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Ho un brivido.
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diluv-io · 2 months ago
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I segreti che non mi dirai mai
Forse non si dovrebbero fare scoprire nuovi gruppi musicali alla ragazza con cui stai uscendo, oppure si dovrebbe smettere di uscire con persone che frequentano i tuoi stessi posti o che abitano vicino a te. Chissà se arriva mai il momento in una relazione in cui ci si sente davvero sicuri nell’aprirsi a chi si ha davanti.
Io so solo che due anni dopo ti ritrovo esattamente dove so che potrei ritrovarti, dove ti hanno portata le note di quella canzone che ti ho fatto ascoltare una sera a casa tua, forse solo per coprire il silenzio del mio cuore che non batteva forte come batteva il tuo.
So anche che ogni volta rivederti mi fa male perché sulla carta sembrava tutto così perfetto e per una volta lo sapevo, ma nell’euforia del momento ho pensato che non mi bastasse. Ora ti vedo felice con un altro ragazzo, siete una bella coppia, ma sarei potuto essere io a stringerti la mano come abbiamo fatto quella volta mentre passeggiavamo e a Milano d’estate non c’era nessuno tranne noi e il cane. Sicuramente è giusto così ma ogni tanto ci ripenso.
Mi ricordo il tuo corpo bianco sulle lenzuola sotto la luce della luna, eri sempre così silenziosa però mi stringevi forte, soprattutto quella notte quando ti sei aggrappata a me per non farmi andare via. Io ero in imbarazzo, mi sono spaventato, ma forse avrei dovuto solamente stringerti di più e stare lì con te.
Ricordo anche i tuoi passi l’ultima volta che ci siamo visti, sembrava che in loro ci fosse esitazione, un ripensamento, ma come sempre non avevo capito nulla. A differenza mia tu avevi le idee chiare e solo un filo più di timidezza. Anche quella volta mi sono spaventato, forse avevo ragione, ma ripenso ancora a quello che mi hai detto, a come sarebbe potuta andare, ai segreti che volevi raccontarmi e al fatto che probabilmente non me li racconterai mai.
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diluv-io · 6 months ago
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Vorrei, ti cerco
Vorrei parcheggiare la Vespa davanti al portone di casa tua, dove ti ho accompagnata solo una volta, per recuperarla di notte quando in giro non c’è nessuno oppure in qualsiasi momento del pomeriggio successivo. Vorrei scendere a prendere la colazione e tornare con un fiore. Vorrei incontrarti per caso quando vado a spedire un pacco o mentre sto facendo la spesa.
Ti cerco quando entro in qualsiasi bar, in qualsiasi cinema e in qualsiasi negozio. Ti cerco nelle canzoni che piacciono a entrambi. Ti cerco affacciato al balcone sperando tu possa passare sotto casa. Ti cerco anche quando so che non ci sei.
Vorrei farmela passare ma ti cerco ancora.
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diluv-io · 1 year ago
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Converse bianche, Converse blu
Dieci anni fa ricordo di essere stato contento per aver finalmente comprato un paio di Converse bianche, da aggiungere a quelle rosse e blu che avevo. Dieci anni fa c’era già Instagram e ricordo di aver postato una foto con le tre paia di scarpe messe in fila e di aver messo come didascalia la bandiera francese. Dieci anni fa, in questo periodo, stavo studiando per prendere la patente e per l’ultimo anno di scuola.
Dieci anni fa mi sono innamorato di una ragazza.
Dieci anni dopo sono tornato a casa dal cinema, dove sono andato a rivedere un film che avevo visto diverso tempo fa e, cercando di individuare il momento preciso della prima visione, sono caduto in un vortice di nostalgia che mi ha portato a scorrere vecchie conversazioni Whatsapp con persone che non fanno più parte della mia vita. Tra loro ho ritrovato la ragazza di dieci anni fa. Quella conversazione non contiene che una manciata di messaggi, così come la chat di Instagram, con foto e messaggi precedenti caduti nell’oblio forzato dal passaggio del tempo. Tra i miei possedimenti più preziosi c’è, però, l’hard disk dove tengo il backup di tutta la mia vita digitale da che ho memoria.
Dieci anni dopo ho realizzato che quella ragazza ricambiava davvero il mio amore e ho ripensato a quante paranoie mi facessi ai tempi pensando il contrario.
