Bit & Sport nasce da un'idea di tre ragazzi frequentanti il Politecnico di Torino, il cui scopo è quello di pubblicare spunti di riflessione, idee ed approfondimenti riguardo la mutua influenza del mondo dello sport con un universo digitale in rapida espansione.
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E se VAR e ‘goal line technology’ fossero sempre esistiti?
Nel 2012 venne sperimentata e approvata la ‘goal line technology’, un impianto, usato nel calcio, composto da <<14 telecamere (7 per ogni metà campo) che catturano l’immagine a 500 fotogrammi ogni secondo. Le immagini registrate vengono trasmesse in tempo reale a un computer centrale che, tramite un algoritmo, stabilisce con precisione quasi assoluta se la palla ha superato o meno la linea di porta>> (Fonte: gianlucadimarzio.com).
�� Come funziona la ‘goal line technology’ Fonte: Wikimedia
Nel 2016 venne approvato il VAR (Video Assistant Referee), un supporto video per gli arbitri che dà loro la possibilità di rivedere su un monitor le azioni di gioco e confermare o correggere le proprie decisioni (a questo proposito leggi il mio post: ‘Innovazione tecnologica e digitalizzazione nello sport: di cosa parliamo?’).
Sia ‘goal line technology’ che VAR sono utilizzati nel calcio e permettono di correggere numerose decisioni sbagliate; perciò mi sono chiesto: “Come sarebbe cambiata la storia del calcio se questi due strumenti tecnologici fossero sempre esistiti?”.
Mano de Dios
Il 22 Giugno 1986 Diego Armando Maradona, fortissimo calciatore argentino, segnò volontariamente un gol di mano nei quarti di finale del Mondiale contro l’Inghilterra; l’Argentina vinse poi quell’edizione dei Campionati del Mondo.
Con il VAR sarebbe stato possibile rilevare l’irregolarità, e forse sarebbe cambiata la storia di quel Mondiale.
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Il famoso e discusso goal di Maradona... Fonte: Youtube
Mondiali del 2010
Il 27 Giugno 2010 Inghilterra e Francia giocarono gli ottavi di finale del Mondiale. Sul risultato di 2-0 per i tedeschi, Frank Lampard, capitano della nazionale inglese, fece partire un tiro verso la porta avversaria: il pallone rimbalzò sulla traversa, superò la linea di porta, e poi ritornò verso il terreno di gioco. Gli arbitri non si accorsero di ciò che era avvenuto e non convalidarono la rete. Lampard stesso disse in seguito che quel goal che gli era stato negato aveva portato a sviluppare la ‘goal line technology’ (Fonte: goal.com).
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Il goal negato a Lampard Fonte: Youtube
Il goal ‘fantasma’ di Muntari
Il 25 Febbraio 2012 Juventus e Milan giocarono un match importante in quanto occupavano le prime due posizioni in classifica. Durante la partita Sulley Muntari, giocatore rossonero, colpì di testa un pallone che Buffon, portiere dei banconeri, riuscì a respingere solo dopo che esso aveva attraversato la linea di porta. Con la ‘goal line technology’ non sarebbe stato commesso l’errore, si sarebbero evitate tante polemiche e magari sarebbe cambiata la storia dello scudetto della stagione 2011/2012.
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Il goal ‘fantasma’ di Muntari Fonte: Youtube
Per dovere di cronaca è necessario dire che nella stessa partita alla Juventus venne annullato un goal a causa di un fuorigioco inesistente, errore evitabile con l’utilizzo del VAR.
In conclusione, per rispondere alla mia domanda riguardo a come sarebbe cambiata la storia del calcio con VAR e ‘goal line technology’, dico che non è possibile dire esattamente come, ma solo che sarebbe cambiata (se, ad esempio, il goal di Lampard fosse stato convalidato, magari la Germania avrebbe ugualmente vinto)!
Marco Ariagno
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Il mio video di presentazione del blog!
Marco Ariagno
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Verso il ciclista cyborg?
In tema di digitalizzazione in ambito sportivo riguardi, oggi ho deciso di concentrarmi su uno sport: il ciclismo.
Il ciclismo, nato negli ultimi decenni del XIX secolo e disciplina olimpica dal 1896, ha creato miti e leggende come quelle dei corridori italiani Gino Bartali e Fausto Coppi (tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento), il ‘Pirata’ Marco Pantani e Vincenzo Nibali, solo per citare alcuni fra i campioni più amati e chiacchierati di questo sport.

Il celebre ‘scambio di borraccia’ fra Coppi e Bartali, foto simbolo di un secolo del ciclismo italiano. Fonte: Wikipedia
Con l’avanzamento del digitale il ciclismo ha subito, negli ultimi 20 anni, un cambiamento che lo ha reso uno degli sport più tecnologici in assoluto. In che senso? Ora ve lo spiego!
I corridori professionisti indossano un body sotto il quale, all’altezza del torace, è posta una fascia che rileva il battito cardiaco e trasmette wireless i dati a un dispositivo posto sul manubrio; questo rileva i dati e li trasforma in numeri. Oltre alle pulsazioni, alcune funzioni permettono di visualizzare numerosissimi dati, fra cui distanza percorsa, velocità, pedalate al minuto; spesso è presente un GPS integrato nel sistema. Questo strumento è il cardiofrequenzimetro (Fonte: Istituto di Medicina dello Sport di Firenze).

