
«Ti raccomando di restare ferma, rischierai soltanto di farti del male.»
Sentì che le spalmava l'unguento su gran parte del viso, per poi avvolgerlo in bende pulite. La fece poi alzare, tenendole la testa sollevata mentre le portava un bicchiere alle labbra.
«Vedi se riesci a mandarla giù.» Le disse, inclinandolo.
Ellena sentì l'acqua fresca scorrerle in gola, deglutendo a fatica. Lentamente, finì l'intero bicchiere, fermandosi solo un paio di volte a causa dei colpi di tosse.
«Dormi, se riesci. Tornerò a controllare tra un paio d'ore.»
Sentì Riful allontanarsi.
Nonostante tutto, cadde addormentata quasi subito, probabilmente grazie a qualcosa che la maga aveva messo nell'acqua.
Fece sogni confusi, pieni di volti, familiari e non, che danzavano avvolti dalle fiamme. Vide suo padre sorridere, muovendo le labbra dicendo qualcosa che Ellena non riusciva a sentire. Provò ad urlare, ma la voce le uscì in un rantolo roco, mentre il padre scompariva nel fuoco.
Si sentì annaspare, in cerca d'aria, ma il petto le bruciava e non riusciva a muoversi, il calore era insopportabile... Un uomo la sollevò da terra, portandola lontana dalle fiamme. «È finita.»
Cadde nel buio.
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Una notte pt.2
Canticchia una voce roca, un accampamento abbandonato, vecchi canti di guerra di fazioni ormai morte, e li davanti a un debole fuoco, un troll di pietra, massiccio canta, mi avvicino spaventato, i troll sono creature difficili da affrontare, durissime e fortissime, ci vuole strategia per demolire le loro spesse rocce e poi affondare un colpo fatale; creature comunque pacifiche e sciocche, mi nota e dolcemente mi invita nel suo accampamento, si presenta come tenente di una fazione non più esistente, tenero troll, mi racconta di quanti uomini fossero passati in procinto di queste paludi, lui era qui accampato da anni a tenere viva la fiamma dell’accampamento; stoltamente era stato abbindolato ad essere un soldato, anche se al contrario dei soldati lui non va in giro a stuprare popolazioni e a saccheggiarle, ma vista la sua esaltazione e forse i bicchieri di vino, lo assecondai, gli colorai le rocce di blu e arancione come lo stendardo che marcio marchiava l’accampamento, con le migliaia di erbe collezionate negli anni fu facile creare un miscuglio per i colori.
Dopo i saluti e una scodella di una brodaglia fermentata proseguivo la camminata verso la palude; riflettevo sugli uomini che passavano numerosi di qui, dai racconti sembravano bramosi, come se li aspettasse qualcosa; ecco la palude, una casetta ergeva, cominciai a investigare con l’aiuto di un piccolo golemita, uno degli artefatti di cui andavo più fiero, era simile al nasino di un mastino, ma in pietra, e volava con delle piccole ali, capace di riconoscere gli odori e produrre delle piccole traccie in gesso colorate catalogando così le diverse fragranze con colori diversi, se inseguito gli fai annusare uno dei gessi da lui prodotti automaticamente andrà a cercare tutti gli odori simili a quello scelto; avevamo trovato traccie di ... sperma, sembra che questo luogo sia abbandonato da diversi anni, ci sono traccie di almeno centinaia di uomini diversi, vecchie almeno di una decina d’anni, molto simili a quelle dell’accampamento, sembra che i soldati giungevano qui fino a pochi anni fa, quindi esisteva ancora un gruppo di folli che portava avanti una fazione morta, non era il troll ad avere problemi di memoria; le altre traccie riconoscibili sono di circa cento anni invece e sembra siano quelle di quando la strega si sia inserita in questo luogo, le traccie magiche sono incredibili, sangue, riti, non riesco a immaginare, risalgono comunque tutte a tanti anni fa, sembra che la giovane strega, o qualunque cosa sia diventata, sia ancora viva, e che stia producendo qualcosa di grande: i topi trasformati in ombre, questi riti; ho i brividi a pensare che tutto ciò che nasce dalla necromanzia porti sempre ad abomini terribili, e qui oltre tutto sembra che si stia giocando con la stessa vita e nascita; non è nulla di buono e come sempre l’inquisizione se ne frega di queste problematiche serie per occuparsi di amministrare l’utilizzo della magia nelle capitali.
Un’altro odore curioso erano i fiori che crescevano qui, sono una specie rara, ma qui pullulavano, sono fiori lavici, detti fiori fenice, il loro polline va in fiamme, e la cenere poi si semina, feconda le pietre e ricresce; non va bene, tutte queste creature magiche qui, troll, piante, sono un brutto segno, ci sono delle regole di attrazione, una sorgente magica attira altre sorgenti magiche, per questo che spesso i maghi si incontrano e si riconoscono mentre girano il mondo, è una legge universale che nessuno riesce ancora a spiegare; spesso i pochi maghi che si innamorano, lo fanno verso una creatura magica, e più ci si lega alla magia, e più il destino ci porta verso sorgenti maggiori, questo a mio parere non è sempre un bene, non odio la magia, ma penso che sia ingiusta, sia egoista, sceglie le persone, le creature e le rende uniche, lasciando noi comuni a invocarla, pregarla, imporla, incantarla; un vero mago ha il dono di doverla semplicemente pensare per materializzarla.
