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- Mattia Dutto
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Ma quanto siamo fissati? La nostra linea e la tecnologia
Al giorno d’oggi passiamo circa un’quarto della nostra giornata sul nostro smartphone, con esso ormai possiamo fare veramente di tutto a partire dal navigare sul web, a scattare una foto e a monitorare la nostra attività fisica e il nostro regime alimentare.
Fino a qualche anno fa se volevamo una di queste due ultime funzioni dovevamo per forza scaricarci un’applicazione dallo store del nostro dispositivo, che nella maggior parte dei casi era una compagino app per un braccialetto fitness. Oggi grazie all’utilizzo del GPS e l’inserimento di alcuni dati, quali peso e altezza, i più grandi produttori ( Apple con l’app Salute, Samsung con Health ecc…) inseriscono il controllo dei passi e delle calorie bruciate direttamente all’interno dei loro prodotti.
(Applicazione Salute di Apple - Fonte Wikipedia)
Di applicazioni per monitorare la nostra dieta c’è ne sono veramente tantissime, Contatore calorie, Lose It!... Il funzionamento è semplice hanno all’interno di loro un ricettario contenente i piatti più comuni e una buona raccolta di ingredienti. Per ogni prodotto vengono caricate le informazioni nutrizionali per 100 grammi nel caso di un prodotto. Nel caso che il prodotto sia una Barrett o con quantitativi minori di 100 grammi per il singolo elemento A noi basterà toccare semplicemente indicare la quantità consumatai. Nel caso che il prodotto non sia presente, potremo creare noi un nuovo cibo e indicarne i valori nutrizionali.
Molto spesso le persone non si limitano ad utilizzare i loro smartphone solo per monitorare la loro dieta, ma vogliono anche sapere quante calorie bruciano durante il giorno ed ecco che allora il mercato ha pensato per loro degli smarthwatch, alcuni hanno GPS integrato altri invece utilizzano il GPS dello smartphone. Questi braccialetti / orologi intelligenti oltre a tenere sotto controllo la nostro attività fisica possono anche essere utilizzati come sveglie, per rispondere alle chiamate e soprattutto per avere sempre a portata di polso le notifiche. Nella maggior parte dei casi hanno anche altre funzioni legate alla salute quali la misurazione del battito cardiaco e del sonno.

(Braccialetto smart di FitBit - Nello specifico FitBit Blade - Fonte Wikipedia)
Se la vostra cartella clinica non è ancora abbastanza digitalizzata, nel web potete trovare bilance, misuratori di pressione, misuratori di leucemia che interagiscono con il vostro smartphone, in alcuni casi, mi riferisco a salute di Apple, sarà possibile avere tutti i dati in un unico posto. Tutti i dati raccolti dai dispositivi poi si possono visualizzare o online o sul nostro smartphone sia come singole informazioni sia come grafici. Ma che figata no devono solo più inventare il dottore virtuale e poi non dovremo neanche più staccarci dal nostro divano, ci penseranno i big data per noi.
- Mattia Dutto
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CHEF DI LATTA
Per noi italiani Il cibo e lo stare a tavola hanno una grande importanza, ne consegue la cura, l’impegno in cucina e il bisogno di avere un aiuto.
Uomo e robot. Uomo o robot. Giorno dopo giorno questi marchingegni stanno entrando sempre di più nella nostra vita quotidiana. C’è chi è contrario perché teme che si stia andando verso una progressiva sostituzione del lavoro umano. C’è chi invece è a favore considerando il notevole aiuto meccanico, la grande precisione con cui operano e il tempo risparmiato.

Chef robot di Horizons, parco a tema del Walt Disney World - fonte: Flickr
Ed ecco che entra in scena il mitico Bimby, considerato il re degli elettrodomestici (probabilmente per il suo modico prezzo). È il figliol prodigo che tutte le mamme che non amano particolarmente cucinare, che lavorano tanto o che sono sempre di fretta, desiderano.
Trita, miscela, scioglie, cuoce a vapore ma non frigge. Uno dei principi base del Bimby è infatti quello di avere un’alimentazione più sana possibile. Insomma è un enorme aiuto in cucina, specialmente per chi non è troppo pratico. Sostituisce gran parte del nostro lavoro, seppur abbia sempre bisogno (per ora) della presenza umana per accendersi, ricevere comandi e spegnersi.