Monitor da applicare sul manubrio della bici. Fonte: Flickr
Oltre a questo, negli ultimi anni è stato inventato il misuratore di potenza: uno strumento che esprime in watt la forza applicata per frequenza di pedalata. Questo valore viene trasmesso tramite Internet ad un computerino posto, anch’esso, sul manubrio della bicicletta; un ciclista, attraverso questo, sa costantemente che quantità di potenza mantenere per evitare di stancarsi eccessivamente.
Questi due strumenti sono stati la più grande causa della trasformazione del ciclismo, perchè i corridori che ne sono dotati, più che cercare attacchi da lontano e vittorie spettacolari ‘alla Pantani’, misurano e controllano costantemente la propria prestazione sulla base dei valori indicati dai monitor. Ciò ha scatenato critiche fra tifosi ed ex corridori, come Alberto Contador, che ritengono che ci sia ‘troppa’ tecnologia nel ciclismo moderno.
Sono poi in fase di sviluppo altre tecnologie, diciamo ‘particolari’, come, ad esempio, capi di abbigliamento sportivo che, attraverso sensori posti a contatto con la pelle, sono in grado di comunicare al ciclista quando sia ora di bere; o come una pillola termometro che, ingerita dal ciclista, invia i dati sulla temperatura corporea via Internet a un computer. Entrambe i dispositivi sono stati testati in competizioni ufficiali (Fonte: Bicycling).
Pure lo studio aerodinamico della posizione in sella del ciclista, svolto nelle gallerie del vento,e l’uso di materiali iperleggeri e prestanti (ricordiamo che nelle corse le bici devono pesare minimo 6 kg, ma spesso sono talmente leggere che per arrivare al peso minimo i meccanici inseriscono parti in piombo nel telaio) hanno prodotto un forte cambiamento nel modo di correre in bicicletta.

Galleria del vento, fino a qualche anno fa utilizzata solo per aerei e automobili. Fonte: Wikipedia
Sarebbe oggi difficile immaginare una prestazione ciclistica di alto livello in assenza di queste (e altre) forme di combinazione strettissima di elemento umano ed elemento tecnologico e digitale. I corridori in questo senso costituiscono realissimi ibridi di organismo e macchina, per alcuni tratti simili ai cyborg della fantascienza.
Marco Ariagno
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Innovazione tecnologica e digitalizzazione nello sport: di cosa parliamo?
“A cosa ci riferiamo quando parliamo di innovazione tecnologica e digitalizzazione in campo sportivo?”
Domanda legittima, a cui cercherò di rispondere in questo post.
A molte persone verrà probabilmente da pensare al tanto discusso VAR (Video Assistant Referee), un sistema che, tramite almeno 12 telecamere, permette all’arbitro di calcio di rivedere una azione e di correggere eventualmente una propria decisione per garantire una corretta direzione della gara; non a caso è stata definita come una ‘moviola in campo’.
La tecnologia in questo senso può essere considerata come un modo per evitare l’errore umano e un aiuto ad arbitri e direttori di gara: una specie di ‘potenziamento’ tecnologico delle loro facoltà. Precedenti al VAR e con medesima funzione di moviola, anche se meno conosciuti e perfettamente funzionanti e funzionali, sono il Video Check (da 12 a 19 telecamere che registrano fino a 180 fps) nella pallavolo e l’ ‘occhio di falco’ nel tennis.

L’ ‘occhio di falco’, grazie alla sua avanzata tecnologia, stabilisce se la pallina sia dentro o fuori dal campo con precisione millimetrica. Fonte: Flickr
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Il funzionamento del Video Check. Fonte: Youtube
Così come la tecnologia può supportare arbitri e direttori di gara nel prendere decisioni, essa può aiutare giocatori e allenatori. I Golden State Warriors (squadra della National Basketball Association, meglio conosciuta come NBA, negli USA), per esempio, usano durante gli allenamenti sistemi di sensori posizionati nei palloni che permettono di calcolarne esattamente le traiettorie ed, eventualmente, correggerle.

I Golden State Warriors, squadra premiata per la “Best Analytics Organizations” nello sport dal MIT. Fonte: Wikimedia
Un tale utilizzo della tecnologia è reso possibile da due fattori: <<The first is data analytics, which makes it possible for organizations to analyze immense amounts and varieties of data. [...] The second, related technology trend starting to make a big impact on sports is the Internet of Things, whereby organizations collect and analyze data transmitted from myriad network-connected devices>> (Fonte: Forbes, 2016).
L’uso del digitale si basa sui Big Data, cioè sulla possibilità di ricavare ed analizzare una immensa mole di dati, e su Internet of Things; essi consentono di studiare il gioco da più prospettive: sarà un caso che i Golden State Warriors abbiano vinto 3 titoli NBA negli ultimi 4 anni?
La tecnologia è usata talvolta per salvaguardare la salute degli sportivi. In sport pericolosi come il Football Americano, per esempio, gli infortuni sono molto comuni e da decenni si cercano soluzioni per proteggere i giocatori. Per questa ragione sono stati progettati caschi protettivi con sensori che misurano l’intensità dei colpi subiti e la temperatura del corpo del giocatore; i dati vengono inviati in tempo reale agli assistenti e ai medici a bordo campo. Attraverso queste rilevazioni lo staff decide se e quando un giocatore debba eventualmente uscire per sottoporsi alle cure mediche (Fonte: Digital 55).

