Tumgik
#scomparso au
melancomine · 2 years
Text
Tumblr media
CHOCOLATE | steve harrington x eddie munson
trama: il ricercato eddie munson, dopo essere stato giudicato responsabile della morte di chrissy cunningham, è scappato da hawkins e vive la vita da criminale vagabondando sul suo camper per lo stato. l'incontro inaspettato con steve harrington li porterà a vivere insieme una spericolata notte.
pairing: eddie munson x steve harrington
word count: 9,3k
avvertenze: slow burn, angst (ansia, rabbia, angoscia, paura), armi, fluff, smut, preliminari, linguaggio, au post s4, 1988
masterlist | wattpad
chocolate
La testa di Eddie Munson oscillava sulla cadenza di The Trooper, sdraiato sul letto del suo camper con le gambe incrociate e i talloni sul vetro della finestra, le scarpe ancora addosso. Le cuffie collegate al walkman che conservava nella tasca dei jeans gli permettevano di abbandonare la Terra e viaggiare in un mondo tutto suo insieme agli Iron Maiden. Faceva cadere la cenere dalla sigaretta picchiettando l’indice sul filtro, provando a centrare il posacenere appoggiato sul materasso di fianco a lui, ma inesorabilmente lo mancava, sporcando le lenzuola di grigio. L’altra mano impegnata a tamburellare a ritmo sul suo addome nudo, gli occhi chiusi. Lattine di birra sul pavimento e cartacce di Snickers sul tavolino.
Da quando Chrissy Cunningham era morta misteriosamente nel caravan in cui viveva con lo zio Wayne e da quando era stato giudicato responsabile del tragico quanto brutale evento, la nuova casa di Eddie era la strada. Nessuno gli avrebbe mai creduto, era una storia troppo assurda da raccontare. Nemmeno lui era sicuro di ciò che aveva assistito. Le ossa di quella ragazza si erano rotte una dopo l’altra e i piedi si erano sollevati da terra come per magia. Pensava di star sognando o di essere diventato pazzo, per cui scappò, consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto spiegare cosa era successo e risultare attendibile. Gli avrebbero attribuito la colpa e sbattuto in prigione, senza potersi difendere in alcun modo in quanto la sua brutta reputazione e i pregiudizi della piccola e chiusa di mente Hawkins lo avrebbero anticipato. Il nome di Munson era maledetto da generazioni e lui era destinato a continuare la tradizione, prima o poi. Era solo.
Erano due anni che girava per il paese con un solo scopo: fuggire. La vita da ricercato non era affatto facile, rubare per vivere e cambiare nome e città ogni settimana. Il suo nuovo appellativo Eddie il criminale Munson lo convinse a proseguire come tale e ad adattarsi. Anche la sua nuova dimora era frutto di un furto. Suo padre gli aveva insegnato come far partire un’auto collegando i fili quando era piccolo, poi era scomparso senza mai più farsi rivedere. Le conoscenze giuste gli procurarono una targa nuova e bastò una riverniciata alla carrozzeria per battezzare il camper suo. 
Dopo essere stato nella colorata e gioiosa New Orleans, ora si trovava a Lafayette, decisamente più tranquilla. Il sole stava per tramontare, l’aria era tiepida e a Eddie venne un certo languirono. Nel camper c’erano solo barrette di cioccolato, latte e birre nel frigo e fagioli in barattolo. Ciò che gli fece sfilare le cuffie dalle orecchie e mettersi una maglietta dei Metallica – trovata per terra e molto probabilmente macchiata – fu il pacchetto vuoto di sigarette. Per cui sospirò e si alzò dal letto, abbandonando gli Iron Maiden e il comodo cuscino su cui era appoggiato, e dopo aver intascato le chiavi del camper uscì alla ricerca di un posto dove viziarsi e riempirsi la pancia.
L’insegna luminosa di una tavola calda attirò la sua attenzione. Afferrò la maniglia e la tirò verso di sé aprendo la porta. Non fece in tempo ad entrare completamente che una graziosa ragazza dai capelli biondi raccolti in due trecce lo accolse con un sorriso smagliante. ”Prego, da questa parte.” Lo accompagnò a un tavolo libero. Il locale era un classico ristorante anni cinquanta, pavimento a scacchi e poltrone morbidissime ai tavoli. 
Eddie ricambiò amichevolmente il sorriso, ”Grazie.” Disse mentre si sedeva. 
La cameriera indossava un grembiule bianco sopra alla divisa rosa, smalto trasparente sulle unghie e occhi scuri. ”Cosa posso portarti?”
Anche se non serviva, Eddie diede un’occhiata veloce al menù come da abitudine. Sapeva già cosa ordinare, ”La più grande vaschetta di patatine fritte che avete, un milkshake alla fragola e dei waffle. Tanta panna montata, grazie.” Il ragazzo chiuse la carta e rivolse un’occhiolino alla bionda, fece cadere lo sguardo sulle sue cosce coperte da un paio di collant bianchi e giurò di averla vista arrossire. Un sorriso furbo e carismatico mise in mostra le fossette sulle guance. Sapeva benissimo cosa stava facendo e il potere che aveva in mano.
Wendy – così diceva la targhetta sul grembiule – scrisse tutto sul taccuino e con il viso dello stesso colore della sua divisa se ne andò saltellando. Tornò con la sua ordinazione e con le ciglia più lunghe e nere di prima, pronte a sfarfallare. ”Patatine, waffle e il milkshake. Questo, invece, è da parte mia. Non ho nulla da fare, stasera.” Gli passò un tovagliolo che Eddie accettò sfiorandole la mano di proposito. Su di esso il suo numero di telefono.
Ora solo, Eddie si riempì la bocca di cibo. La pasta al formaggio in scatola era insignificante al confronto con la bontà del fast food. 
”Prego, da questa parte.” Il copione di Wendy era lo stesso con ogni cliente che entrava alla tavola calda.
”Oh, no, grazie. Credo che prenderò un hamburger da portare via. Aspetto al bancone.” Rispose la nuova persona. Era così familiare. Ma dove…
Eddie alzò lo sguardo per vedere chi avesse parlato e risolvere il suo dubbio. Conosceva già quella voce. Ma chi…
Steve Harrington.
La sua arrogante faccia era esattamente come Eddie se la ricordava. Indossava una t-shirt bianca infilata nei jeans a vita alta chiari, le maniche arrotolate, scarpe da ginnastica ai piedi e gli occhiali da sole sulla testa tra i capelli color nocciola, che lasciati crescere gli sfioravano le spalle, mossi. Il solito belloccio ma con una novità. Attorno al collo un evidente segno più scuro, una cicatrice. Nascondeva una storia tanto profonda quanto lo era la ferita. 
Il cibo gli andò di traversò e quasi si strozzò. Un colpo di tosse attirò l’attenzione del ragazzo appena entrato il quale, una volta essersi girato per vedere da dove provenisse, assunse la stessa espressione di Eddie: gli occhi spalancati e le sopracciglia corrugate. ”Ma che cazzo?” Sussurrò Steve mentre si dirigeva verso di lui. Prese posto sulla poltrona dall’altra parte del tavolo. ”Munson?!”
Eddie ingoiò il boccone che quasi lo uccise. ”Cosa cazzo ci fai in Louisiana?!” Esclamò. L’ultima cosa che voleva era che qualcuno sapesse dove si trovava. Certo, il giorno dopo non sarebbe stato nello stesso posto, ma era ugualmente preoccupato. Non uno qualunque, ma Steve Harrington, il ragazzo dalla piega sempre perfetta, dagli ottimi voti a scuola, una coda di ragazze con la bava alla bocca sempre dietro. Non l’aveva mai sopportato. Guardato sempre da lontano, dal tavolo degli sfigati, mentre lui, il preferito di tutti, in cima al suo personale piedistallo. Re Steve. Per nessun motivo al mondo sarebbe tornato in quell’inferno di Hawkins.
Steve, sbalordito, agitava le mani per trovare qualcosa da dire. ”Io– Ma che– Tu! Cosa cazzo ci fai tu in Louisiana?” Inciampò sulle sue stesse parole per quanto fosse incredulo.
Il sangue di Eddie ribolliva nelle vene. Doveva andarsene da lì al più presto e cambiare stato prima che quella bocca larga di Steve potesse spifferare in giro la sua posizione. ”Non sono affari tuoi, Harrington. Ti saluto.” Si pulì la bocca con il tovagliolo donatogli da Wendy e lo sbatté sul tavolo con prepotenza, poi si alzò spingendo in avanti il tavolo e camminò in direzione dell’uscita. Ovviamente, senza pagare.
”Wuoh wuoh wuoh–” Provò a fermarlo Steve, ma essendo bloccato dal tavolo ci mise qualche istante in più ed Eddie era già sparito. Steve conseguentemente uscì di corsa e girò ogni angolo del locale. Lo trovò e lo affiancò. ”Eddie! Eddie, per favore, aspetta!”
”Non seguirmi, sto cercando di evitarti.” Eddie aveva le mani in tasca e le spalle alte, lo sguardo dritto davanti a lui come se l’altro ragazzo non gli stesse dietro. Aumentò la velocità dei suoi passi.
”Non puoi andartene così! Tu– tu non hai pagato?” L’espressione sul suo volto diventò se possibile più perplessa di prima. Le sopracciglia arcuate e le mani che non riuscivano a stare ferme. La frase non doveva finire in quel modo ma si accorse che effettivamente Eddie era fuggito dal ristorante senza lasciare traccia come un fantasma. Manteneva il suo passo veloce mentre il cielo si stava oscurando e il sole scendendo. 
”Il ragazzo ha occhio.” Eddie rise ironicamente per prenderlo in giro.
Mentre Steve non guardava neanche dove metteva i piedi per poter scorgere il viso nascosto dai ricci del ragazzo che stava provando a seminarlo, Eddie non voleva e non riusciva a ricambiare lo sguardo. Ignorare la sua presenza sembrava la scelta migliore.
”Ma non puoi!” 
”Benvenuto nel mio mondo.” Eddie tirò fuori dalle tasche le mani per alzarle al cielo. 
”Ascolta, dobbiamo parlare di un sacco di cose.” Steve lo pregò con il linguaggio del corpo e abbassò il tono di voce per rendersi più comprensibile e meno accattivante. Mantenere la calma, agire lentamente e senza fare movimenti bruschi. Forse l’orso non attaccherà in questo modo.
Non rispose.
”Eddie.” Riprovò Steve. ”Devi sapere che Chrissy–”
A Eddie venne un brivido lungo la schiena. I suoi muscoli completamente rigidi ma ciò non cambiò le cose, non interruppe la camminata. I pugni stretti talmente tanto da far diventare la pelle bianca, la mandibola serrata. ”Non sai un bel niente! Non starò qui a farmi dare dell’assassino da Steve bei capelli Harrington. Levati dalle palle e lasciami in pace!” Erano arrivati al camper. Lasciando Steve alla sprovvista, lo afferrò per il colletto della t-shirt e lo portò all’altezza del suo naso, stringendo il materiale della maglietta tra le dita con una forza tale da farlo alzare sulle punte dei piedi. Dalla gola del ragazzo sottomesso fuoriuscì un suono acuto, dovuto più alla sorpresa che alla paura. I loro volti vicini, gli occhi di Eddie iniettati di rabbia. Fece un profondo respiro per calmarsi e lo lasciò andare. Salì i due gradini che gli servivano per entrare nell’abitazione e prima di chiudersi dentro disse come ultimo avvertimento ”Dimenticami e se ne fai parola con gli sbirri, finisce male.” La facciata del cattivo ragazzo come meccanismo di difesa. 
Aver riportato quel nome a galla gli fece inondare gli occhi di lacrime, le quali scesero rapide lungo le gote, Eddie le raccolse veloce allo stesso modo con l’indice. Il respiro irregolare usciva dalle labbra arrossate come piccoli affanni che provava a trattenere. Si trascinò al suolo e appoggiò la schiena alla cucina. Non avrebbe saputo gestire un altro attacco di panico, per cui si tirò una ciocca di capelli e lasciò andare un tremendo e agonizzante verso che gli bruciò la gola. Lottò con tutte le sue forze per superare la cosa, ma il trauma lo mangiava da dentro e gli occhi bianchi di Chrissy lo tormentavano in sogno. Quel sangue, il rumore della morte. Non poter far nulla per impedire che avvenisse.
Steve si ritrovò con il vento della porta che gli venne sbattuta in faccia a muovergli i capelli. Portò le mani sui fianchi e il peso del corpo su una sola gamba. Sospirò rumorosamente e guardò in basso. ”Io ti credo.”
Silenzio. Le parole di Steve raggiunsero le orecchie di Eddie fievoli ma potenti come un treno che deraglia a tutta velocità. Aprì gli occhi e abbassò le sopracciglia in confusione. Non capì immediatamente cosa volesse dire con quella frase, ma di sicuro sapeva qualcosa. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla porta.
”Ti credo, Eddie. Ho bisogno di parlarti e dirti cos’è successo. Chrissy non è la sola e non sei stato tu.” Continuò il ragazzo con i jeans chiari.
Con l’ultima frase convinse Eddie ad aprire la porta, non completamente. Lasciò quello spiraglio di qualche centimetro che gli permise di mettere il muso fuori e poterlo finalmente guardare negli occhi. Ora che le acque incominciavano a calmarsi, Eddie riuscì a studiarlo meglio. La preoccupazione era reale sul volto di Steve. Non era lì per giudicarlo. ”Cosa?”
”Abbiamo cercato di contattarti in tutti i modi, sei sparito. Noi– abbiamo visto delle cose e devi starmi a sentire, può sembrare pazzesco ma dammi una chance. Possiamo…?” Steve si interruppe da solo per lasciargli intendere che voleva che lo raggiungesse fuori per ragionare.
Eddie allora aprì del tutto la porta. Il sole era totalmente sparito lasciando il suo compito ad un solo lampione sulla strada. Luce debole e gialla sulle loro figure. Solo allora si rese conto dell’importante cicatrice che gli circondava il collo. Annuì e uscì dal camper, scendendo i gradini e raggiungendolo. Gli fece cenno di seguirlo e Steve si trovò ancora una volta al suo fianco, stando al suo passo fino a scoprire dove lo stava portando. 
Un desolato parco a qualche metro da dove era parcheggiato il camper, il luogo perfetto per stare soli e indisturbati. Anche qui, ad illuminarli soltanto un lampione. Alcune cicale ingaggiate per donare una colonna sonora alla serata. Eddie andò a sedersi sullo schienale di una panchina, i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena ricurva e lo sguardo basso. Gli anelli che portava alle dita venivano usati al posto di un anti-stress, facendoli girare, sfilandoli e infilandoli ripetutamente, tracciandone i contorni. Steve si accomodò sull’altalena dinnanzi alla panchina, i piedi toccavano terra e lo facevano dondolare leggermente sulla giostra, una mano attorno alla catena.
”Non posso tornare. Anche se la polizia non può incastrarmi, la gente continuerà per sempre a puntarmi il dito contro. Sono marchiato.” Disse Eddie coprendosi il volto con le mani.
Steve gli raccontò per filo e per segno cosa lui e la sua squadra dovettero passare. Gli omicidi erano frutto di eventi paranormali collegati con una dimensione parallela a quella attuale, oscura e popolata da creature malvagie. Per quanto potesse sembrare la trama di un film fantasy, Eddie credette ad ogni parola. Steve, Robin Buckley e Nancy Wheeler rischiarono la vita affrontando la forza oscura che avevano soprannominato Vecna e la cicatrice attorno al collo di Harrington assunse significato. 
”E come sta Dustin?” Domandò Eddie. 
Steve sorrise. ”Se la cava, il piccoletto. Mi manca, da quando ho lasciato Hawkins ci sentiamo raramente. Siamo tutti un po’ scossi e ci siamo persi di vista.” Eddie lo guardò con aria interrogativa, per cui continuò ”Sono a Lafayette da ormai un anno.” Dopo quegli eventi traumatici, per tutti i ragazzi farsi una nuova vita fu la scelta migliore.
”La Louisiana mi piace, ma non ci resterò a lungo.” Eddie si infilò una mano in tasca per cercare il pacchetto di sigarette che si era fermato a prendere prima di arrivare al parco. Lo sfilò dall’involucro di plastica che lo circondava e con esso ci fece una piccola pallina che lanciò nel pattume più vicino. Quelle carnose labbra ora erano assottigliate per non permettere alla sigaretta di cadere. Le sopracciglia aggrottate mentre l’accendeva con la fiamma del suo fidato accendino Zippo. Aiutandosi con le mani sopra le ginocchia, si alzò, i piedi ancora sopra la panchina. Con un salto raggiunse il suolo e iniziò a vagare. ”Il Canada è il mio obiettivo. Non scapperò più, è tempo di cambiare. Lì sarò totalmente una persona nuova e il cognome di mio padre non mi perseguiterà più.”
Steve seguiva i movimenti di Eddie rimanendo seduto sull’altalena. Si tolse gli occhiali da sole che portava sulla testa e li fermò al colletto della sua t-shirt con una delle asticelle, ”Anche io credevo alle voci che giravano, Eddie lo svitato Munson.”
Il tiro che Munson fece fu più lungo degli altri. I polmoni pieni di fumo, svuotati poi grazie a un sospiro deluso. Nascose il dolore con un sorriso ironico. ”Ti ringrazio, Harrington.”
Steve portò le mani in avanti, ”Parlando con Dustin e Mike mi sono reso conto che mi sbagliavo. Non ti conoscevo.”
”Sai, questa non è la prima volta che ci vediamo.”
”Davvero?”
