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#uragano s
falcemartello · 8 months
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La cosa più surreale è che siamo venuti a conoscenza di questo evento tragico e molto misterioso solo dopo 5 giorni dall'accaduto!
E ancora, testimonianza di quello che è svcayin questo breve filmato:
In pratica sono stati colpiti 3 punti conosciuti come " miniere d'oro" a livello di introiti...il ragazzo dice che è impossibile si sia formato un uragano proveniente dalla direzione citata perché impossibile. Il ragazzo dice anche " si sa chi vive nel posto attaccato"... io nn so chi vive li ...in più dice che la popolazione nn è stata avvertita di nulla.
Vuoi vedere che quello che è accaduto non sono veri incendi ma test?
https://twitter.com/GuidoDeLuca12/status/1691001022422937600?t=SYiA6DH4VG9KQ9ZreefpgQ&s=19
Perché nessun giornalista di TG ha cercato di spiegare o non abbia neanche preso in considerazione i motivi e le cause di tale disastroso evento?
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Sei fatta di insicurezze tu, tutte quelle che a volte ti fanno rabbia ed altre paura.
Perché potresti vivere tutto un po’ meglio, un po’ meno in silenzio, un po’ meno di cuore.
E le persone non capiscono cosa ti passa per la testa, ti dicono che sbagli, che devi fidarti, che l’amore fa anche questo.
Ma tu sei così, piena di paure e di cose che non vuoi spiegare, ma vorresti capissero.
Ma chi ti capisce a te, che piangi un sacco e ti chiudi in te stessa, osservando la poggia e aspettando.
Si, tu aspetti, aspetti che un giorno qualcuno arrivi e non ti dica di smetterla di fare la bambina, ma ti mostri quanto può essere forte un uragano dentro il corpo di una donna.
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halcionic · 4 years
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«  dreams don’t plague the dead  » A WIP INTRO
GENRE » YA dystopian
POV » third-person (limited)
THEMES » light vs dark morality › amnesia › angst › found family › rebellion
STATUS » first draft / 10k words
«  synopsis  »
     The world as a whole is not the world Dante Uragano wants to live in. Or, more rather, the world he remembers living in. His mother told him he had an accident when he was a child, but he’s starting to believe that she lied. And he thought the lies were just as varied, just as spiraling as the cracks in his bedroom wall.
     Marco Campbell had seen the world in one light his entire light - something he was meant to protect. While the apocalypse had come and gone, humanity hadn’t, and now he was in training to make sure that nothing jeopardized that. Even if it means changing the setting of his ray gun to kill.
     If there was one thing Stef Campbell wanted, it was color. Whether he wanted anarchy or not could be debated, but he would fight for his color until he dropped dead. He would fight ‘till the City caught him - he would give the truth of the graffiti bible to as many people as he could before he left.
     Battery City was a home, a hell, and a prison. But it might just take the help of Gabriel Harper to figure that out, and they’ve been through the same things over and over and over again.
«  characters  »
Dante Uragano » A boy who knows things he shouldn't, and can't remember why. He can't remember any of the whys.
Stef Campbell » A rebel still charging, making riots and mischief and all-around color.
Marco Campbell » About to graduate the S/C/A/R/E/C/R/O/W Program, Marco's starting to wonder if BLI is as it says it is.
Gabriel Harper » An experiment like Dante, and yet, just like Stef in their mindset, leading the world to something Better.
«  excerpt  »
Twisting his fork to take a bite of spaghetti, Korse’s expression was drawn into a thin, tight line. “Actually, Dante, it’s less of a talk and more of an opportunity.”
“What opportunity?” Get to the point. Dante wanted them out of his house as soon as possible. They weren’t welcome, and Dante didn’t have the time to figure out why until they were gone. 
That was when Korse started smiling again, an attempt to be friendly. It wasn’t working - there was an impulse in the back of Dante’s head that told him he needed to run, though he had no idea why he would want to run.
Then again, aren’t Exterminators taught to be threats? 
“Well, we’ve been looking at your file, and we - Better Living Industries, of course - believe you’re fit to be initiated into the S/C/A/R/E/C/R/O/W Program, if you’d so wish,” said Korse, finishing his statement before bringing a bite of food to his mouth and chewing, dropping eye contact with Dante.
*Yes, I accidentally deleted this so I’m remaking it :’)
Taglist (ask to be added/removed): @sistertosleep @acatwithmanyfandoms​ @i-said-i-loved-u-2-death​
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merrowloghain · 4 years
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19.08.76
La frase che prende a scrivere è "Under the Weather", ma lì si blocca come se non avesse altro da aggiungere di colpo. (...)
L`umidità della sua punta viene sfruttata fino all`ultimo, una tecnica di scrittura non proprio delicata o affinata. Sicuramente non è uno di quelli che possono vantare una bella calligrafia fra le proprie capacità. Tuttavia, scrive ancora "Down To Earth", prendendosi tutto il tempo necessario per farlo. Come se non vi fosse effettivamente un filo logico seguito da egli stesso. (...)
Perchè prende a scrivere dell`altro sul foglio, cambiando radicalmente espressione: si fa serio, medtabondo, preoccupato. "The Bridge is falling down, but.." verga ancora, mandando giù un po` di saliva e riponendo il pennino per raddrizzarsi con la schiena e stiracchiarsi.
Questa volta legge ciò che scrive, soffermandosi un poco sulla frase che lui crea, subendo quel voltarsi nei suoi confronti con la "resting-bitch-face" altrui a darle potenzialmente l`informazione che forse la dovrebbe piantare d`essere così indiscreta. Ma niente. La Loghain se ne sbatte altamente. E` con una calma innaturale, con movimenti fluidi ma letargici, che paiono usciti direttamente da un sogno, che lei scosta la destra dal boccale, non avendo minimamente toccato la sua bevanda, per allungare l`indice in direzione dell`inchiostro. Se l`altro non si opponesse al suo gesto, quindi, picchietterebbe quel dito lungo come la zampa di un`Acromantula albina, sotto quel "But", come a volergli far intendere che sia importante, che quella sia una svolta, per infine virare proprio sulle tre lettere e tentare d`imprimerci forte il polpastrello, in uno sbavare d`inchiostro che porterebbe la sua firma ad impronta digitale, e che cancellerebbe quella congiunzione semplicemente con una breve e naturale dimostrazione della propria esistenza.  (...)
Segue con le iridi ambrate il percorso dell`indice di lei, senza dare l`impressione di volerla fermare. La lascia fare, rimanendo immobile e pacifico come un panda piazzato lì ed incapace di lasciarsi scuotere da tali piccolezze. La sbavatura sul foglio, la cancellazione parziale di quelle tre lettere, non hanno su di lui l`effetto che probabilmente avrebbero su molti altri soggetti meno pazienti. Perché poco dopo torna a fissarla senza smettere quell`espressione di mesta ma bonaria calma. «Ora non è più una variabile.»