Ritirai il mio golemita, mentre era ora di trovare la sorgente di tutto, basta trovare delle traccie magiche e con l’ausilio di una semplice alga di lago, conoscenza trasferitami dal mio maestro, che io tengo dentro un vasetto, avvicinata l’alga alla traccia, la piccola va ad abbracciare il flusso magico che corre spesso attraverso la sorgente, con la direzione ottenuta dei ratti, dai riti sanguinosi, e da questi teschi scavati vecchi di almeno cento anni, fu facile triangolare la sorgente, probabilmente dentro una grotta in quella collina; feci una pausa, caricavo la mia nuova sparafiamme, usando i pollini dei fiori fenice al posto della polvere da sparo e con un po’ di frutti di rovi giganti fermentati che nel frattempo sorseggio, essendo specialità delle isole deliziosa, mi pregusto sempre questa bevanda aspra accompagnata da una pipa quando ho bisogno di riflettere, intanto pulisco il golemita pieno di polvere, e ripenso a come lo avevo vinto a una partita a carte, che mi aveva portato poi a diventare il nemico numero uno delle due più grandi fazioni della città maledetta, passai quattro mesi disperso in quella città; grazie alla piccola vittoria comunque avevo ottenuto questo golemita che mi è stato di grande utilità, l’olfatto è uno di quei sensi che sottovalutiamo, ma può essere spesso l’unico modo per vedere le cose, in un mondo dove abbiamo imparato a illudere l’udito e la vista, soprattutto nella città maledetta, dove tutti sono pronti a fregarti, ma se impari a fregare la città stessa e i veterani che la vivono ne esci poi completamente diverso e anche un po’ più ricco.
Trovai la piccola grotta, preparai qualche trappola, dovetti entrare strisciando, accompagnato da gruppi di ratti ombra che si addentravano ciechi e senza paura, erano praticamente invisibili e non lasciavano quasi traccie, fuoco, la paura passa; brividi gelidi non naturali, estraggo una gemma, e attraverso essa posso vedere degli spettri, è completamente infestato, ma sono abbastanza innocui, non sono capaci di materializzarsi nel nostro mondo, anzi, deperiscono risucchiati, non sono spiriti di rabbia e vendetta come le wraith o i comuni fantasmi, sono grassi e presentano gambe e genitali molto grandi, una specie di contrappasso, come punizione, probabilmente sono gli stessi uomini che si sono fatti abbindolare nei riti visti nelle paludi, probabilmente a seguito di rapporti sessuali vengono trasformati in questi spettri, per poi essere usati, devo fare qualcosa per loro, devo trovare al più presto la fonte, mi affretto a seguire i ratti.
Un campo di battaglia innevato, le frecce ci piovono in uno spettacolo di fiamme, draghi solcano il campo di battaglia, ed ecco compare il re, sopra un drago dei ghiacci, è almeno due volte e mezza più grande di un drago normale, come semplice scudiero non ho mai affrontato niente del genere, ma seguivo il mio cavaliere, sicuro, ero giovane e mai avevo visto la morte, almeno finché non vidi la testa del mio cavaliere a terra e da quel momento vidi per la prima volta tutti i cadaveri che precedentemente non avevo mai notato in mezzo alla neve, fuggivo con la spada del mio cavaliere, e in mezzo al vento compare il re, mi blocca il braccio che si assidera e frantuma senza dolore, perdo la lama, che viene raccolta con soddisfazione dal re che non ha più cura per me, ma solo per quella lama, si dice sia una delle zanne della creatura che per la prima volta nel mondo aveva portato tragedia e disastri, consapevole e pieno di paura fuggivo, dalle frecce, dai draghi, dai troll della neve, dagli uomini armati, raggiunsi il mio villaggio gridando che stava arrivando il re di ghiaccio, ma gli uomini erano già arrivati e stavano già saccheggiando ogni cosa, stupravano ogni donna, riuscii a fuggire con un paio di persone, saremmo scappati nelle foreste degli elfi, corro per giorni e le persone lentamente mutano, muoiono, e la donna che ho amato per quanto giovane e per quanto poco sia stato il tempo è morta, giace sotto un albero, l’albero mi raccoglie con le sue radici e mi stritola, e fa male, sia fuori, ma più dentro e vorrei piangere e vorrei sparire e sono in un illusione da tutto il tempo, sono nelle profondità della grotta, con questa donna che mi fissa, e se non fosse per l’aura tenebrosa, il suo sguardo mi avrebbe intrappolato, mi circondo di piccole fiamme, infondo giace un cadavere, un guerriero, morto e putrido, ma abominevole, che continua a vivere, e viene nutrito con le ombre e con le grida degli spettri.