Bimby TM31, Vorwerk - fonte: Wikipedia
La tecnologia però non si è limitata ad un “semplice elettrodomestico”. In questi ultimi anni infatti sono stati creati esempi di robotica e intelligenza artificiale applicati alla cucina: gli chef robot.
Un esempio è il Robotic kitchen, MK1, sviluppato dalla Moley Robotics, che provvisto di mani e braccia antropomorfe simula movimenti umani. Indossando degli appositi guanti tecnologici esso impara a cucinare dagli uomini. Attraverso motori, giunzioni, sensori e una fotocamera 3D registra i movimenti del cuoco ed è poi in grado di ripeterli per preparare il piatto, a patto che si riposizionino al millimetro gli ingredienti usati.
C’è poi Chef Watson, un motore di ricerca ideato da IBM che con un database di oltre 9000 ricette è non solo in grado di riproporle ma anche di combinare i vari ingredienti in nuovi modi a seconda delle loro caratteristiche molecolari e delle proprietà chimico fisiche degli elementi. Lo scopo è offrire ricette personalizzate anche con pochi prodotti a disposizione. È inoltre possibile interagire e elencare i gusti personali, in modo tale da permettere al sistema di adattarsi alle esigenze di ognuno.
Belli, comodi, pratici e veloci. Dite addio alla pasta scotta, agli zucchini bruciati e alla cucina sporca e disordinata. A primo impatto paiono una manna piovuta dal cielo. Permettono di risparmiare tempo, fatica e forse perfino di seguire un’alimentazione più sana ed equilibrata.
Possiamo però definirli veri cuochi? Sanno davvero cucinare o mettono semplicemente in pratica una lista di movimenti e passi precedentemente memorizzati?
Cucinare è un elenco di passaggi, di istruzioni da eseguire? È un insieme di reazioni chimiche e fisiche da combinare? Saper cucinare è SOLO questo? No, nonostante i loro innumerevoli lati positivi ai robot mancheranno sempre le sfumature della personalità di ognuno, in primis la creatività. Si riduce la trasmissione di tradizioni culinarie e piatti tipici. Si diventa progressivamente più pigri e sempre più dipendenti dalla tecnologia.
Una mano in cucina fa sempre comodo, ma esistono le vie di mezzo.
Cecilia Gazzera
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SPACE FOOD - “Mangiare al volo”
Il punto più lontano della tecnologia è stato la conquista dello spazio. Riguardo ciò spesso quel che ci sfugge è che su quelle navicelle ci sono uomini. Vi siete mai chiesti ad esempio come essi affrontano bisogni naturali come l’alimentazione?
L’argomento non è per nulla banale, a partire dal considerare le condizioni di assenza di gravità, che portano gli astronauti a dover affrontare la debolezza fisica, qualora non fossero controllati da una dieta equilibrata e varia. In concreto c’è bisogno di pasti sani e nutrienti, ma che al tempo stesso siano facili da preparare e a lungo conservabili.
Yuri Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio, mangiò una purea di carne contenuta in tubetti simili a quelli del dentifricio.

(Il cibo e gli astronauti - Fonte: Google Immagini)
Fin dagli anni ’60 veri e propri “ingegneri del cibo” si sono specializzati nella produzione di pasti già precotti e disidratati, oltre che confezionati sottovuoto: una piccola bolla di ossigeno potrebbe compromettere l’integrità del cibo e renderlo immangiabile. Anche i sensi dell’olfatto e del gusto vengono meno, dunque si aggiungono salse speciali; per rimpiazzare la perdita di nutrienti invece si ricorrere a varie pastiglie colorate. Le briciole sono vietate, mentre ovviamente senza gravità non si può bere da un bicchiere, dunque la soluzione è quella di confezionare le bevande in buste da spremere.
Attualmente però si ha avuto un notevole sviluppo nel campo, fino a creare oltre 200 diversi pasti di cui qui elenco una rappresentanza non proprio stuzzicante: Mac and cheese da reidratare, tonno termostabilizzato, bevande in polvere, alimenti irradiati, composta di mele in tubetto, sale e pepe liquidi, gelato liofilizzato.

(Cibi confezionati per un viaggio nello spazio - Fonte: Wikimedia Commons)
Un contributo molto importante per migliorare le diete spaziali è fornito da Argotec, un’azienda di ingegneria aerospaziale torinese, che da qualche anno ha avviato il progetto Ready to Lunch. Un team di tecnologi alimentari, dietisti e nutrizionisti crea all’interno degli Space Food Labs piatti su misura per gli astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e non solo: gli organizzatori hanno avviato anche la vendita online dei pasti, pensando a tutte quelle persone che hanno poco tempo a disposizione e sono soggetti a particolari condizioni ambientali sportive, o i disabili e persone con particolari allergie.
«Con il marchio ReadyToLunch – ha spiegato l’amministratore delegato dell’azienda David Avino – è stato applicato sulla Terra il know-how sviluppato in ambito spaziale, rendendo disponibile lo space food a tutti. Il cibo preparato da Argotec, privo di conservanti, coloranti o additivi chimici può essere conservato sino a 24 mesi senza catena del freddo. Per la produzione del cibo sono stati applicati metodi innovativi di disidratazione e termostabilizzazione, sempre nel massimo rispetto delle qualità organolettiche e nutrizionali degli alimenti».
Gli anni più recenti hanno subito l’influenza tutta italiana di Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano nella scelta delle tecniche di alimentazione nello spazio. In particolare la prima poté gustare il caffè espresso attraverso macchine appositamente progettate, il secondo spinse addirittura a introdurre una dieta mediterranea a base di parmigiana, caponata, lasagne e tiramisù!