Non replica, non gli dona altre parole, piuttosto concentrandosi su quel gesto che seppur casuale, ora che lui la fissa constatando l`uragano che si è abbattuto su quella che no, ora non è più una variabile. Resta a guardarlo con il viso che pare trasudare una solennità al proprio gesto che accompagna quel ritirare d`indice, a fargli comprendere che si, è stato intenzionale, e che ora il corso di qualunque flusso di pensieri lui stesse seguendo, lei l`ha in qualche modo intuito, seppur non comprendendone affatto la natura, decidendo d`apporre quella catastrofica diga al mare di possibilità che si sarebbero profilate dopo un semplice "But". Il ponte crolla. Punto. Senza possibilità d`intervento, senza poter scampare all`inevitabilità della cosa. E tu devi farci i conti. Ecco cosa cerca di comunicargli, in un`espressione che per la prima volta s`apre a lui in quel susseguirsi di pensieri che si riflettono sui tratti affilati del volto.  
«Mi ricordi molto una persona.»
  «Anche tu.»  «Più di una.»
Lentamente, non appena la mano grande di lui si ritrae, scivolandole via dalla pelle, le muoverebbe la destra, per rispondere a quella sua ultima domanda in un afferrare di piuma che la vede intingere appena nel calamaio, prima di scrivere sulla pergamena da lui utilizzata: Merrow Loghain. Under the Weather Down to Earth the Bridge is falling down, Merrow Loghain. «Scrivimi.» ultima cosa, in un appoggiare di piuma sotto quella propria scrittura corsiva ed elegante, nella sua nevrotica peculiarità aguzza ed inclinazione verso destra.
Non senza rivolgere occhiate incuriosite a quanto vergato da ella stessa sul foglio. Come fa ogni volta in cui non fa altro al di fuori dello scrutare, l`espressione neutra che gli si dipinge in viso richiama alla più totale indolenza. Alle volte dà l`impressione di essere uno di quelli che sanno di sapere sempre qualcosa che tu non sai. La lascia scivolare via senza che ci si sprechi in saluti o sciocche consuetudini, tornando a ruotare col bacino in favore del Bancone e poggiando entrambi i gomiti sui due lati del foglio di carta. Gli avambracci si incrociano poco sotto di esso. Un mezzo sorriso gli sfugge, mentre altra aria viene sbuffata fuori dal naso. «Mpfh...» Le mani salgono nuovamente, avvicinandosi alle tempie per riprendere a massaggiarle. «..magari fosse così facile, Merrow.»
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ilarywilson · 4 years
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Come la mettiamo, Anne?
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«Beh...» come dire. Fa spallucce, d`altronde non s`aspettava che qualsiasi nome diverso da Sullivan McGregor avrebbe potuto avere una reazione diversa da quella. 
«A me ha fatto venire voglia di star bene» butta lì con una semplicità spassionata davvero invidiabile, come se stesse parlando del tempo atmosferisco su Londra. Nuvoloso, pioggia imminente, forse un uragano in arrivo. «E d`essere un po` meno incasinata». 
Facendo spalluce, tornando a succhiarsi il dito con la liquirizia e cercando il suo sguardo in quel buio. Come la mettiamo, Anne?
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patrizio-t · 4 years
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Io sono tempesta
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Sono pioggia stanotte
mi senti come batto forte sulla tua testa
come premo stringente sul tuo ventre svuotato?
Credi di potermi fermare
credi davvero che il tono della tua voce possa essere una stupida paratia
Io scivolo via, oramai lontano da te
passo attraverso gli stipiti delle tue fragili ossa
Scendo giù nei sotterranei della tua mente ed invado
Sono uragano
sono alberi divelti come fuscelli
sono navi rovesciate, spazzate via come foglie
sono spiagge dorate divorate e case senza tetti che navigano
vite che galleggiano su strade che si fanno fiumi
che parlano di noi come morti.
Sono tempesta, e poi tuoni e poi fulmini
e gorghi che inghiottono ricordi
e pensieri assunti a regali, anelli d’oro, bracciali
fedi di legami dissolti, di promesse non mantenute,
 amori passati finiti, abbandonati, come figli sulla strada
sfigurati di rughe e tristezze.
Ieri, oggi e domani, questo sono.
E tu non ne hai paura.
(testo: PatrizioT © - foto Tony Frissell)
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La cronaca dell' Aqua "granda" - Venezia 1966
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Il 4 novembre del 1966 è il giorno dell'Aqua granda, un'acqua così alta non si ricordava a memoria d'uomo. Venezia è quasi completamente sommersa dall'acqua del mare Adriatico in tempesta. Di seguito un testo denso e sofferto (che è anche lezione di scrittura) ormai introvabile scritto da Giulio Obici, redattore allora di Paese Sera, nel 1967. E nel 2019 siamo ancora qui, come nulla fosse stato.
Ore 18: una prova decisiva per la città
Alle 18, il calcolo delle ore trascorse sottacqua poteva dare un'intuizione dei danni e dei disagi già sofferti, e quello delle probabilità era paurosamente aperto: l'alta marea aveva invaso Venezia alle 22 del 3 novembre, elevandosi con un'impennata prepotente, e alle 5 del mattino successivo avrebbe dovuto, secondo le regole astronomiche, ritirarsi in buon ordine, magari per ritornare più tardi, cioè sei ore dopo. Alle 5, invece, la marea non ebbe che una tenue flessione, scoprendo appena qualche zolla d'asciutto: la laguna non era riuscita ad espellerla. Un primo allarme era scattato. Verso il mezzogiorno, in coincidenza con la nuova onda di marea, le acque, già gonfie, si gonfiarono ancora, recuperando il terreno perduto ed elevando ulteriormente la propria altezza in quello mai abbandonato. Saltavano i telefoni, spariva la luce elettrica e, in molte case, anche il gas: in quasi tutte le zone della città, pur se muniti di alti stivaloni, era impossibile transitare: qualche barca, sotto la pioggia e un caldo sciroccale, ramingava per calli e campi. Venezia, nel buio più completo, affrontava la sera, attendendo le ore 18 - che avrebbero dovuto segnare il secondo e ultimo deflusso di quel giorno - come si attende una prova decisiva. Il dramma in corso, che negli stessi attimi stava sconvolgendo per altre vie altre città e paesi, a Venezia poteva essere seguito e controllato sulle lancette dell'orologio, nella ricerca sottilmente angosciante della conferma che le regole e i tempi che governano la vita lagunare non erano stati del tutto sovvertiti. A Firenze - per spiegarci - il dramma non aveva né tempi né regole da infrangere: era un evento brutale, ingiusto, totalmente abnorme. A Venezia, per devastante che fosse, poteva essere mentalmente contenuto nello schema di un'ipotesi da secoli verificata, e così seguito con una terribile lucidità e con la consapevolezza di ogni minuto che scorreva e di ogni centimetro che le acque si guadagnavano nella loro crescita. Anche la gente che abita i pianterreni e che ormai aveva inutilmente accatastato mobile sopra mobile, non combatteva soltanto contro le acque, ma anche contro il tempo: se Venezia era Venezia, quella devastazione doveva pur cessare. Quasi a rendere più lucido, più percettibile, lo scorrere delle ore, la sommersione progrediva senza fragore di rotte, in un silenzio assoluto. Ingiusto e giusto, irregolare e regolare, il dramma soffocava la bestemmia e induceva alla speranza.