La strega comincia a gridare “voi non siete degni del nostro amore” e delira ancora  “lui ora mi sarà sempre fedele e mi porterà sempre rispetto” lo accarezza mentre quella gigantesca putrida sacca di organi che vive di magia nera si alza, a bassa voce mentre accarezza con amore il frutto del suo lavoro “Non è ancora pronto, ma voi, che avete osato usare noi come capro espiatorio per tutti i vostri problemi, ora verrete schiacciati” Con gli organi orribili che continuano a crescere, l’abominio sfonda il soffitto della grotta e sbuca dalla collina, è un enorme rifiuto, terre di campi, ombre, organi, spiriti e il corpo di un grande guerriero, si avvicina al villaggio mentre la pioggia ha cessato e il forte vento ulula, li seguo con un incantesimo ti levitazione, mentre i vestiti zuppi si congelano nel vento della notte, estraggo la mia nuova balestra, che armata di frecce d’argento riesce a infastidire un sacco la strega, che decide di venirmi in contro mentre l’abominio prosegue verso il villaggio, avevo preparato diverse trappole nella palude, ma questo taglio dalle colline mi aveva lasciato impreparato, l’unica mia reazione fu estrarre la sparafiamme e sparare l’unico colpo caricato, una vampata fantastica, la strega brucia e grida mentre si prende gioco della mia scarsa esperienza sessuale, dopo essermi entrata in testa sta cercando di sminuirmi con le poche informazioni che aveva estratto, ma non funziona, io corro verso l’abominio pensando a un modo per salvare il villaggio; noto tra il caos di elementi di cui esso è formato anche dei cerchi alchemici, rune, sigilli, è assurdo pensare che una strega possa aver mischiato in questo modo tutte queste arti differenti, e intanto mi preparo a rimuoverle: bomba di sali, uno strumento generico per fermare in modo molto leggero qualsiasi tipo di flusso magico, in più lancio delle fiamme, qualche legame si rompe, e l’abominio comincia a perdere pezzi, mi concentro, è ora di richiamare una delle migliori arti purificatrici, canalizzo la luce della luna concentrandolo in un fascio puro, poi lo lascio andare, l’abominio brucia mentre continua a perdere altri pezzi, comincio a sentire la stanchezza, estraggo un tonico con dei fiori tossici, aiuta a tenermi sveglio e in forze, mentre l’abominio provocato mi corre addosso, decido di usare le poche forze rimaste per stenderlo con una folata; ho guadagnato tempo, l’abominio è così stupido da sembrare incapace a rialzarsi, ma la strega sta arrivando, io sono molto stanco, la pozione tossica si fa sentire e un po’ mi intorpidisce, estraggo la balestra ma mi son scordato di caricarla di nuovo nella foga, estraggo velocemente un alito di drago e lo innesco, la piccola capsula rilascia una fiammata che guido con una leggera brezza, mentre mi manca quasi il fiato dallo sforzo, la strega grida confusa dalle fiamme, e dal terriccio dei campi sbucano queste pietre magiche, che da lontano invocano fieri due grifoni, soggiogati dal potere della strega, bevo un altro po’ di tonico e cerco di soggiogarne uno mentre la strega brucia, ma lei mi entra in testa, la sento, sono steso in un campo a fare l’amore, mentre sono insieme a questo cadavere, che rimembra una figura familiare, mentre con le forti mani putrefatte cerca di strapparmi le membra dal viso, con un dito mi entra in un occhio e con violenza cerca di scavarmi sempre più nel profondo, mentre i suoi genitali sono fauci giganti che mi rosicchiano e mi strappano tutto, l’illusione finisce di colpo, sono semi paralizzato steso a terra e tremo.
Il troll è venuto a difendere la sua terra, dopo aver steso la strega e avermi liberato dall’illusione, prende la gamba della strega e la getta a terra, questa cerca di maledirlo con le peggiori necromanzie ma la roccia lo rende quasi invulnerabile, intanto scaraventa la strega, mentre sfoggia la sua carica militare, le balza in uno schianto violentissimo mentre ansima nella sua voce roca, lo attacca un grifone a cui spezza il collo con una bracciata, intanto l’abominio gli si scaraventa, il grifone che ho soggiogato aiuta il troll a resistere alla carica della mostruosità, a cui cede un braccio, che ritorna terriccio e melma al contatto con la terra, sono quasi paralizzato, un altro sorso, servono più fiamme per eliminare gli ultimi sigilli dell’abominio, innesco un alito di drago e lo lancio con cura mentre le fiamme ora si cibano, con una potente folata estraggo dal mostro, che continua a combattere col troll, il corpo del guerriero, scavo velocemente una fossa evocando un getto di lava con una runa e gli impongo una vera sepoltura, stanco prendo il fiato, mentre ogni senso è completamente annebbiato.
