Tumgik
#frasi corte
gabbiadicarta · 2 months
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Perché crescere vuol dire accettarci per come siamo.
— Mezzosangue; Come un uragano
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lasolitudinedelnumer1 · 6 months
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Ma tu non guardi me continui a guardare fuori
Ti ho dato i giorni migliori dei miei anni peggiori..
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-ineedyourhugs- · 1 year
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Ci sono sguardi che non vedono l'ora di diventare baci
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Puoi parlare piano tanto gli occhi parlano per te
— brucia fiori del male
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- grazie -
non ho mai detto Grazie  a chi ha sempre letto i miei sfoghi e si è ritrovato nelle mie parole condividendoli, apprezzandoli; non ho mai ringraziato abbastanza tutte quelle persone che facevano parte - e continuano a farlo tuttora - di quelle 2/3 note iniziali di un post grazie a quelle persone che hanno sempre guardato oltre la tua popolarità; forse dovremmo farlo un po' tutti quanti, perché quando un blog è così condiviso è sempre grazie a chi mentre scrive di sé stesso crede anche nelle parole che legge. Si entra in punta di piedi, silenziosamente. Si esce con la scoperta di condividere tanto di noi con altra gente, non gente qualunque. Ti senti sempre meglio. E così inizia. Grazie davvero di cuore a chi, prima di sapere che personaggio sei e quanti lettori hai, sa apprezzare le cose più piccole e forse anche quelle più vere a partire da qui. Nessuno di noi sarebbe il/la grande scrittore/scrittrice che è adesso se non fosse per chi ha percorso i primi passi con lui/lei. è vero che ci si mette in gioco mettendo a nudo se stessi, ma è vero anche che questo gioco non è poi così tanto privato o personale se è un piccolo rifugio di tanti e con tanti.
con tutto l’affetto possibile, @comeunapoesiadiprimavera
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leonelibero · 2 years
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Il bello dei social è proprio questo.
Che tutto quello che scrivo diventa reale per la gente che legge.
- •Leone Libero•
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anxietyinmybody · 2 years
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Il dolore più straziante è quanto sai che quella persona ti fa del male ma continui a tenerci
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unmaredifavole · 2 years
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Non ti ci vedo in casa mia, seduto al tavolo, e non ti ci vedo a farmi compagnia quando sono rapita da ansie; 
non ti vedo come la mia persona o forse sto solo cercando di convincermi di ciò non essendo io la tua
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Fa ancora più male quando vieni ferito da qualcuno a cui tieni, di cui ti sei fidato e a cui hai spiegato cosa ti fa male.
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gregor-samsung · 8 months
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" È noto quale tormento sia entrato nella coscienza di Claude Eatherly, uno dei superpiloti che bombardarono Hiroshima: egli non ha pace, fa anche stranezze. Il filosofo Günther Anders gli ha indirizzato una lettera, che tra l'altro dice*: «Per noi il fatto che lei non riesce a "venire a capo" dell'accaduto, è consolante. E questo perché ci mostra che lei cerca di far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire) della sua azione: e perché questo tentativo, anche se dovesse fallire, prova che lei ha potuto tener viva la sua coscienza, anche dopo essere stato inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con successo. E serbando viva la sua coscienza ha mostrato che questo è possibile, e che dev'essere possibile anche per noi.» Un esempio della grande ripercussione che può avere un atto di noncollaborazione, compiuto anche da una sola persona, ce lo offre il racconto che lo stesso filosofo Anders fa di un insegnante elementare americano, James Council. Nelle scuole dello Stato di Nuova York si svolgono esercitazioni antiatomiche, come addestrare i fanciulli a tenere le mani sopra la testa per proteggersi dalla nube radioattiva e dai calcinacci, addestrarli a rifugiarsi rapidamente nelle cantine o nelle soffitte degli edifici scolastici. Quando Council ricevette l'ordine di queste esercitazioni, rifiutò di prendervi parte. Disse che quegli esercizi non avevano altro scopo che di abituare i ragazzi all' "inevitabilità della guerra atomica", alla "probabilità di un attacco improvviso," al "carattere diabolico del nemico", le frasi fatte di certa propaganda bellicistica. E che i rifugi non sarebbero stati in grado di proteggere nessuno. La sua coscienza gli impediva di collaborare ad una cosa falsa e tendenziosa. Le autorità scolastiche, sorprese e indignate, lo licenziarono. Un altro insegnante dichiarò che non avrebbe partecipato alle esercitazioni. Si ebbe una reazione a catena. Associazioni di genitori, insegnanti e allievi, invitarono i due insegnanti a parlare davanti a loro. Altri gruppi offrirono il loro appoggio. Il caso ha raggiunto la Corte suprema dello Stato di Nuova York. C'è stato un grande dibattito tra giudici e avvocati. Se la Corte suprema è potuta diventare una tribuna dove la realtà dell'era atomica e l'assurdità della campagna per i rifugi sono state esposte e discusse apertamente, il merito va a quell'insegnante che ha compiuto il primo passo. Anche se la battaglia non è ancora vinta, è stato conquistato un terreno di lotta. L'associazione dei genitori di Nuova York, che rappresenta 300.000 persone, ha deciso di chiedere una discussione pubblica sul problema, che li interessa profondamente. ”
* G. Anders, in "Quaderni piacentini", n° 16.