Il cuore del metallaro saltò un battito. Non ricordava. ”La festa che desti per la fine del primo anno scolastico, a casa tua. Forse non mi hai riconosciuto, avevo i capelli rasati ed ero venuto da solo.” Eddie ammirava Steve. Così popolare, così desiderato. Lo aveva invitato di persona e lui ne era entusiasta, finalmente non veniva escluso come al solito. Era arrivato in anticipo, prima di tutti quanti. Aveva trovato il proprietario di casa a bordo piscina, accomodato su una sdraio con una sigaretta tra i denti. Eddie si sedette di fianco a lui, Steve gli offrì la sua metà di sigaretta e parlarono come se si conoscessero da una vita. In quel momento, il ragazzo dai capelli allora rasati sorrideva realmente e non aveva avuto bisogno di nessuno scudo dietro cui proteggersi, pronto ad un attacco improvviso come quelli che riceveva dai bulli. Con Steve si sentiva al sicuro. Ma una volta arrivato il resto degli ospiti, era di nuovo invisibile. A quel party Steve Harrington era il re, protagonista di ogni cosa. Mentre Eddie, lui rimaneva appoggiato ad un muro a fumare, a viversi la festa da spettatore e non da partecipante, lo sguardo triste. Era doloroso per lui non poter esprimere ciò che provava e dopo l’arrivo di Nancy Wheeler, la cosa era diventata ancora più difficile. Con il passare degli anni, il sentimento che nutriva nei confronti di Steve diventava sempre più forte, ma non volendolo accettare, si tramutò in invidia. Sapeva che non sarebbe mai arrivato al suo livello e peggio, sapeva che non sarebbe mai diventato suo. ”Tranquillo, anche io mi dimenticherei.” 
I primi anni della Hawkins High, Steve era un vero stronzo. E lo riconosceva, riconosceva di aver fatto soffrire molte persone. Talmente tante, da non ricordane più il volto di ognuna. Eddie era una di queste. L’avvicinamento con Dustin Henderson e i suoi amici e al mondo del Sottosopra l’avevano cambiato. Rischiare la pelle in queste avventure gli aprì gli occhi su cosa era davvero importante nella vita e non era avere un bel faccino e farsi desiderare da tutti.
Steve si passò una mano tra i capelli, sistemandoli all’indietro. Un ciuffo gli cadde sulla fronte come lo sguardo in basso. ”Mi spiace.”
Eddie, lontano di qualche passo e che prima di allora gli dava la schiena, si girò all’improvviso, sollevando soltanto un angolo della bocca in un sorrisetto. Con due lunghe e veloci falcate raggiunse il ragazzo seduto sull’altalena. Con entrambe le mani afferrò le catene in prossimità della sua testa e si chinò per poterlo guardare dritto negli occhi. L’improvvisa mossa fece scuotere Steve sul posto. I loro volti erano vicinissimi. Il sorriso a bocca aperta di Eddie si ampliò, mostrando i denti, il suo intero viso impegnato a ridere, le piccole rughe intorno agli occhi e le fossette sulle guance. ”Ti stai rammollendo, Harrington? ”
I suoi caldi occhi ammaliarono Steve, tanto da poterli sentire bruciare sulla pelle. Non si accorse che il respiro gli divenne affannoso, le labbra separate e leggermente bagnate. Deglutì e quando si accorse che lo stava fissando per troppo tempo, gli diede una spinta sul petto per allontanarlo. Eddie si fece indietro con un ghigno sul volto. ”Chiudi quel becco e levati, non è vero. Ho fame.”
Il mozzicone finito della sigaretta di Eddie venne lanciato via, poi incominciò a camminare. L’altalena rallentò fino a fermarsi, Eddie era lontano abbastanza da non sentirne più l’odore. Si arrestò, si girò per guardare Steve oltre la curva della sua spalla e ”Andiamo?” gli fece un cenno con la testa.
Tornarono al camper, Eddie prese le chiavi che teneva in tasca ed aprì la porta. Entrò per primo e allargò le braccia per donargli un’accogliente benvenuto nel piccolo e ristretto spazio del camper. ”Posso offrirti cioccolatini e… Credo sia tutto.” Frugò con le mani tra gli involucri vuoti di merendine sul tavolo, guardò nella credenza sopra i fornelli, nel frigo.
Al suolo vestiti usati, il letto, alla fine dell’abitacolo, sfatto, le lenzuola in disordine, il posacenere vicino al cuscino. Un giradischi su un bancone della cucina, una chitarra classica e una elettrica appese alla parete e l’amplificatore ai piedi del materasso. Dei poster facevano da tappezzeria e visto che lo spazio scarseggiava, erano fissati uno sopra l’altro con dei pezzi di nastro adesivo, rendendo l’ambiente ancora più stretto e scuro. Su una delle due poltrone cinque carte d’identità, tutte con la stessa foto ma con nomi differenti. Scompiglio, confusione, niente era al proprio posto, rappresentava in pieno la persona di Eddie Munson, un disastro totale. Steve si guardò intorno. Per qualche ragione, non si sentiva affatto intimorito dal cupo e per niente ordinato locale. Anzi, si sentì a suo agio e appoggiò il fondoschiena sul tavolino al centro, mettendosi comodo, i palmi delle mani appoggiate ai suoi lati. Forse, non potendone più della perfetta, severa e immacolata famiglia Harrington, trovò conforto nel caos. E forse, Eddie era proprio quello di cui aveva bisogno. Uscire dagli schemi, una spinta verso il fanculo tutto. Ciò che stonava dentro quella casa, era il profumo. Un forte e piacevole odore di cioccolato.
”Sto pensando a quel succoso hamburger che mi sono perso per inseguirti.” Disse Steve con la mente altrove.
”Non hai saputo resistermi, dolcezza.” Eddie ridacchiò mentre si dirigeva al piccolo scomparto di un mobile che usava come armadio. Tirò fuori una giacca di jeans a cui aveva tagliato le maniche e la indossò. Un gilet completamente personalizzato. Aveva ritagliato la stampa di una t-shirt rappresentante l’album The Last In Line della band Dio e cucita sul retro. Sul taschino e vicino al colletto spille di altre band Metal. Le estremità sfilacciate e consumate per quanto fosse stata indossata e amata. ”Ma se vuoi, ho qualcos’altro di succoso, qui.”
”Cosa?”
”Me.” 
Gli occhi di Steve si alzarono al cielo. ”Quella bocca non fa altro che sparare stronzate?”
Il metallaro si avvicinò, Steve si irrigidì sul posto. Le sue iridi erano calme, ”Davvero vuoi sapere cos’altro è capace di fare?” la sua voce morbida e di una tonalità più bassa.
”Okay, basta, stai esagerando.” Le sue mani gesticolavano sapendo benissimo esternare ciò che provava: erano sempre state più espressive di lui. Le sopracciglia alzate, non riusciva a guardarlo.
”Avanti, Harrington, non arrossire.”
”Non sto arrossendo!” 
La tensione tra i due era palpabile. Eddie lo sapeva, la sentiva, gli piaceva. Facendosi sempre più vicino, il corpo di Steve reagiva come un magnete con il suo stesso polo, si allontanava, la sua schiena si inarcava all’indietro, reggendosi al tavolino coi pugni. ”Tranquilla, principessa, devo solo aprire la finestra.” E ciò fece, allungò un braccio per raggiungere il finestrino dietro di lui e abbassarlo di qualche centimetro. 
Raggiunto il letto, Eddie si sedette sul bordo. Estrasse una sigaretta dal pacchetto ormai non più nuovo e la portò tra le labbra. Una volta accesa, si buttò con la schiena sul materasso. I lunghi capelli castano scuro si sparsero sulla superficie come una ruota, la frangetta gli cadeva ai lati della fronte. Lo sguardo di Steve vagava sulla sua figura. Le scarpe da ginnastica Reebok, la linguetta e le suole consumate, una aveva le stringhe slacciate, erano bianche ma sporche abbastanza da dire al mondo che non gli importava. I jeans neri avevano degli strappi su entrambe le ginocchia e uno sulla coscia destra, sotto la tasca. Ad unire due passanti era una catena color argento, essa fece notare a Steve il dettaglio della fibbia della sua cintura, un paio di manette. La t-shirt dei Metallica si era leggermente alzata con il precedente movimento, mettendo in vista il suo addome e il suo ombelico contornato da una striscia di peli scura che scendeva fino all’inizio dei pantaloni, nascondendosi al di sotto.
Steve si ritrovò i palmi delle mani sudati. Che stava succedendo? Non avrebbe dovuto sentirsi in quel modo. Insomma, Eddie è un ragazzo.
”Steve, la sessualità è un concetto troppo astratto per avere etichette. Può piacerti davvero chi cazzo di pare.” Le parole di Robin Buckley, la sua migliore amica, gli rimbombarono in testa quasi come se lei fosse lì, in quel momento, ad osservare la situazione.
Il viso di Eddie era rivolto verso il soffitto e l’atleta riusciva a scorgere soltanto la sua mandibola, tesa e spigolosa, che si muoveva ogni volta che aspirava un tiro dalla sigaretta. La mano destra vicino alla bocca, così carnosa e rossa, tra le dita il filtro color arancione pallido delle Marlboro, al polso una catenina molto simile a quella dei pantaloni, usata come braccialetto, e un elastico nero per capelli. All’interno dell’avambraccio un tatuaggio di una marionetta appesa a quella che sembrava la mano di un demone. Vicino al gomito, un altro disegno. Delle sagome di pipistrelli. La cicatrice intorno al collo di Steve pulsò, provocandogli dolore. Ci passò una mano sopra per attenuarlo e provare a non pensare a ciò che Vecna e il suo esercito di mostri, molto simili appunto a pipistrelli, gli avevano fatto.
Gli anelli che portava su ogni dito della mano sinistra erano enormi, dalle forme differenti, scintillanti e rumorosi, come Eddie, che si poteva riconoscere soltanto dal suono dei suoi passi, ancor prima che potesse aprir bocca.
Il ricordo di Eddie seduto sulla sdraio di fianco alla sua a bordo piscina lo investì in pieno. Ma certamente, i capelli rasati, lo sguardo perso. La sigaretta condivisa, le risate. ”Perché mi odi?” Gli domandò, completamente fuori contesto ma le parole uscirono bisognose di essere ascoltate dalla sua gola.
Eddie non rispose subito e nemmeno gli rivolse lo sguardo. ”Non ti odio. Non l’ho mai fatto, in realtà.” Il fumo emerse attraverso i suoi denti e si trasformò in una nuvoletta che fluttuò per qualche secondo sulla sua testa prima di sparire del tutto. ”Mi hai solo fatto un po’ male ignorandomi a quella festa, dimostrando ancora una volta agli emarginati come me che il loro posto non è affatto in un ambiente simile. Ho trovato Henderson, Wheeler e Sinclair e li ho accolti come avrei voluto che qualcuno avesse fatto con me. Poi Dustin continuava a parlarmi di te ed io mi sono ingelosito ancora di più.” 
Steve si ricompose e tornò con la schiena dritta, si allontanò dal tavolino per esplorare il camper. Eddie avvertì i suoi movimenti così si alzò e si resse coi gomiti al letto, studiando cosa volesse fare. Notò i documenti sul sedile del passeggero e li prese, impilandoli uno sull’altro. Con una mano ne portò uno in alto per avvicinarlo alla luce e alla vista. ”William Brown. Nato nel 1948. Li porti bene i tuoi quaranta anni, Bill.” Lesse il primo documento, poi lo portò in fondo al mucchietto. ”Michael– Michael Myers? Sul serio?”
Una fragorosa risata lasciò il corpo di Eddie, si coprì gli occhi con una mano, asciugando ironicamente delle lacrime immaginarie che dovevano dimostrare quanto fosse esilarante la cosa. ”Avevo una sola possibilità di scelta, come potevo farmela sfuggire?”
Harrington sospirò, poi scosse la testa in disapprovazione, sfogliando le altre tessere. ”Hai idea di quanto pericoloso sia viaggiare con documenti falsi? Non puoi farlo.”
”Datti una calmata, Stacy.”
”Come mi hai–”
”Non mi serve il grillo parlante che mi dica cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.” Lo interruppe Eddie, continuando a ridere. ”Steeeve Harrington.” Allungò il suo nome in un suono stridulo e fastidioso. ”Devi lasciarti un po’ andare. Mammina e papino ti hanno tenuto per troppo tempo dentro una palla di cristallo.”
La provocazione di Eddie stava funzionando. Steve avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ribellarsi ai suoi genitori che, nonostante si fosse trasferito a mille chilometri di distanza, continuavano a tormentarlo. ”Guarda che io posso fare quello che voglio, quando voglio.”
Eddie si sollevò e lo raggiunse, ondeggiando le spalle lentamente ogni volta che faceva un passo. Un sorriso malizioso. ”Io ricordo che Steve Harrington, al secondo anno, organizzò una festa nella palestra della scuola senza che il preside o la polizia sapesse nulla, perché sì, ricordo che c’era tanto alcol ma che nessuno dei presenti aveva l’età giusta per bere. Invece, lo Steve Harrington che mi trovo davanti, sembra una fichetta che ha paura di rimanere in compagnia del brutto, spaventoso e ricercato Eddie Munson, e si preoccupa di cosa possa pensare di lui.”
”Io– Io–” provò a difendersi Steve, ma venne interrotto da Eddie che, con entrambe le mani appoggiate alle sue spalle, gli diede una spinta. Steve barcollò all’indietro e cadde sulla poltrona del tavolino. Il fumo della Marlboro gli accarezzò il viso e gli fece socchiudere gli occhi. La presenza di Eddie si palesò dietro questa nuvoletta. Lo mise alle strette, una mano appoggiata allo schienale della poltrona, l’altra sul tavolino. Steve non aveva via di fuga.
”Io, io.” Lo canzonò Eddie. ”Steve Harrington aveva fatto a botte con Jonathan Byers per una ragazza. Due volte.” Alzò la voce. ”Colpiscimi.” 
”Cosa? No.” Scuoteva la testa, due rughe sulla fronte davano prova alla sua perplessità. 
”Colpiscimi!” Il tono di voce di Eddie era diventato più alto, roco e intimidatorio. Si picchiò il palmo della mano sul petto che risuonò come un tamburo.
Steve reagì e si scansò di dosso il metallaro, alzandosi in piedi. ”No!”
Una risata beffarda fece eco nel camper e accompagnata dal chiaro di luna di mezzanotte rese l’atmosfera inquietante. Eddie alzò le mani al cielo in segno di resa. Spense la sigaretta nel lavandino, tss. ”Credo che tocchi a me ricordare a Steve Harrington come ci si diverte.”
Steve incrociò le braccia, pronto per ascoltare le malsane idee che il ragazzo con il mullet aveva per la mente. ”Cosa intendi?”
Eddie giunse, ancora, al suo armadio. Abbandonava per terra gli indumenti che non gli interessavano per cercare una specifica cosa. Trovò una felpa nera con disegni astratti creati con la candeggina, la stese per vederla meglio e sorrise. Dei piccoli buchi nella parte inferiore, sulla e nelle vicinanze della tasca, dovuti alla cenere ancora calda caduta dalla distrazione di Eddie e dalla sua capacità di ciccarsi sempre addosso e mancare l’apposito contenitore. ”Tieni questa.”
La felpa col cappuccio e senza zip si schiantò sul corpo di Steve dopo che Eddie ne fece una palla da scagliargli contro. ”Perché–”
”Mettila!” Lo incoraggiò Eddie, ritornando con la testa dentro lo scomparto del mobile. Steve obbedì. ”Okay, quale preferisci?” In una mano, una bandana rossa, nell’altra una nera con dei teschi bianchi stampati. Le sfoggiava come un mago avrebbe fatto con un coniglio appena estratto dal cilindro.
Il ragazzo con la felpa indicò quella rossa e anch’essa nella stessa maniera della felpa, venne appallottolata e lanciata. Questa volta riuscì a catturarla prima che potesse urtare il suo corpo. ”Cosa ci devo–”
”Serviranno dopo.” Gli accennò, interrompendolo di nuovo e senza dargli altre spiegazioni. Successivamente, lo superò per arrivare ai cassetti della cucina. Aprì il primo dall’alto e un rumore metallico investì le orecchie di Steve. Una revolver Colt Cobra calibro 38 Special, il manico color legno, la canna corta. A farle compagnia una scintillante e classica Colt 1911 nera. Afferrò quest’ultima e la passò a Steve, che però non accettò.
”Wuoh! Cosa vuoi fare, Munson?”
Eddie la fece oscillare con un dito nella guardia del grilletto. ”Tranquillo, è finta.”
Lo sguardo di Steve cadde nel cassetto per controllare l’altra pistola. ”E quella? Quella mi sembra abbastanza vera.”
”Scarica.” Disse, rassicurandolo con un sorriso. Steve esitò e prima di prendere la 1911 diede un’ultima occhiata all’altro ragazzo che intanto si era infilato la 38 nella cintura. Egli fece la stessa cosa. ”Fammi vedere che sei ancora un duro, Harrington.”
”Dove stiamo andando?” Eddie stava guidando da un quarto d’ora e Steve incominciava a sudare. Guardò fuori dal finestrino dal sedile passeggero su cui era seduto. Non c’era niente, a parte la strada. Nemmeno un lampione, non una sola macchina. Un lungo, dritto e buio tragitto. Poi, Eddie svoltò a destra, in un parcheggio vuoto, facendo muovere entrambe le figure per l’improvviso cambio di rotta. Steve si tenne alla maniglia della portiera.
Eddie spense il motore del camper e scese, portandosi dietro due zaini vuoti, uno color militare e l’altro nero. Quest’ultimo veniva chiaramente usato da Eddie per andare a scuola, fori e sbucciature indicavano quanto fosse stato sballottato in giro, ricolmo di libri pesanti. Sollecitò Steve ad andargli dietro. Buttò gli zaini tra i loro piedi e alzando le braccia, si sistemò i capelli in una crocchia disordinata con l’elastico che portava sempre al polso. Era abituato a fare la stessa azione ogni volta che doveva concentrarsi, quasi scaramanticamente. La frangia e due ciuffi ai lati degli zigomi liberi. Legò la bandana dietro la testa in modo da coprirgli il viso, lasciando visibili soltanto gli occhi. Steve lo imitò. Da lontano scorsero le luci al neon di una stazione di servizio. 