Una tipica azione di football americano... Fonte: Wikimedia
Anche l’interazione coi tifosi da parte delle squadre o delle televisioni oggi è sempre più spesso mediata dal digitale. Le reti televisive per esempio intrattengono i fan con grafiche in 3D e statistiche sulle prestazioni in tempo reale, rese possibili da avanzatissime tecnologie; le società sportive si occupano di creare applicazioni, come per esempio quella della Juventus che permette di commentare le partite in diretta e leggere le ultimissime novità sulla squadra, che contribuiscono a far sentire i tifosi direttamente coinvolti nel gioco.
Marco Ariagno
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Vi presento il nostro blog in meno di un minuto!!
Marco Monticone
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Digital Marketing: quattro chiacchere con Marco Pipino
Prendendo spunto dal mio ultimo post, ho contattato l’amministratore dell’azienda italiana di bici da strada “Rodman”, Marco Pipino, per sentire direttamente da chi lavora nel settore sportivo quanto il Digital Marketing sia davvero indispensabile per la gestione di un’attività in quest’ambito. Ringraziandolo per la disponibilità e per il tempo a me dedicato, riporto di seguito il testo della nostra intervista.
Investimento sul digitale: a voler essere più precisi, in cosa si concretizza? Su quali piattaforme puntate maggiormente? Perché?
Investire sul digitale relativamente al marketing significa puntare sulla promozione dei propri prodotti e della propria attività con canali mediatici che sfruttano la tecnologia digitale (social, pc based, smartphone based etc) cioè non più riviste, eventi tradizionali, video trasmessi in TV o per finire su Fiere di settore che rappresentavano fino a due/tre anni fa i canali tradizionali per la pubblicità. Piattaforme utilizzate: FB, Instagram, YouTube... Perché? Perché si raggiunge più facilmente il target di consumatori a cui siamo interessati e il rapporto investimento/resa è superiore.
Quanta fatica/tempo richiede una campagna social efficace? C’è qualcuno che lavora appositamente ad essa?
Per campagne davvero efficaci occorrono molte ore settimanali e soprattutto continuità di presenza. Sì, strutture piccole sono giocoforza costrette ad appaltare all’esterno questa attività.

La “Rodman Azimut Squadra Corse”; fonte: Bing.com
Da dove nasce la necessità di essere presenti sul web? Quando avete capito che era necessario investire sulla rete?
Come detto sopra la velocità di penetrazione è superiore a qualsiasi altra forma pubblicitaria e il rapporto con gli investimenti fatti è molto più alto che per gli altri canali pubblicitari tradizionali.
Quali sono gli obiettivi dell’attività digitale dell’azienda (sponsor, visibilità…)?
Obiettivi: aumentare la presenza sul mercato e la notorietà del brand.
Riesce a immaginare l’azienda Rodman ugualmente fiorente senza la presenza in rete? Perché?
Senza la presenza in rete si perderebbe una gran parte di utenti che oggi hanno nella rete la propria fonte informativa. Il nostro target di mercato (biciclette alta gamma da corsa) spazia in fasce d’età limitate e il web è sicuramente il canale migliore per far crescere il brand.
Lo spessore del marchio Rodman è cresciuto attraverso il social marketing? Concretamente, in cosa risulta visibile l’effetto dello sforzo fatto?
Sì è molto cresciuto, soprattutto grazie ai team e all’attività di social marketing.
Obiettivi futuri per migliorare la presenza online dell’azienda?
Riuscire a crescere nel Centro Sud Italia e dal prox anno in alcuni Paesi Europei e USA.
Marco Monticone
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Sport Digital Marketing: più utile che mai...
Lo sport in senso stretto non si fonda certamente su basi tecnologiche, anzi è una delle attività più “umane” e “manuali” (se così si può dire) che ci siano. Ma siamo nel 2018 ed esso non è più definibile allo stesso modo di un tempo. Se prima lo sport era la pura e semplice espressione dell’atletismo di un singolo, ora si estende a orizzonti di significato molto più ampi che hanno a che fare con il business, la comunicazione, l’immagine societaria... Basandomi su fonti reperite online, cercherò dunque di rendere chiaro il perché della centralità del digital marketing nel lavoro di aziende e società sportive.
Navigando sul profilo Instagram di “Rodman Bikes", azienda italiana di bici da strada proprietaria, tra l’altro, della squadra per cui corro (la “Rodman Azimut Squadra Corse”), mi sono imbattuto in un’intervista al suo amministratore Marco Pipino il quale, rispondendo alla domanda su come venga gestito il budget della ditta, ha affermato che ben il 15% dell’utile viene investito ogni anno nel digitale. Un dato, questo, che mi ha lasciato alquanto stupito e che mi è servito da stimolo per la ricerca di ulteriori informazioni.
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Video di presentazione del team Rodman; fonte: YouTube
Davvero, mi sono chiesto, il web occupa una posizione così centrale per una ditta legata al mondo dello sport? E’ bastato digitare sul motore di ricerca Google le parole chiave “marketing sportivo” e “sport e digitale” per ottenere la risposta.
Un esempio: il 13 e 14 giugno, a Riccione, si terrà lo “Sport Digital Marketing Festival”, primo evento in Italia nel suo genere, dove le società sportive potranno seguire delle vere e proprie lezioni sull’utilizzo redditizio del web e dei social, guidate da alcuni tra i massimi esperti di Digital Marketing e Comunicazione nel panorama italiano (Antonio Caianiello e Federico Palomba, per citarne un paio).
Interessante una frase che si trova sul sito dell’evento “Non si chiacchera di sport, si costruisce business”... Già, perché oggigiorno lo sport, soprattutto quello ad alto livello, ha assunto più o meno le stesse caratteristiche di una merce e dunque, come qualsiasi merce, deve essere messo in mostra per essere venduto bene. E quale strumento migliore delle nuove tecnologie per fare ciò?