La prova fallisce
Calata la precoce notte di novembre, bloccate le luci, rotto ogni contatto con il mondo che non fosse quello delle radiole a transistor, che tuttavia non restituivano ai Veneziani un'immagine probabile della loro vicenda, si attese l'ultima prova a cui la città e la sua laguna erano chiamate. La prova fallì: ancora una volta la marea non fu espulsa. Anzi - invertendo ogni regola e sconvolgendo ogni tradizione - proprio nel momento in cui avrebbe dovuto calare, riprese a salire. A quel punto - erano le 18 - l'incolumità di Venezia parve vacillare. Stavolta la minaccia non sorvolava la città: vi si era installata e vi maturava; non veniva da fuori per poi seguire prevedibili migrazioni, ma muoveva dal di dentro, dal corpo stesso di Venezia, e per giunta aveva acquisito i caratteri di un fenomeno inarrestabile. Che cosa era successo? Nella generale paralisi, che fin dalla mattina aveva coinvolto anche i telefoni, lo stupore o la disperazione erano rincarate da una paurosa incognita: verso sera, tutti avvertirono che un equilibrio plurisecolare si era rotto, che la città e la laguna avevano smarrito un anello, chi sa quale, del loro delicato ingranaggio. Nessuno, tranne pochi e i pubblici istituti (che in quelle ore parevano essersi diluiti nella marea), sapeva ancora che là, sui litorali, il mare aveva compiuto un disastro che nemmeno la guerra era riuscita a seminare: le difese costiere, tra cui i murazzi, erano scoppiate.
I litorali cedono: il mare tracima in laguna
Scoppiate e rase al suolo. Mentre Venezia affogava nella laguna e in un'attesa lacerante, sul cordone litoraneo si fuggiva. Qui la regola non conosce né ritmi né tempi: è una precisa demarcazione tra laguna e mare. Quel giorno, questa demarcazione non esisteva più: le onde marine, alimentate da un forte scirocco, si congiungevano alle acque lagunari valicando la fascia costiera anche nei tratti più estesi. Non era mai successo. Il Cavallino, che è una penisola tutta orti vigneti e campi, giaceva sotto una coltre di acqua salsa agitata da violente e altissime onde: addio alle coltivazioni per chi sa quanti anni. Decimato il bestiame, macchine agricole spazzate via e non più ritrovate. Invocazioni - si raccontò poi - di gente terrorizzata: qualche fuga in barca là dove prima c'era terra. Il Cavallino, come barriera naturale, non esisteva più: e infatti, l'isola di Burano, che gli sta alle spalle, veniva percossa da ondate paurose, come se d'improvviso si fosse trovata in mare aperto: anche qui la mareggiata entrava nelle case, sparivano la luce e il telefono, le barche si perdevano alla deriva; per di più, saltava anche l'acquedotto. La laguna ha una sentinella, l'isola di S. Erasmo: collocato proprio in faccia alla bocca del porto di Lido, vigila sulle acque che il mare vi incanala e le frena. Quel giorno, l'isola (mille abitanti) era scomparsa sotto ondate alte fino a quattro metri: molte case si svuotarono dei mobili, trascinati via dalle acque. Più oltre, lungo il Lido, la mareggiata decimava le strutture balneari, squassando centinaia di cabine e strappando la sabbia alle spiagge: alcune falle si aprivano sul primo tratto dei murazzi. Ma per i murazzi il vero disastro accadeva più in là, dove il cordone litoraneo si assottiglia ed essi diventano l'unico diaframma che divide il mare dalla laguna. Eretti dalla Repubblica Veneta due secoli or sono, furono concepiti e battezzati come le mura di Venezia contro le insidie dell'Adriatico. Accovacciate ai loro piedi, si stendono due borgate di pescatori e ortolani, settemila persone: San Pietro in Volta e Pellestrina, che se oggi sono ancora là è un vero miracolo. Le mura di Venezia, il 4 novembre, si sono aperte in una decina di punti per un totale di ottanta metri e per altri seicento si sono slabbrate o lesionate o incrinate. Agli abitanti del luogo parve giunta la fine del mondo: fin che il telefono funzionò, invocarono aiuto da Venezia, poi fuggirono in barca alla volta del Lido. Quando Venezia raggiunse le due borgate con una motozattera e alcuni vapori metà della popolazione era già scappata via. A sera mentre il mare continuava a sbriciolare le colossali mura, Pellestrina era pressoché deserta.
Un capitolo ignorato dal centro storico
I Veneziani del centro storico, sequestrati dalla marea, ignorarono questo capitolo del 4 novembre fino all'alba del giorno dopo. E forse fu addirittura una fortuna: poteva anche accendersi la scintilla del panico, e allora la paura del mare sarebbe corsa più in fretta della corrente. Però a chi abita sul bacino di San Marco quelle onde che ingobbivano la laguna e finivano per infrangersi sotto le arcate del Palazzo Ducale, dovettero portare un lugubre presentimento. Un gondoliere ci disse più tardi: -Credevo che il mare fosse arrivato fin qua-. E un vecchio che abita un pianoterra della Giudecca dichiarò a un cronista: -Avevo la sensazione che il mare volesse riempirmi la casa -. La verità è che, se il vento non fosse caduto improvvisamente e la mareggiata avesse potuto continuare anche per poco nella sua opera di distruzione, il mare avrebbe dilagato e messo a dura prova il centro storico. Le fondamenta dei vecchi palazzi, delle vecchie case, per le quali è un pericolo anche lo sciacquio del moto ondoso provocato dai natanti, avrebbero resistito? Per fortuna il vento cadde in tempo perché la dimostrazione del 4 novembre non si spiegasse per intero.