”Hai detto che avevi fame?” Chiese il metallaro indicando con il pollice il negozio e le pompe di benzina dietro di lui. La voce ovattata per il materiale della bandana coi teschi premuto sulla bocca.
”Sì, è così.”
Eddie inclinò la testa da un lato e gli sorrise, ma Steve non potè vederlo, ”I cacciatori si stanno per procurare la cena.”
Steve alzò l’orlo della felpa per esporre la luccicante 1911 tenuta stretta nei pantaloni, ”Con queste?”
”Sei tornato vivo dalla fottuta Mordor, che sarà mai una piccola rapina.”
”…Mordor?”
”Avanti, Harrington. Ci divertiremo.” Eddie si avvicinò all’altro ragazzo e si permise di tirargli su il cappuccio. Sentiva che doveva proteggerlo, nascondendo la sua identità in tutti i modi possibili, mentre lui era arrivato al punto in cui non gli importava più, infatti le sue braccia erano scoperte mettendo in bella vista i suoi caratteristici e riconoscibili tatuaggi.
Afferrarono le borse e si incamminarono con passo deciso e veloce verso la stazione di servizio. Prima di spalancare le porte con un calcio, si diedero un’ultima occhiata. Gli sguardi così differenti, Eddie pieno di conforto e gioia, brividi, emozione, quello di Steve intimorito. Il negozio deserto, l’unica persona presente era l’annoiato cassiere che con la testa appoggiata al palmo leggeva una rivista. Era notte fonda.
Eddie si diresse verso la corsia degli snack, aprì lo zaino e ci fece cadere dentro pacchetti di patatine, barrette di cioccolato e caramelle. Tutto quello che gli passava sotto mano. Con un cenno della testa indirizzò Steve al bancone che, preso il suggerimento, si ritrovò a puntare la pistola contro a un piccolo uomo spaventato quasi quanto lui. L’impugnatura della Colt stretta tra le dita, le nocche arrossate, la pelle pallida e liscia. L’esatto contrario delle mani del metallaro che stringeva la piccola ma comoda 38 Special, i palmi ruvidi, pieni di calli, il pugno graffiato dai colpi che scalfiva sui tronchi degli alberi ogni volta che i brutti pensieri e gli incubi tornavano a galla. I polpastrelli tagliati dalle corde in nichel della sua amata chitarra elettrica, una NJ Warlock personalizzata, la sua bambina.
”Svuota i soldi!” Steve scosse la testa. ”Volevo dire, s-svuota la cassa!” Le braccia un po’ traballanti mentre gli lanciava addosso lo zaino. ”Tieni le mani in alto!”
”Come faccio a prendere i soldi con le mani in alto?!” Gridò l’uomo.
Eddie, che nel frattempo aveva svuotato il frigo dalle birre, corse in soccorso. La pistola puntava dritto alla testa della persona che stava trattenendo una risata, non prendendoli sul serio. ”Lo hai sentito? Tira fuori quei cazzo di soldi!”
”State scherzando?” Domandò, quasi ironicamente, il cassiere. Lentamente abbassò le braccia.
Eddie, però, non glielo permise. Indirizzò la pistola verso il televisore che trasmetteva i filmati delle videocamere di sicurezza e premette il grilletto. Il forte e improvviso rumore dello sparo mischiato al vetro della TV che cadeva in frantumi fece spaventare Steve, che si portò gli avambracci al viso per ripararsi. Il cuore gli batté all’impazzata e per qualche istante ebbe timore che gli potesse rompere lo sterno e uscire dal corpo.”Ti sembra che abbiamo voglia di scherzare, figlio di puttana?!”
”Avevi detto che–” Esclamò Steve, ricordando le parole del metallaro ’Tranquillo, è finta’ e ’Scarica’. Come risposta ricevette uno schiaffetto sul petto, quello che serviva per zittirlo.
L’uomo, con gli occhi spalancati e il labbro tremante, si affrettò a mettere quello che aveva nello zaino che Steve gli aveva scagliato contro. Tuttavia, mentre lo riempiva con le banconote, fu veloce abbastanza da premere il pulsante d’emergenza presente sotto al bancone. Eddie se ne accorse e ”Cazzo.” sussurrò, poi gli strappò dalle mani la borsa e diede una spinta all’atleta per fargli capire che era tempo di levare le tende.
Steve non capì immediatamente cosa stesse succedendo, scosso ancora per lo sparo di prima o per l’adrenalina che gli stava crescendo in corpo, ”Ma ci avrà dato sì e no venticinque dollari!”
”Che ci importa? Corri, corri!” Uscirono dal piccolo negozio e attraversarono le pompe di benzina a gambe levate. Le bandane sfregavano i loro volti, il respiro intrappolato nella stoffa. La paura cresceva in loro, le mani di Harrington vacillavano e dalla sua fronte scendevano gocce di sudore.
Ancora, il voler proteggere Steve a tutti i costi portava Eddie a rimanere indietro e mandare lui per primo. Se dovevano prendere qualcuno, il più lento, doveva essere lui e non Steve. Non se lo sarebbe meritato. Le armi ben salde, il revolver ancora caldo dal precedente sparo.
”Il camper?” Urlò Steve senza voltarsi indietro.
”Non c’è tempo, da questa parte!” Eddie afferrò in un pugno la felpa di Steve per tirarlo verso un vicolo buio. Gli zaini sulle loro spalle ballavano goffamente e le loro gambe incominciavano a bruciare. ”Di qua, di qua!” Non lo lasciò nemmeno un secondo, trovò una scala antincendio e lo incitò a salire. Il metallico rumore di quelle scale riecheggiava nel vicolo ad ogni loro falcata.
Le Nike ai piedi di Steve giunsero fino in cima e trovarono una finestra aperta all’ultimo piano, in cui entrarono. Un loft abbandonato, insieme all’intero condominio, recintato dal nastro giallo dello Stato che avvertiva di non avvicinarsi, da lì a poco sarebbe dovuto essere demolito. L’ampio spazio interno sembrava essersi fermato nel tempo. I mobili non erano stati spostati, solamente coperti da lenzuoli bianchi. Le pareti rivestite di mattoni e un soppalco in ferro nero, raggiungibile con una scala a chiocciola, il classico stile industriale. Le enormi finestre erano diventate opache, alcuni vetri rotti. La luce al neon della stazione di servizio era lontana, ma talmente forte e riconoscibile nella notte, che un bagliore rosso entrava comunque da quei vetri, illuminando ogni cosa di quel colore. In un certo senso era accogliente, a parte la polvere, protagonista, lo spazio aperto e riparato sembrava essere piombato dal cielo per loro, una salvezza.
I ragazzi si tolsero le bende dal viso e lasciarono cadere le borse a terra, Eddie fece più attenzione per via delle lattine di birra all’interno. La 1911 e la 38 Special vennero abbandonate anch’esse al suolo. Steve si mise le mani tra i capelli, le braccia alzate e i muscoli tesi. Si accovacciarono per sorvegliare nel modo più discreto possibile fuori la finestra. Le sirene della polizia erano sempre più vicine, due auto, come minimo. Entrambi i cuori sembravano tamburi impazziti all’interno dei loro petti sudati. Il fiato pesante, Steve non aveva mai provato una simile adrenalina e il suono assordante delle volanti gli rintronava in testa, amplificandogli le emozioni che lo stavano mangiando da dentro. L’espressione sul suo volto era chiaramente preoccupata ed Eddie, nonostante stesse combattendo con la stessa ansia, se ne accorse e si fece più vicino a lui, egli era talmente focalizzato a guardare attraverso il vetro rotto della finestra che non ci fece caso.
Le auto della polizia sfrecciarono davanti a loro con le luci lampeggianti. I loro cuori si fermarono e quando videro che proseguirono dritto, ricominciarono a battere, questa volta normalmente.
Si alzarono in piedi. Steve, con ancora le mani tra i capelli, fece uscire dalla gola un grido liberatorio ed Eddie scoppiò a ridere, saltellò sul posto in quanto incapace di reprimere la commozione di averla fatta franca. Mentre i loro respiri si regolarizzavano, si guardavano negli occhi, senza avere niente da dire. Sorridevano e si perdevano l’uno nell’espressione contenta dell’altro, quel silenzio stava parlando al posto loro. Steve Harrington posò lo sguardo su ogni centimetro del viso dell’altro. Le lentiggini coprivano le sue guance delicatamente, l’ombra della barba rasata da poco, qualche pelo sfuggito dalla lametta contornava il suo mento. Dietro la frangia riuscì ad intravedere una piccola cicatrice sulla fronte, molto vecchia e quasi sbiadita del tutto. La scarsa illuminazione metteva in evidenza i suoi lineamenti, rendendoli più accattivanti. Come il pomo d’Adamo, marcato e così attraente, gli zigomi e la mandibola, perfettamente scolpiti da qualche artista, come riferimento un Dio greco, sicuramente. Quelle labbra, piene e rosse come ciliegie da succhiare. E Steve… Steve non poteva resistergli.
L’insicurezza cresceva nella sua pancia. Cosa gli stava succedendo?
Uno Tsunami di turbamenti gli impedivano di vederci lucidamente. Eddie Munson gli aveva lanciato un incantesimo e non aveva intenzione di trovare alcun antidoto, si stava lasciando naufragare nei suoi ardenti occhi, di una sfumatura diversa dovuta alla luce rossa della stazione di servizio. Così fece la cosa che ritenne più giusta: lasciarsi andare. Decise che doveva seguire il flusso di emozioni che lo stava dirigendo verso quelle labbra scarlatte, senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato. L’unica cosa certa, è che voleva farlo. Così, dopo una forte spinta data dall’eccitazione del momento, Steve affondò su quei rubini con le sue labbra, sorprendendo Eddie in tutti i modi possibili. E lui non lo respinse, anzi, gli afferrò la maglietta così forte da sgualcirla nei suoi pugni, la stoffa tra le dita, per tirarlo verso di sé e approfondire il bacio, intrecciando la sua lingua con quella di Steve. 
Non aveva mai baciato un ragazzo prima, ma con Eddie, la cosa gli risultava così naturale, quasi come se fossero destinati a quel momento. La sua mano finì sul collo di Munson, il pollice gli sfiorava la guancia e il resto delle dita perse tra le ciocche ricce ancora tenute legate dall’elastico. Le loro labbra danzavano insieme in una coreografia perfettamente a ritmo coi loro cuori, che martellavano all’unisono, ormai non più per la paura ma per la frenesia.
Eddie esplorava l’intera figura di Steve da sopra i vestiti e scelse che doveva averne di più. Tirò la sua t-shirt verso l’alto per sfilarla dai jeans e senza mai staccarsi da quell’umido bacio, vi intrufolò le mani al di sotto. I polpastrelli quasi si ustionarono a contatto con la pelle bollente di Steve, gli addominali lisci e il petto decorato da peli ricci e virili. Un dettaglio stonava, tuttavia. I suoi fianchi non erano vellutati come il resto del torso. Al contrario, quasi rugosi, la cute sembrava persino essere più sottile in quei punti, Eddie non capiva cosa fosse questa strana sensazione sotto le sue dita. Perciò, dopo essersi allontanato, con rammarico, dalla bocca dell’altro ragazzo per togliergli completamente la bianca maglietta e abbandonarla al suolo, posò gli occhi sulla parte centrale del suo corpo, per controllare cosa fosse diverso al tatto. Due sfregi su ambi i lati del tronco, color rosa chiaro, contrastavano con il suo incarnato armonioso e abbronzato. Cicatrici provenienti dal Sottosopra. Le ammirò ma non abbastanza per rendersi conto che quelli erano evidenti piccoli ma spietati morsi, Steve gli sollevò il mento per far tornare la sua attenzione sui propri occhi, o meglio, sulle proprie labbra. Riconosceva che erano delle brutte ferite da guardare, non voleva che il metallaro ne fosse disgustato, anche se facevano parte di lui e raccontavano la sua storia. Eddie non rispose al suggerimento e si inginocchiò dinnanzi a lui. Le mani a coprirgli le cicatrici, stringendolo amorevolmente, i baci stampati su tutta la sua pancia servivano a rassicurarlo. La sua lingua vi tracciò un disegno invisibile e bagnato, seguì la striscia di peli sotto l’ombelico sino ad arrivare al bottone dei pantaloni. Si aggrappò con le dita ai passanti e guardò in alto per cercare l’approvazione di Steve.
Eddie Munson viveva tranquillamente la sua sessualità, non si era mai creato dei problemi al riguardo. Gli piaceva flirtare, scherzare, stuzzicare e conoscere corpi, persone, menti. Invece, per Steve era tutto nuovo. La sua era un’infinita lista di ragazze che si era portato a letto ma quello che gli mancava era la connessione. Neanche lui sapeva cosa volere e cercare, ma a quanto pareva lo aveva trovato. Ed era lì, in ginocchio davanti a lui.
Steve si inumidì le labbra con la punta della lingua e le socchiuse, incatenò il suo sguardo a quello di Eddie e portò una mano sulla sua guancia per accarezzarla. L’espressione del metallaro era ricolma di lussuria. Le sopracciglia erano completamente sparite dietro la frangetta, i lati della bocca alzati in un sorriso malizioso e le ciglia curvate all’insù. Non ruppe mai il contatto visivo che li legava e gli slacciò il bottone di quei jeans a vita alta, ma prima di riuscire ad abbassare la zip, Steve lo fermò e gli afferrò delicatamente il viso per portarlo di nuovo alla sua altezza. Senza spostare la mano, gli morse il collo come se fosse cioccolato, dolce. Una volta, due volte, tre volte. Passionalmente, senza fargli male, incideva i denti nella sua carne quel tanto che bastava per farlo gemere rumorosamente. Accarezzava con la lingua le parti lesionate per sollevarlo dal dolore trasformato in piacere dal suo respiro umido.
Il gilet de i Dio venne poi tolto e accompagnato dalla maglietta dei Metallica, entrambi lanciati da qualche parte nel loft. Eddie si allontanò per raggiungere quello che sembrava essere un divano, al centro dell’ambiente. Agguantò il lenzuolo e con una mossa agile scoprì quello che a tutti gli effetti era un sofà a tre posti. Modello Chesterfield, color verde foresta con i dettagli in oro. Si riallacciò alle labbra di Steve, questa volta con più foga, e lo portò a sedersi su di esso. Sprofondò nel comodo materiale vellutato e divaricò le gambe grazie al suggerimento di Eddie, il quale vi si infilò in mezzo, le ginocchia scoperte dagli strappi dei jeans toccavano il polveroso pavimento, le punte dei piedi piegate e i talloni verso l’alto. Le sue mani completarono ciò che aveva interrotto in precedenza, abbassò la zip dei pantaloni di Steve e li calò fino alle caviglie, egli lo aiutò sollevando il bacino. Anche le Nike vennero tolte e i jeans completamente sfilati. Steve ora rimaneva vestito soltanto delle calze e dei boxer. Quest’ultimi divenuti più stretti e scomodi per via dell’erezione che stava crescendo dentro di essi.
Eddie passò le mani sul suo torace scendendo fino all’elastico dell’intimo di cotone. Vi ancorò gli indici e lo tirò giù lentamente, esponendo quella magnifica V sempre di più. Una straziante tortura che portò Steve a respirare affannosamente, il petto si alzava e si abbassava ampio e le sue dita ritrovarono i capelli di Munson. Il suo membro ebbe un piccolo spasmo, Eddie se ne accorse e ridacchiò prima di esporlo completamente. La rosea punta era bagnata dal liquido pre-seminale, una goccia scese lungo la prolissità e prima che potesse toccare le palle, Eddie la fermò con la lingua. Un grottesco suono uscì dal fondo dei polmoni di Steve, il quale fece eccitare ulteriormente il metallaro, che si portò una mano a slacciarsi la fibbia della cintura e ad accarezzarsi da sopra il materiale dei jeans. La sua lingua salì e raggiunse il glande, lo avvolse con le proprie labbra e succhiò leggermente. Steve gemette in modo osceno e fece crollare la testa all’indietro, appoggiata allo schienale imbottito del divano, il polso del braccio libero sulla fronte. Eddie pian piano prese l’intero pene in bocca, bagnandolo con la saliva e creando movimenti circolari con la lingua. La sua testa rimbalzava sul cazzo di Steve fino a toccargli la gola. Lacrime che non avevano intenzione di cadere si erano formate tra le sue ciglia, le guance incavate, una mano alla base e l’altra a procurarsi piacere da solo. Il naso gli sfiorava l’addome e veniva solleticato dai peli pubici. Si staccò giusto il tempo per sputarci volgarmente sopra e riprendere fiato, poi ricominciò a succhiarlo.
Il ragazzo dai capelli ricci si levò con un pop e guardò l’altro che nel frattempo aveva sollevato il capo per capire il motivo della brusca interruzione. Sorrise. Steve Harrington era bellissimo, una visione divina: la bocca bagnata, gli occhi pieni di desiderio, le gambe aperte e il suo sesso gonfio e arrossato appoggiato al suo addome. L’intero corpo nudo stravaccato sul grande divano. Eddie si abbassò la zip dei jeans neri strappati e si chinò su Steve, facendo ricongiungere le loro labbra in un bacio pieno di sentimento ed eccitazione. Afferrò la mano di Steve per portarla sul suo rigonfiamento ed egli tentennò. ”Io non ho mai…” Provò a dire.