Il Digital marketing; fonte: sitesmatrix.com
In internet basta cercare per trovare un numero vastissimo di siti che promuovono consulenze o corsi di formazione in Digital Marketing. " RTR Sports Marketing“, “Sportdigitale“: tutti questi progetti nascono con lo scopo di aggiornare le figure professionali legate al mondo dello sport (brand journalists, fotografi sportivi, atleti, partner societari) al fine di dar loro gli strumenti e le conoscenze utili per cogliere le nuove opportunità che l’informazione digitalizzata offre.
Il cruccio più grande per le squadre e le aziende è essenzialmente quello di produrre ricavi, tramite sponsor, merchandising (vendita di biglietti e abbonamenti, ad esempio), iscrizioni... Il web può dare una grossa mano in questo. Esso è una vetrina formidabile (3,773 miliardi di utenti di internet a gennaio 2017) dove poter raccontare la propria storia, diffondere i propri valori, far crescere l’autorevolezza del marchio o del team. Con una giusta strategia e un po’ di spesa tutti gli obiettivi possono essere raggiunti: incremento della brand awareness, aumento del traffico sul proprio sito web, maggiore attaccamento dei tifosi, interesse degli sponsor... E allora sì che lo sport di oggi si può dire digitale.
Marco Monticone
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#FanBoost
La Formula E è senza ombra di dubbio una mossa decisiva verso il futuro delle corse automobilistiche in perfetto accordo con una visione del motorsport in chiave digitale. Questi veicoli, spinti da propulsori completamente elettrici dalla potenza di circa 250cv, si affrontano su circuiti cittadini in una serrata competizione sin dalla stagione d’esordio. Rispetto alla “sorella maggiore” F1 però, in Formula E è stata adottata una politica di livellamento delle prestazioni, permettendo al contempo un atteggiamento quasi pionieristico ai team, così da consentire loro di comprendere al meglio le peculiarità della neonata serie.

Nelson Piquet jr., NEXTEV NIO Team, ePrix Berlino 2017- Fonte: Wikipedia
Ma non sono le novità tecniche a rendere la competizione davvero al passo con i tempi; Gli addetti ai lavori hanno scelto di dare spazio ai fan come mai si era fatto prima d’ora, tanto da incentrare sui canali social parte della competizione stessa, introducendo il così detto “Fan Boost”. Questo è una vera e propria potenza additiva generata letteralmente dal supporto dei tifosi! In parole povere, più un pilota è supportato sui social dai propri fans, maggiore sarà la possibilità di avere potenza extra da utilizzare al momento opportuno. Una novità non da poco, anzi quasi radicale nel modo di concepire una competizione motoristica.
Ma come funziona nella pratica il Fan Boost? Circa una settimana prima dell’ePrix viene aperto una sorta di “contest”, da qui in poi tutti i post contenenti gli hashtag <#fanboost + #nomepilota>, i voti tramite app e quelli tramite sito ufficiale, andranno a costituire la classifica dei piloti più supportati. Infine terminato il periodo concesso per votare, i primi tre piloti in graduatoria potranno utilizzare la potenza additiva durante l’evento, tramutando il supporto che normalmente lo spettatore offre al proprio beniamino, in un Boost di potenza vero e proprio. Così facendo anche chi segue la gara comodamente dal suo divano viene coinvolto attivamente.