Un rito funebre sulla città agonizzante
Quando, verso le 21, ormai contro ogni attesa, le acque cominciarono a scemare, più d'uno dovette credere al miracolo. Il ritorno così tardivo alla regola fu un altro colpo di scena, un altro repentino voltafaccia. Così come era montata, la marea se ne usciva dalla città, improvvisamente e con una violenza pari a quella del suo accesso. Aveva raggiunto l'inedita altezza di un metro e novantaquattro centimetri sopra il livello medio del mare, devastato tutti i negozi della città, invaso tutte le abitazioni a piano terra, danneggiato quasi tutte le imprese artigianali, strappato la nafta a centinaia di caldaie, inzuppato e deteriorato un numero incalcolabile di libri nelle biblioteche, distrutto merci nei magazzini, mobili nelle case, atti pubblici in molti uffici. In ventiquattr'ore di assoluto dominio, le acque avevano dato la loro terribile dimostrazione e adesso potevano ritirarsi, restituendo ai Veneziani un'altra Venezia, di cui un po' tutti - potendosi infine riversare nelle strade improvvisamente accessibili - sentirono il bisogno di riprendere possesso. Il 4 novembre si concluse con un'immagine iperbolica, eppure lucidamente esatta. Nel buio profondo, senza luna, in cui la città era immersa, più che vedere si intravedeva: ecco la sagoma di una barca in una calle, muri listati a lutto da un segno nero di nafta, materassi sedie mobili immondizie sparsi dovunque, colombi e topi morti a ogni angolo di calle, desolazione nelle case a pianoterra. E su questo uniforme e immobile fondale, ecco centinaia di fiammelle, che lo percorrevano senza illuminarlo. I Veneziani, al lume di candela, perlustravano i luoghi della devastazione: eppure sembrava proprio che celebrassero un collettivo, struggente rito funebre sulla loro città agonizzante
Giulio Obici, Paese Sera, 1967 ©
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selvaggia-mente · 4 years
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Dannatamente bella, con un vortice di tormento negli occhi come un uragano racchiuso pronto a liberarsi fiero e (s)travolgere tutto.
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amabilii-restii · 5 years
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2.4
Dopo ogni discussione inizio sempre a pensare a cosa abbiamo sbagliato, a cosa ho sbagliato, a cosa si poteva evitare di dire.
E questa volta, queste sono le mie conclusioni.
Non è sempre facile dire la cosa giusta, fare la cosa giusta. Non è sempre fare dare il 100% di noi stessi all'altro, soprattutto quando siamo immersi da pensieri.
Ti chiedo scusa, voglio che tu sappia che quando l'ansia prende il sopravvento su Eleonora fino ad annientarla a volte vorrei solo qualcuno che mi prendesse per i capelli e mi tirasse su. Vorrei fosse più facile spiegarti anche il più strano dei pensiri che ho in testa in quel momento, ma non ce la faccio, non ci riesco, inizio a piangere.
Vorrei fosse più facile liberarmene e stare tranquilla, ed invece per qualche strano e stronzo motivo se ne accumulano sempre di più. Vorrei saperti descrivere come non mi senta “io” in quei momenti e come io cerchi dolcezza e rassicurazioni.
Ti chiedo scusa per la pesantezza, perché solo dopo, quando acquisisco lucidità mi rendo conto di quanto sia difficile starmi accanto, di quanto sia difficile capire, ed allo stesso tempo non posso che dirti GRAZIE per starmi accanto sempre, anche quando i miei pensieri sono talmente fitti che io non riesco a vederti.
GRAZIE perché ci sei anche quando non sembra, ci sei anche quando io ti sento lontano. Ci sei anche quando tu pensi che io non ti veda, ma credimi, ti sento sempre. Io ti ho dentro.
Ti chiedo la pazienza, la dolcezza, anche quando vorresti staccarmi la testa e chiudermi la bocca per non farmi più parlare. E’ proprio in quei momenti che ne ho più bisogno. Ti prometto che saprò ripagarti con tutto l’amore e la dolcezza del mondo, il minuto dopo. 
Ti chiedo scusa se qualche volta sembra io non veda ciò che fai, i grandi passi che stiamo facendo e voglio farti sapere che non è così. E' solo che ogni volta che facciamo un passo di quelli belli, allora io vorrei subito farne altri 100 ancora più belli, finendo a volte per non godermi il momento.
Ogni singolo minuto con te, per me, equivale ad un “per sempre”. Ed è vero come dici tu, che nel mondo ci saranno mille persone migliori di noi, ma non posso farci niente se penso che NOI, IO e TE, siamo destinati ad essere.
Non posso farci niente se penso con tutta me stessa che TU sia il mio LUI, perché il sole è uno solo, il resto sono solo luci.
Vorrei poterti dire di più, vorrei farti capire tutto ciò che ho dentro, inondarti di emozioni, quelle emozioni che cerco sempre di farti provare. Emozioni nuove, emozioni mai viste, ma anche emozioni che già conosci e che possono avere un sapore tutto nuovo.
Vorrei semplicemente scriverti una dichiarazione d'amore. Una lettera d'amore, di quelle che ti lasciano un po' senza fiato, un po' senza parole. Una di quelle che non ti aspetti, perché pensi di aver provato già tutte le emozioni possibili e sia impossibile provarne di nuove.
Una di quelle lettere che ti facciano innamorare ancora di più di ciò che sono, di ciò che siamo. Perché ogni passo, da quando ho preso la mia decisione, mi ha portato a te. A noi.
Mi ha portato a lottare, nella speranza di vedere un giorno, la persona di cui mi sono innamorata. E che continuo a vedere, anche sotto mille scudi, anche se tu non ti piaci. Sappi che sono innamorata anche della parte di te che proprio non ti piace e che in questo momento non riesci a cambiare.
Vorrei scriverti qualcosa che non immagini, qualcosa che sia in grado di dirti che sei stato nei pensieri di una persona tutto il giorno, una di quelle lettere che fanno un po' l'effetto dei libri dove mentre leggi la tua immaginazione vola e le parole si trasformano in immagini. Volevo scriverti semplicemente qualcosa in grado di toglierti il fiato come tu lo togli a me ogni volta che ti guardo.
Alla fine non è importante come te lo dico, l'importante è che ti ricordi il mio amore per te cercando di trovare sempre parole nuove per te e per questo sentimento che mi stupisce ogni giorno di più. Mai avrei creduto all'esistenza di questo sentimento, mai avrei creduto di poterlo provare con una persona come te ma forse il bello dell'amore è proprio questo: succede con chi non ti saresti mai aspettato e ti travolge come un uragano.
Da quando ti ho conosciuto il mondo è diverso, so che è sempre lo stesso ma è diverso il modo in cui lo guardo io; il tramonto non è solo un tramonto ma uno spettacolo che vorrei condividere con te, la pioggia non è solo pioggia ma una melodia che vorrei ascoltare insieme a te, ci sei nelle piccole cose ed anche in quelle grandi. Sei in ogni mio gesto, in ogni mio pensiero, in ogni mio battito.
A volte non so sempre riconoscere i tuoi malumori, e mi faccio subito prendere da mille pensieri. Ti chiedo scusa, ma allo stesso tempo ti chiedo di accettarmi così come sono, sto combattendo contro tanti mostri, e nonostante tu mi stia vicino, nel combatterli sono da sola.