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Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Linea D'Ombra Edizioni (collana Aperture n° 4), Milano, novembre 1989; pp. 64-65.
[1ª Edizione originale: Feltrinelli, 1967]
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gabbiadicarta · 5 months
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Tu vedi nero quando hai gli occhi chiusi, io vedo noi distesi sopra un prato.
— Psicologi; Sui muri
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lasolitudinedelnumer1 · 7 months
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anche se sono solo qua giù..
Resti una parte di me 💔..
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generalevannacci · 5 months
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Adriano Sofri
Sugli scudi umani.
Caro Claudio Cerasa. Ci sono frasi piene di senso, che pronunciamo con convinzione, insieme. Poi viene voglia di pensarci su. Hamas, diciamo, abusa anche della gente di Gaza come di scudi umani, oltre che degli ostaggi rapiti. Ci fermiamo qua? Qual è la conseguenza? Tu hai intitolato: “I civili di Gaza sono tutti sulla coscienza di Hamas”. Ma non è così, non solo. Se fosse così, non esisterebbe la questione degli scudi umani. Hamas non ce l’ha la coscienza, e se ce l’ha è diversissima dalla nostra, oltre che dal famoso diritto internazionale. Ho scorso quello che se ne dice: nell’art.28 della Quarta Convenzione di Ginevra, nell’art.51 del Primo Protocollo Addizionale, nell’art.8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, o in documenti meno universali, come il Manuale sul diritto di guerra del Dipartimento di Stato USA (2015). Antico come il mondo, cioè come la guerra, l’impiego di scudi umani si è moltiplicato via via che cresceva la capacità di risonanza dei mezzi di informazione. Chi è abituato a trovarsi dalla parte “regolarmente” più forte tende a ridurre la proporzionalità necessaria ad agire contro chi faccia uso di scudi umani, all’opposto di chi conduca un’azione militare o di forza “irregolare” e tanto più se terrorista. L’impiego di scudi umani non può legare per intero e senza riserve le mani al nemico. Ma appunto chi si stia battendo contro un obiettivo militare deve osservare una proporzione fra il suo legittimo scopo e il danno “collaterale” che ne può derivare alle vite dei civili e delle persone protette: “L’uso di scudi umani da parte di una delle parti in conflitto non libera l’altra dalle obbligazioni del diritto internazionale umanitario...”. E’ abbastanza in voga oggi un’irrisione del “diritto umanitario”, come di un lusso superfluo e comunque di una irrilevante litania. Ma dietro – o davanti – al “diritto internazionale” sta una questione morale decisiva per la scelta di ciascun attore, singola persona o banda armata o Stato. L’infamia di chi si serve di scudi umani, per la sua rapina in banca o per la sua guerra mondiale, non toglie affatto a chi le si oppone una drammatica responsabilità. Dovrebbe essere ovvio, ma sembra esserlo sempre meno. Se non lo fosse più, il riferimento stesso agli “scudi umani” non avrebbe ragione di sussistere: “peggio per loro”. Sussiste, perché si riconosce una differenza fra coloro che vi fanno ricorso e coloro cui il sacrificio di innocenti ripugna. E non si può invocare, per accantonare il dilemma, la situazione di emergenza in cui si presenta: l’impiego di scudi umani è per definizione un’emergenza estrema - benché non faccia che diffondersi, e raggiunga dimensioni tremende come quella della popolazione civile di Gaza. Sebbene a denunciarla sia, fra tanti, la Cina degli Uiguri e del Tibet, la “sproporzione” di bombardamenti e coazione al trasferimento della popolazione civile non è meno vera. (Il diritto, se non sbaglio, non è stato abbastanza lugubremente fantasioso da immaginare che il crimine di guerra del trasferimento forzato della popolazione civile all’interno di uno stesso territorio non venga addebitato a chi lo “difende”, ma a chi attacca, com’è oggi a Gaza). L’assalto di Hamas del 7 ottobre ha una portata spaventosa di ferocia e abiezione, ma questo appunto stabilisce un termine alla proporzionalità della risposta, non la abolisce.