”Non dobbiamo fare niente che tu non voglia, dolcezza.” Eddie lo rassicurò. Si sedette di fianco a lui e si calò i pantaloni insieme ai boxer fino alle ginocchia. La prorompente erezione si presentò nella sua gloriosa forma e sbatté sulla sua pancia. Steve sgranò gli occhi quando vide che sul suo frenulo era presenta un scintillante piercing e lo portò ancora più volentieri ad accomodarsi sulle sue gambe. I suoi fianchi vennero stretti dalle grandi mani di Eddie che lo accompagnavano in ogni sua azione. Eddie fu capace di fargli dimenticare per una volta di quegli sfregi, completamente abbandonato al piacere del momento. I loro spiriti erano connessi e tutto ciò che li circondava era sparito. Un mondo che Eddie riusciva a trovare soltanto con il suo walkman e un paio di cuffie, il Nirvana. Egli accarezzava il suo rovente corpo, le dita percorrevano la sua schiena inarcata – in cerca di maggiore contatto – e seguivano il disegno astratto che i nei componevano, come una nuova costellazione da scoprire. Steve stringeva il volto dell’altro ragazzo e ancora una volta fece scontrare le proprie bocche, cercava la sua vicinanza come se da un momento all’altro potesse sfumare via. I capelli spettinati, il ciuffo che regolarmente era fuori posto solleticava la fronte di Eddie. Le gote arrossate come le punte delle orecchie e del naso. Il respiro pesante.
I due sessi sbatterono l’uno contro l’altro e la cosa fece gemere Steve che immediatamente cercò di nuovo quel contatto, muovendo il bacino avanti e indietro su di Eddie. Quest’ultimo ansimò ad alta voce contro la sua bocca per l’iniziativa che ebbe Harrington e lo assecondò. I membri erano bagnati dell’eccitazione di entrambi, Eddie li circondò con la sua mano adornata dagli anelli e iniziò a pompare, su e giù, su e giù. Faceva sfregare le parti sensibili l’una contro l’altra. Le fredde palline del piercing toccarono un punto in particolare che fece staccare Steve dal bacio per spalancare la bocca e guardare l’altro ragazzo. Eddie fece cadere lo sguardo sul bagnato labbro inferiore di Steve e ne tracciò il contorno con il pollice dell’altra mano, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Successivamente inserì il medio e l’anulare nella sua gola, le quali l’atleta accolse succhiandole e socchiudendo gli occhi. Eddie fece assumere alle dita la forma di un uncino e lo avvicinò al suo viso, gli baciò il collo, le clavicole, il petto, senza fermarsi dal masturbare ambedue. Sapeva che quella era la sua prima esperienza e voleva che fosse indimenticabile. La mano, dalla sua bocca, si spostò sul suo culo, avvinghiandolo talmente forte da lasciargli un’impronta rossa, le unghie scavate nella carne. L’indice si intrufolò tra la fessura e stuzzicò la sua entrata. Steve si avvicinò ulteriormente all’altra persona, il suo affanno contro l’orecchio di Eddie, fece cadere la fronte nell’incavo tra il suo collo e la spalla, il naso a contatto con i tatuaggi raffiguranti una Vedova Nera e un demone sulla parte alta del petto, la collana con un plettro come ciondolo.
”Eddie…” Sussurrò Steve. Era vicino al suo apice ed Eddie riuscì a capirlo, per cui pompò più velocemente i loro cazzi insieme, lubrificati dal liquido pre-seminale che sgorgava a fiotti e Steve si contorse sotto il suo tocco. Eddie amava i suoni che uscivano dalla peccaminosa bocca dell’atleta, musica per le sue orecchie, la più bella che abbia mai udito. Quando sentì il suo nome accompagnato da quei gemiti, pensò di raggiungere l’orgasmo in quell’esatto momento. Si abbracciavano per far toccare i loro cuori. Si erano finalmente trovati e non volevano lasciarsi scappare. Incontrati nel momento giusto, Eddie stava per mollare tutto e Steve cadendo nella monotonia. Si completavano.
Steve agitava i fianchi sul sesso di Eddie, la lussuria aveva preso il sopravvento controllando il suo corpo. Il suo culo sfregava contro le cosce nude del metallaro. Lo avvolse con la sua mano ed Eddie fece lo stesso con lui, masturbandosi a vicenda. Egli era sorpreso, non credeva che Steve avesse il coraggio di toccarlo e andava bene così, ma ciò lo fece eccitare ancora di più. ”Sì, continua così– Ah–” Gemette. Steve inarcò la schiena all’indietro, appoggiandosi con una mano sul ginocchio di Eddie, mentre l’altra si muoveva freneticamente su di lui. Il metallaro non riusciva a non stringerlo, sentire la sua carne tra le dita, approfondirlo.
Erano arrivati al settimo cielo, fluttuavano nel mondo di brama che avevano creato, le nuvole erano i loro affanni pesanti, gli alberi crescevano insieme all’eccitamento, i fiori profumavano di cioccolato e loro gli unici esseri viventi nell’Eden. L’alba incombette su di loro, la fievole luce arancione del sole entrò dalle opache finestre ed un raggio illuminò prepotentemente il viso di Steve, trovando un vetro rotto e spargendosi come un’olografia. I suoi occhi marroni erano diventati miele trasparente sotto quel bagliore. Eddie arcuò le sopracciglia e una piccola ruga comparì al centro di esse. Ammirava l’opera d’arte che era Steve baciato dal sole e con un gemito più acuto degli altri, venne copiosamente sul proprio addome. Steve raggiunse l’orgasmo dimenandosi dal piacere nella mano di Eddie, il suo liquido caldo si confuse con quello dell’altro ragazzo. Fecero sfiorare i loro nasi prima di baciarsi ancora una volta, più lentamente e con meno foga. Mentre il respiro si regolarizzava, Steve si scostò dalle cosce di Eddie e si stravaccò sul divano, al suo fianco. Le sue gambe tremavano per il potente orgasmo appena vissuto.
”È stato… Tu sei…” Provò a parlare Steve, ma non sapeva esattamente cosa dire. Non aveva mai provato sensazioni ed emozioni simili ed era consapevole del fatto che non le avrebbe mai più ritrovate se non con Eddie Munson.
Eddie appoggiò il dorso della mano sul petto sudato dell’atleta, ”Non c’è bisogno di dire nulla.” Poi si sollevò in piedi, barcollando. Trovò la bandana nera coi teschi e la usò per pulire entrambi, si alzò i pantaloni ma li lasciò sbottonati. Prese lo zaino contenente il cibo e tirò fuori le barrette di cioccolato e un paio di lattine di birre, ne passò una ciascuna a Steve.
Harrington si rivestì dei jeans e anch’egli rimase a petto nudo. Concentrato a scartare la merendina dall’involucro, staccò un morso dalla barretta e con la bocca piena parlò ”Cosa… Cosa ti ha portato qui?”
La linguetta della lattina venne alzata, la schiuma della birra schizzò fuori ed Eddie si spostò per non sporcarsi. Scrollò la bevanda dalla mano che reggeva la latta, inevitabilmente si era bagnato. Raggiunse Steve sul divano Chesterfield e bevve un sorso. ”In questi anni ho capito che so soltanto scappare. Perché non farlo bene, allora.” Si sciolse i capelli dall’elastico e scosse la testa per dare un effetto spettinato ai suoi ricci, che scendevano morbidi sulle spalle. Abbandonò la birra al suolo e con un gesto veloce sovrastò il corpo di Steve con il suo, la schiena di quest’ultimo completamente aderita al velluto verde foresta. Si appoggiò coi gomiti ai lati della sua testa. ”Ma poi ho incontrato te.” 
Steve si ritrovò schiacciato dal peso del metallaro, i suoi capelli gli stavano solleticando il viso e lo nascondeva come un sipario, per cui glieli portò dietro l’orecchio con un dito, scese poi lungo il collo, la clavicola. ”Poi hai incontrato me.”
Eddie spostò la mano per stringergli un fianco, non voleva lasciarselo sfuggire. ”Steeeve Harrington.” Ripetè in tono fastidioso e canzonatorio, lo stesso che usò qualche ora prima per provocarlo.
”E ora, Eddie Munson?”
Non poteva essere un caso che Steve si trovasse nel ristorante in cui stava cenando Eddie, dopo essersi visti per l’ultima volta dall’altra parte dello stato. Qualsiasi cosa il futuro aveva in serbo per loro, capirono che dovevano affrontarlo insieme.
”Che ne dici del… Canada?”
11 notes · View notes
guyclement · 1 year
Video
youtube
URBEX Guy Clément DEUTSCHLAND | MAGDEBURG NEUE NEUSTADT | LE CHATEAU VIDEO   - N'hésites pas à t'abonner à ma chaîne et activer les notifications 🔔pour être informé de mes prochaines explorations et découvertes! Feel free to subscribe my channel and activate notifications 🔔to be aware about my next explorations and discoveries! En 1841, deux frères Albert et Hermann Wernecke fondent une petite brasserie  à Magdebourg en Allemagne. Sur ce site depuis 1843 avec sa propre machine à vapeur de 40 chevaux. L'usine a changé son nom en Actien Brauerei , et de grands bâtiments  ont été construits de 1887-88 pour développer davantage la production de bière, en ajoutant une glacière, une fontaine, des machines à vapeur plus grandes, des opérations de maltage et même sa propre gare. L’entreprise comptait 180 employés en 1888. En 1941, l’établissement est devenu la plus grande brasserie de la province avec 680 travailleurs. Après la Seconde Guerre mondiale, plus de 70 % des bâtiments ont été détruits par l’artillerie, Au moment où la RDA est arrivée au pouvoir, l’installation produisait plus de 14,5 millions de gallons de bière depuis sa fondation. La brasserie a poursuivi sa production jusqu’à ce que la marque Diamant disparaisse lentement du marché. En 1994, la brasserie a été fermée et l’installation est tombée à l'abandon. In 1841, two brothers Albert and Hermann Wernecke founded a small brewery in Magdeburg, Germany. On this site since 1843 with its own 40 horsepower steam engine. The plant changed its name to Actien Brauerei , and large buildings were built from 1887-88 to further develop beer production, adding a cooler, a fountain, larger steam engines, malting operations and even its own station. The company had 180 employees in 1888. In 1941, the establishment became the largest brewery in the province with 680 workers. After the Second World War, more than 70% of the buildings were destroyed by artillery, By the time the GDR came to power, the facility had produced more than 14.5 million gallons of beer since its foundation. The brewery continued production until the Diamant brand slowly disappeared from the market. In 1994, the brewery was closed and the facility was abandoned. В 1841 году два брата Альберт и Герман Вернеке основали небольшую пивоварню в Магдебурге, Германия. На этом участке с 1843 года с собственным паровым двигателем мощностью 40 л.с. Завод изменил своё название на Actien Brauerei , и большие здания были построены в 1887-1888 годах для дальнейшего развития производства пива, добавив охладитель, фонтан, большие паровые двигатели, солодовые операции и даже свою собственную станцию. В 1888 году в компании работало 180 сотрудников. В 1941 году завод стал крупнейшим пивоваренным заводом в провинции с 680 рабочими. После Второй мировой войны более 70 % зданий были разрушены артиллерией, Ко времени прихода ГДР к власти завод произвел более 14,5 миллионов галлонов пива с момента своего основания. Пивоварня продолжала производство до тех пор, пока бренд Diamant медленно не исчез с рынка. В 1994 году пивоварня была закрыта, а завод заброшен. Nel 1941 lo stabilimento divenne il più grande birrificio della provincia con 680 lavoratori. Dopo la seconda guerra mondiale, più del 70% degli edifici sono stati distrutti dall'artiglieria, Quando la DDR è arrivata al potere, l'impianto ha prodotto più di 14,5 milioni di galloni di birra dalla sua fondazione. Il birrificio ha continuato la sua produzione fino a quando il marchio Diamant è lentamente scomparso dal mercato. Nel 1994 il birrificio è stato chiuso e l'impianto è caduto in disuso. En 1841, dos hermanos Albert y Hermann Wernecke fundaron una pequeña cervecería en Magdeburgo, Alemania. En este sitio desde 1843 con su propia máquina de vapor de 40 caballos. La fábrica cambió su nombre a Actien Brauerei , y grandes edificios fueron construidos entre 1887 y 1888 para desarrollar aún más la producción de cerveza, añadiendo una nevera, una fuente, máquinas de vapor más grandes, operaciones de malteado e incluso su propia estación. La empresa contaba con 180 empleados en 1888. En 1941, el establecimiento se convirtió en la fábrica de cerveza más grande de la provincia con 680 trabajadores. Después de la Segunda Guerra Mundial, más del 70% de los edificios fueron destruidos por la artillería, Cuando la RDA llegó al poder, la instalación producía más de 14,5 millones de galones de cerveza desde su fundación. La fábrica de cerveza continuó su producción hasta que la marca Diamant desapareció lentamente del mercado. En 1994 se cerró la fábrica de cerveza y se abandonó la instalación. Retrouvez-moi sur les réseaux / Follow me for daily content: 👍 Facebook:  Urbex Guy Clement  https://www.facebook.com/profile.php?... 👉 Youtube  URBEX Guy Clément  https://www.youtube.com/channel/UCNhQ... 📸 Instagram:  @abandoned.urbex.world  https://www.instagram.com/abandoned.u...     🎵TikTok: @urbexguyclement https://www.tiktok.com/@urbexguycleme...     🐦Twitter: @GuyPellegrin https://twitter.com/GuyPellegrin   #amazing #lostplace #urbex
0 notes
mariposasky · 5 years
Text
Scomparso - Cap. 15
Tumblr media
Introduzione - Cap. 1 - Cap. 2 - Cap. 3 - Cap. 4 - Cap. 5 - Cap. 6 - Cap. 7 - Cap. 8 - Cap. 9 - Cap. 10 - Cap. 11 - Cap. 12 - Cap. 13 - Cap. 14
- Fantasma?- ripeté Donald sorpreso. L'amico con la maglietta azzurra annuì vigorosamente.
- Mio padre ne ha sentito parlare da un cliente. Dice che stava facendo un giro nel bosco quando si è sentito osservato. Si è subito girato allarmato, appena in tempo per vedere qualcosa muoversi e fuggire. Ha tentato di rincorrerlo, ma poi si è accorto che questa “persona” stava passando attraverso alberi e arbusti, e l'istante dopo è scomparso nel nulla. Gli è venuto un gran spavento quando si è reso conto di aver appena visto un fantasma.
- Un fantasma qui a Quack Town? È spaventoso!- disse Betty abbracciandosi per i brividi- E se venisse nelle nostre case?
Tom era ugualmente preoccupato anche se non diceva niente.
- È assurdo- fece Millicent, la persona del gruppo più realista- Non esistono i fantasmi. Quel tipo avrà semplicemente visto male.
- Ma non è successo solo a lui- spiegò Louis di fronte all'amica scettica- Altri due clienti hanno dato testimonianze simili.
- Coincidenze- sminuì la paperetta alzando le spalle- O si saranno fatti influenzare dagli altri.
- Forse sì... - Donald si toccò il mento pensieroso. Millicent lo guardò inquieta, ogni volta che lui assumeva quell'espressione, era segno di guai- O forse ci troviamo davanti a un caso di manifestazione spettrale. Vi ricordate che Amazing Papers ne aveva parlato qualche numero fa?
- Sì, hai ragione- concordò Louis- C'era anche un articolo che spiegava come liberare una casa dai fantasmi.
- Se si tratta davvero di un fantasma, vorrebbe dire che qualcosa lo trattiene qui...
- Oh no, non di nuovo...- Millicent si toccò la fronte attendendo l'inevitabile.
- E se noi scopriamo cos'è, potremmo aiutarlo e...
- Forse ha perso un oggetto- ipotizzò Louis.
- O una ricetta di qualche dolce- ipotizzò Tom.
- O un tesoro!- continuò Donald. I tre maschietti si sorrisero emozionati- E se lo aiutiamo, magari potremmo averne una parte!
- … lo sapevo- borbottò Millicent guardando il gruppetto che apriva uno scatolone con le riviste di Amazing Papers e le sfogliava in cerca di informazioni.
- Non mi sento sicura- ammise Betty preoccupata- E se ci attaccasse? O ci perseguitasse? Non lo voglio in casa mia.
- Betty, non preoccuparti per questo. Non può succedere, perché... i fantasmi non esistono!- disse Millicent con tono di rimprovero ai maschietti.
- I fantasmi esistono!- insistette Donald.
- Come no- alzò gli occhi al cielo- Andiamo ragazzi, non è la prima volta che ci passiamo. Quante volte ci avventuriamo in missioni spinti da voci di paese, per poi scoprire che erano solo equivoci? Solo ieri lo sceriffo Marble ci ha raccomandato di non fare altri danni.
- Ma noi non faremo niente di pericoloso. E finché non ci proviamo, come possiamo sapere che non c'è del fondo di verità in quelle voci? O forse hai paura?- la guardò con un sorriso di sfida.
- Non è questo, io...- li guardò e poi sospirò toccandosi la fronte- Ma è un inutile spreco di fiato, perché ci andrete lo stesso. E per quanto sia tentata di rimanerne fuori, verrò con voi.
- È sempre bello averti con noi- Donald batté una pacca sulla spalla dell'amica.
- Ma solo per dimostrarvi che vi sbagliate- precisò. Donald fece spallucce.
- Come preferisci. Ora pensiamo a un piano...
Il gruppetto annuì e insieme pianificarono la ricerca. Per fortuna lì dentro il granaio avevano tutto lo spazio per le loro riunioni segrete. Alla fine decisero che ci sarebbero andati il giorno dopo, perché era un giorno di festa e non avrebbero insospettito i genitori se stavano tanto fuori.
Così l'indomani Donald si svegliò alle prime ore del mattino per preparare il suo zainetto per la gita. La riempì di oggetti e una mappa. Poi scese in cucina per fare colazione.
Trovò sua nonna davanti ai fornelli impegnata a fare conserve di marmellata. Sulla tavola c'era già la colazione ad aspettarlo. Donald salutò e iniziò a mangiare.
- Quindi oggi andrai in giro con i tuoi amici?- si informò la nonna mentre girava il mestolo.
- Sì, io e gli altri dobbiamo fare una ricerca- raccontò lui- Staremo via qualche ora.