A volte non so riconoscere i tuoi silenzi, ma voglio amare le tue lune storte, amare i tuoi difetti e amare così come sei incondizionatamente.
Mi hai insegnato e mi stai insegnando ogni giorno ad amare, amare senza condizioni, amare anche le cose che di solito farebbero uscire pazzo chiunque, amare i tuoi dettagli quelli che nessuno nota se non passa del tempo con te o se non ti sa osservare bene, perché nella tua felicità, io fiorisco. Perché amo quel sorriso che mi manca già non appena lo saluto.
C'è qualcosa nella tua voce, nei tuoi occhi, nel tuo sorriso, nel tuo modo di guardarmi mentre parliamo che non ho mai trovato in nessun altro. Mi piace tanto quando mi guardi di nascosto cercando di non farti vedere, alla fine la maggior parte delle volte riesco comunque a notarlo anche se poi ti dico che non mi guardi mai.
Amo il fatto che tieni tutto per te, che non dimostri mai niente, anche se a volte vorrei essere tua amica, confidente, amante, il tuo tutto. Amo quando non vuoi dirmi una cosa, ma basta uno sguardo per farti parlare. Amo il fatto che, prima di te, non avevo mai notato queste piccole cose in nessun altro e, sopratutto, che non le avevo mai amate.
Mi piace guardare i tuoi occhi e attraverso quelli, guardare la vita. Mi piace stringere le tue mani ed incastrarle con le mie. Mi piacciono le tue labbra che mi riempiono di baci, ogni tanto! E mi piacciono quei baci che sanno di felicità. Stavo aspettando l'amore, senza nemmeno cercarlo. Io stavo aspettando te. Tu non eri da immaginare. Sei così bello e tanta bellezza non esisteva nella mia mente. Tu eri solo da incontrare, qualsiasi luogo o tempo non avevano importanza.
Ed in tutto questo tempo una cosa l'ho imparata: con te anche condividere il silenzio sa diventare qualcosa di speciale. Io che le parole le amo tanto, io che forse potrei anche scrivere un libro sulla nostra storia se solo mi impegnassi.
Vuoi sapere se mi sono mai chiesta se fossi quella giusta per te? Sì, tante volte, da quando me lo hai detto per la prima volta di sfuggita. Ma restando al tuo fianco, ho capito che non esiste la persona giusta, esisti tu e tu sei la persona che io amo, che io voglio nonostante tutti i miei errori, e che solo noi possiamo scegliere con chi vogliamo stare.
Io ho scelto te, ti ho scelto senza rendermene conto, quando per la prima volta ho visto i tuoi occhi avevo già scelto ogni tuo sguardo. Mi appartenevi ancora prima di entrarmi dentro.
Ti ho scelto inconsapevolmente e consapevolmente nonostante i mille errori che, come dico sempre, spero con tutto il cuore che un giorno tu potrai perdonare.
Ti ho scelto e forse non c'è nemmeno un perché cosi razionale, da poterti dire il perché io ti abbia scelto. E forse non è nemmeno uno scegliersi, ma semplicemente un appartenersi.
E sento di appartenerti anche quando i pensieri, le litigate, le incomprensioni sembrano dividerci. Anche quando fa male, anche quando non ci capiamo o non vogliamo capirci. Anche quando la rabbia, le paura e l'orgoglio sembrano avere la meglio.
Ti chiedo scusa per quei momenti che non riesco a controllare, ma quando tu sei accanto a me anche nel più semplice dei gesti o con la più semplice delle parole, allora io mi sento a casa. Allora io mi sento al sicuro e quei pensieri anche se non spariscono, si fanno un po' più piccoli.
Me lo sono chiesta tante volte, magari io non sono affatto la donna della tua vita e non ci sarò nel tuo futuro, e va bene ci può stare. Ma sono nel tuo presente e finché potrò ti ricorderò sempre ciò che tu sei per me.  
Lo so, non sono la donna perfetta, sono piena di difetti, piena di paranoie e di insicurezze che a volte non sopporti, ma nonostante questo provo a darti il meglio di me, cerco di renderti felice, provo ogni giorno a donarti tutto l'amore che ho dentro e riempirti di sguardi, di abbracci, di baci e, in generale, di affetto. Nel mio piccolo per quanto possibile sto provando a trasformare le piccole cose in grandi cose perché l'unica cosa che desidero è vederti felice.
L'unica cosa che desidero da questa nostra relazione è farti ridere perché mi piace il suono della tua risata quando scherziamo. L'unica cosa che vorrei da questa relazione è vederti sorridere e prenderti la mano e portarti a ballare con me, anche se non sappiamo ballare. Farti sorridere e sentire i tuoi sussurri perché è bello quando sei tu a dedicare a me dolci parole, come sabato, anche se sai che non mi servono mille parole per farmi sentire bene ma mi basta semplicemente il tuo sguardo.
Voglio dedicare a te tutto il tempo di questo mondo, anche se non basterebbe mai, e di inventarmene di più se necessario.  
Non possiamo costringere le persone ad amare o ad amarci, o ad amarci come vorremmo noi ma ho sempre sperato tu potessi farlo, che tu potessi arrivare al punto di innamorarti di nuovo e perché no, amarmi ed immaginarmi con te in un futuro.
Perché come dico sempre le cose non piovono dal cielo, ma dobbiamo prendercele in un qualche modo. Non credo che riuscirei ad immaginare il mio futuro senza te, perché ormai io immagino te in ogni cosa che faccio. Anche se a volte non è facile, e credimi lo so, tienimi! Non ti dico che sarà facile, ma può valerne davvero la pena.
Perché anche se non sappiamo ciò che sarà il futuro il solo pensarci e volere una persona rende questo futuro meno immaginario e più reale, rende questo futuro un po' più certo, quasi da poterne sentire gli odori, i colori e le sensazioni. Non so se capisci cosa intendo. Ecco, questo è ciò che provo quando dico di volerti nel mio futuro e quando ti chiedo se io ho un piccolo spazio nel tuo: trasformare come per magia quell'incertezza in una piccola certezza.
E sabato, con quelle tue parole, quel futuro così tanto utopistico, di colpo non lo è stato più. Il tono della tua voce, la dolcezza dei tuoi respiri, dei tuoi “bibba”; ed è per questo che sono crollata davanti alla paura che sia cambiato tutto, quasi come se mi fossi immaginata tutto ciò che c'era stato.
Che poi alla fine fattelo dire non immagino nemmeno chissà cosa o chissà quali situazioni, mi immagino le cose semplici con te. Non immagino grandi gesti, grandi viaggi o grandi situazioni, immagino la semplicità di averti al mio fianco ogni giorno. La voglia che ho di andare al mare con te.