La strega ora è vulnerabile e debole, senza più lo scopo di vendicare il suo amore, che ora è seppellito in modo dignitoso, grida, mentre la sua forma si mostra per lo spirito che era, uno spirito di vendetta, lenta vendetta di anni, l’abominio si scioglie in fango paludoso e quasi ogni sorgente magica da queste terre scompare.
Il caso era risolto, albeggia e sorseggio un estratto di erbe purificante, mentre ogni mia parte del corpo brucia per colpa del tonico tossico, avevo fermato uno spirito di vendetta molto pericoloso, e fu occasione per stendere una prima ricerca, gli ectoplasmi rimasti della povera strega li inserii dentro una fiala, chissà, la collina era completamente aperta, i topi ombra erano spariti insieme agli uomini sacrificati dai rituali e i loro spiriti, il troll di pietra era ora difensore del villaggio dopo avermi personalmente eletto suo superiore, il pagamento è avvenuto ovviamente con un piccolo extra per il lavoro aggiuntivo, inoltre ho dovuto scrivere questo rapporto per l’inquisizione, per spiegare che è molto facile opprimendo la magia come fanno loro creare malcontento e far nascere queste creature magiche aggressive, inoltre voglio riappacificare le acque dopo il casino alla locanda.
Ogni tanto ripenso e rileggo queste lettere, tanto per ricordare nottate come questa. Sopratutto quando è una notte senza sonno e i contratti scarseggiano.
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marcogiovenale · 2 years
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12 aprile, milano: presentazione del libro di milli graffi, "sotto la traccia, frecce"
12 aprile, milano: presentazione del libro di milli graffi, “sotto la traccia, frecce”
Martedì 12 aprile, alle ore 18:00, alla Mudima, Via Tadino  26 (Milano), presentazione di SOTTO LA TRACCIA, FRECCE di Milli Graffi, il verri edizioni, 2021. Intervengono Daniele Giglioli, Angelo Lumelli, Michelangelo Coviello. Milli Graffi (Milano 1940-2020). Negli anni settanta partecipa ai maggiori festival europei di poesia sonora; tra le composizioni pubblicate: Salnitro, Farfalla ronzar,…
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marcogiovenale · 2 years
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alcuni post su slowforward, dal 1 agosto
alcuni post su slowforward, dal 1 agosto
per leggere, cliccare sui titoli luca stefanelli: gli “attributi dell’arte odierna”, di emilio villa come ‘teatro della crudeltà’ milli graffi, “sotto la traccia, frecce”: un frammento ma no, ma no, ma ni, non è morta, la poesia, su info/comunicazione a(d alcun)i villiani foresta futura / luciano martinis lorna simpson / enumerated. 2016 (more…)
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marcogiovenale · 2 years
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Milli Graffi: Soto la traccia, frecce
Milli Graffi: Soto la traccia, frecce
MILLI GRAFFI Sotto la traccia, frecce Edizioni del Verri, 2022 due o tre cose sulla mia città nella mente dello spazio ci entro a sbattere il carrello con forza a sinistra a soddisfazione a spazzare via con un colpo anatra meccanica dolce abisso la memoria Milli Graffi (Milano 1940-2020). Negli anni settanta partecipa ai maggiori festival europei di poesia sonora; tra le composizioni pubblicate:…
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marcogiovenale · 3 years
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milli graffi: "sotto la traccia, frecce" (edizioni del verri, 2022)
milli graffi: “sotto la traccia, frecce” (edizioni del verri, 2022)
https://www.ilverri.it/index.php/le-collane/collana-rossa/sotto-la-traccia-frecce-detail Milli Graffi (Milano 1940-2020) ha partecipato, negli anni Settanta, ai maggiori festival europei di poesia sonora; tra le composizioni pubblicate: Salnitro, Farfalla ronzar, Tralci. Considera la poesia come un appassionato corpo a corpo col senso che scaturisce dalla manipolazione del linguaggio.…
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evilvenator · 5 years
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Capitolo 47
La piazza principale di Tristram era nel caos, alla totale mercé dell’Orda.
Molti degli edifici principali erano andati a fuoco e le fiamme attecchivano velocemente da una casa all'altra, essendo le costruzioni fatte quasi interamente di legno.
La maggior parte dei civili era riuscita a scappare in tempo verso il porto, prima che l'intero quartiere venisse chiuso e barricato per evitare che quei mostri riuscissero a prendere il ponte sul Drakon.
Superarono la barricata spazzando via il Risvegliato che cercava di infrangerla, dando un poco di sollievo ai soldati di guardia.
«Se tutto va bene, questa sarà l'ultima volta che dovrai sopportarci, vecchia!» Sentì Ichabod gridare, Lisandra che lo ignorava continuando ad evocare granitici pugni di pietra contro i mostri più vicini.