- Una ricerca? Per la scuola?- si girò a guardarlo incuriosita. Lui bevve un sorso di latte cercando di evitare il suo sguardo diretto.
- Ehhh, quasi...
Lei lo osservò per un altro istante, per poi tornare ai suoi fornelli.
- D'accordo. Ma fai attenzione e non tornare tardi.
Lui sospirò sollevato senza farsi vedere. Poi salutò e tornò in stanza per prendere il suo zainetto. Scendendo le scale si soffermò a pochi gradini dalla fine della scalinata a osservare la papera bionda concentrata a tenere d'occhio più pentole sul fuoco. Non si accorse neanche del paperotto che la stava osservando in silenzio.
Donald guardò il profilo della nonna, l'espressione stanca sul suo viso, il sudore sulle sue piume per il vapore e la lieve curvatura delle spalle.  
Come ogni mattinata, l'aveva vista svegliarsi molto presto per sbrigare i lavori della fattoria. E poi tornare a casa per sbrigare le altre faccende di casa.
Avrebbe avuto bisogno di un aiutante, qualcuno che le alleggerisse il peso del lavoro. Ma aveva sempre rifiutato, dando come risposta che era abbastanza forte per mandare avanti la fattoria da sola e prendersi cura di un nipotino.
La verità, sospettava, è che non ci fossero abbastanza soldi per poter assumere qualcuno. Non finché avrebbe avuto un paperotto sotto il suo tetto.
Abbassò lo sguardo e socchiuse gli occhi.
Una immagine fugace tornò alla sua mente, due paperi di spalle che uscivano da una porta e una luce accecante che li inghiottiva facendoli scomparire.
Riaprì gli occhi e tornò a guardare la nonna. Sul suo becco un accenno di sorriso malinconico, forse distratta da qualche ricordo fugace. Forse ricordando qualcuno che non c'era più in quella casa.
Strinse con forza le cinghie dei spallacci e serrò il becco mentre scendeva gli ultimi scalini e si avviava verso la porta. Fuori di casa c'era un bel tempo.
I suoi amici lo stavano aspettando agli inizi del bosco, in un punto meno frequentato dagli adulti, per evitare di dare spiegazioni.
Quando li raggiunse, erano tutti lì con lo zainetto. Quasi si preparassero a una scampagnata.
- Ce ne hai messo di tempo melanzana- scherzò Tom.
Donald lo ignorò e insieme entrarono dentro il boschetto seguendo un percorso che avevano tracciato nella loro mappa e che gli permetteva di non addentrarsi troppo e perdersi.
Passarono il tempo camminando e cercando di attirare il fantasma in vari modi così come pianificato e suggerito da Amazing Papers. Dopo due ore si fermarono in una zona d'erba per riposarsi e mangiare il loro pranzo al sacco. Donald nel frattempo si sdraiò su quella distesa d'erba a pancia in su e tenendo lo sguardo al cielo. Tra i rami degli alberi si potevano vedere le nuvole spostarsi nel cielo.
- Credi che troveremo davvero un fantasma?- chiese Louis un po' sfiduciato- Sono già due ore che cerchiamo.
- Certo. Sarà qui da qualche parte.
- Non è che se ne sarà andato?- chiese Tom addentando l'ennesimo panino.
- E dove? Non può semplicemente prendere e andarsene in giro senza che altri lo vedano.
- È pur sempre un fantasma.
Donald sospirò, mentre udì a distanza Millicent borbottare. Non era la prima volta che lei si mostrava scettica per i suoi piani, ma poi le passava e collaborava con loro. Quindi la lasciò stare, si sarebbe ricreduta quando l'avrebbero trovato.
- Forse non lo stiamo cercando bene...- ipotizzò Donald pensieroso.
Aveva creduto che sarebbe stato facile, che il fantasma si sarebbe presentato davanti a loro senza dover faticare per scovarlo. Perché aveva bisogno del loro aiuto, giusto?
Ma forse aveva preso troppo alla leggera la ricerca.
Ripresero a camminare e cercare con più tenacia, ma nuovamente dopo due ore erano a mani vuote. Avevano girato sui loro passi e si stavano spingendo più in là di quanto pianificato. Ma ancora nessun indizio.
- Possiamo fermarci un attimo?- chiese Betty con il fiatone- Ho i piedi a pezzi.
- Ancora?- protestò Donald girandosi verso il gruppetto dietro di lui- È la terza volta che ci fermiamo.
- Oh, scusami tanto se non sono fatta di roccia come te- commentò sarcastica la biondina- Non avevamo in programma di camminare così tanto.
- Io devo fare rifornimento di cibo- disse Tom mentre capovolgeva il suo zaino facendo uscire poche briciole- Ne ho bisogno per ricaricarmi di energia.
- Ti sarai mangiato come sei panini, non ti bastano?- disse contrariato Donald.
- Erano sette, per la precisione. E no, erano solo uno spuntino. Come speri possa affrontare il viaggio senza la dose giusta di energia?
- Hanno ragione loro- intervenne Louis guardando il resto del gruppetto- Sono ore che ci muoviamo, senza risultato. Forse Millicent ha ragione, ci siamo emozionati per delle voci...- lo guardò dispiaciuto- Forse dobbiamo prenderci una pausa o magari ritornare un'altra volta.
- No, ormai siamo qui- insistette Donald- Non possiamo arrenderci proprio ora.
- Stiamo solo perdendo tempo. I fantasmi non esistono- disse Millicent rivolta a Donald.
- Invece esistono!
- Ah sì? Ne hai mai visto uno per esserne così convinto?
Donald abbassò lo sguardo e si toccò il braccio.
- … no. Ma questo non significa che non esistano.
- Perché continui a insistere!
- Perché so che è così!
- Smetti di essere così testardo per una volta!
- Non puoi capire!- disse arrabbiato- Nessuno di voi ci tiene abbastanza, per questo non l'abbiamo trovato!
- Vuoi dire che è colpa nostra?- disse risentita Betty.
- Se non volevate venire, bastava dirlo! Posso cercarlo da solo!- sbuffò e diede le spalle agli amici incrociando le braccia risentito.
Il gruppetto si guardò tra di loro intristiti e indecisi sul da farsi. Donald sentì solo il rumore dei loro piedi muoversi dietro di lui, come per allontanarsi. Donald solo sospirò, quasi pentendosi di aver alzato la voce, ma ormai non poteva rimangiarsi la parola.
Non potevano capire.
Quel fantasma forse girovagava da anni senza che qualcuno lo aiutasse. Senza che qualcuno gli permettesse di porre fine al suo girovagare. Alla ricerca di qualcosa che non avrebbe mai trovato.
Qualche passo e alla sua destra si affiancò una paperetta dai capelli neri. Quasi si aspettò che dicesse le famose parole “te l'avevo detto”, però lei non parlò subito.
- Perché lo fai? Perché è così importante per te?- fece lei guardando un punto impreciso- Sei sempre stato un tipo fantasioso, lo sappiamo, ma perché questa volta ti intestardisci così?
- Lo stai facendo anche tu- ribatté, volendo evitare di rispondere- Io sento che siamo vicini. Se solo tu provassi a fidarti...
- Ma Donald... i fantasmi non esistono- disse lei con voce spezzata- Vorrei... vorrei tanto crederci. Ma non posso...
E solo quando si girò a guardarla, comprese. Comprese quanto si fosse comportato come un insensibile.
- Ciò che si è perso, non può tornare...- continuò a dire lei. La sua espressione rivolta a un punto in lontananza era triste e malinconica. Un espressione a lui familiare.
Che ne sarà ora di noi?
Donald abbassò lo sguardo dispiaciuto. Era così concentrato nella sua ricerca, che non aveva tenuto conto dei sentimenti di Millicent. Era passato solo qualche mese dalla morte del nonno di lei.
Millicent era sempre stata una bambina con i piedi ben piantati a terra. Ciò non significava che non credeva all'esistenza dei fantasmi... bensì che non voleva accettare la loro esistenza. Perché non voleva illudersi che dopo la morte ci fosse vita. Avrebbe sconvolto le sue certezze.  
Uno dei motivi per cui Donald coinvolgeva i suoi amici nelle avventure, era per divertirsi insieme. Ma se questo doveva farli soffrire, forse non ne valeva la pena.
Sospirò e guardò l'amica.
- … mi dispiace.
Millicent si girò a guardarlo e gli sorrise allungando la mano per stringergliela.
- Dispiace anche a me.
- E a noi.
Donald si girò e trovò i suoi amici ancora lì. Non se n'erano andati.
- Siamo una squadra, Donald. Non potremmo mai abbandonarti.
- … ragazzi.
Il paperotto guardò quasi commosso gli amici. E si sentì uno sciocco a essersi comportato così.
Forse non avrebbe trovato il fantasma e neanche un tesoro, ma si sentiva fortunato ad avere amici.
Si era fatto trascinare da un insieme di sentimenti ed eventi, ma ora non aveva più importanza. Non quando aveva davanti a lui il motivo per mettere da parte quelle illusioni.
- Torniamo a casa- disse infine Donald con un sorriso sereno.
Gli amici si guardarono tra di loro e annuirono contenti. Insieme fecero marcia indietro e camminarono per uscire dal bosco.
D'improvviso però sentì una strana sensazione sulle piume che lo fece bloccare di colpo. Si voltò incuriosito da quella sensazione, come se qualcuno lo stesse osservando. Nel momento che si girò un fugace scorcio d'immagine attirò la sua vista. Sfregò gli occhi come se si fosse trattato di una allucinazione.
- Cosa succede?- chiese Millicent vedendolo guardarsi indietro.
Gli altri amici erano più avanti di loro e non si erano accorti dei due paperotti che erano rimasti indietro.
Donald non rispose subito alla domanda dell'amica, perché era concentrato nei suoi pensieri. Poi come se qualcosa si fosse acceso in lui, si voltò a guardarla.
- Io... io devo andare.
- Dove?- chiese allarmata vedendolo allontanarsi di qualche passo da lei. Temeva che qualche altra assurda idea gli fosse scaturita in testa.
Lui si toccò dietro la testa, come impacciato nel dare spiegazioni ma desideroso di muoversi subito.
- Mi sono appena accorto di aver lasciato indietro qualcosa...
- Aspetta, avviso gli altri e andiamo insieme.
- No, faccio da solo- scosse le braccia per fermarla. Poi guardò negli occhi diffidenti dell'amica- Non preoccuparti, ci metterò qualche minuto e... tu vai pure.
- Sei sicuro di non perderti?
- Sì, sì... ci vediamo domani!- e scappò via.
Millicent lo guardò correre via, ma per quanto non si sentisse rassicurata dalla sua risposta affrettata decise questa volta di lasciarlo andare. Non si poteva mettere nei guai solo per andare a prendere qualcosa, giusto?
Donald corse dietro quella sagoma che si muoveva velocemente superando i vari ostacoli del bosco con un agilità e sicurezza soprannaturali. Cercò di stargli dietro e non perderlo di vista, anche se non poteva fare a meno di inciampare qua e là, non si accorse neanche di essere uscito dal sentiero sicuro e di essersi avventurato in zone pericolose.
Voleva raggiungerlo, doveva farcela, ma il bosco si faceva sempre più oscuro e più intricato di rami, i suoi occhi riuscivano a malapena a vedere qualcosa svolazzante. Ma sapeva che era lui, il fantasma che tanto si parlava.
- Aspetta!- gridò al fantasma, nella speranza che si fermasse.
Perché lo fai?
Forse avrebbe dovuto dire la verità a Millicent e agli altri, in fondo lo avevano seguito in quell'impresa, come in tante altre. E lui era grato a loro per la fiducia che sempre gli davano.
Eppure... in quell'istante che notò la presenza del fantasma, una parte di lui lo fece tacere di fronte ai suoi amici.
E se si trattava di un altro falso allarme? E se era solo frutto della sua immaginazione?
Non se la sentiva di vedere un'altra volta nei loro volti la delusione.
Perché questa volta ti intestardisci così?
Non lo sapeva... non sapeva spiegare il perché della sua ossessione. Era solo una voce di paese. Non che in passato non si fosse ossessionato ad altri misteri, alieni, mostri, fantasmi... ma questa volta era diverso. Era come se la curiosità avesse riaperto una speranza in lui. O forse era una necessità, dovuta agli ultimi eventi.
- Voglio solo aiutarti, non scappare!
Il fantasma non si era fatto vedere in tutte quelle ore, perché proprio ora doveva farlo? Stava aspettando qualcosa? O forse... il fantasma stava aspettando che lui si trovasse da solo per farsi vedere?
Ciò che si è perso, non può tornare.
“Non è vero” avrebbe voluto obiettare alla sua amica. Ma di fronte al suo sguardo, non se l'era sentita. Perché neanche lui ne era ormai così sicuro. Le sue speranze di trovare qualche traccia... qualcosa che gli confermasse che loro ci fossero ancora...
Perché era così difficile, anche a distanza di tempo, così difficile accettarlo.
Solo se avesse raggiunto quella sagoma sfuggente, solo nel momento che lo avrebbe avuto davanti, solo in quel momento si sarebbe messo il cuore in pace.
- Io... io mi chiamo Donald, Donald duck!
Si fermò per prendere fiato e si guardò intorno. Era bastato un attimo di distrazione e lo aveva perso di vista mentre scavalcava un tronco d'albero.
- È per me che sei qui?- parlò al vuoto- Fatti vedere!
Abbassò lo sguardo e strinse le mani con frustrazione. Non voleva... non voleva ancora arrendersi...
- … per favore.
“Dammi un motivo per afferrarmi a quella speranza”  
- … Donald?- fece una voce alle sue spalle.
Si girò di scatto e vide una figura venirgli incontro e fermarsi a pochi passi da lui, la stessa che aveva rincorso qualche secondo prima. Spalancò gli occhi osservando quella figura oscurata dalle ombre degli alberi. Era incredulo, ma era lì, e aveva la stessa espressione sorpresa che doveva avere lui in quel momento.
- … mi conosci?- chiese Donald.
La figura rimase ferma nella sua posizione senza parlare, solo a osservare il paperotto. Sembrava paralizzato.
Donald cercò di scrutarlo dietro quella penombra. Aveva sembianze di un papero adulto, anche se i contorni sfuocati. Il volto non si vedeva bene perché era come coperto da qualcosa. Ma i tratti gli ricordavano qualcosa, no qualcuno... qualcuno di molto familiare.
Il cuore iniziò a battergli molto forte.
- Tu...
Ma un istante dopo la figura misteriosa scattò indietro e si diede nuovamente alla fuga.
- No, non andartene!- riprese a corrergli dietro.
Ma la figura non si fermò, non rimase ad aspettarlo.
Se non vi vado a genio, potete andarvene!
La famiglia porta solo guai!
Cosa ne sarà ora di noi?
Allungò la mano per cercare di afferrare il bordo del suo mantello svolazzante.
- Papà, non lasciarmi!- gridò con tutta la voce e le lacrime che offuscavano la vista.
La sua mano afferrò il vuoto, facendolo sbilanciare in avanti e cadere. Alzò subito la testa, giusto per vederlo attraversare gli alberi e gli arbusti e scomparire nell'oscurità del bosco, come se il suo corpo fosse inconsistente, fatto d'aria, una proiezione della sua essenza... come un fantasma.
- Papà!- gridò nuovamente, rimettendosi in piedi e correndo alla cieca. Ma non lo vedeva più ormai.  
Perché è così importante per te?
Salì in gran fretta su una grande roccia, senza far caso allo strato di muschio su di esso. I suoi piedi scivolarono e perse l'equilibrio.
3 notes · View notes
pizzettauniversale · 3 years
Note
e te au quanti gatti hai avuto e come si chiamavano?? se te la senti…che fine hanno fatto tutti?
Ne ho avuti svariati fin da quando ero piccola. Molti contemporaneamente, tipo 4/5.
Tipo c’è stata la Micia che era la figlia della gatta di mia nonna che ha vissuto per 13 anni poi è morta di tumore e così Pepita sua figlia che ne ha vissuti 12 anche lei morta di tumore. Ho avuto Tigra vissuta 8 anni e morta di tumore (un sacco di tumori sti pori gatti). Ho avuto Pippo che è morto dopo 5 perché si è messo a dormire dentro il motore dell’auto del mio vicino. Botolo che è morto di vecchiaia. C’era Brizzola che me l’ha ammazzata un cane qui, era cattivo e l’ha sbranata. Tu devi pensare che la maggior parte di questi gatti sono arrivati qui per caso e noi ce ne siamo sempre presi cura. Le ultime perdite più grandi sono stati Becks che è scomparso, Fellini me lo hanno rubato e il mio amore più grande, che penso di non essere mai stata così male in vita mia che lo hanno investito.
Attualmente ho Mirandina con me, Vita di mia mamma, Chandler, Nymo e due gatti a cui fornisco vitto e alloggio che sono Quadrato e Spettro
12 notes · View notes
giulia-liddell · 4 years
Text
Qualcuno non sa sempre fare rumore, ma va bene così
Parole: 1749
Beta: Server di Discord
Fandom: Sanremo RPF (Cenone di Natale AU/Sanremo Family AU)
Ship: Nessuna (tecnicamente)
Avvertimenti: credo nessuno... Per una volta Diodato non è la punchline di una battuta
Note autore: Seguito di X, in cui Cally va a ringraziare Diodato e hanno l’occasione di parlare... Unrelated note: Happy Pride Month everyone!