Tu guarderai il mare ed io guarderò te con il vento che mi scompiglierà i capelli troppo ricci e tu che delicatamente me li sposterai per poi baciarmi, in uno di quei baci con una dolcezza infinita e quel tuo sguardo che ogni volta mi scioglie; quegli occhi di cui mi sono innamorata quando questi ancora non mi conoscevano.
Immagino il nostro futuro ma non immagino grandi cose, immagino la semplicità che potrebbe essere e tutto questo è bello anche solo da pensare, perché ti voglio e lasciarti andare sarebbe l'errore ed il rimpianto più grande della mia vita. Saresti quella persona che continuerei a cercare ovunque, anche nei posti dove so di non poterti trovare. Ma mi piace di gran lunga pensare che in quei posti posso in un futuro averti con me. Ed è per questo che ti voglio e voglio provarci, ogni giorno.
Ti voglio con me, in un modo impertinente, non perché penso che tu sia perfetto anzi forse potrei e potresti trovare di meglio, ti voglio non perché credo di essere perfetta per te o perché credo di poterti migliorare o cambiare perché a me piaci così come sei. Ti voglio e ti ho scelto non perché mi stanca l'idea di poter “cercare altro” come ogni tanto dici tu, io ti voglio per quello che sei, per i difetti che hai, per come mi guardi, per come a volte non mi ascolti e mi interrompi e poi non mi lasci più parlare, per come mi fai arrabbiare e ogni tanto pure piangere, ti voglio per come riesco magicamente a farti arrabbiare o per come riesco a rovinare tutto in un secondo per poi andare in panico, ti voglio per come mi stringi quando facciamo l'amore e perché fare l'amore con te mi piace in un modo illegale ma ti voglio anche per come mi fai sorridere, per il modo in cui mi ami e per come ti fai amare.
Io voglio infilarmi in questo caos con te, di non aspettarti chissà quali cose perché l'amore è fatto di cose semplici e di tenere a mente che non mollerò e che finché ci sarò, ci sarò con tutto l'amore che posso darti.
Ho scelto con cura la persona che doveva incasinarmi la vita, e sono felice della mia scelta , perché in questa scelta ho scoperto l'amore. L'amore che tutti cercano e che pochi scoprono.
Quando ti dico che ti voglio, che ti vedo nel mio futuro e che ti amo ti sto dicendo che voglio fare del mio meglio per riuscirci, solo che lo riassumo in poche frasi; ti sto dicendo che so di non essere perfetta o forse la ragazza giusta per te ma voglio che tu mi veda così come sono: piena di difetti ma innamorata. Perché tu ti meriti un amore inedito, un amore al quale nessuno prima aveva mai pensato ed io vorrei tanto dartelo.
So che non posso costringerti o importi di crederci e dar peso a queste parole, ma posso dirtelo. Credici.  Ti voglio con me, e non voglio perdere l'occasione, incerta ma possibile, di essere felice finalmente con te.
Credo proprio di amarti, in un modo che ancora devo capire ma che mi sembra totalmente incredibile.
Adesso per tutto quello che abbiamo già condiviso e, in anticipo per tutto quello che verrà.
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blog-melacque-role · 5 years
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Emmeline 𝚊𝚗𝚍 𝑺𝒊𝒓𝒊𝒖𝒔.  [﹙ #ᴀʀᴇꜱᴛᴏᴍᴇᴛᴩʀᴏᴍ ﹚]                        ₁₄ ɢɪᴜɢɴᴏ ₁₉₇₇                     ↷ #03
                          Sirius Amici e nemici. Ne è pieno. Saturo. Al punto che per gestirli tutti, avrebbe bisogno d'altre vite o di un qualcuno, dall'alto, che vi si dedichi al posto suo. Qualcuno di competente; che gli indichi anche il giusto modo di dimostrare riconoscenza a chi, nei suoi confronti, ha sempre nutrito un sincero sentimento d'affetto. Lui, baldo purosangue, semplicemente, non pare esserne è in grado. La sua famiglia, la freddezza dei Black, è stata la sua rovina ma anche la sua più grande giustificazione; la menzogna che rifila a se stesso per espiare i suoi peccati. La pura realtà invece, individua lui come unico responsabile di quel piccolo misfatto che è la sua vita. È un uomo libero infondo, e lo sa. Libero di pretendere i suoi diritti ma anche di farsi carico dei propri doveri. E, almeno per quella sera, se ne fa. Confeziona il suo piccolo pacchetto di presa di coscienza, dopo aver parlato con l'alticcio alter ego di James Potter, e lo fa recapitare, da un delizioso giovane dai folti capelli corvini e dal sorrisetto beffardo perennemente fuori luogo, alla signorina Emmeline Vance. « Mi concedi un ballo, cara amica? » Invece di piombare come un uragano, le si avvicina pacato. Porge una mano, galante, mentre la guarda senza velo alcuno. Per una volta non ha doppi fini. Si sente strano; umano.
                          Emmeline Emmeline deve ammettere che esistono ballerini migliori di Remus al mondo, ma non migliori accompagnatori. 
Si sono divertiti molto fino a questo momento, lei a farsi pestare i piedi e a ridere fino all'apnea e lui a cercare di non sembrare proprio così fuori luogo. La differenza fra loro è lampante, ma Emme non la vede; non vede un ragazzo di origini umili che cerca di mettere insieme due discorsi di senso compiuto a causa della sua timidezza e non vede il suo stesso portamento, rilassato eppure elegante come da abitudine nelle giovani di buona famiglia. Questa distinzione è totalmente annullata dai sentimenti reciproci che provano l'una per l'altro e che hanno il potere di farla ancora arrossire come una quindicenne. Rimangono insieme per tutto il tempo ad eccezione di uno stacco tra un ballo e l'altro. Due ragazzini del quarto anno stanno battibecchiando fra loro con tono coincitato e visto che Remus è un prefetto è logica la scelta di chi dovrà andare a placare quei turbolenti animi. Emmeline ne approfitta per sedersi un istante, sfilando le scarpe dal tacco alto senza che nessuno se ne accorga, sotto al tavolo. Sente la circolazione riprendere lungo le appendici e sospira di sollievo, almeno fino a che non nota uno sguardo fra la gente. Sorride a Sirius mentre si avvicina con fare delicato, ben diverso dal suo solito atteggiamento irriverente. Lo guarda avvicinarsi e pensa sia solo per un saluto, ma nel momento in cui le viene porta la mano, sempre senza celare lo stupore, si alza e appoggia la sua, dalla pelle diafana e le dita sottili, in quella più grande e sicura dell'altro. Gli fa un sorriso, ripresasi dalla sorpresa, prendendo con la mancina la gonna argentata di lato e facendo una piccola riverenza. 《Sarà un onore per me danzare con voi, messere.》 Risponde con tono soave e un sorriso smaliziato sulle labbra rosse.