Mitch Evans, Panasonic Jaguar Racing, Hong Kong ePrix 2017- Fonte: Flickr
Non vi è dubbio che sia una grande novità, giovane e interessante, perché ridimensiona l’immagine da supereroe che si attribuisce ai piloti e la aggiorna a lavoro di squadra esteso a tutti i supporters nel mondo. Di sicuro non mancano i conservatori, che vorrebbero veder esaltare le abilità di guida dei piloti a bordo dei loro bolidi sibilanti, ma se si ragiona in termini di innovazione, questa è senz’altro una rivoluzione in termini di originalità, perfettamente lecita nell’epoca in cui viviamo.
Matteo Panarese
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Un breve video per capire in cosa consiste il #FanBoost !
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#FanBoost - a beginner’s guide
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Sport e memoria: la mia prima esperienza con Internet
29/08/2010. La Juventus perde 1-0 a Bari una delle prime partite del campionato di Serie A 2010/2011.
Alle 15 in punto, dallo studio di mia madre, mio padre collega il pc all’adsl e mi permette di connettermi per seguire in diretta il risultato della mia squadra. Pur non potendo vedere le immagini in diretta della partita -il sito aggiornava costantemente il solo risultato- , ero felicissimo di poter usare un vero computer. In fondo, passare dal computer giocattolo a un vero computer mi sembrava un sogno!
Come non vi sarà difficile immaginare, sono tifoso e appassionato; non di calcio soltanto: di qualunque sport.
Quel giorno stesso scoprii Youtube: trascorsi tutto il pomeriggio a guardare video di imprese sportive e gesti tecnici incredibili. Fra questi ricordo perfettamente un filmato di difese di pallavolo.
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Le difese dei campioni... - Fonte: YouTube
Lo vidi decine e decine di volte, come incantato davanti allo schermo. E nella mia mente finalmente anche io difendevo le schiacciate più imprendibili...

... e una difesa mia - Fonte: archivio familiare
Alla “scoperta” da parte mia di Internet, seguì un periodo quasi di crisi, per più ragioni: un solo dispositivo adatto a connettersi in casa e una connessione Internet a volte molto lenta - paleolitica rispetto alla banda larga di cui disponiamo oggi. Ricordo quanto spesso, vedendo dei filmati, le immagini si bloccassero...
Schermo nero in attesa del caricamento delle immagini - Fonte: Flickr
Ripensando oggi alle prime esperienze con Internet, mi rendo conto di come il suo utilizzo sia cambiato rapidamente e di come la tecnologia sia in evoluzione continua. Quando nel 2010 ho scoperto la Rete avevo 11 anni, gli smartphone erano poco utilizzati e connettersi costava una fortuna.
Ora, dopo soli pochi anni, la gran parte di noi considera normale collegarsi a Internet in ogni luogo ed usufruire delle risorse che questo mette a disposizione. Quanti ora, specie tra i più giovani, sarebbero in grado di rinunciare a Internet? Nella società della connessione “a vita” (quella che con riferimento al lavoro è stata definita la società 7x24), come sopravvivere senza poter inviare e-mail, utilizzare social network, compulsare la Rete alla ricerca delle più svariate informazioni (dal meteo alla cronaca, passando per i soliti risultati sportivi)?
Certo, difficile per quel bambino che ero allora immaginare le potenzialità di Internet, prevederne lo sviluppo e la pervasività nelle nostre vite quotidiane, rappresentarsi un mondo globalmente connesso.
Di quel bambino è rimasta la passione per lo sport, che si unisce oggi all’interesse per le trasformazioni cui questo va incontro per la sua crescente dipendenza dalle tecnologie, comprese quelle digitali.
Marco Ariagno
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La Formula.. Social !
Da grande appassionato di motorsport seguo anche la “classe regina” dell’automobilismo, ovvero la Formula 1 e vorrei anzitutto proporvi quello che per me è la F1, andando oltre la classica icona dell’automobile che viaggia a velocità inaudite per noi “comuni mortali”. La Formula 1 è senza ombra di dubbio, competizione, emozione e massima espressione della tecnologia. Ed è proprio su quest’ultimo punto che mi soffermerò, senza comunque muovere critiche ai detrattori e ai nostalgici che invocano i motori V12 di una volta. Sia chiaro, anche io non adoro molte soluzioni recentemente adottate ma come ho espresso poco fa, la Formula 1 è massima espressione della tecnologia, conseguentemente è estremizzazione della tecnica, spesso anche con soluzioni stravaganti.