Come gli è venuto in mente a quello lì di andarsi a cacciare nel capanno degli attrezzi da giardino? E come diavolo fa zio Bugo a sapere che è andato proprio là? Pensa Cally mentre si allontana dalla tavolata allestita all’aperto sotto il sole primaverile per cercare lo scomparso Antonio. In realtà non è esattamente dentro il capanno degli attrezzi, è più di fianco, seduto con una scioltezza che non sembra sua su una panchina. Tiene gli occhi chiusi e la testa appoggiata all’indietro contro la parete del capanno. Cally improvvisamente sente che è stata una cattiva idea venirgli dietro… Sembra… Una di quelle situazioni in cui non dovresti disturbare qualcuno, quando basta una persona ed i suoi pensieri. Ma ormai è lì e non è mai stato il tipo che si tira indietro, quindi fa qualche passo in più «Ehi.» dice a bassa voce per attirare la sua attenzione. Antonio apre gli occhi e si volta verso di lui, ma non sembra essersi spaventato, sembra quasi troppo distratto da sé stesso per spaventarsi davvero. Cally lo osserva meglio e corruga la fronte «Ma stavi piangendo?» chiede. Non è mai stato il tipo da girare troppo intorno alle cose o da frenare la lingua, quindi non può fare a meno di chiederlo mentre osserva la sua faccia arrossata e gli occhi lucidi e gonfi. Antonio annuisce e Cally pensa che sia perché non riesce a parlare, ma subito aggiunge anche «Sì. Stavo piangendo.» con la sua solita voce calma, anche se leggermente alterata. È incredibile come riesca a sembrare così composto anche in questa situazione.
Cally si rimangia il centinaio di battute che gli erano venute in mente da fare e con molta cautela si avvicina ancora un po’ per sedersi accanto ad Antonio. «Io volevo ringraziarti per aver difeso mio cugino… Lo avrei fatto anche io, anzi di solito lo faccio io, o Tarek… Ma grazie comunque… È fantastico anche il discorso che hai fatto… Ed è bello per una volta vedere anche te che ti ribelli alla zia Rita… Insomma non mi sarei mai aspettato che lo avessi fatto, sei così…» Cally si interrompe in cerca della parola giusta «Così “in una posizione privilegiata agli occhi dei nonni e degli zii”?» suggerisce Antonio facendo un mezzo sorriso mentre guarda un angolo lontano del giardino «Sì. Sì, esatto. Insomma sei il cugino perfetto, quello a cui tutti vogliono bene, sei quello che non deve mai sopportare offese e che non deve mai difendersi da nessuno… Ad essere onesto ti odiano un pochino tutti per questo… Cioè, io sicuramente… Anche il modo in cui hai trattato Elodie e Levante non mi è piaciuto per niente, insomma Levante ha diritto di fare quello che vuole e-» Cally non vorrebbe suonare offensivo, almeno non in questo momento, ma non può trattenersi dal buttare fuori quello che pensa «Ah è così che la vedi tu? Credi che a Natale io ce l’avessi con Levante perché ha chiuso la nostra relazione e si è messa con Elodie? Sicuramente non avevo preso benissimo la rottura… Questo è certo, ma… Non importa.» lo interrompe Antonio per poi rinunciare a quello che stava dicendo. L’attenzione di Cally torna al massimo «No, aspetta, adesso devi spiegarmi. Non puoi buttare l’amo così e poi non farci niente… Io… Prometto di non farne parola con nessuno, parola d’onore. Hai difeso mio cugino e ti sono debitore. So che non sono la persona più affidabile di questa famiglia, ma su una questione di onore non faccio cazzate.» si affretta ad incalzarlo. Antonio si volta improvvisamente per guardarlo negli occhi, come per testare che stia dicendo la verità, e Cally nota che sono di nuovo lucidi. Sembra davvero sul punto di ricominciare a piangere. «Lo giuri?» chiede con un filo di voce, perdendo solo per un attimo la sua compostezza. Cally si rende conto che ha bisogno che lui gli dica di sì, ha bisogno di liberarsi di un peso con qualcuno. «Lo giuro.» risponde seriamente guardando Antonio negli occhi per cercare di trasmettergli più fiducia possibile.
Antonio prende un respiro profondo e appoggia di nuovo la testa alla parete dietro la panchina, guardando in alto le poche nuvole bianche che viaggiano per il cielo azzurro. Sembra raccogliersi un attimo per farsi contagiare dalla serenità di quella giornata primaverile prima di riuscire a parlare «Io… Non ce l’avevo con Claudia, davvero… A Natale ho fatto delle gran puttanate, questo lo so e mi dispiace… Ma perché provavo invidia.» spiega Antonio sospirando. Cally non sa se è più stupito dall’aver sentito il signor Perfetto dire una parolaccia o dall’averlo sentito ammettere che era invidioso di qualcuno. Lui. Quello che di solito tutti invidiano. «C- Cosa intendi con “provavo invidia”? Perché lei è in una relazione e tu no?» chiede Cally sperando che dal suo tono si capisca che non intende prenderlo in giro. Antonio scuote la testa «Sarebbe davvero da bambini piccoli prendersela per una cosa così semplice, non trovi? Mi credete così infantile? Ouch… No… No, provavo invidia perché… Perché…» Antonio si interrompe e quel mezzo sorriso che era riuscito a fare scompare dalla sua faccia. Cally lo osserva con attenzione. Capisce perfettamente che si sta sforzando e non vuole assolutamente portarlo al punto di rottura «Ehi, ehi… Non devi mica sentirti obbligato, eh. Se non vuoi parlarne non fa niente… Possiamo parlare di altro… Possia-» prova a dire, ma subito Antonio lo interrompe «NO! No, ti prego… Se- Se non lo dico adesso non lo dirò mai più, lo so… Voglio solo… Voglio solo buttarlo fuori per una volta…» Antonio sospira e fa una piccola pausa prima di ricominciare «Perché loro riuscivano ad essere sé stesse ed io no.» dice, mentre alcune lacrime ricominciano a scendere silenziosamente lungo le sue guance. Cally resta a fissarlo un attimo. Sembra fuori posto tutta quell’amarezza in una giornata di sole così bella.
«Perché credi di non poter essere te stesso?» chiede con cautela Cally scrutando il volto di Antonio e riesce a notare una piccola smorfia involontaria che lui cerca subito di nascondere «”Stessa”» mormora sottovoce Antonio. «Come?» chiede Cally, che ha sentito benissimo, ma non ha afferrato il senso di quella correzione. Antonio chiude gli occhi e stringe le labbra, come se si stesse concentrando per farsi coraggio e poi parla con il suo solito tono calmo «Non credo di poter essere me stessa.» dice versando ancora qualche lacrima. Cally resta un attimo in silenzio mentre gli ingranaggi della sua mente rielaborano quello che ha appena sentito. Oh. Credo di aver capito. «Da quanto…? Perché non hai mai…? Io… Mi dispiace.» riesce a rispondere Cally prima di darsi dello stupido da solo «No, scusa. “Mi dispiace” è una risposta del cazzo. Io non avevo assolutamente idea di questa cosa e ti ho preso in giro per così tanto e ti ho sempre chiamato nel modo sbagliato e sicuramente non ho fatto altro che contribuire al tuo stato di malessere generale… Un “mi dispiace” non basta… Non ho modo di scusarmi per questo…» aggiunge subito con tono più deciso. «Come se io non ti avessi mai preso in giro… Con tutti voi… Ho rigirato il mio non poter essere me, insultando voi che ci riuscivate… Volevo mantenere quell’aria da “cugino perfetto” come se fosse una maschera… E… Non volevo perdere quell’attenzione che ricevevo… Non so neanche perché… Ci sono stati dei momenti in cui avrei voluto dire tutto, ma… Poi vedevo come le nonne parlavano di te o del ragazzo di Riccardo o di Anastasio e… Perdevo il coraggio…» cerca di tranquillizzarlo Antonio (?). Cally rimane un momento confuso «Tu sai davvero di tutti quanti? Perfino di me? Di Eugenio?» chiede e Antonio (?) gli sorride debolmente «Certamente. Mi hai mai sentito usare il tuo deadname? Siete la mia famiglia. Ho sempre ascoltato attentamente tutti i vostri discorsi e vi ho sempre osservati… Adoravo vedere le vostre bandiere in braccialetti, anelli, spille… Ho sempre guardato tutte le foto dei Pride a cui siete andati… Ma… Sì, ecco in un certo senso ho cercato di proiettare in quello che facevate voi…» spiega Antonio (?). Cally resta sorpreso dalla considerazione che dimostra per ognuno di loro, perfino per lui.  
«Cazzo… Prima di continuare il discorso, ti posso chiedere come preferiresti che ti chiami? Hai un nome scelto?» chiede subito Cally scuotendo la testa e fissa un attimo i suoi occhi di nuovo lucidi. Sicuro dopo devo portarle almeno un litro d’acqua per la reidratazione. «Ecco… Io… Ci ho pensato, ma… Non ne ho mai provato uno ad alta voce… Quindi… Un po’ mi mette ansia come cosa… Comunque… Volevo provare con “Anita”.» dice Anita. Cally annuisce «Ehi, peggio del mio soprannome idiota non può essere… Posso chiederti come mai Anita? Se ti va di dirmelo…» risponde e ad Anita si illuminano gli occhi «Ecco… Le versioni femminili di “Antonio” non mi piacciono e… Non volevo una cosa troppo simile al mio nome di battesimo… E… Mi sembrava un nome che ricorda abbastanza quello di battesimo, ma anche che suona completamente diverso… Se ha senso come discorso…» spiega lei. Cally annuisce «Sì, certo certo… Ha senso… Domanda: ti possiamo ancora chiamare “Godgiven” tra noi cugini? Tecnicamente è gender neutral, anzi forse più femminile dato che sappiamo tutti che Dio è una donna, ma voglio essere sicuro…» commenta subito e Anita scoppia a ridere, sembra anche che provi ad usare un tono leggermente più acuto. Cally sorride pensando che si è sentita abbastanza sicura con lui per tentare ad usare un timbro diverso «Davvero mi chiamate così? Ma è bellissimo! Certo, approvo al cento per cento il mio soprannome gender neutral! Ma… Ecco non credo di essere pronta a parlarne con gli altri… Io ecco… L’ho detto a te perché… Perché ne avevo bisogno e perché… Beh tu sei non-binary e sei una lesbica quindi… Sei la persona con un’esperienza più vicina alla mia che io conosca… C’è sempre Eugenio, ma lui è un ftm gay, non è proprio la stessa cosa e… Non ci conosciamo molto…» risponde lei con un sorriso e Cally le fa un occhiolino «Non preoccuparti Anita, il tuo segreto è al sicuro con me. E quindi sei una lesbica anche tu, eh? Sempre bello conoscerne altre… Se ti senti tranquilla a restare un paio di minuti da sola, ti porto un po’ d’acqua…» propone Cally e Anita annuisce «Grazie mille… Davvero… Comunque sono pan.» dice con un piccolo sorriso. Sembra più serena. Beh sicuramente gli eventi hanno preso una piega inaspettata.
4 notes · View notes
gregor-samsung · 5 years
Quote
Alla fine il Muro di Berlino è crollato. E il fantasma di una Europa centrale e della sua unificazione è a sua volta svanito. Gli scrittori dell'ex Europa dell'Est hanno acquisito il diritto di esprimersi più liberamente. Alcune delle opinioni che seguono mi sono state affidate in occasione dei miei incontri con loro, altre le ho raccolte nelle loro pubblicazioni: «Non ci sarà un'Europa centrale perché u nazionalisti vinceranno dappertutto», constatò il filosofo György Bence, vecchio dissidente. «L'Europa centrale deve creare prima un codice dei diritti delle minoranze» - questo avvertimento è di Janos Kiš, anche lui filosofo, dirigente della nuova Alleanza dei democratici liberi di Budapest. «L'Europa centrale è un circo ambulante per intellettuali», dichiara con ironia Josef Haslinger a Vienna. «È più un'ideologia che una realtà. Alcuni anni fa corrispondeva a un tentativo dei conservatori per aggirare le frontiere comuniste», spiega. Il suo compatriota, György Bence, è ancora più severo: «L'Europa centrale fa parte del kitsch politico». «L'Est e l'Ovest possono incontrarsi dappertutto… non hanno più bisogno di Vienna per farlo», conclude Peter Sichrowsky, scrittore ebreo nato in Galizia. «La fine dell'Europa centrale ha coinciso con la scomparsa degli ebrei», secondo Martin Pollac, corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel. «La letteratura dell'Europa centrale è una finzione che abbiamo inventato noi altri, scrittori dell'Europa centrale», confessa Lajos Grendel, intellettuale appartenente alla minoranza ungherese in Slovacchia. Il polacco Stanislaw Barańczak fu uno dei pochi che osarono ancora difendere l'Europa centrale in quanto «regno dello spirito». Andrzej Kusńiewicz, recentemente scomparso, fu uno dei più moderati in questo concerto: per lui «un ricordo dell'Europa centrale» sussisteva soltanto sul piano culturale. Ho avuto più di una volta occasione di ripetere il vecchio paragone di una conchiglia in cui si sente incessantemente il lieve rumore delle onde di un tempo: "Europa centrale". «I treni della storia» (curiosa metafora) ormai si fermano raramente a questa stazione.
Predrag Matvejević, Il Mediterraneo e l'Europa. Lezioni al Collège de France, (traduzione dal francese di Giuditta Vulpius), Garzanti, 2003²; pp. 122-24.
[ Edizione originale: La Méditerranée et l'Europe - Leçons au College de France, Paris, 1998 ]
4 notes · View notes
auroraccblog · 5 years
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
🔴Blood e Honour Hexagone: un gruppo neonazista di fronte alla giustizia - Le Monde - Luc Leroux
Tre leader di questo gruppo nostalgico del Terzo Reich potrebbero essere rapidamente rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale penale di Marsiglia per "partecipazione ad un gruppo di combattimento".
In quel giorno, la sala della Trois-Chênes de Torchefelon, un villaggio di 700 abitanti dell'Isère, è stata ufficialmente riservata per un compleanno. Il 5 marzo 2016, 400 appassionati di rock anticomunista (RAC) si sono riuniti per un concerto di "musica patriottica", organizzato da Blood and Honour Hexagon (BHH), un gruppo di estrema destra il cui nome si riferisce al motto della gioventù hitleriana "Blut und Ehre" ("sangue e onore").
Allertata da questa manifestazione apertamente neonazista, la polizia ha arrestato 393 persone. Risultato: 68 seguaci sono stati ritrovati in possesso di una cart "S" timbrata " destra radicale" con la panoplia del perfetto militante filonazista, di striscioni con la scritta "White Power" e manifesti con l'effigie del Terzo Reich.....
Tre dei leader di questo gruppo sono stati incriminati e potrebbero, secondo le nostre informazioni, essere rinviati a giudizio davanti al tribunale penale di Marsiglia nelle prossime settimane per "partecipazione ad un gruppo di combattimento", come richiesto dal pubblico ministero: Loïc Delboy, 38 anni, presidente di HexaProds, associazione legale di facciata, Pierre Scarano, 29 anni, autista di autobus nella regione parigina e considerato il braccio destro del primo, e il tesoriere dell'associazione, David Dumas, 48 anni, tipografo. L'accusa ha inoltre richiesto l'allontanamento per lo stesso reato del tatuatore "ufficiale", che era presente ai raduni di BHHH. Dopo il loro arresto nel marzo 2016, tutti sono stati posti sotto controllo giudiziario con il divieto di detenere armi.
🔴Fascinazione per il regime nazista 🔴
Il gruppo è sottoposto a giudizio dal 2015, dopo essere comparso nel corso di un'indagine sul traffico di armi ed esplosivi. Un pm marsigliese si è così immerso in questo universo che unisce il movimento skinhead, la musica e il fascino per il regime nazista e sta per chiudere il caso che Le Monde ha potuto consultare.
"Appartenere all'estrema destra per difendere il mio paese è l'impegno della mia vita", ha riassunto al magistrato Loïc Delbloy, un ex skinhead che adottava il bastone “con gli arabi e i redskins". All'ingresso dell'appartamento del signor Delboy, gli investigatori hanno notato la presenza di una tela sulla parete descritta come "una visione allegorica di Adolf Hitler in visita al fronte". Su uno stendibiancheria c'erano delle magliette firmate "Anti Antifa" con un coltello insanguinato e, sul retro, "Welcome to NS Territory", NS è l'abbreviazione di National Socialism. Nel suo computer, un esperto ha trovato video di raduni durante i quali sono state bruciate bandiere algerine e israeliane sul palco e un discorso del 2013 in cui dice di "reclamare la terra dei nostri antenati e non lasciarla ai cani di Israele e ai figli di Allah".
I tre uomini presentano Blood and Honour Hexagone come un gruppo di amici che vogliono "promuovere la scena musicale". La musica sembra essere il filo conduttore del gruppo, che, secondo Delboy, conta una ventina di membri, ma è legato ad altri movimenti di estrema destra come l'ex Union Defence Group di Lione o agli altri gruppi Blood and Honour all'estero, che in alcuni paesi sono fuorilegge.
L'attività formalmente dichiarata l’organizzazione di quattro eventi all'anno: a marzo, un concerto di musica RAC nella regione di Lione; a giugno, un gala di arti marziali miste (MMA), uno sport da combattimento la cui pratica e le cui competizioni sono vietate in Francia; a settembre, un secondo concerto chiamato "Memorial ISD" che celebra Ian Stuart Donaldson, cantante di un gruppo neonazista britannico (Skrewdriver) scomparso nel settembre 1993, noto per le sue teorie bianche suprematiste. E infine, a dicembre, si è tenuto il "Natale bianco". "Il termine bianco è più simile al colore della pelle dei partecipanti che al colore della neve", ha chiarito uno dei membri durante la sua custodia cautelare. Le foto illustrano anche la celebrazione, nel cuore della natura, del solstizio d'estate.
🔴Saluti Nazisti, tatuaggi e bombers🔴
I saluti nazisti sono d’obbligo in questi concerti, la cui location viene resa pubblica sui social network solo poche ore prima del loro inizio, al fine di evitare ogni rischio di infiltrazione. In questo ambiente dove il tatuaggio fa parte del codice di abbigliamento proprio come il bomber, uno degli attivisti, escluso da BHH, si è fatto tatuare il volto di Hitler sulla coscia sinistra. "Mi considero nazionalsocialista o, in altre parole, di estrema destra", ha spiegato.