C’è bensì una “dottrina” favorevole a ridurre fino ad abolirla la responsabilità di chi si confronta con l’abuso di scudi umani, sostenendo che segnerebbe una disparità inaccettabile fra gli opposti belligeranti. E arrivando a prevedere che, se il ricatto degli scudi umani venisse bellamente ignorato – qualcuno è maestro, per esempio il Putin della scuola di Beslan e del teatro Dubrovka – si cesserebbe di ricorrervi. Pretesa che, nel suo esplicito cinismo “realista”, mette sullo stesso piano “belligeranti” come, oggi, Israele e Hamas, che è esattamente ciò che si vuole rifiutare. (Osservo che in parecchie circostanze Israele in passato seppe sfuggire a diatribe come la tipicamente nostra su fermezza e trattativa, mettendo al primo posto la salvezza degli ostaggi e rinviando puntualmente la punizione). Comunque, anche le posizioni più spinte in questa direzione, come quella dell’aeronautica militare degli USA, dichiarano la possibilità di “attaccare obiettivi legittimi protetti da civili e considerarli danni collaterali, purché non risultino eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto che ci si aspetta di ottenere”.
In un’altra, più precoce puntata della guerra perenne, nel 2009, Stefano Levi della Torre, chiarendo che “l’ostilità che circonda Israele non è solo rivolta alla sua politica, ma alla sua stessa esistenza”, scrisse: “Si dice, spesso a ragione, che i terroristi si fanno scudo dei civili. Dunque i civili sono ostaggi. Si massacrano gli ostaggi? La pratica degli scudi umani è ignobile perché espone cinicamente degli esseri umani al sacrificio, ma perché dovrebbe essere meno ignobile l’azione di chi quel sacrificio lo compie sparando comunque? O forse la convivenza della popolazione con Hamas è intesa di per sé come connivenza, nell’idea aberrante di una colpa collettiva a giustificazione del massacro. Ma non è questa un’idea esattamente simmetrica a quella dei terroristi contro cui si combatte, non solo per necessità ma anche in nome dei ‘nostri principi superiori’?”
Non ti scrivo per esporre un dissenso. Un eventuale dissenso è la situazione ordinaria della mia ospitalità qui. Provo a far emergere un tema che ci riguarda intimamente. In alcune prese di posizione di questi giorni sembra che l’antico occhio della pietà si voglia chiudere: in realtà, si è così spalancato sul pogrom del sabato 7 da imporsi di chiudersi sui contraccolpi, come temendo che una pietà distribuita si diminuisse e facesse torto alle vittime proprie. Lo provo anch’io. In questi giorni si è riletta – lo si faccia di più, e senza limitarsi alle citazioni, andando da capo a fondo – la commemorazione che Moshe Dayan fece, il 29 aprile 1956, del suo amico Roy Rotenberg, agente ventunenne ucciso nel suo kibbutz al confine di Gaza. “Ieri all’alba Roy è stato assassinato. La quiete della mattina di primavera lo aveva accecato, e non ha visto coloro che, nascosti dietro il fosso, lo volevano morto. Non dedichiamoci oggi a deplorare i suoi assassini. Che cosa possiamo dire del loro odio terribile verso di noi? Da otto anni si trovano nei campi profughi di Gaza e hanno visto come, davanti ai loro occhi, abbiamo trasformato la terra e i villaggi che erano loro, dove loro e i loro antenati abitavano in precedenza, facendoli diventare casa nostra”. Si può dire, e quando lo disse Dayan voleva dire “Siamo condannati a combattere”, non invocava la pace – lo avrebbe fatto, più tardi. In Israele, non solo su Haaretz, voci rigorose e impavide si levano a denunciare le colpe del governo e di un’intera storia. Ci se ne serve a vanvera. Noi, alcuni di noi, non riusciamo a essere altrettanto rigorosi. Io non posso essere così reciso, perché non sono ebreo (credo: nessuno può dirlo, di sé) e ancor meno ebreo israeliano. Sono (forse) meno legato all’ebraismo, ma più responsabile. Corresponsabile. Mi ero interrogato sulla frase del cancelliere Scholz: “La nostra storia, la nostra responsabilità derivante dall'Olocausto, ci impone il dovere perenne di difendere l'esistenza e la sicurezza dello Stato di Israele". Ieri Maurizio Maggiani ha protestato vivamente – “un lavacro di coscienza sulle spalle degli altri” - ed Ezio Mauro ha vivamente approvato – “la democrazia del dovere”. Io dubito, ma in quella frase è implicita, con il peso schiacciante che le viene dal vincolo con uno Stato e il suo passato, la responsabilità