(Samantha Cristoforetti gusta il caffè espresso a bordo dell’astronave - Fonte: Google Immagini)
- Paolo Gerbino
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Cibo del futuro
COME LA GRADISCE LA COSTATA?
“BEN STAMPATA, GRAZIE”
Se davvero ci capiterà in futuro di dover fare il download di primo, secondo e contorno, lo dovremmo all’incombere del digitale nel settore alimentare. Le stampanti alimentari 3D, che nel 2020 troveremo sul mercato, ne costituiscono solo un esempio.
Un mondo di più ingegneri e meno chef, considerando che il ruolo di questi si ridurrà a un mero controllo del software.
Se su questo versante il digitale contribuirà ad implementare le sofisticatezze alimentari, sull’altro provvederà alla proliferazione degli alimenti stessi. Un’iniziativa che trova le sue fondamenta in un futuro di esigue disponibilità alimentari: nel 2050 saremo circa 10 miliardi con una crescita del fabbisogno alimentare del 50%.
È l’innovazione nel settore delle carni, che ha generato più stupore negli ultimi mesi. A Londra è stato prodotto il primo hamburger completamente sintetico, a partire da cellule staminali bovine.

Hamburger preparato con un metodo alternativo-Fonte:screenshot personale
È costato 250 mila euro e il sapore non è tra i migliori, ma gli scienziati sperano di produrre a un prezzo sostenibile e di miglior gusto. Non ci meravigliamo affatto, se il suo assaggio ufficiale è stato salutato come l’inizio di una rivoluzione alimentare.
Ma l’obiettivo del progetto, oggi, non è più solamente la produzione di tessuti cellulari, ma l’effettiva stampa di questi attraverso una printer 3d, che lavori a “strati”. Il protagonista diventerà, dunque, il software del computer che permetterà di creare diverse fette digitali per poi giungere alla fettina finale.

Carne naturale e carne sintetica,che differenze?-Fonte:screenshotpersonale
Nella stampante 3D accanto alle proteine, dovranno via via aggiungersi gli altri macronutrienti (carboidrati, grassi, minerali e vitamine), per un’alimentazione più equilibrata e per garantire l’effettiva presenza degli amminoacidi essenziali di cui la nostra dieta è carente. Questo progetto potrà essere una soluzione soprattutto in quei paesi, che dispongono di scarse risorse alimentari.
“Abbiamo bisogno di un mondo migliore, per dar da mangiare ad un mondo affamato”, commenta Uma Valeti, ceo della Memphis Meats, startup che coltiva carne in laboratorio. Un mondo, più animalista e più ambientalista, insomma.Un mondo migliore che non crei più problemi per l’ambiente, la salute degli animali e la salute umana.
Ma oltre all’impatto ambientale (considerato il risparmio del 95% di terra ,il 75% di acqua e la riduzione dell’87% dei gas serra), si intravede anche un fine di pacificazione sociale. Vegetariani e vegani potranno rivalutare le proprie posizioni sulla base di una carne più green e un’ alimentazione cruelty free.

Carne sintetica: più nutrizione e più etica-Fonte:screenshot personale
La portata del progetto meglio si comprende, considerando il finanziamento da parte di esponenti come Bill Gates e Richard Branson. Forse gli esponenti della tecnologia che hanno rivoluzionato il modo di comunicare ieri, vorrano apportare una rivoluzione nel mondo alimentare oggi? Ma vi è veramente una necessità sociale? Possiamo continuare a rimanere impassibili alla crudele realtà degli allevamenti intensivi?
La mia opinione trova risposta in una metafora tipica di Silicon Valley: “il treno correva quanto il cavallo, prima di superarlo. Ora noi siamo alla pari con le mucche, con la differenza che miglioriamo ogni giorno”. A voi, una risposta più meditata, che sia la migliore per le sorti del pianeta.
-Leoluca Rigogliuso
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-Leoluca Rigogliuso
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La spesa nel terzo millennio
Nel 1995 nacque Amazon uno dei primi negozi online, non aveva niente a che fare con il sito attuale, pensate un po’, si potevano acquistare solo libri.
Negli ultimi anni gli store online sono diventati sempre più popolari, al giorno d’oggi è difficile distinguere Amazon Pantry, Foodora e Just Eat dai classici supermercati Auchan, iPerCoop, Lidel. Questo perché sia in Italia, ma soprattuto in America, le persone stanno diventando sempre più pigre e pur di non doversi spostare sono disposti a pagare qualche extra per poter ricevere la loro spesa o i loro cibi direttamente a casa.
(Homepage di Amazon.it - Screenshot)
Fino a qualche anno fa il grande colosso Amazon permetteva l’acquisto di qualunque cosa che non fosse il cibo, ma il 23 aprile 2014 ha lanciato un servizio dedicato ai possessori di account prime, Amazon Pantry: il servizio di Amazon che permette di effettuare la spesa direttamente dal nostro divano e di ottenerla a casa giusto un paio di ore dopo. Nella città di Milano è possibile selezionare addirittura la consegna in mattinata o entro sera. Lo shop permette anche di acquistare un prodotto in modo automatico tipo una volta al mese o ogni settimana, dopo un determinato numero di acquisti si inizierà ad usufruire di alcuni sconti.
Per ogni nostra spesa avremo a disposizione una scatola, il nostro carrello virtuale, che può raggiungere o i 20kg o i 110 litri di capacità. Per ogni pacco bisognerà pagare 3,99€ di spese di spedizione oltre all’abbonamento a prime ( che da qualche mese è passato da 19,99€ a 36,99€ ).
Un altro simpatico servizio offerto dallo shop è Amazon Dash Bottons: con un costo di 4,99€ permette di ordinare un determinato articolo tramite la pressione di un semplice bottone. Per utilizzarli bisogna essere clienti prime, inoltre per la prima configurazione è necessario possedere uno smartphone per associare il bottone alla rete wi-fi e impostare il prodotto da acquistare a portata di clic, una volta cliccato sarà sufficiente attendere che il corriere ci consegni il pacco.