Arrows A22, test di un secondo alettone sull’avantreno - Fonte: Wikipedia
D'altro canto la tecnologia non è solo aerodinamica e gallerie del vento, non è solo meccanica ed elettronica, non è simulatori e software di sviluppo; La tecnologia è evoluzione. Come tutti noi sappiamo e come assistiamo quasi increduli nella vita di tutti i giorni, la crescita esponenziale delle tecnologie rivoluziona in tempi brevissimi la nostra esistenza ed in merito a questo vorrei porvi una domanda: La crescita esagerata delle tecnologie digitali, ha influenzato anche la Formula 1? Non merito risposta, lo so. Il punto è proprio questo, è naturale che i propulsori delle attuali vetture non siano gli stessi degli spettacolari anni 80/90. Siamo nel 2018, e vedere un’auto essere spinta da 150 kg di Benzina non è poi così innovativo. Questo succede dall’inizio dello scorso secolo!
Quindi è facile parlare di “rivoluzione” se si guarda al passato, mentre è molto, molto più difficile parlare di rivoluzione se ci si è dentro. Abbiamo osservato l’introduzione del KERS, ora della Power Unit, quindi l’innovazione c’è.
Schema di funzionamento del sistema KERS - Fonte: Wikipedia
Eppure si continua a sentir parlare di uno sport morto senza fans, e quei pochi che ci sono continuano ad invocare un ritorno al passato. Questo i nuovi proprietari del Circus, gli americani Liberty Media, lo sanno bene. Ma di cosa ha bisogno questo sport che fa spesso brontolare il viandante di turno? La risposta di Liberty Media, il nuovo proprietario del brand Formula1, è semplice. Nuovi fans, fans che siano nativi di questo estremamente rapido sviluppo tecnologico.
Ma come accaparrarsi questa nuova fetta di mercato? Semplice, rispondendo ai giovani con il linguaggio dei giovani. Tra le novità proposte (alcune già introdotte) vi sono:
Nuovo Logo (mandando in pensione l’ormai icona storica).
F1TV, ovvero un canale streaming (stile Netflix) online 24h con contenuti speciali, interviste inedite, contest e premi.
L’APP Formula1 del tutto rinnovata per tutte le piattaforme, con la possibilità di seguire in live-timing la corsa, osservando le posizioni dei piloti su di un sinottico che rappresenta il circuito, intertempi, classifiche, calendario eventi, meteo previsto per ogni sessione, highlights, programmazione TV nella regione in cui ci si trova, commento live e team-radio, e molto altro ancora.
Il “Driver of the day” votabile direttamente sul nuovo sito o sull’APP o ancora tramite i canali social ufficiali del Circus, dando una sorta di premiazione anche al pilota ritenuto più meritevole o spettacolare dell’evento anche se questo non ha conquistato risultati per il campionato.
On Board Camera in live in realtà aumentata grazie alle nuove tecnologie dei visori VR ormai quasi alla portata di tutti.
Insomma Liberty Media ce la sta mettendo davvero tutta in questo senso.
Nuovo logo introdotto da Liberty Media - Fonte: Wikipedia
Se si guarda a soli 10 anni fa, dove le telecamere a bordo vettura presentavano frequenti sfarfallii e si fa il paragone con ciò a cui stiamo assistendo ora, non si può fare a meno di ammettere che quella a cui assistiamo il fine settimana è sempre più una Formula1 rivoluzionata ed estremizzata, sia nella comunicazione con i fans, che nella tecnica, sempre più una Formula.. Social.
Matteo Panarese
#Formula1#LibertyMedia#Motorsport#Evoluzione#Evolution#Digital#Digitale#RivoluzDigitale#Sport#socialnetwork#social
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Strava: il “café” online per gli sportivi più pettegoli
Ciao, miei cari lettori!!
In questo blog post cercherò, basandomi anche su fonti reperite online, di presentarvi il fenomeno Strava, attualmente l’app di riferimento per chi pratica sport, a qualsiasi livello. Il mio intento è quello di mostrare i motivi principali del suo successo, i difetti (se di difetti si può parlare) e, più in generale, le caratteristiche che hanno permesso e permettono a quest’applicazione di distinguersi da tutte le concorrenti.
Penso che a molti il nome di quest’ app non risulti totalmente nuovo: chiunque si interessi un po’ di sport ne avrà di sicuro sentito parlare. Nata nel 2009 negli Stati Uniti (la sede è a San Francisco), Strava si presenta agli utenti come una tra le tante applicazioni per lo sport attualmente disponibili: essendo compatibile con IOS, Android e molti dei dispositivi GPS in commercio, permette infatti di tenere traccia del percorso effettuato durante un allenamento evidenziando, inoltre, alcuni parametri fondamentali, quali frequenza cardiaca, potenza espressa, velocità e altri ancora.