Senua ridacchiò tra sé e sé, stappando la bomba che aveva in mano e passandola a Kilik, che la lanciò più lontano che potè. Il gas, estremamente infiammabile, esplose grazie ai detriti roventi sull'acciottolato della piazza, arrostendo vivi una decina di quei bastardi tra urla d'agonia.
«Katrina!»
La maga annuì, il bastone già alzato e puntato verso l'esplosione, che venne contenuta soltanto attorno ai mostri da una barriera protettiva.
Un ruggito assordante preannunciò l'arrivo di un folto gruppo di morti armati e almeno un paio di Risvegliati.
«Vi accompagniamo.» Annunciò Arsim, indicando una via laterale che portava ai cancelli orientali. Castalia annuì, caricando poi di forza un mostro particolarmente alto e, aiutata da Kilik, riuscendo a buttarlo a terra. Lo trapassò poi da parte a parte, gettandosi subito su un altro mostro.
Senua scosse la testa, ammirando l'energia dei Venator.
«Sono sempre più a disagio dalle compagnie che frequenti, Salroka.» Commentò Tahir , mentre insieme affrontavano un mostro, riuscendo ad accerchiarlo e finendolo in poche coltellate.
«E ancora non hai visto niente...»
Il Risvegliato più vicino era ormai a portata di tiro.
Staccò dalla cintura una delle fiaschette di coccio, togliendola dalla Venator e stappandola con cura.
«Ehi, Ichabod! Agli occhi!» Urlò verso Ichabod indicando il gigante.
Il mago fece saettare la fiaschetta contro il muso della creatura, che venne circondato da uno sbuffo verde acido. Quando urlò di dolore per le ustioni comparse sulla pelle, inalò il resto, crollando carponi e dimenandosi tra gli spasmi. Arsim, Kamal e Castalia lo finirono in pochi colpi poderosi.
Sulla loro destra, sentirono un richiamo di aiuto.
Si guardò attorno. Due edifici più in là, un negozio stava per crollare, le fondamenta ormai avvolte dalle fiamme che salivano fino al cielo. Il vicolo sottostante era invaso dalle macerie, ma si udiva un debole lamento provenire da quella direzione.
Accanto a lei, solo Ichabod, Katrina, Kilik e Tahir sembravano essersene accorti.
«Tu resta qui.» Ordinò al guerriero, dandogli in mano altre due bombe acide. «Sei l'unico che le sa usare al meglio, dopo di me.»
Quello annuì, prendendole e legandosele alla cintura. «Ci rivediamo qua.»
Katrina fece loro strada, alzando intorno a loro una barriera protettiva. Kilik, i pugnali stretti in mano, avanzava con il volto coperto da un panno bagnato legato dietro la nuca. Senua era abituata alle alte temperature e il poco ossigeno, mentre Ichabod sembrava non fare caso alle fiamme e al fumo.
 «Ehi! Da questa…» La richiesta d'aiuto venne interrotta da un gemito di dolore.
Aumentarono il passo, accostandosi al portico pericolante. L'edificio era fortunatamente di soli due piani, ma non sarebbe resistito a lungo. Sotto di esso, due uomini in armatura pesante giacevano riversi a terra. Uno di essi presentava uno squarcio enorme sul pettorale di metallo chiaro, una pozza di sangue ormai vecchio sotto di lui.
Il secondo, accortosi del loro arrivo, cercò di strisciare nella loro direzione. Con un grugnito di dolore, sollevò il viso verso di loro.
Sgranò gli occhi, l'espressione di sollievo mutata improvvisamente in terrore e furia ciechi.
«Tu! Voi…» tossì un grumo di sangue, sputandolo per terra. Aveva una gamba maciullata, probabilmente sotto il peso di qualcosa di molto più grosso di lui.
«Oh, questa sì che è una piacevole sorpresa...» Gli occhi di Ichabod brillavano alla luce delle fiamme, assottigliandosi mentre si apriva in un ghigno malevolo. «Comandante Gregor.»
Senua si ricordò improvvisamente di dove l'aveva visto. Era lo stesso Inquisitore che aveva minacciato di uccidere Ichabod dopo che erano usciti dalla torre dei maghi, quello che Castalia aveva minacciato di fronte a tutti i suoi uomini.
«Il Creatore ha un maledetto senso dell'umorismo...» Gemette l’inquisitore, sollevandosi su un gomito. Era uno spettacolo pietoso, il volto tirato dal dolore, pallido come un cencio e coperto di sangue dalla testa ai piedi, il moncherino di gamba che aveva lasciato una traccia scarlatta sull'acciottolato mezzo distrutto.
«Oh, il Creatore non ha niente a che vedere con questo.» Ribatté Ichabod, facendosi avanti. Si chinò di fronte a lui, afferrandogli un ciuffo di capelli grigi e sollevandolo verso di sé con uno strattone. «Questa è proprio una gran botta di culo.»
«Ichabod...»