(Amazon Dash Botton - Fonte Wikipedia)
Ma per i più pigri che non si vogliono fermare al solo acquisto online, grazie ai servizi di Just Eat e Foodora sarà possibile acquistare del cibo già pronto per essere mangiato. Sono piattaforme che, intascando una piccola percentuale su ogni vendita che viene effettuata tramite il portale, riescono a pagare i server, gli sviluppatori, la pubblicità.
Questi siti web sono degli aggregatori di bar / ristoranti / pizzerie che sotto loro richiesta accettano di far parte dei network, per farlo bisogna caricare un menù d’asporto e l’area geografica di copertura. Per il cliente sarà sufficiente aprire l’applicazione, iscriversi, rilasciare un paio di consensi e una volta selezionato il locale potrà effettuare il primo ordine infine potremo scegliere se pagare tramite carta o alla consegna.
Spero che con questo breve articolo abbiate un’idea di cosa cosa siano gli shop online e di come siano cambiate le nostre abitudini di fare la spesa. Nell’ultimo secolo siamo passati dal baratto alla spesa su internet!
- Mattia Dutto
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VIDEOMAPPING: attendere non è più noioso
Da buoni italiani, andare al ristorante per un pasto è sempre una gioia. Tuttavia c’è ogni volta un lato negativo che dobbiamo sopportare: l’attesa.
Spero giunga ai lettori la mia stessa sorpresa del momento in cui ho scoperto il metodo originale che i belgi Antoon Verbeeck e Filip Sterckx hanno adottato per affrontare il problema. Nel 2015 nasce Le Petit Chef, un’animazione in cui un piccolo chef viene proiettato sui tavoli dei ristoranti intento a cucinare il cibo dei clienti direttamente nel loro piatto!
Ma capiamo meglio l’iniziativa: si tratta di una tecnica di videomapping che dall’originario concetto applicato alle pareti di grandi edifici in occasione di eventi con centinaia di persone, è stata rimpicciolita e traslata su un tavolo alla portata della singola persona, che dunque dopo aver prenotato il suo pasto si accinge ad assistere alla preparazione di un pesce, di una zuppa, di un dessert.
“Ovviamente, le mappature sui tavoli erano già note, ma si trattava soprattutto di installazioni grafiche. Volevamo creare qualcosa di nuovo e abbiamo pensato che aggiungere una figura sul tavolo, impegnata a cucinare per i clienti, fosse divertente” - commenta Antoon Verbeeck.

(Esempio di videomapping su edifici - Fonte: Public Domain Pictures )
Skullmapping è il nome dell’azienda belga fondata dai due ideatori, i quali sin dagli albori delle loro carriere di “visual artist” si sono caratterizzati di uno stile innovativo dell’arte, alla ricerca di un nuovo modo di sorprendere il pubblico, attraverso la sperimentazione di nuove tecnologie. E così hanno dato vita ad esperienze VR e ologrammi, fino alle proiezioni di illusioni 3D per l’appunto.
Un particolare accorgimento tecnico del progetto riguarda la scelta dello strumento principale, il proiettore, orgogliosamente ricaduta sui prodotti Panasonic. Essi si sono mostrati molto adatti alla causa de Le Petit Chef : dato che gli spettatori si trovano molto vicini allo schermo, c’era bisogno di molta attenzione agli elementi in miniatura, affinché le immagini non risultassero pixellate e dunque l’animazione non perdesse leggibilità. Col contributo di un’installazione flessibile e di un basso costo, fu permesso a Filip Sterckx di così affermare:
“Scegliere Panasonic è stato naturale: non soltanto è un marchio leader per le attrezzature audio-video, ma questi proiettori presentavano esattamente le specifiche e la risoluzione che cercavamo”