personale cui alludo, e che riguarda la sopravvivenza di Israele. Oggi qualche vecchia canaglia e molti giovani senza memoria mostrano di non aver più bisogno di mascherare sotto il nome di antisionismo il loro antisemitismo, e forse anche dire questo è troppo, rispetto all’insofferenza che esibiscono al nome di ebreo. Della Shoah, quando credono di sapere che cos’è, la considerano usurpata e la dichiarano prescritta. A Odessa, a Sderot, a Gaza, forse siamo davvero sull’orlo di un precipizio che appena due o tre anni fa non sapevamo nemmeno immaginare. Quando si arriva al punto, bisogna mirare alla salvezza. Chi ha memoria, è un po’ meno libero. Aveva un passato mirabile Willy Brandt, e non era libero, e perciò si inginocchiò davanti al monumento alla rivolta del ghetto a Varsavia nel 1970. Ciò cui può appigliarsi chi è fuori e non veda una luce è l’immedesimazione: che cosa farei se fossi ad Ashkelon, che cosa se fossi a Gaza. Non saprei che fare, probabilmente, e allora che cosa pregherei che succedesse, o che non succedesse. Per che cosa sto pregando.
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canesenzafissadimora · 9 months
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È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile assumono improvvisamente un altro senso...
Vi faccio degli esempi.
Un cortigiano: un uomo che vive a corte; Una cortigiana: una mignotta.
Un massaggiatore: un cinesiterapista; Una massaggiatrice: una mignotta.
Un uomo di strada: un uomo del popolo; Una donna di strada: una mignotta.
Un uomo disponibile: un uomo gentile e premuroso; Una donna disponibile: una mignotta.
Un uomo allegro: un buontempone; Una donna allegra: una mignotta.
Un gatto morto: un felino deceduto; una gatta morta, una mignotta.
Non voglio fare la donna che si lamenta e che recrimina, però anche nel lessico noi donne un po’ discriminate lo siamo.
Quel filino di discriminazione la avverto, magari sono io, ma lo avverto. Per fortuna sono soltanto parole. Se davvero le parole fossero la traduzione dei pensieri, un giorno potremmo sentire affermazioni che hanno dell'incredibile, frasi offensive e senza senso come queste. "Brava, sei una donna con le palle", "Chissà che ha fatto quella per lavorare", "Anche lei però, se va in giro vestita così", "Dovresti essere contenta che ti guardano", "Lascia stare sono cose da maschi", "Te la sei cercata".
Per fortuna sono soltanto parole ed è un sollievo sapere che tutto questo finora da noi non è mai accaduto.
Paola Cortellesi
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mi sento come un libro, gettato così in un mondo di analfabeti
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vintagebiker43 · 6 months
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ELLY SCHLEIN, E DINTORNI
I miei due centesimi sul linguaggio di Elly Schlein.
Ho recuperato in questi giorni alcune sue interviste, e ho letto le critiche che le sono state rivolte.
Ecco, vorrei dire che a me piace e la vorrei ancora più alta, complicata, poetica. Scabrosa. Io non vorrei mai qualcuno che mi trattasse da cretino, con frasi ridotte, corte, facilitate, ammiccanti. E anche se in questo momento la maggioranza degli italiani ha votato come una massa di cretini, non è detto che lo siano. Anzi: penso esattamente l'opposto. Io ho fiducia nelle persone, e credo che un linguaggio becero, banalizzato, fatto di slogan, abbia semplicemente fregato (ancora una volta) la maggioranza degli italiani.
Parlare a tutti non significa fare sconti al linguaggio.
Vorrei leader di partito capaci di parlare al cervello, anche se farlo alla pancia è più veloce. Leader di partito capaci di insegnare parole nuove, che non parlino come l'ultimo avventore ubriaco. Obbligatemi ad ascoltare nomi che non conoscevo, pensatori, musicisti, poeti. Approfondite la vita, disegnatela nei tratti malagevoli e ponete sogni grandi. Ogni slogan al microfono è una coltellata alla democrazia.
Penso sia lo stesso motivo per cui il mio grande amore è stato Fausto Bertinotti, e qualche anno dopo Nichi Vendola.
Trattate le persone da giganti e avrete delle persone che si comportano da giganti. Trattateli da cretini e avrete degli elettori di Giorgia Meloni, perché gli originali funzionano sempre meglio.
Fine dei miei due centesimi.
@SaverioTommasi
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