Vide l'amico voltarsi di scatto verso Katrina, scoppiando in una risata. «Tranquilla, non può farci niente. È ormai mezzo morto. Oh, ma vorrebbe, vero?» Riportò la sua attenzione sull'uomo a terra, che stringeva i denti impossibilitato a divincolarsi. «Vorresti averci ammazzati quando ne avevi la possibilità, sì? Sei patetico.»
Gregor respirava affannosamente. «Dannati... maghi... del sangue...»
L'edificio accanto a loro scrocchiò minacciosamente, segno che restava poco tempo prima che crollasse loro addosso.
«Se vuoi ucciderlo, amico, dovrai darti una mossa.» Commentò Kilik. Un mostro sbucò da una via laterale, correndogli incontro. Senza fare una piega, l’assassino ruotò su sé stesso, evitando la carica e piantandogli entrambe le lame nella schiena e facendolo stramazzare a terra.
«Ammazzami... e basta, Amell.» Rantolò l’inquisitore, lanciando uno sguardo carico d'odio ad entrambi i maghi. «Voi... avrei dovuto...»
«Quasi metà dell'intera Accademia si dilettava con della magia proibita, ma voi branco di idioti non vi siete accorti di nulla finché non è stato troppo tardi. L'unico mago del sangue che abbiate scoperto in tempo è riuscito a fuggire e ve ne siete lasciati scappare anche un altro... Come ci si sente ad aver sprecato la propria vita, Comandante Gregor?» Con un ghigno ancora più largo, passò l'indice della mano sinistra sulla guancia dell'uomo, raccogliendo un po' di sangue. Sotto gli occhi terrorizzati dellInquisitore, venne avvolto da decine di tentacoli cremisi, che sollevarono Gregor da terra, permettendo a Ichabod di rimettersi in piedi e averlo alla sua altezza. «Voglio che mi guardi negli occhi, quando ti ammazzerò.»
In difesa del Comandante, tenne a freno la sua paura. Strinse la mascella, deglutendo a vuoto senza abbassare lo sguardo da quello del mago. «Fai quello che devi, schifoso…»
L'armatura si accartocciò su se stessa con uno schiocco nauseabondo, trapassata da innumerevoli colpi, annaffiandoli di sangue mentre il cadavere, ormai irriconoscibile, cadeva a terra con un tonfo.
A Senua non era sfuggita l'espressione spaventata negli occhi di Katrina. Un po' la condivideva, non aveva mai visto l'amico così spaventoso.
«Andiamo. Non c'è nessuno da poter salvare, qui.» Annunciò Ichabod. Girò i tacchi e afferrò Katrina per una mano, tirandola a sé, raggiante, qualcosa stretto in mano. Glielo sventolò sotto il naso, era una fialetta di vetro con all'interno del liquido scuro, che brillava ad intermittenza.
Katrina sembrò riconoscerlo all'istante. «Il tuo?»
L'altro gli sfiorò le labbra, tirandolo a sé per un attimo, per poi sfoggiare un sorrisetto soddisfatto. «Filatterio, già. Quel bastardo non aveva ancora rinunciato a farmi fuori, a quanto pare.» Buttò a terra la fialetta, rompendola sotto la suola degli stivali. Per un attimo, tra le schegge di vetro si alzarono delle piccole volute di fumo scarlatte.
Si sentì improvvisamente uno schianto e metà dell'edificio accanto a loro cominciò ad inclinarsi all'indietro, macerie che cadevano tutt'attorno.
Katrina roteò il proprio bastone sopra la testa, frustando l'aria e innalzando una nuova barriera, evitando che parte del tetto li travolgesse nel suo crollo. «Avremo poi tutto il tempo per festeggiare, ora andiamo.» Disse, senza però abbandonare il sorriso che gli era spuntato sulle labbra. Degli striduli ruggiti di dolore annunciarono che dei mostri non erano stati così fortunati. Le fiamme lambivano la strada da entrambi i lati, ma rimbalzavano sulla protezione traslucida, che permise loro di tornare incolumi sulla piazza.
«Avete trovato sei sopravvissuti?» Chiese Lisandra correndo verso di loro. Sembrava affaticata ma pronta a tutto.
Senua scosse la testa. «Nessuno. Solo un sacco di cadaveri incazzati, ma ce ne siamo occupati.»
«Sì, hanno avuto quello che si meritavano.» Le diede corda Kilik, strizzando l'occhiolino a Ichabod con fare complice.
La maga assottigliò gli occhi e sembrava stesse per chiedere qualcosa, quando qualcuno urlò che c'era bisogno delle sue cure, per cui li lasciò perdere con un sospiro rassegnato.
Proseguirono facendosi strada tra la battaglia, le forze dei guerrieri che aprivano un varco tra i mostri, aiutati da Lisandra, Ichabod, Katrina, Riful e altri due maghi, mentre tra le file più interne qualche arciere tempestava di frecce i nemici.