Ecco l’interfaccia grafica di Strava; fonte: Merkabici.es
Qual é dunque il punto di forza di Strava, quello che ne ha permesso una così grande espansione (pensare che, già nel 2014, venivano registrate oltre 3 milioni di attività a settimana)? Una risposta sintetica potrebbe essere “la sua vocazione social”, ma mi spiego... I social piacciono, e questo è lampante. Essi rispondono all’esigenza personale di ognuno di raccontare storie, di raccontare la propria storia, e, inoltre, forniscono un pubblico vasto di ascoltatori, soddisfacendo il bisogno di gratificazione insito nelle persone. Un social per sportivi mancava all’appello e Strava ha, per così dire, “riempito il buco”, creando una piattaforma dove gli utenti possono rendere visibili le loro performance, seguirsi a vicenda e confrontarsi...
Già, la carta vincente di questa social-app è proprio questa: il confronto, la possibilità per qualunque appassionato di dare vita a vere e proprie sfide virtuali con i propri “colleghi”, senza per questo dover essere uno sportivo di alto livello. Insomma, Strava ha dato la possibilità di provare l’ebrezza della competizione a chi la competizione non può viverla altrimenti. Nel concreto, questo si traduce in una parola: KOM... Di cosa si tratta? Per i ciclisti questa sigla è ormai diventata famigliare, e significa “King Of the Mountain”. Ogni utente può selezionare sulle mappe delle porzioni dei percorsi che compie, i cosiddetti segmenti, renderle pubbliche e, da lì, dare inizio alla sfida: tutte le volte che una persona esegue l’upload della sua uscita su Strava, infatti, questa verifica se si è passati per dei segmenti e, in caso affermativo, se il tempo di percorrenza è il migliore tra quelli registrati, assegna il KOM al nuovo “king del segmento”. Un’idea molto semplice, quindi, ma che ha fatto la fortuna di chi l’ha escogitata.
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Un video esplicativo sui KOM; fonte: YouTube
Ci sono dei difetti? Beh, qualche inconveniente è venuto a galla, legato principalmente alla traccia dei percorsi che vengono condivisi. Il sito irlandese "Stickybottle" aveva lanciato un allarme nel 2015, avvertendo che l’app sarebbe stata una perfetta alleata per i ladri di biciclette che, grazie alle mappe caricate dagli utenti, sarebbero riusciti a individuare con esattezza i garage dove le bici venivano riposte. Stesso problema, ma con ripercussioni potenzialmente peggiori, in ambito militare, dove pare che l’utilizzo di Strava da parte dei soldati statunitensi (e non solo) abbia reso chiaramente visibili molte basi militari segrete in Africa e nel Medio Oriente. Tuttavia, tali problemi possono essere imputati semplicemente all’errato utilizzo dell’app che, infatti, prevede la possibilità di personalizzare le impostazioni di privacy del singolo utente.
Un’ulteriore curiosità, questa volta positiva: a differenza della stragrande maggioranza delle app, le quali vendono i loro dati per scopi prettamente pubblicitari, Strava ha deciso, insieme con “Ototo”, di optare per una politica decisamente più etica e rispettosa della privacy, vendendo l’enorme mole di informazioni e di mappe di cui dispone alle città e agli Stati interessati, al fine di contribuire al miglioramento e all'implementazione della viabilità pedonale.
Insomma, un’app, questa, decisamente azzeccata: molto semplice per contenuti proposti, ma che grazie all’intelligenza dei suoi sviluppatori ha saputo “fare centro”, rispondendo perfettamente alle esigenze di un’utenza digitale dal dna sportivo.
Marco Monticone
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Ritorno al 2000 e spiccioli, quando internet comparve in casa mia...
Buongiorno a tutti voi, cari lettori!
Sfrutto questo blog post per fare insieme a voi un breve tuffo nel mio recente passato. Vi ricordate quale sia stata la vostra prima esperienza con internet? O meglio: vi siete mai fermati a pensarci? Siete mai tornati con la memoria a quel magico periodo di inizi duemila, in cui i “computer intelligenti” cominciarono a insediarsi nelle nostre case? Se la risposta è “no” io vi rispondo: “Nemmeno io”.
In effetti, oggigiorno l’essere iperconnessi è qualcosa di molto normale, non lo si vive più come una conquista o come una novità. Ma basta fermarsi un attimo e fare mente locale su cosa si intendeva per “tecnologia” dieci o quindici anni fa, che ci si accorge che è davvero cambiato tutto.
Per me, l’avvento di internet è coinciso con l’acquisto da parte di mio padre di un nuovo computer fisso: un bel Hp color argento che rispetto al precedente device, di forma pressoché cubica, pareva essere giunto direttamente dal futuro. Poco importava che per connetterlo alla rete si dovesse distendere un cavo che percorreva l’intero appartamento: era bello, era nuovo, ma soprattutto aveva il sapore della novità.
Ecco come poteva apparire il mio computer; fonte: Bing Images
Cosa facevo con questo computer? Praticamente nulla, in realtà. Avevo più o meno sei o sette anni e ricordo che i miei genitori stavano molto attenti affinché io lo usassi il meno possibile. Inoltre con la tecnologia, finché sono stato un bambino, non andavo molto d’accordo, o meglio: con essa avevo instaurato un rapporto di totale indifferenza.
C’era una cosa che però amavo fare. Sin da quando ero piccolo, infatti, mio padre aveva cercato di trasmettermi la sua passione per i funghi... E devo dire che ci era riuscito. Cosa centrano i funghi con il mio Hp? Ecco: il mio diletto preferito, da quando era arrivato internet a casa, consisteva nell’andare su “Google immagini”, digitare le parole “funghi porcini” o “funghi di Borgotaro”, e da lì incominciare a fantasticare. Succedeva sempre così: nei weekend, finito di pranzare e di sparecchiare tavola, correvo in camera per la mia mezz’ora di evasione “fungina”.