(Sala adibita a effetti di videomapping - Fonte: Google Immagini )
Tuttavia non si tratta questa della prima volta in cui sbarcano delle proiezioni 3D in un ristorante. SubliMotion, ristorante di Ibiza, Spagna, aveva già offerto nel 2014 magiche esperienze di luci e proiezioni che durante il pasto avvolgevano la sala dei clienti. Questa fusione tra cucina e tecnologia ha portato il locale dello chef Paco Roncero a essere rinomato come nientedimeno che il ristorante più costoso del mondo.
Se avete voglia di qualcosa di diverso dal solito ristorantino sotto casa e volete testare se vale la pena fare questo viaggetto in Spagna, iniziate ad accumulare 12 persone al massimo e almeno 2000€ a testa!
- Paolo Gerbino
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Ecco il mio video di presentazione del blog!
- Paolo Gerbino
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“L’UOMO É CIÒ CHE MANGIA”
“L’uomo è ciò che mangia […] l’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliorare il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore”, Ludwig Feuerbach.
Quando acquistiamo un prodotto alimentare, ci chiediamo cosa stiamo portando a tavola? Domanda che il filosofo tedesco Feuerbach, si sarebbe di sicuro posta, in un contesto in cui l’agropirateria, l’imitazione, la contraffazione e soprattutto l’Italian sounding stanno sempre più diventando argomenti all’ordine del giorno, inducendo milioni di consumatori ad acquistare prodotti che di italianità hanno ben poco.
Il problema non sono alimenti come Parmesan, Zottarella, Regianito, Spagheroni ,Daniele Prosciutto & Company, che sono di più facile individuazione.

Tra i cibi più contraffatti, i formaggi-Fonte:Flickr
Gran parte dei prodotti risulta, invece, essere scarsamente riconoscibile, anzi, spesso, accompagnata da segni grafici quali il tricolore, la lupa, il Colosseo volti a distorcere la pietosa realtà dei fatti.
Esulando dai nomi che possono far sorridere, quello dell’Italian sounding è un problema di impatto economico non indifferente. In tal senso, un’arma di difesa in mano al consumatore è certamente l’etichettatura degli alimenti. Un’etichettatura, che sia la più oggettiva possibile, la cui trasparenza può essere garantita solamente da un organo super parties.
È questo lo spirito della nascente tecnologia blockchain, in campo agroalimentare, un protocollo di fiducia decentralizzato che permetterà al consumatore finale di ricostruire il percorso del proprio prodotto, dalle materie prime all’ imballaggio.

Nuovo sistema di tracciabilità alimentare-Fonte:Flickr
Digitalizzare la supply chain è l’unico modo per velocizzare i tempi di reazione a problematiche, che gli alimenti spesso possono causare, soprattutto dopo gli scandali alimentari che hanno colpito il comparto food in questi anni: dal morbo della mucca pazza alla febbre suina, dall’influenza aviaria allo scandalo delle mozzarelle blu.La presenza di un protocollo digitale di tracciabilità avrebbe sicuramente generato un tempestivo intervento, fungendo da rubinetto al flusso di cibo contaminato.
Ciascun passaggio della filiera alimentare, da un componente all’altro, dovrà vedere la registrazione degli alimenti in ingresso, consentendo all’azienda alimentare di risalire alle materie prime di origine, ritirando tempestivamente dal commercio gli eventuali prodotti infetti.
Si tratta quindi, di una blockchain che garantisce la certezza delle informazioni che vengono diffuse, certezza derivante dall’impossibilità di manipolare i dati senza che l’intero sistema se ne avveda. Una blockchain, che si farà garante di un made in Italy usurpato e di normative europee sempre più blande, che non garantiscono le indicazioni geografiche degli alimenti.
Un consiglio è sicuramente prediligere quelle aziende, che seppur non obbligate dal sistema legislativo, decidono di affidarsi a protocolli che svelano ogni incognita sul prodotto finito perché, in questo settore più trasparenza equivale a più sicurezza.
-Leoluca Rigogliuso
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NON È TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA
Siamo ormai abituati a condividere tutta la nostra vita sui Social. Dalle pagine del libro che stiamo studiando alla nostra serata in discoteca con gli amici. Dal latte con i biscotti con cui la mattina facciamo colazione al gelato con panna e granella di pistacchio con cui sgarriamo la dieta. Siamo testimoni, quasi in diretta, della vita delle persone che seguiamo. Con l’arrivo delle stories, soprattutto quelle di Instagram, è diventato tutto ancora più semplice e immediato.
Logo di Instagram - fonte: WIkimedia Commons
Ma focalizziamoci su quello che a noi Italiani più interessa: mangiare. Stare a tavola insieme con amici e parenti è sempre stato un momento molto importante. Si parla, si scherza e si ride. A tavola si concludono affari di lavoro, si offrono cene romantiche che culminano in proposte di matrimonio e ci si ritrova per festeggiare eventi importanti. L’avvento dei social ha aumentato il desiderio di condividere le proprie esperienze positive e per questo motivo è frequente trovare nei posts contenuti che riguardano il cibo.
Indiscusso protagonista di Instagram, il cibo occupa una fetta non indifferente nella percentuale di foto e video che si condividono online. Ogni giorno infatti vengono caricate più di 80 milioni di foto (dati 2016). Gli hashtag come #food, #foodporn e #foodie sono stati usati in, rispettivamente, 277, 161 e 91 milioni di post (dati Giugno 2018). Considerando che hashtag come #beauty (240m) e #love (1.3b) sono molto più generici e quindi hanno maggiore probabilità di essere usati in diversi ambiti (anche in quello culinario), quelli sul cibo se la giocano abbastanza bene.