Tahir al suo fianco, spalla contro spalla, Senua riusciva ad eliminare qualunque mostro riuscisse ad eludere la prima fila di guerrieri delle ontagne.
Ad un certo punto, una tempesta elettrica spazzò via l'intera ala destra dell'esercito di Harrogath con uno schiocco terribile, spedendone almeno una dozzina a metri di distanza.
«Risvegliato!» Urlò Castalia, sollevando la spada.
Arsim fece un cenno a Malak di andare in aiuto della Venator.
Dal nulla, sbucarono altri due mostri, che vennero fermati appena in tempo da un incantesimo combinato dei maghi, che li inchiodarono sul posto abbastanza a lungo da dare il tempo ai guerrieri di abbatterli. Senua, estraendo le daghe dalla zampa di uno Ghoul, lanciò uno sguardo verso il Risvegliato. La creatura cercava di rallentare Castalia con dei dardi magici, ma lei sembrava in grado di deviarli colpendoli con la lama della spada, che brillava ogni volta che entrava in contatto con un incantesimo.
Senua si girò allarmata, ma Tahir non c'era più. Girò su sé stessa, nel panico, non riuscendo a trovarlo tra quel caos di fiamme, scintille, sangue e arti mozzati.
Un pugno granitico stese definitivamente il mostro più vicino, mandandolo a terra con un tonfo, mentre il Risvegliato veniva abbattuto da un colpo di Kamal, che gli mozzò di netto la testa. Le scintille tutto attorno a loro svanirono all'istante, permettendo a Lisandra di raggiungere i feriti.
Riful, nel frattempo, si divertiva a tener a bada una mezza dozzina di Risvegliati, bloccandoli a terra e risucchiando loro le energie, una nube violacea attorno a sé.
«Tahir!» Urlò Senua, il cuore che le batteva a mille, schivando un Hurlock senza nemmeno darsi la pena di ucciderlo, un solo pensiero in testa, trovare il compagno. «Tahir, maledizione...!»
«Senua! Siamo qui!»
Individuò anche Julian vicino a lui.
Corse loro incontro, il Venator che sosteneva l'altro per un braccio. Tahir aveva delle piccole bruciature su tutta l'armatura leggera ma, a parte qualche pelo bruciacchiato, sembrava a posto. «Salroka, tutto bene?»
Quello farfugliò qualcosa, annuendo.
«Tahir ...?»
«Sto bene...» Le indirizzò un sorriso incerto, tutto denti storti.
 «Ehi, il tuo amico qua ha preso una bella botta, ma non ha niente di rotto. Altrimenti non mi avrebbe urlato contro ho provato a tirarlo su!» Scherzò Julian, dandogli una scrollata. «Coraggio, bevi questo...» Gli allungò una fiaschetta, che Tahir si portò sospettosamente alle labbra, storcendo all'inizio la bocca per poi fare due avide sorsate.
«È uno degli intrugli curativi di Lisandra?» Chiese Senua, che si sentiva poco in forze. «Può fare bene anche a me...»
Aspettò che l'altro finisse di bere e ne assaggiò un poco. Appena il liquido toccò la lingua, si ritrovò a tossire, sorpresa. «Ma…»
«Grappa del Nord, esatto!» Esclamò il Venator, battendosi una mano sul pettorale dell'armatura. «Non c'è niente di meglio durante una battaglia! Bevi, Senua, bevi!»
La ragazza scosse la testa, ma fece come le veniva detto. Dopotutto, Julian non aveva tutti i torti...
Rinfrancati, Tahir finalmente in piedi, si riunirono al resto del gruppo. Sembrava che per il momento non ci fossero altri pericoli in giro.
«Il mio villaggio è da quella parte. Altri tre edifici e dovremmo esserci.» Sentì dire a Kyra.
«Ehi, staranno bene.» Cercò di rassicurarla Senua. Capiva come dovesse sentirsi, se ci fosse stata lei nella stessa situazione, se l’Orda avesse invaso Città della Polvere... Pensò che, per come stavano le cose, non erano molto diverse. Nessun dei piani alti se ne sarebbe fregato di un villaggio di contadini.
Sperò che a casa la situazione per i senzacasta come lei migliorasse, una volta tornati.
«Coraggio, abbiamo ancora del lavoro da fare, avanti!» Urlò Arsim, richiamando i suoi uomini e spronandoli a proseguire.
Senua riconobbe le insegne della Legione dei Morti sulle armature di qualcuno dei guerrieri delle montagne al seguito, chiedendosi se sotto di esse vi erano dei volti tatuati come il proprio.
Un urlo assordante la risvegliò da quei pensieri.
Si voltarono tutti, allarmati.
Dall'alto, sopra i tetti, una dozzina di Ghoul ululanti piombò su di loro, artigli e zanne protesi a dilaniare e uccidere.
«Coprite!»