                          Sirius Sembra più bassa; o meglio, alta come al solito, ma non alta quanto gli era parsa prima, mentre, con orgoglio al petto ed un caldo sorriso, aveva guardato uno dei suoi migliori amici danzare con lei. Remus, la cui paura più grande era - così credeva Sirius - quella di rimaner solo, limitato dalle condizioni di lupo mannaro, era quello che meno avrebbe dovuto preoccuparsene. Quell’eventualità, dal destino non era neppure contemplata, per persone buone come lui. La relazione con Emmeline ne è la prova vivente. « Ti sei rimpicciolita(?) » da voce alle sue perplessità, mentre, tenendole la mano, cammina all’indietro, accorpandosi agli student intenti a ballare sulle note di una canzone già cominciata. Solleva l’altra mano a quel punto, e quando la compagna fa altrettanto, le congiunge, posando quella con cui l’aveva guidata, sul fianco di lei. Sono cosparsi entrambi di brillanti, su un abito dal fondo scuro. Da fuori, devono sembrare una palla da discoteca. Un passo indietro, allunga il braccio, e lascia che la Corvonero volteggi. La riprende con maestria, sorridendo perché è quasi rimasto accecato. Il silenzio li ascolta nuovamente, assieme alla musica. Guarda James, Sirius, ancora al tavolo ma senza fiaschetta. « Come stanno i tuoi? »
                          Emmeline «Ah Merlino, hai ragione!» Cammina insieme a lui, tenendogli la mano mentre il ragazzo va alla cieca, all'indietro verso la pista da ballo. «Accio scarpe», sussurra prendendo la bacchetta delle balze del vestito ed evocando quelle maledette, che magicamente scivolano fra le persone e si posizionano di fronte a lei. Le infila nuovamente, alzandosi un pelo rispetto a prima e guardando Sirius col capo meno rivolto verso il soffitto. Intreccia le dita a quelle di Sirius, guardandosi un attimo attorno mentre l'altra si appoggia sul suo petto, sulla giacca elegante. «Scusami, sto controllando se c'è quella pazza della Travers nei dintorni. Non vorrei che mi arrivasse una maledizione senza perdono proprio ora che stanno per iniziare le vacanze estive.» Si lascia condurre da Sirius nelle danze, segue il suo sguardo fino a Potter con la coda dell'occhio e si lascia spostare, scivolando con eleganza sulla pista da danza. Il retaggio delle famiglie nobili, essere in grado di non sembrare paraplegici durante i balli. «I miei genitori stanno bene», risponde lei, sorridendogli grata per quel suo interessamento. «Hanno riaperto il negozio un paio di settimane fa. Niente di troppo eclatante, non volevano attirare l'attenzione. Mia madre mi ha chiesto spesso come stai, gli sei proprio rimasto impresso.» Non saprebbe dire se perchè lo ha visto o perchè ha sentito delle sue gesta. Infondo anche Deanna Burke è scappata di casa quando era davvero molto, molto giovane. Emmeline vorrebbe chiedere a Sirius come stanno i suoi, di genitori, ma poi si ritroverebbe a sperare con lui per il peggio. Walburga è davvero un personaggio conosciuto nell'ambiente magico e no, non in chiave positiva. Devia quindi il discorso verso cieli più aperti. «Tuo fratello come sta? Lo vedo gironzolare per la scuola», gli domanda sempre sorridendo. «E con fratello intendo James ovviamente. Regulus so che sta bene, almeno così sembra sul campo da Quidditch.»
                         Sirius Ride, per la battuta. Senza sbilanciarsi all’indietro come al solito poiché Emmeline si sorregge a lui nell’infilare le scarpe. Capitolare a terra, una sopra l’altro, non sarebbe affatto indicato. Una buona idea è invece cercare la Serpeverde anche lui; spinto proprio dai timori dell’amica. Non vorrebbe. Si era prefissato di trascorrere la festa in serenità e incrociare lo sguardo di Ambar sarebbe sufficiente a scatenare il putiferio. Eppure si ritrova a sondare la Sala Grande. Per precauzione.
La vede poco dopo. Emmeline e lei gli sta dicendo dei suoi genitori. È completamente vestita d’argento. Ha un fremito, lui, ma non c’entra l’abito: sta parlando con James. 𝐽𝑎𝑚𝑒𝑠. È quasi tentato di mollare la Corvonero seduta state per raggiungere i due. Prova una sensazione opprimente al centro del petto. A metà tra collera ed inquietudine. Ha paura che lei possa turbarlo ulteriormente; dirgli qualcosa di irreparabile. James non è nelle migliori delle condizioni, chissà cosa lo ridurrebbe a fare la Travers con quel suo caratteraccio.
Continua a guardarli, Sirius. Non fissamente, perché è impegnato con una dama e l’educazione impartitagli da sua madre, suo malgrado, talvolta ha la meglio sulla sua impulsività. Dunque l’ascolta e la guida in quella danza; non può farne a meno quando, delicatamente, la deve sospingere per la vita. In quei momenti sorride divertito, perché non è più uno sfiorare ma è una stretta decisa che si diverte ad enfatizzare. Si riscuote definitivamente solo quando viene menzionato suo fratello. 