Sushi misto - fonte: Flickr
Partendo da influencer e fashion blogger, passando da personaggi usciti da programmi televisi e arrivando a noi semplici utenti, tutti condividono ciò che mangiano, bevono, stuzzicano e sorseggiano. È una scelta interessante perché si ha la possibilitá di confrontarsi e magari anche cambiare le proprie abitudini alimentari per stare meglio.
Purtroppo può essere tanto utile quanto stressante. Vedere in continuazione modelle, attrici, influencer dal fisico mozzafiato che addentano pizze fritte, ordinano enormi quantità di sushi e fotografano coppe di gelato che strabordano crea invidia e talvolta un senso di disprezzo verso il proprio corpo, magari non così magro e tonico. Bisogna sempre tenere a mente che ci sono le due facce della medaglia: moltissimi post li mostrano mentre addentano soltanto un micro pezzo di cibo. Rimane quindi il beneficio del dubbio ma, pur essendo personaggi che condividono molto della loro vita sui Social, pubblicano solo ciò che vogliono e che gli conviene maggiormente. C’è chi invece usa Instagram per elargire consigli. Indicazioni su come mantenersi in forma, suggerimenti per perdere peso, raccomandazioni per le neo-mamme. Ognuno condivide la propria esperienza di vita, le proprie scelte alimentari e la conoscenza in merito. Conseguenza di ciò è lo spropositato aumento di sponsorizzazioni di prodotti dimagranti e/o detox. Thè, creme e oli miracolosi, ovviamente carissimi.
Apparire e postare foto sui social è diventato un vero e proprio lavoro. Di conseguenza Influencer e fashion blogger usano Instagram come strumento per pubblicare immagini a scopo commerciale e in particolar modo quelle che creano un coinvolgimento emotivo come il cibo. Mantra da ripetersi ogni volta che si apre Instagram: “non è tutto oro quel che luccica”.
Cecilia Gazzera
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MY FIRST DATE WITH...
La mia prima volta. Ho ricordi un po' confusi. Dopotutto sono passati diversi anni. Quasi otto ormai. Quanti pianti. Quante urla. Quante preghiere. Quante suppliche. Ho dovuto combattere tanto. Ero molto eccitata all'idea. I miei decisamente meno. Ma io mi sentivo pronta.
Giocai le mie carte migliori e la questione andò più o meno così: avevo tredici anni e uno a quell'età non si pone il problema del corretto utilizzo, delle molteplici possibilità o dei rischi che si corrono su un social network. Un ragazzino delle medie vuole solo iscriversi per potersi vantare con gli amici e dire “Sì sono su Facebook”, non pensa a nient’altro, e io ero così.
L’opera di convincimento nei confronti dei miei genitori non fu affatto una passeggiata. Feci leva sul fatto che quell'estate, andando in vacanza studio in Inghilterra, necessitavo di un canale di comunicazione con i miei amici (visto e considerato che “all'epoca” i costi della telefonia mobile erano proibitivi, internet sul cellulare e il roaming in tutta Europa sconosciuti).
Sebbene avessi legalmente l’età adatta, secondo Facebook, la mia iscrizione implicò comunque delle condizioni: la promessa di non accettare richieste di amicizia da sconosciuti e il giuramento di condividere solo contenuti precedentemente supervisionati. Fu una dura battaglia dalla quale però uscii vittoriosa, finalmente avevo ottenuto l’ambito profilo Facebook. Fu così che ebbi, tramite un social network, il mio primo appuntamento con il mondo dell’internet.
Logo di Facebook - fonte: Wikipedia
Durante i primi anni i miei genitori di tanto in tanto facevano capolino dietro la mia testa e mi chiedevano cosa stessi guardando, con chi stessi chattando o pretendevano che mostrassi il mio profilo online. Ora sorrido pensando a quelle richieste ma ricordo chiaramente che in quei momenti erano risatine nervose e sudori freddi perché, seppur non avessi niente da nascondere nè postato foto succinte o scritto post offensivi, temevo comunque i loro commenti e le loro domande.
Per loro era un mondo sconosciuto e pericoloso. Erano spaventati all'idea di lasciare la propria figlia in pasto al web, tra siti online, giochini e social network. Facebook è il Paese dei Balocchi, con centomila Gatto e Volpe pronti ad acchiapparti come il povero Pinocchio. Di conseguenza, in qualsiasi modo mi esponessi, con foto, post o amicizie, loro avevano sempre da ridire. Ovviamente col passare del tempo dimostrai che di me si potevano fidare e a poco a poco diventarono meno invadenti.
Oggigiorno sembra impossibile e difficile da credere che un genitore chieda al proprio figlio adolescente di poter supervisionare il suo profilo Facebook . È usuale che ragazzi e ragazze delle scuole medie utilizzino regolarmente i social e che i genitori siano ormai abituati a ciò, ma appena otto anni fa non era affatto così.
Il motivo è la velocità con cui la tecnologia si rinnova ed entra sempre di più nelle nostre vite. Essa si evolve e si modifica e di conseguenza anche il modo in cui noi utenti ci poniamo nei suoi confronti. Ogni giorno che passa ci abituiamo, ci adattiamo, cambiamo idea e opinioni in merito. Arriveremo ad un limite, o meglio, esiste un limite? Questa è una domanda per ora ancora senza risposta.
Cecilia Gazzera
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Piacere Internet, sono Paolo!
Il corso di Rivoluzione Digitale si apre con lo scopo di analizzare quel che è ormai uno stile di vita dell’uomo, che si ritrova immerso nel più ingente sviluppo tecnologico della sua storia, e che inoltre, da qualche decennio può trovare accesso al mondo intero con un semplice click. La mia partecipazione punta a una più profonda scoperta del funzionamento del web, annessa al riconoscimento consapevole del mio ruolo all’interno di esso.
Una delle prime questioni che durante le lezioni del corso ci sono state poste riguarda il far riemergere dai nostri ricordi quando per la prima volta abbiamo sentito parlare di internet, web, connessione, e, concretamente, la nostra prima esperienza attiva.
E così, fiducioso del fatto che, al fine di poter comprendere meglio la mia posizione attuale e il mio potenziale contributo, un importante punto di partenza potrebbe essere quello di scovare le origini del concetto del digitale nella mia mente, ho fatto un salto temporale verso qualche anno fa, quando mi accingevo a iscrivermi a Windows Live Messenger…