Ecco una foto di cui sarei andato matto; fonte: Flickr
Con il passare del tempo il mio rapporto con la tecnologia si è necessariamente modificato ed intensificato, ma di certo ha perso di poesia. Eh sì, perché é di poesia che si parlava. Guardare quelle foto, quei funghi, quei boschi, era un po’ come mettersi gli scarponi, prendere il cestino e andare a cercarli di persona.
A differenza di altri bambini più tecnologicamente intraprendenti, la mia prima esperienza con internet può quindi risultare povera. Tuttavia, credo che con essa venga presentata una delle grandi potenzialità (o uno dei grandi rischi) della rete, ovvero quella di rendere quasi reale ciò che in realtà è finzione, di riprodurre e di “avvicinare” la realtà a tal punto da rendere totale l’immedesimazione dell’utente.
Spero che questo nostalgico ritorno all’infanzia sia gradito. Arrivederci al prossimo post!!
Marco Monticone
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Mi presento
Ciao a tutti, cari lettori!!
Prima di iniziare a postare qualsiasi contenuto, ci tengo a presentarmi brevemente. Mi chiamo Marco Monticone, ho vent’anni e frequento il primo anno di ingegneria gestionale presso il Politecnico di Torino. Amo lo sport a tutto tondo, prediligendo tuttavia il ciclismo e il nuoto.
Questa mia grande passione per l’attività fisica, unita alla possibilità di seguire il corso di “Rivoluzione digitale” nel mio ateneo, ha dato vita a questo blog. Ad affiancarmi in questa attività ci sono Matteo Panarese e Marco Ariagno, due ragazzi del primo anno di ingegneria che condividono con me l’interesse per lo sport e la digitalizzazione. Insieme, cercheremo di unire questi due “mondi” apparentemente così autonomi, mostrandovi quanto ormai le nuove tecnologie e i nuovi mezzi di comunicazione e di condivisione abbiano permeato quasi tutte le discipline sportive, sia agonistiche che amatoriali.

Io, salendo al Colle delle Finestre
Nella speranza di fornire materiale sempre utile e interessante, lascio di seguito gli hyperlink dei nostri profili twitter:
Matteo Panarese ; Marco Ariagno ; Marco Monticone
Un saluto, e arrivederci al prossimo post!!
Marco Monticone
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Queste Gen2 sono davvero il futuro !






The Gen2 Formula E Car
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Matteo Panarese presenta il suo contributo per Bit&Sport.
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Una vecchia domanda... Quale è stata la prima volta che hai usato internet?
Spesso è saltata fuori questa domanda, tra amici, in famiglia...
Nel tempo ho scelto un ricordo molto sbiadito nella mia memoria per rispondere, all’incirca di quando avevo 3 o 4 anni; sarà stato il ’98, ’99. In questo mio ricordo vedo un monitor, un Samsung Energy Star a tubo catodico, di quel bianco panna che adesso ci suscita subito una sensazione di “vecchio”, con me c’era mio padre, cercava di spiegarmi cosa fare per avviare i videogiochi da solo. Nei flash sbiaditi... sono nitide però le parole che disse: >> Puoi toccare tutto, tranne la “e” blu << In ..1, ..2, ..3 secondi, mio padre esce dalla stanza e, io clicco la “e” blu; Dopo pochi click, ricordo solo i “mostri” dentro il computer (i suoni dovuti al tentativo di connessione del modem 56k).

Icona storica del web browser di Microsoft - Fonte: Flickr
Ovviamente non è quella la vera prima volta che ho fatto qualcosa in rete, anzi a dire il vero quando ho avuto la prima connessione con canone fisso ad Internet in casa, avevo già abbastanza esperienza. E’ sempre stato questo però il ricordo che associo quando, discutendo, è saltato fuori un simile discorso. Forse perché in contrapposizione con quello che può essere oggi l’esperienza di un bambino, per me era davvero strano, anche il solo fatto che avessimo quell’aggeggio in casa. Me ne rendevo conto, tutti gli altri dispositivi, potevano fare una sola cosa, il computer no, bastava solo avere il floppy disk o il CD-ROM adatto e poteva diventare una console per videogiochi, o un “videoregistratore”, un foglio dove scrivere, o una cornice che cambiava autonomamente le immagini. Quella macchina suscitava in me un’attrazione tremenda.
Oggi tutti hanno internet a portata di smartphones, ovunque, come fosse parte integrante della vita stessa, anzi, è forse più assurdo che qualcuno NON lo abbia mai utilizzato. Da allora son passati 20 anni, ma per la tecnologia è come ne fossero passati 50 o forse più; Questo dovrebbe far riflettere su quanto lo sviluppo sia stato esponenziale. Ma quanto, realmente, è radicato nella società l’utilizzo di internet? Non si può rinunciare ad essere connessi, non se ne può fare a meno anche volendolo, quasi come se... non si possa più vivere senza.
Esempio di un utilizo esagerato di apparecchi informatici - Fonte: Pixcooler
Oggi un bambino, da quando nasce, a quando ha minimo di autocoscienza, è entrato così tante volte a contatto con dispositivi simili che probabilmente, tra 20 anni, ponendogli la stessa domanda, potrebbe non saper rispondere, nemmeno con un vago ricordo ...
Matteo Panarese
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