« Bene credo » risponde con distacco. Pare sempre scivolare dietro una patina nebbiosa quando si tratta di Regulus. Sirius ha lasciato i Black appena prima di cominciare il sesto anno e d’allora, per orgoglio di lui e per rancore del minore, non si sono quasi più rivolti la parola. Ma poi Emmeline gli dice che si riferisce a James, allora cambia attitudine. Recupera parzialmente la buona predisposizione con la quale l’ha invitata a ballare e finge di aver intuito fin da subito a chi si stesse riferendo, continuando a dire: « cioè è un po’ turbato ma non credo pietrificherà qualcun altro prima di domani. » 
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francescafiorini · 3 years
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Rimandato a mercoledì 15 dicembre 2021 ai Magazzini Generali di Milano il concerto di Auroro Borealo
Rimandato a mercoledì 15 dicembre 2021 ai Magazzini Generali di Milano il concerto di Auroro Borealo
AURORO BOREALO U  R  A  G  A  N  O    S  U    M  I  L  A  N  O L’APPUNTAMENTO DAL VIVO AI MAGAZZINI GENERALI È RIMANDATO AL 15 DICEMBRE 2021 In seguito alle ultime direttive ministeriali, URAGANO SU MILANO, il concerto di AURORO BOREALO previsto per il 14 ottobre, è rimandato a mercoledì 15 dicembre 2021 ai Magazzini Generali di Milano. I biglietti già acquistati rimangono validi per la nuova…
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endlhestar · 3 years
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geminicolecollins · 3 years
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🎠      𝐄𝐋𝐋𝐈𝐒   &   𝐉𝐀𝐌𝐄𝐒 ㅤ moon’s wolves #ravenfirerpgㅤ
ㅤ                𝕼uella maledetta giornata avrebbe mai avuto una fine? Ovviamente no, ed Ellis lo sapeva bene mentre si ritrovava ad osservare l’ingresso del Moon’s. Vi era passata davanti per caso — o forse no — e ancora fumante di rabbia per l’intensa giornata appena trascorsa non aveva potuto fare a meno di notare alcune delle moto parcheggiate fuori dal locale, una di  quelle in particolare.       Solo una volta era stata all’interno del locale e senza dubbio non era stata una visita piacevole : qualcuno le si era strofinato troppo addosso e Leroy aveva dato il via ad una rissa per difenderla. Il solo pensarci regalò una nuova fitta di dolore al petto di Ellis, ancora non poteva credere a ciò che l’uomo le aveva fatto, che tutti i sentimenti che diceva di aver provato per lei fossero in realtà una finzione, il frutto di una 𝘴𝘤𝘰𝘮𝘮𝘦𝘴𝘴𝘢.       Quella parola le vorticava ancora nella testa, dolorosamente, e presa da un’impeto di rabbia non si fece troppi problemi nel varcare quell’ingresso di così pericolosa fama. Non le importava delle conseguenze, niente sarebbe stato peggiore di ciò che aveva dovuto affrontare negli ultimi giorni.       ‹‹  TU. SEI. UN. GRANDISSIMO. DEFICIENTE, JAMES COLLINS!  ››  urlò al diretto interessato, una volta averlo individuato ed avvicinato, incurante delle persone attorno che l’avrebbero sentita. In quel momento non le importava nulla di fare una scenata.       ‹‹ COME HAI POTUTO METTERMI IN MEZZO AI VOSTRI SPORCHI GIOCHI? ››
James Cole Collins 
* Quella maledetta vita avrebbe mai avuto una fine? Ovviamente no, perché, e questo si sapeva dai tempi degli scimpanzé, gli esseri umani ma anche i sovrannaturali erano destinati prima a soffrire e sperimentare ogni sorta di avventura. Ma qual era l’avventura stravagante del giovane James Cole Collins che avrebbe potuto rappresentare la sua vita? Probabilmente l’avventura, o forse meglio l’azione, dello scommettere. Aveva imparato a scommettere qualsiasi cosa sia per gioco che per interesse e il Collins aveva scoperto di essere estremamente bravo, d’altra parte era figlio dell’illegalità, se così si poteva affermare. Illegale e irriverente, il giovane spendeva gran parte del suo tempo all’interno del Moon’s Wolves, facendo addirittura le veci similari a quello di un capo, ma la realtà era assai diversa: James non sapeva neppure capeggiare la sua stessa vita figurarsi una banda. Fortunatamente, però, in quel contesto aveva ritrovato la famiglia che non aveva mai avuto la possibilità di avere, non considerando certamente il legame lontano del padre che poteva sentire solo tramite telefono. 
Quel giorno, come al suo solito, era appoggiato con entrambi i propri gomiti sul bancone del locale mentre la gente intorno a sé rideva e beveva. Stava ridendo anche lui quando delle urla lo fecero voltare e i suoi occhi cangianti potettero notare una donna dai lineamenti familiari che gli urlava contro. Fu a quel punto che, staccandosi dal bancone, incrociò le braccia per poi alzare un sopracciglio e cercare di trattenere una risata. * 
‹‹ Ellis! Benvenuta di nuovo al Moon’ s Wolves... Posso offrirti qualcosa? Ti vedo agitata... Non esserlo. ››
Ellis Athena Fray               
 𝕷a lingua di Ellis si sarebbe volentieri sciolta in un’altra serie di insulti, il suo esile corpo vibrava per la rabbia e il desiderio di urlargli addosso. Inutile dire che ignorò il suo invito di bere qualcosa, tantomeno quello di non agitarsi.  ‹‹  Non fare l’innocente con me, so tutto della tua scommessa con Leroy !  ››  gli sbraitò contro, puntellandogli il petto con un dito indice.  ‹‹  Cosa diavolo ti è saltato in mente ?! Non hai alcun rispetto per niente e nessuno, 𝘪𝘰 non sono un vostro dannatissimo trofeo !  ››  Le guance le si colorarono velocemente di un tenue rossore; alcune persone si voltarono ad osservarli, curiosi, attratti dal tono elevato della ragazza, che non sembrava minimamente intenzionata a placarsi, nonostante sentisse molti occhi su di sè. La pressione le si stava probabilmente alzando, sentiva la testa ronzare ed in quel momento non riusciva a ricordare di essersi mai arrabbiata tanto con qualcuno. Ecco il problema di chi solitamente era calmo e pacato : quando esplodeva, travolgeva se stesso e il resto del mondo che lo circondava con la forza di un uragano, senza più riuscire a controllarsi.  ‹‹  Sei solo un meschino ! Un farabutto ! — E tanto perché tu lo sappia, quella stupidissima moto non te la sei guadagnata ! Non hai mai vinto la tua scommessa con Leroy, non starei con uno di voi neanche se foste gli ultimi uomini rimasti al mondo !  ›› 
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30/11/2020
Quando è entrata nella mia vita sembrava che fosse un personaggio di un film, uno di quei protagonisti che mentre guardi la pellicola pensi di volerla incontrare una persona così nella vita reale.
Lei mi ha cambiato la vita, mi ha ribaltato come un calzino, mi ha sconvolto.
Dopo che ami in modo così forte non rimani la stessa, la sua anima si è mischiata alla mia e il suo andarsene questo ti fa morire e poi rivivere.
Il dolore che ho provato è stato quello di persona che si è persa in mezzo all'oceano. Manca l'equilibrio sotto ai piedi.
Spazza tutto via come un uragano per rinascere dalle ceneri.
S. Sei la mia rivoluzione
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uraganox · 4 years
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F R A M M E N T I
D I C R I S T A L L O
a volte mi sento fatta di cristallo
così fragile
che basterebbe un soffio
per ridurmi in mille pezzi
mille granelli di tristezza e solitudine
mille frammenti di ciò che mi porto dentro
un uragano di rabbia, insoddisfazione e noia
che ha paura di svanire nel nulla
devastando tutto quello che ha intorno
lasciando solamente polvere e detriti
di una vita ingiusta e vuota
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muatyland · 4 years
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Copertina flessibile: 96 pagine
Editore: De Agostini (12 maggio 2020)
Cartaceo -> 12,90€ | Ebook -> 6,99€
Con un sound graffiante e uno stile unico, Billie Eilish è entrata nel panorama musicale come un uragano. Capace di incantare chiunque con il suo carisma, è diventata una delle artiste più ascoltate in streaming, guadagnandosi le vette delle classifiche mondiali e ben 5 Grammy Awards! Scopri…
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