(Logo di Windows Live Messenger - Fonte: Google Immagini)
Seppur sin dalla scuola elementare ero solito fare qualche ricerca scolastica su Encarta o Wikipedia, individuerei il mio primo vero approccio al web proprio tramite quel primordiale social che era tanto di moda intorno al 2009-2012. Il mio utilizzo si limitava allo sfruttare un servizio di messaggistica molto più interattivo e rapido dei banali sms, e dunque da quel poco tempo che i miei genitori mi concedevano cercavo di trarre quanto più svago possibile. Ricordo ancora il mitico suono dei trilli, i giochi, e le prime emoji con tanto di scritte glitterate.
Un episodio divertente che ricordo fu quello in cui mia cugina maggiore saltò dalla sedia quando si accorse di aver inviato un enorme cuore nella chat di un suo amico, solo perchè aveva digitato “ci senTIAMO”.
Per il mio tredicesimo compleanno ottenni il permesso di iscrivermi a Facebook. Quel giorno non sapevo ancora quanto quel gesto avrebbe cambiato la mia vita, aprendomi la vista verso il mondo del terzo millennio, quello in cui non puoi non sapere usare l’internet, perchè difatti non se ne può più fare a meno. Basta pensare che probabilmente non c’è più nessuno che non abbia Whatsapp installato nel proprio cellulare, a seguito della fondamentale funzione comunicativa che quest’app ha conquistato negli ultimi anni.
(Screenshot personale)
L’aspetto “vitale” dell’internet, dato dalla funzione puramente informativa e comunicativa, è accompagnato ovviamente anche da quello di svago: per quanto mi riguarda per esempio, sono diventato una persona molto attiva nei social. Se per Instagram e Telegram mi mantengo sul relax post-studio, su Twitter impegno il mio lato critico, cercando di garantire alla mia home la sola presenza di post semi-seri.
In conclusione, se dovessi ripercorrere tutta la mia esperienza nel web non verrà fuori chissà quale vita da nerd, ma comunque ho descritto un aspetto della mia vita che è ormai quotidiano.
- Paolo Gerbino
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Un incontro scontro
Il mio primo incontro con il computer? Bene, credo non fosse tanto diverso da quello di mio nonno con la televisione .
Quella massa di ferro e fili veniva ad avere la mia stessa età: uno “straniero” coetaneo, con cui parlare e crescere insieme ...Straniero, se si pensa che non ne conoscevo neppure il nome e come “un Abramo” agli albori della creazione, attribuivo nomignoli affidandomi alla mia sconfinata fantasia: ”enorme televisione” ,”macchina comandabile”…. Che lingua parlava? E chi avrebbe fatto da intermediario tra me e quello sconosciuto? L’esperienza, oserei dire.
Ricordo bene, ancora oggi, l’acquisto del primo computer. Andò mio padre, io rimasi a casa; fremevo di averlo tra le mani, avrei potuto fare stampe, Powerpoint senza andare dal tipografo di fiducia.
Ma niente di semplice, considerando che non sapevo neppure da dove si accendesse. Ecco, interi pomeriggi trascorsi a cercare quello stranissimo pulsante mentre i miei genitori erano fuori casa: perché d’altronde si sa”il computer è cosa da grandi”. Non mi aiutava neppure la mia ignoranza in inglese, che mi faceva vedere quel pulsante rosso e quell’ “ON” letto al contrario come un chiarissimo divieto.
Alle prime armi con il computer-Fonte:Pixabay
Ma soprattutto cosa avrei potuto fare non appena averlo acceso? Domanda non troppa complicata se si considera che la sola conoscenza dello START avrebbe potuto riempire le mie vuote serate. Era proprio lì, che stava isolato il gioco più entusiasmante di tutti i tempi: Pinball, la cui grafica dai colori tendenti al rosso-viola diventa un ricordo indelebile.
Ma passiamo al primo grande successo,che mi rese l’appellativo di“informatico” tra i miei compagni della scuola primaria: “la creazione della prima cartella”. Per la prima volta ero io a gestire quello strano apparecchio, dopo anni di asservimento. Avevo iniziato così a rafforzare l’autostima personale. Questo segnava il passaggio allo step successivo, a un mondo parallelo: il web.
Immersione nel web -Fonte: Pixabay
Il mio primo ambiente di lavoro fu Windows 2000. Iniziai così a far uso di Word e Powerpoint. Non conoscevo l’opzione STAMPA quando cominciai a fare le prime ricerche scolastiche e quindi, mi dilettavo a ricopiare copiose pagine, attività non tra le mie preferite.
Motivo per cui, preferivo fra tutti, Encarta, dai contenuti di qualità in gran parte brevi e didascalici: si trattava di un’enciclopedia di livello nettamente inferiore alla Motta, utilizzata da mio zio quando mi dava una mano su ricerche scientifiche molto settoriali, le cui voci correlate su Encarta erano tre misure righe o addirittura nulla.
A parte scopi puramente scolastici, la mia prima esperienza con Internet non fu per niente entusiasmante.
Ricordo bene di aver comprato un testo con cd-room incorporato, per la sola voglia di inserire immediatamente quel dischetto che come un cd musicale doveva aprirmi infiniti orizzonti. Non vedevo il momento di arrivare a casa ed iniziare a giocare. Ma fu una delusione, perchè non appena aver aperto Explorer si leggeva:” impossibile visualizzare la pagina”. Che fregatura ho pensato!!! Bastava attendere il 2005 e l’arrivo di un nuovo modem per iniziare a giocare.
Leoluca Rigogliuso
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La mia prima esperienza su internet
Era ormai un mese che stavo aspettando l’attivazione del collegamento ad internet da parte di Telecom Italia. In uno degli ultimi giorni di Agosto -non ricordo se il 26 o il 28- finalmente sul modem ha iniziato a lampeggiare una spia: internet era arrivato. Ho subito avvertito la mia famiglia e dopo il divieto da parte di mio padre di utilizzare internet tramite il pc, ho preso il mio cellulare, un Nokia X3-02 che era già dotato di collegamento Wi-Fi e grazie al quale ho avuto la mia prima esperienza. Fino a quel momento per me internet non era nient'altro che quel posto dove si potevano trovare risposte a molte domande, utilizzato principalmente a scuola per effettuare delle ricerche.
Dopo essermi connesso, mi sono tuffato nel grande motore di Google, cercando notizie rilevanti il mondo della telefonia mobile. Mondo che avevo scoperto soltanto qualche anno prima grazie a una rivista di mio zio che parlava del primo iPhone e del primo iPod touch...(per chi se lo stesse chiedendo i due dispositivi risalgono al lontano 2007).
Ogni volta che arrivava a casa un nuovo depliant pubblicitario di "Euronics", "Unieuro" o "Trony" mi mettevo a studiare i diversi telefoni cellulare proposti...il giorno che è arrivato internet ho scoperto "telefonino.net, un sito del settore che era per me la Wikipedia degli smartphone.