La scelta delle location predilige piccoli villaggi isolati e le prenotazioni si effettuano con la scusa di un compleanno o di un battesimo. E' stata effettuata una perquisizione su ogni partecipante per "impedire loro di entrare con armi e, a seconda dei gruppi musicali invitati, per impedire loro di far entrare i telefoni cellulari e di scattare foto perché alcuni gruppi provenienti da Germania, Russia e Spagna sono vietati".
Rispondendo francamente agli investigatori, i leader della BHHH hanno spiegato che il gruppo era strutturato intorno ad un primo cerchio, i membri effettivi, un secondo cerchio composto da "prospettive", aspiranti membri prima di essere ammessi alla presentazione dei "colori" e, infine, simpatizzanti chiamati "esagonieri" che danno una mano nell'organizzazione degli eventi.
Alla domanda sulle condizioni necessarie per l'adesione, Loïc Delboy ha detto: "Prendere droghe è proibito, praticare uno sport è obbligatorio, bisogna praticare uno stile di vita sano, possibilmente uno sport da combattimento, ma questo non è obbligatorio. "La birra, tuttavia, non è proibita. "Non è però tollerato ritrovarci ubriachi morti per terra con una maglietta ufficiale del gruppo", ha riassunto un attivista.
Ma Loïc Delboy si è difeso dall'aver guidato un "gruppo di combattimento", cioè un "gruppo di persone che detengono o hanno accesso alle armi, con un'organizzazione gerarchica atta a turbare l'ordine pubblico", secondo il codice penale, che punisce il fatto di partecipare con tre anni di reclusione e una multa di 45 000 euro. Questo marsigliese vanta in particolare di aver avuto accesso alle armi e perturbato l'ordine pubblico.
Gli investigatori, da parte loro, imputano a Blood and Honour Hexagone e ai suoi manager "una ricerca di egemonia in alcuni mercati di nicchia considerati promettenti, come i concerti del RAC e le gare di MMA in Francia". Con la tendenza anche a "riunire un movimento di ultra-destra che agisce a livello diffuso". Loïc Delboy è stato visto durante gli scontri del 6 febbraio 2016 a Roquevaire (Bouches-du-Rhône) dove una trentina di attivisti dell'Action Provence francese si sono riuniti, nonostante un decreto prefettizio che lo vietasse, presso la tomba di Charles Maurras. O durante un concerto musicale del RAC il 31 luglio 2015 nelle arene di Fréjus (Var) che era degenerato in incidenti.
Questo gruppo è stato sciolto il 24 luglio di quest'anno in sede di Consiglio dei ministri. In risposta alla recrudescenza di atti antisemitici e anti-musulmani, Emmanuel Macron si è impegnato, alla fine di febbraio, durante una cena del Consiglio di Rappresentanza delle istituzioni ebraiche in Francia, a sciogliere diversi piccoli gruppi di estrema destra, tra cui Blood and Honour Hexagone.
Versione originale pubblicata su Le Monde:
🔴Blood and Honour Hexagone : un groupe néonazi face à la justice🔴
➡️[Article en entier] publié par Luc Leroux
Trois dirigeants de ce groupuscule nostalgique du IIIe Reich pourraient être renvoyés rapidement devant le tribunal correctionnel de Marseille pour « participation à un groupe de combat ».
Ce jour-là, la salle des fêtes des Trois-Chênes de Torchefelon, un village de 700 habitants dans l’Isère, avait été officiellement réservée pour un anniversaire. Le 5 mars 2016, 400 adeptes de rock anticommuniste (RAC), s’y sont retrouvés pour un concert de « musique patriote », organisé par Blood and Honour Hexagone (BHH), un groupuscule d’extrême droite, dont le nom fait référence au « Blut und Ehre » (« sang et honneur »), devise des Jeunesses hitlériennes.
Alertés de ce rassemblement aux relents ouvertement néonazis, les gendarmes ont procédé à 393 interpellations. Résultat : 68 adeptes relevaient d’une fiche « S » estampillée « droite radicale » avec la panoplie du parfait militant pronazi, banderoles « White Power », affiches à l’effigie du IIIe Reich…
Trois des dirigeants de ce groupe ont été mis en examen et pourraient, selon nos informations, être renvoyés dans les semaines à venir devant le tribunal correctionnel de Marseille pour « participation à un groupe de combat », comme l’a requis le parquet : Loïc Delboy, 38 ans, président d’HexaProds, l’association qui faisait office de vitrine légale, Pierre Scarano, 29 ans, conducteur de bus en région parisienne et considéré comme le bras droit du premier, et le trésorier de l’association, David Dumas, un imprimeur âgé de 48 ans. Le parquet a également requis le renvoi pour la même infraction du tatoueur « officiel », présent lors des rassemblements de BHH. Après leur interpellation en mars 2016, tous avaient été placés sous contrôle judiciaire avec interdiction de détenir des armes.
🔴Fascination du régime nazi🔴
Le groupe est dans le viseur de la justice depuis 2015, après être apparu au détour d’une enquête sur un trafic d’armes et d’explosif. Un juge d’instruction marseillais a ainsi plongé dans cet univers qui mêle mouvement skinhead, musique et fascination du régime nazi et s’apprête à boucler un dossier que Le Monde a pu consulter.
« L’appartenance à l’extrême droite afin de défendre mon pays est l’engagement de ma vie», a résumé au magistrat Loïc Delbloy, ancien skinhead adepte de bastons « avec des Arabes ou des redskins ». Dans l’entrée de l’appartement de M. Delboy, les enquêteurs avaient noté la présence d’une toile au mur décrite comme « une vision allégorique d’Adolf Hitler visitant le front ». Sur un étendoir séchaient des t-shirts siglés « Anti antifa » avec un couteau ensanglanté et, au dos, « Welcome to NS Territory », NS étant l’abréviation de national-socialisme. Dans son ordinateur, un expert a déniché des vidéos de rassemblements durant lesquels étaient brûlés sur scène des drapeaux algérien et israélien et un discours de 2013 appelant à « reconquérir la terre de nos ancêtres et non à l’abandonner aux chiens d’Israël et aux fils d’Allah ».
Les trois hommes présentent Blood and Honour Hexagone comme un groupe d’amis ayant le souci de « faire bouger la scène musicale ». La musique apparaît comme le fil rouge du groupuscule regroupant, selon M. Delboy, une vingtaine de membres, mais en lien avec d’autres mouvances d’extrême droite tels l’ex-Groupe union défense de Lyon ou des groupes Blood and Honour à l’étranger, interdits dans certains pays.
L’activité revendiquée est d’organiser quatre événements par an : en mars, un concert de musique RAC dans la région lyonnaise ; en juin, un gala d’arts martiaux mixtes (MMA), un sport de combat dont la pratique et les compétitions sont interdites en France ; en septembre, un second concert baptisé « Memorial ISD » célèbre Ian Stuart Donaldson, chanteur d’un groupe néonazi britannique (Skrewdriver) mort en septembre 1993, connu pour ses théories suprémacistes blanches. Et, enfin, en décembre, se tenait le « White Christmas ». « Le terme blanc s’apparente plus à la couleur de la peau des participants qu’à la couleur de la neige », a bien tenu à préciser l’un des membres durant sa garde à vue. Des photos illustrent également la célébration, en pleine nature, du solstice d’été.
🔴Saluts nazis, tatouages et bombers🔴
Les saluts nazis étaient de mise dans ces concerts dont l’adresse n’était diffusée que sur les réseaux sociaux que quelques heures avant qu’ils ne commencent afin d’éviter tout risque d’infiltration. Dans ce milieu où le tatouage fait partie du dress code tout comme le blouson bomber, l’un des militants, exclu de BHH, avait fait tatouer le visage d’Hitler sur sa cuisse gauche. « Je me considère comme national-socialiste ou en d’autres termes, d’extrême droite », s’est-il expliqué.
Le choix des lieux se portait sur des petits villages isolés et les réservations étaient faites sous le motif fallacieux d’un anniversaire ou d’un baptême. Une fouille était opérée sur chaque participant afin d’« éviter qu’ils n’entrent des armes et, suivant les groupes de musique invités, pour éviter qu’ils ne rentrent des téléphones portables et que des photos soient prises car certains groupes d‘Allemagne, de Russie et d’Espagne sont interdits ».
Répondant sans détour aux enquêteurs, les dirigeants de BHH ont expliqué que le groupe se structurait autour d’un premier cercle, les membres à part entière, un second cercle étant composé de « prospects », aspirants à l’adhésion avant d’être adoubés par la remise des « couleurs » et, enfin, des sympathisants baptisés « hexagoners » qui donnent notamment un coup de main dans l’organisation des événements.
Interrogé sur les conditions nécessaires à l’adhésion, Loïc Delboy a indiqué : « Prise de drogue interdite, pratique d’un sport obligatoire, une bonne hygiène de vie, un sport de combat mais ce n’est pas obligatoire. » La bière n’entre cependant pas dans les prohibitions. « Il n’est pas toléré de nous retrouver ivres morts à terre avec un t-shirt officiel du groupuscule », a résumé un militant.
Mais Loïc Delboy s’est défendu d’avoir dirigé un « groupe de combat », soit un « groupement de personnes détenant ou ayant accès à des armes, doté d’une organisation hiérarchisée et susceptible de troubler l’ordre public », selon le code pénal, qui punit le fait d’y participer de trois ans de prison et de 45 000 euros d’amende. Ce Marseillais conteste notamment avoir eu accès à des armes et avoir troublé l’ordre public.
Les enquêteurs, eux, prêtent à Blood and Honour Hexagone et à ses dirigeants « une recherche d’hégémonie sur certains créneaux jugés porteurs comme les concerts RAC et la compétition de MMA en France ». Volonté aussi de « rassembler une mouvance ultradroitière qui agit en ordre dispersé ». Loïc Delboy a ainsi été vu lors des incidents du 6 février 2016 à Roquevaire (Bouches-du-Rhône) où une trentaine de militants de l’Action française Provence s’étaient rassemblés, malgré un arrêté préfectoral l’interdisant, à proximité de la tombe de Charles Maurras. Ou lors d’un concert de musique RAC le 31 juillet 2015 dans les arènes de Fréjus (Var) qui avait dégénéré en bagarre générale.
Le groupe lui-même a été dissous le 24 juillet de cette année en conseil des ministres. En réponse à une recrudescence des actes antisémites et antimusulmans, Emmanuel Macron s’était engagé, fin février, lors d’un dîner du Conseil représentatif des institutions juives de France à dissoudre plusieurs groupuscules de l’ultradroite, dont Blood and Honour Hexagone.
Traduzione a cura di AURORA: https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/08/21/blood-and-honor-hexagone-un-groupe-neonazi-face-a-la-justice_5501173_3224
1 note · View note
erule · 6 years
Text
METAMORO JEALOUSY! AU PART 2
Fabrizio era praticamente scomparso dalla circolazione. Probabilmente aveva trovato la slovena e chissà adesso dov'era finito. Ermal scosse la testa: non voleva pensarci. Così, si ritrovò alle due di notte passate a fumare la sua sigaretta con le braccia mollemente posate sul davanzale della finestra, respirando l'aria di Lisbona.
E dannazione, se avrebbe voluto uccidere Fabrizio.
Ma davvero non riusciva a capire? Davvero non aveva notato il modo in cui lo guardava o come fingesse di battere le mani per non coprire la sua parte durante "Non mi avete fatto niente" o che si era ingelosito quando aveva pronunciato quelle parole - squallide - rivolte alla slovena? Non era una persona che rendeva lampanti i propri sentimenti, ma non gli era sembrato nemmeno di essere troppo riservato in quel campo.
Press un'ultima boccata di fumo, dopodiché fece per voltarsi ed andare a fare una doccia, ma si ritrovò a fermarsi nel bel mezzo della stanza, perché Fabrizio aveva appena aperto la porta e lo stava fissando con uno sguardo davvero molto strano.
"Fabri?"
"Me l'ha dovuto dire quel giornalista... sai, quello inglese che è sempre felice di vederci. Ho dovuto saperlo da lui".
Ermal corrucciò la fronte, confuso.
"Ma di cosa stai parlando? Non eri andato a cercare la slovena?"
"Sono andato sullo skyline per bere una birra, non ho trovato la slovena, ma quel tipo. Mi ha detto qualcosa come: 'Non sapevo che tu ed il tuo compare steste insieme'. Ovviamente mi sono fatto tradurre tutto da un'italiana che stava là. Mi ha detto: 'Gli sguardi che ti lancia... si vede che è innamorato di te'. Allora io sono andato in paranoia, perché insomma, tu non potevi mi a provare qualcosa per me, giusto? Ma poi ho pensato a quanto ti abbia dato fastidio la battuta sulla slovena ed il tuo sguardo quando sono andato via per cercarla e ho collegato", spiegò Fabrizio ed Ermal, che era rimasto senza fiato, avvertì il suo cuore battere distintamente nel petto alla velocità della luce. L'aveva scoperto, aveva davvero capito tutto, ma ora non era sicuro di volere che lui sapesse. Fabrizio compì un passo verso di lui, la porta adesso chiusa alle sue spalle. "Di' qualcosa, Ermal. Dimmi che mi sto sbagliando. Dimmi che non provi niente per me se non profonda amicizia. Dimmelo".
Ermal buttò fuori l'aria, le labbra cucite, gli occhi umidi che rifuggivano lo sguardo di Fabrizio.
"Fabrì, io..."
"Non costringermi a cercare la slovena, Ermal. Non farmelo fare. Ti prego".
Ed in quelle parole, che risuonarono nella testa di Ermal come una supplica, lui sentì anche il significato che celavano: "Non farmi andare via, perché non voglio lei, ma te. Voglio te".
"Ero geloso", fu tutto quello che riuscì a farsi sfuggire dalla bocca, un sospiro fra le labbra, ma a Fabrizio bastò.
Accorciò la distanza che li separava per baciarlo, le mani sulle guance bollenti di Ermal, il sapore di nicotina sulla punta della lingua e quella sensazione di caduta nel vuoto nello stomaco.
Si staccò un attimo per guardarlo e lo vide sorridere. Ermal era bello quando sorrideva, perché sembrava felice, felice come non lo appariva mai.
"Spero che i vicini non si lamentino, stanotte", disse Fabrizio, ridacchiando.
"Non ti preoccupare", rispose Ermal, "c'abbiamo sotto la slovena".
44 notes · View notes
enricicca · 2 years
Text
La Signora del Mondo
Buone Palme e un augurio sincero di Pace per tutti. Il momento poetico domenicale comincia dalla parte sbagliata, cioè dagli ennesimi versi di qualche tempo fa del vostro poetastro prediletto, me medesimo. Rileggendo, non saprei dire se la poesia è completa o solo un abbozzo parziale: si vedrà. LA SIGNORA DEL MONDO Ma quale falce, quale veste nera! Quali orridi teschi immaginate? La Signora del Mondo è una bambina. Voi lo sapete, è l’ultima domanda: ferma il raggiro di un’altra mattina e degli affanni, delle arrampicate, d’ogni promessa nuova primavera. È la quiete compatta che non sbanda. Non c’è dolore in chi prende per mano; lo lascia a chi rimane, finché dura. Non c’è ragione di averne paura o dannarsi a temerla da lontano. La morte è un tema che affascina i poeti (e non solo) da svariati millenni. Io credo che ne abbia trattato con particolare grazia l'immensa Wislawa Szymborska, in almeno tre liriche del suo vasto canzoniere. La prima mi pare sia una perfetta traduzione di quella che Montale chiama "la vaneggiante amara/ oscurità che scende su chi resta". È la morte vista attraverso gli innocenti occhi di un gatto. IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO Morire - questo a un gatto non si fa. Perché cosa può fare un gatto in un appartamento vuoto? Arrampicarsi sulle pareti. Strofinarsi tra i mobili. Qui niente sembra cambiato, eppure tutto è mutato. Niente sembra spostato, eppure tutto è fuori posto. E la sera la lampada non brilla più. Si sentono passi sulle scale, ma non sono quelli. Anche la mano che mette il pesce nel piattino non è quella di prima. Qualcosa qui non comincia alla solita ora. Qualcosa qui non accade come dovrebbe. Qui c'era qualcuno, c'era poi d'un tratto è scomparso e si ostina a non esserci. In ogni armadio si è guardato. Sui ripiani si è corso. Sotto il tappeto si è controllato. Si è perfino infranto il divieto di sparpagliare le carte. Che altro si può fare. Aspettare e dormire. Che lui provi solo a tornare, che si faccia vedere. Imparerà allora che con un gatto così non si fa. Gli si andrà incontro come se proprio non se ne avesse voglia, pian pianino, su zampe molto offese. E all'inizio niente salti né squittii. Mi pare che quel "si ostina a non esserci" valga da solo il tempo impiegato a leggere. La pacatezza ironica con cui Szymborska descrive l'abisso del dolore (lei lo conosceva direttamente. attraverso la vedovanza che le toccò in sorte) non lo rende (au contraire!) meno agghiacciante. E lo stesso penso si possa dire di LA STANZA DEL SUICIDA Certo pensate che la stanza fosse vuota. E invece c’erano tre sedie con robusti schienali. Una lampada buona contro il buio. Una scrivania con sopra un portafoglio, giornali. Un Buddha sereno, un Cristo afflitto. Sette elefanti portafortuna, nel cassetto un’agenda. Pensate che non ci fossero i nostri indirizzi? Pensate che mancassero libri, quadri, dischi? E invece c’era una trombetta consolatrice in mani nere. Saskia e il suo cordiale piccolo fiore. La gioia, scintilla degli dèi. Ulisse sul ripiano nel sonno ristoratore dopo le fatiche del quinto canto. I moralisti, nomi scritti a lettere d’oro sui dorsi ben conciati. Lì accanto i politici stavano ben ritti- E quella stanza non sembrava priva di vie d’uscita, magari dalla porta, né senza prospettive, magari dalla finestra. Gli occhiali da vista erano sul davanzale. Una mosca ronzava, ossia era ancora viva. Pensate che almeno la lettera spiegasse qualcosa. Ma se vi dico che non c’erano lettere – e noi, gli amici – tanti -, ci ha tutti contenuti la busta vuota appoggiata a un bicchiere. Formidabile e terribile, vero? Ma Szymborska è cantore che non abbandona mai la speranza. Ed ecco quindi, scusandomi per l'argomento non proprio solare che ho scelto, il suo SULLA MORTE, SENZA ESAGERARE Non s’intende di scherzi, stelle, ponti, tessitura, miniere, lavoro dei campi, costruzione di navi e cottura di dolci. Quando conversiamo del domani intromette la sua ultima parola a sproposito. Non sa fare neppure ciò che attiene al suo mestiere: né scavare una fossa, né mettere insieme una bara, né
rassettare il disordine che lascia. Occupata a uccidere, lo fa in modo maldestro, senza metodo né abilità. Come se con ognuno di noi stesse imparando. Vada per i trionfi, ma quante disfatte, colpi a vuoto e tentativi ripetuti da capo! A volte le manca la forza di far cadere una mosca in volo. Più d’un bruco la batte in velocità. Tutti quei bulbi, baccelli, antenne, pinne, trachee, piumaggi nuziali e pelame invernale testimoniano i ritardi del suo ingrato lavoro. La cattiva volontà non basta e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni e, almeno finora, insufficiente. I cuori battono nelle uova. Crescono gli scheletri dei neonati. Dai semi spuntano le prime due foglioline, e spesso anche grandi alberi all’orizzonte. Chi ne afferma l’onnipotenza è lui stesso la prova vivente che essa onnipotente non è. Non c’è vita che almeno per un attimo non sia stata immortale. La morte è sempre in ritardo di quell’attimo. Invano scuote la maniglia d’una porta invisibile. A nessuno può sottrarre il tempo raggiunto. Spero vi sia chiaro. Non dovete preoccuparvi della morte, ma di arricchire il tempo che avete raggiunto. Quello che resterà, qualunque cosa faccia e in qualsiasi momento arrivi la Signora del Mondo. Auguri di serenità e di pace. Buone Palme.