L'ordine di Duran venne sovrastato da un ruggito, mentre quattro mostro cornuto caricavano dal fondo della via, provenienti dalla via principale dietro di loro. Erano affiancati da un numero soverchiante di morti e, alla loro testa, un Risvegliato molto più alto degli altri, l'armatura massiccia inusuale per un demone dell’Oblio, roteava in gesto di sfida una grande ascia bipenne.
«Andate!» Ordinò di nuovo Arsim, in direzione dei Venator e del gruppo che doveva raggiungere i bassifondi. «Ci pensiamo noi, non vi…» colpì uno Ghoul al ventre, spedendolo addosso all'ascia del suo secondo, che tranciò in due parti la creatura con un tonfo «…non vi seguiranno.»
Sembrava che Miria avesse qualcosa da ribattere, ma Castalia, dopo una breve attimo in cui staccò un arto ad morto ululante, annuì nella sua direzione.
«Sembra che ci abbiano raggiunti.» Biascicò Tahir, ma Senua poteva vedere che stava sogghignando. Qualsiasi cosa ci fosse nella grappa speciale, funzionava a meraviglia.
Julian, di fronte a loro, si unì alla carica urlando e roteando la spada come fosse un fuscello, in preda alla foga della battaglia. Ichabod, arrivato alle spalle di Senua, colpì il mostro più grosso con un'esplosione di fiamme, buttandolo a terra e bloccandolo al suolo con una runa di paralisi. «Allora, Campionessa, vedi di restare in vita.»
Tahir , accanto a lei, riuscì ad azzoppare un mostro, poi finito da una freccia. Senua annuì, nel frattempo che si sbarazzava di un altro Ghoul congelato da un incantesimo di Katrina.
Quest'ultimo, però, scosse la testa. «Resto anche io.»
Ichabod sgranò gli occhi, rischiando di sbilanciarsi mentre evitava per un soffio un mostro che lo caricava a testa bassa. Senza nemmeno guardare il bersaglio, gli lanciò contro una palla di fuoco, sbalzandolo via e arrostendolo per bene. «Non se ne parla.»
Katrina sbatté il bastone a terra, dandogli le spalle, congelando un morto vivente a pochi metri da loro affinché uno dei guerrieri di Harrogath potesse mandarlo in frantumi col martello da guerra. «Hanno bisogno di supporto. Quei due idioti dell’Accademia non sanno…»
Ichabod gli afferrò una spalla, strattonandola e costringendola a guardarlo negli occhi. «Cosa cazzo pensi di fare?! Potresti…»
«Finire uccisa. Lo so. E allora?» Ribatté Katrina con calma. «Stai andando ad affrontare un Mostro uscito da un incubo, è quello il pericolo maggiore qui intorno.»
«Ma almeno potrei proteggerti!»
Katrina sospirò. «Esattamente per quello. No, Ichabod. Resto qui. Se venissi con te sarei d'impiccio, finiresti per preoccuparti di me invece che fare di tutto per sconfiggere quel drago.»
Quello fece per ribattere, quando un cumulo di macerie volò sopra le loro teste, costringendolo a farlo esplodere e spedirlo lontano con una frustata del bastone. «No.»
«Ichabod…»
«Non per essere di mezzo al vostro bisticciare, ma quel coso ci sta puntando!» Urlò Tahir , il dito puntato sul mostro, la testa bassa e irta di corna che fiutava l'aria verso di loro.
Senua gettò uno sguardo al vicolo. L'edificio accanto era sul punto di crollare. Castalia, Julian, Lisandra, Riful, Miria e Kyra erano già a metà strada verso i bassifondi, così come alcuni dei Druidi con loro.
«Katrina, per l'ultima v…»
Il mago venne interrotto dall'altra, che premette le labbra sulle sue in un bacio appassionato. Senza che l'altro se ne rendesse contro, sbatté poi il bastone a terra, avvolgendo Ichabod in una luce azzurrina e spedendolo dall'altro lato della strada.
«Ti amo!»
«Katrina!»
Si gettarono di lato per un pelo, evitando la carica delil mostro che andò a schiantarsi contro la casa già pericolante, che iniziò a collassare su sé stessa e sul mostro.
Gli insulti che lanciò Ichabod, rimettendosi faticosamente in piedi e facendo per venire verso di loro, furono interrotti dall'edificio che cadeva tra i due capi del vicolo, tagliando fuori loro e, soprattutto, i moostri, dall'inseguirli oltre.
Senua rivolse a Katrina uno sguardo ammirato. «Però. Quel culo secco è una tosta.»
Tahir , per tutta risposta, scoppiò a ridere.
Il mago sembrò offendersi, ma non ebbero il tempo di mettersi a discutere.
Una pioggia di incantesimi e frecce tagliò la strada alla seconda ondata di mostri corsa in aiuto del Risvegliato in armatura che, dopo che anche l'ultimo mostro cornuto venne abbattuto da Malak e Arsim in un formidabile attacco coordinato, si ritrovò da solo, facile preda per i guerrieri della Legione dei Morti.
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