( Nell'immagine il mio primo smartphone un Nokia X3-02)
Da quel momento, per diversi mesi, leggevo qui le ultime news quasi quotidianamente e ogni volta che usciva un nuovo smartphone, ero tra i primi a vederne le video-anteprime. Questi video, come le recensioni, erano girate da Andrea Galeazzi, per anni icona a livello italiano in ambito di smartphone. Dopo di lui, ho scoperto altre testate giornalistiche quali "hdblog", "Android world" e poi finalmente loro: "TLDtoday MKBHD Austin Evans" e "Linus tech tips", youtuber americani con questa grande passione per il mondo tech. Da questa mia piccola grande scoperta, questi sono diventati il mio Vangelo quotidiano. I loro video, oltre che essere fantastici dal punto di vista del montaggio e della ripresa, sono dei veri e propri "sacri Graal" per il mondo tech. La loro opinione, a differenza di quella da parte delle testate italiane, viene veramente presa in considerazione dalle case produttrici.




(In ordine da sinistra Jonathan Morrison (TLDToday), Marques Brownlee (MKBHD), Austin Evans, Linus Sebastian (Linus Tech Tips); foto prese dai relativi profili twitter. )
Se non fosse stato per la mia passione per il mondo mobile, probabilmente non sarei andato a studiare informatica in un istituto tecnico industriale ed ora ingegneria informatica. Per un breve periodo mi sono anch’io improvvisato tech-youtuber. Quest’esperienza mi ha permesso non solo di entrare in contatto con grandi aziende -prime tra tutte Panasonic e Samsung- ma anche di capire il lavoro che c’è dietro ad un semplice articolo o ad un video...e tutto questo lo devo al giorno in cui ho scoperto quella cosa chiamata Internet...probabilmente è stato il giorno più bello della mia vita. - Mattia Dutto
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