1 note · View note
ao3feed-daisuga · 3 years
Text
2. I fraintendimenti
read it on the AO3 at https://ift.tt/2SIw3JW
by Deh_LorasWeasley
AU [iwaoi] [accenni daisuga e altre coppie] "Nel momento stesso in cui Tooru l’aveva baciato tutto il resto era scomparso e nella mente di Iwaizumi era rimasto solo un grande ronzio. ... -Ti voglio così tanto, per favore… -È quello che dici a tutti, vero?- ringhiò l’altro spingendoselo però meglio contro. Oikawa rise lasciandogli un bacio sul collo –Sì certo, il problema è che penso sempre a te quando lo faccio."
Words: 1025, Chapters: 1/14, Language: Italiano
Series: Part 2 of Haikyuu - Azienda di articoli sportivi
Fandoms: Haikyuu!!
Rating: Mature
Warnings: No Archive Warnings Apply
Categories: M/M
Characters: Oikawa Tooru, Iwaizumi Hajime, Sugawara Koushi, Sawamura Daichi, Miya Atsumu, Ushijima Wakatoshi
Relationships: Iwaizumi Hajime/Oikawa Tooru, Sawamura Daichi/Sugawara Koushi
Additional Tags: Fluff, Hurt/Comfort, Misunderstandings, Falling In Love, Idiots in Love, Angst with a Happy Ending, First Kiss, First Love
read it on the AO3 at https://ift.tt/2SIw3JW
0 notes
guyclement · 2 years
Video
youtube
URBEX Guy Clément AMAZING ABANDONED VIDEO - Merci de vous abonner, c'est gratuit, et cela m'encourage! Thank you for subscribing, it’s free, and it encourages me! En 1841, deux frères Albert et Hermann Wernecke fondent une petite brasserie  à Magdebourg en Allemagne. Sur ce site depuis 1843 avec sa propre machine à vapeur de 40 chevaux. L'usine a changé son nom en Actien Brauerei , et de grands bâtiments  ont été construits de 1887-88 pour développer davantage la production de bière, en ajoutant une glacière, une fontaine, des machines à vapeur plus grandes, des opérations de maltage et même sa propre gare. L’entreprise comptait 180 employés en 1888. En 1941, l’établissement est devenu la plus grande brasserie de la province avec 680 travailleurs. Après la Seconde Guerre mondiale, plus de 70 % des bâtiments ont été détruits par l’artillerie, Au moment où la RDA est arrivée au pouvoir, l’installation produisait plus de 14,5 millions de gallons de bière depuis sa fondation. La brasserie a poursuivi sa production jusqu’à ce que la marque Diamant disparaisse lentement du marché. En 1994, la brasserie a été fermée et l’installation est tombée à l'abandon. In 1841, two brothers Albert and Hermann Wernecke founded a small brewery in Magdeburg, Germany. On this site since 1843 with its own 40 horsepower steam engine. The plant changed its name to Actien Brauerei , and large buildings were built from 1887-88 to further develop beer production, adding a cooler, a fountain, larger steam engines, malting operations and even its own station. The company had 180 employees in 1888. In 1941, the establishment became the largest brewery in the province with 680 workers. After the Second World War, more than 70% of the buildings were destroyed by artillery, By the time the GDR came to power, the facility had produced more than 14.5 million gallons of beer since its foundation. The brewery continued production until the Diamant brand slowly disappeared from the market. In 1994, the brewery was closed and the facility was abandoned. В 1841 году два брата Альберт и Герман Вернеке основали небольшую пивоварню в Магдебурге, Германия. На этом участке с 1843 года с собственным паровым двигателем мощностью 40 л.с. Завод изменил своё название на Actien Brauerei , и большие здания были построены в 1887-1888 годах для дальнейшего развития производства пива, добавив охладитель, фонтан, большие паровые двигатели, солодовые операции и даже свою собственную станцию. В 1888 году в компании работало 180 сотрудников. В 1941 году завод стал крупнейшим пивоваренным заводом в провинции с 680 рабочими. После Второй мировой войны более 70 % зданий были разрушены артиллерией, Ко времени прихода ГДР к власти завод произвел более 14,5 миллионов галлонов пива с момента своего основания. Пивоварня продолжала производство до тех пор, пока бренд Diamant медленно не исчез с рынка. В 1994 году пивоварня была закрыта, а завод заброшен. Nel 1941 lo stabilimento divenne il più grande birrificio della provincia con 680 lavoratori. Dopo la seconda guerra mondiale, più del 70% degli edifici sono stati distrutti dall'artiglieria, Quando la DDR è arrivata al potere, l'impianto ha prodotto più di 14,5 milioni di galloni di birra dalla sua fondazione. Il birrificio ha continuato la sua produzione fino a quando il marchio Diamant è lentamente scomparso dal mercato. Nel 1994 il birrificio è stato chiuso e l'impianto è caduto in disuso. En 1841, dos hermanos Albert y Hermann Wernecke fundaron una pequeña cervecería en Magdeburgo, Alemania. En este sitio desde 1843 con su propia máquina de vapor de 40 caballos. La fábrica cambió su nombre a Actien Brauerei , y grandes edificios fueron construidos entre 1887 y 1888 para desarrollar aún más la producción de cerveza, añadiendo una nevera, una fuente, máquinas de vapor más grandes, operaciones de malteado e incluso su propia estación. La empresa contaba con 180 empleados en 1888. En 1941, el establecimiento se convirtió en la fábrica de cerveza más grande de la provincia con 680 trabajadores. Después de la Segunda Guerra Mundial, más del 70% de los edificios fueron destruidos por la artillería, Cuando la RDA llegó al poder, la instalación producía más de 14,5 millones de galones de cerveza desde su fundación. La fábrica de cerveza continuó su producción hasta que la marca Diamant desapareció lentamente del mercado. En 1994 se cerró la fábrica de cerveza y se abandonó la instalación. Retrouvez-moi sur les réseaux / Follow me for daily content: 👍 Facebook:  Urbex Guy Clement  https://www.facebook.com/profile.php?... 👉 Youtube  URBEX Guy Clément  https://www.youtube.com/channel/UCNhQ... 📸 Instagram:  @abandoned.urbex.world  https://www.instagram.com/abandoned.u...     🎵TikTok: @urbexguyclement https://www.tiktok.com/@urbexguycleme...     🐦Twitter: @GuyPellegrin https://twitter.com/GuyPellegrin   #amazing #lostplace #urbex
0 notes
mariposasky · 6 years
Photo
Tumblr media Tumblr media
Uhm, non è esattamente come me l’avevo immaginato, però poteva venirmi anche peggio XD
L’illustrazione è riferita al capitolo 11 della fan fiction “Scomparso”  https://archiveofourown.org/works/16591724/chapters/39337072
E’ da quando l’avevo scritto che avevo voglia di fare qualche schizzo. E visto che devo mantenermi in esercizio con il disegno, ne ho approfittato per fare questo. 
https://www.deviantart.com/ya-chan85
22 notes · View notes
ao3feed-hqrarepairs · 7 years
Text
Someone's Out There, Sending Out Flares
read it on the AO3 at http://ift.tt/2ge4S3r
by larana
Il suo drago è scomparso. Semi lo ha aspettato per giorni, ma adesso sa di non poter più restare nel piccolo villaggio di Shiratorizawa, ad starsene con le mani in mano. Pieno di timore ma risoluto a ritrovare la sua preziosa Dezai, decide di partire per una missione di salvataggio, ritrovandosi accanto Tendō, l'amico carissimo che, anni prima, lo ha imperdonabilmente tradito, e di cui adesso Semi sopporta a stento la vista e Brogus, il suo drago. Per i tre incomincia un'avventura che porterà forse a Dezai e che metterà a dura prova tutto ciò in cui Semi ha sempre creduto, tutta la risolutezza che, in tutti quegli anni, lo ha tenacemente tenuto lontano dal perdono che una parte di sé sembra così impaziente di concedere a Tendō.
Words: 7080, Chapters: 1/?, Language: Italiano
Fandoms: Haikyuu!!
Rating: Teen And Up Audiences
Warnings: Creator Chose Not To Use Archive Warnings
Categories: M/M
Characters: Semi Eita, Ushijima Wakatoshi, Tendou Satori, Tendou's dragon, Semi's dragon, Iwaizumi Hajime, Oikawa's dragon, More Characters to Come - Character
Relationships: Semi Eita/Tendou Satori, Semi Eita & Tendou Satori
Additional Tags: Dragons!AU, Enemy to Friends, Friends to Lovers, Hate to Love, Hurt/Comfort, Rescue, Rescue travel, more tags to come
read it on the AO3 at http://ift.tt/2ge4S3r
1 note · View note
calabriawebtvcom · 6 years
Text
Luca Tacchetto e Edith Blais, scomparsi in Burkina Faso: le ultime notizie
New Post has been published on https://calabriawebtv.com/luca-tacchetto-e-edith-blais-scomparsi-in-burkina-faso-le-ultime-notizie/
Luca Tacchetto e Edith Blais, scomparsi in Burkina Faso: le ultime notizie
Luca Tacchetto e Edith Blais, spariti nel nulla in Burkina Faso lo scorso 15 dicembre sarebbero stati sequestrati. La notizia è stata avvalorata da fonti canadesi, con il presidente Justin Trudeau che ha confermato che Ottawa ha tutte le ragioni per credere che la 34enne sia ancora viva: “Tutto ciò che so finora, è che crediamo che sia viva”, ha detto dopo che membri del suo governo hanno incontrato i familiari della ragazza a Sherbrooke. Nessun accenno sul giovane di Vigonza, in provincia di Padova, con il papà che però ha recentemente confermato la tesi del sequestro: “La cosa più probabile è che sia stato rapito per fini politici o economici, non da jihadisti”
Burkina Faso, si dimette il governo
Intanto sono arrivate le dimissioni del premier del Paese africano, Paul Kaba Thieba, e del suo governo. A comunicarlo, lo stesso Thieba sul suo account Twitter, aggiungendo che il presidente Roch Marc Christian Kaboré le ha accettate. Non sono stati forniti dettagli sulle motivazioni, ma secondo i media locali, la mossa è stata voluta dalla presidenza per dare nuova vita alla leadership del Paese dell’Africa occidentale che sta combattendo un’ondata crescente di attacchi jihadisti e presa di ostaggi.
  Ma mission à la tête du gouvernement s’achève J’ai remis ma démission ainsi que celle de mon gouvernement à Son Excellence le Président du Faso qui l’a acceptée. Ma reconnaissance au Président du Faso, au peuple burkinabè, mes collaborateurs et tous ceux qui nous ont accompagné. pic.twitter.com/TFlh9mfaFE
— Paul Kaba THIEBA (@KabaThieba) 18 gennaio 2019
Luca e Edith, scomparsi in Burkina Faso: la nota della Farnesina
Le preoccupazioni sulla sorte dei due ragazzi però continuano ad essere elevate, in particolare dopo il ritrovamento nel nord del Burkina Faso al confine con il Niger, del corpo del canadese Kirk Woodman, geologo che lavorava per la società mineraria di Vancouver Progress Mineral Mining Company. L’unità di crisi della Farnesina segue con massima attenzione il caso di Luca Tacchetto, scomparso in Burkina Faso dal 15 dicembre, tenendosi in contatto con i familiari del connazionale. Fonti della Farnesina fanno notare che è necessario il massimo riserbo sulla vicenda.
La Procura di Roma indaga per sequestro a scopo di terrorismo
La Procura di Roma indaga per il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo in merito alla scomparsa in Burkina Faso dell’architetto padovano Luca Tacchetto. Il fascicolo era stato aperto inizialmente come modello 45, cioè senza indagati o ipotesi di reato. Il pm Sergio Colaiocco, titolare dell’indagine, ha adesso rubricato l’indagine con quanto previsto dall’articolo 289 bis del codice penale.
La scomparsa di Luca e Edith
Dal 15 dicembre scorso non si hanno notizie di Luca Tacchetto, 30 anni di Vigonza, figlio dell’ex sindaco della località padovana Nunzio, scomparso nel nulla nel corso di un viaggio in Burkina Faso. Le ultime notizie lo davano in viaggio, insieme all’amica Edith Blais, 34enne canadese, verso la capitale Ougadougou, a bordo di un’auto con targa italiana. Pare che i due fossero attesi a cena da una coppia che abita nella capitale e con la quale avevano un appuntamento.
0 notes
ao3feed-tensemi · 7 years
Text
Someone's Out There, Sending Out Flares
read it on the AO3 at http://ift.tt/2ge4S3r
by larana
Il suo drago è scomparso. Semi lo ha aspettato per giorni, ma adesso sa di non poter più restare nel piccolo villaggio di Shiratorizawa, ad starsene con le mani in mano. Pieno di timore ma risoluto a ritrovare la sua preziosa Dezai, decide di partire per una missione di salvataggio, ritrovandosi accanto Tendō, l'amico carissimo che, anni prima, lo ha imperdonabilmente tradito, e di cui adesso Semi sopporta a stento la vista e Brogus, il suo drago. Per i tre incomincia un'avventura che porterà forse a Dezai e che metterà a dura prova tutto ciò in cui Semi ha sempre creduto, tutta la risolutezza che, in tutti quegli anni, lo ha tenacemente tenuto lontano dal perdono che una parte di sé sembra così impaziente di concedere a Tendō.
Words: 7080, Chapters: 1/?, Language: Italiano
Fandoms: Haikyuu!!
Rating: Teen And Up Audiences
Warnings: Creator Chose Not To Use Archive Warnings
Categories: M/M
Characters: Semi Eita, Ushijima Wakatoshi, Tendou Satori, Tendou's dragon, Semi's dragon, Iwaizumi Hajime, Oikawa's dragon, More Characters to Come - Character
Relationships: Semi Eita/Tendou Satori, Semi Eita & Tendou Satori
Additional Tags: Dragons!AU, Enemy to Friends, Friends to Lovers, Hate to Love, Hurt/Comfort, Rescue, Rescue travel, more tags to come
read it on the AO3 at http://ift.tt/2ge4S3r
0 notes
ao3feed-haikyuu · 7 years
Text
Someone's Out There, Sending Out Flares
read it on the AO3 at http://ift.tt/2ge4S3r
by larana
Il suo drago è scomparso. Semi lo ha aspettato per giorni, ma adesso sa di non poter più restare nel piccolo villaggio di Shiratorizawa, ad starsene con le mani in mano. Pieno di timore ma risoluto a ritrovare la sua preziosa Dezai, decide di partire per una missione di salvataggio, ritrovandosi accanto Tendō, l'amico carissimo che, anni prima, lo ha imperdonabilmente tradito, e di cui adesso Semi sopporta a stento la vista e Brogus, il suo drago. Per i tre incomincia un'avventura che porterà forse a Dezai e che metterà a dura prova tutto ciò in cui Semi ha sempre creduto, tutta la risolutezza che, in tutti quegli anni, lo ha tenacemente tenuto lontano dal perdono che una parte di sé sembra così impaziente di concedere a Tendō.
Words: 7080, Chapters: 1/?, Language: Italiano
Fandoms: Haikyuu!!
Rating: Teen And Up Audiences
Warnings: Creator Chose Not To Use Archive Warnings
Categories: M/M
Characters: Semi Eita, Ushijima Wakatoshi, Tendou Satori, Tendou's dragon, Semi's dragon, Iwaizumi Hajime, Oikawa's dragon, More Characters to Come - Character
Relationships: Semi Eita/Tendou Satori, Semi Eita & Tendou Satori
Additional Tags: Dragons!AU, Enemy to Friends, Friends to Lovers, Hate to Love, Hurt/Comfort, Rescue, Rescue travel, more tags to come
read it on the AO3 at http://ift.tt/2ge4S3r
0 notes