Aveva i capelli biondi, un po’ mossi sulle punte, gli occhi castani dolci e lucidi. Metteva sempre l’eyeliner ma stava molto meglio senza. Aveva il naso alla francese e la pelle chiara e liscia. Vederla dava la sensazione di sentire il profumo di un ciliegio appena fiorito. Si vestiva in maniera semplice ed elegante, mai volgare. Era appassionata di libri e cultura francese, per questo e per il suo aspetto la chiamavo la parigina. Aveva un anno più di me, un fratello, un cane e una macchina. Prendeva lo stesso treno che, senza saperlo, avrei dovuto prendere io per mesi ogni giorno, due anni dopo. Frequentava la stessa università che, senza saperlo, avrei frequentato anche io, due anni dopo.
Aveva le Converse blu.
Ci siamo conosciuti una qualsiasi sera d’inverno. Era buio e i miei genitori mi avevano accompagnato a casa di uno dei miei migliori amici dell’epoca. Quella sera io, il mio amico e i suoi genitori, una nostra amica in comune e la parigina abbiamo cenato e guardato Titanic, mentre io mi innamoravo. A quei tempi leggevo Fitzgerald e sono sicuro di avergliene parlato, prima che con una scusa ci scambiassimo il numero di telefono.
Dieci anni dopo ho ricordato, o forse ho scoperto, che per mesi io e la parigina ci siamo mandati ogni giorno uno o più video in cui ci raccontavamo la nostra giornata e ci scoprivamo. Dieci anni dopo ho passato due ore a guardare foto e video di una ragazza di cui ora so poco e nulla.
Non ho avuto il coraggio di riguardare i video che ho mandato io, per vergogna principalmente, per paura di sentire un tono di voce diverso, per paura di vedere allo specchio, ora, degli occhi diversi.
Ho rivisto tutti i suoi, però. In quei video lei è in camera sua o in camera di sua nonna, in bagno mentre si asciuga i capelli lunghissimi, in metropolitana a Milano, sul treno o in stazione a Lambrate, nel cortile dell’università, in macchina. Nei video in macchina si sente anche la radio in sottofondo, che trasmette We can’t stop, Stolen dance e Summer. Nel più lungo lei parla di tante cose, poi si ferma, imbarazzata, facendo finta di non sapere cosa voler dire, poi appoggia il telefono da qualche parte e con le dita mi fa il simbolo del cuore. In alcuni sono presenti delle sue amiche o compagne di scuola, che la inquadrano mentre mi parla. In un altro è nella biblioteca dell’università, un po’ guardinga per non farsi vedere da nessuno, non può né parlare né fare rumore, allora inquadra il computer mentre scrive “ti voglio bene” nella barra di ricerca di Google. In un altro ancora guarda fisso in camera con gli occhi dolci e mi dice solo “sei proprio uno scemo”. Dieci anni dopo ho capito cosa volesse dire.
Abitavamo a un’ora di macchina di distanza. A quei tempi quella distanza sembrava incolmabile, ma non è questo il vero motivo per cui quell’amore è rimasto a mezz’aria.
Io e la ragazza di dieci anni fa non siamo mai potuti stare davvero insieme perché provenivamo entrambi da un ambiente che non concepiva l’amore più puro. Io e la ragazza di dieci anni fa ci siamo amati silenziosamente, quasi segretamente e litigando coi nostri genitori per questo. Io e la ragazza di dieci anni fa siamo stati costretti a smettere di sentirci per mesi, accumulando nel frattempo materiale da mandarci non appena fosse stato possibile riprendere i contatti. Io e la ragazza di dieci anni fa abbiamo solo un paio di foto insieme, fatte di nascosto durante una serata in un pub, in cui abbiamo fatto muovere due compagnie diverse da due città diverse solo per vederci e non rivederci mai più.
Dieci anni dopo ho amato di più e sono stato amato di più, ho sofferto come allora e più di allora, come sicuramente avrà fatto lei. Dieci anni dopo ho vissuto al massimo e sono stato miserabile, ma sempre libero, come spero anche lei.
Non siamo mai stati ufficialmente insieme, ma ci siamo lasciati, con una videochiamata. Credo fosse maggio, faceva già caldo ed ero nel parcheggio della scuola, aspettando che mio padre mi venisse a prendere, era sabato. Probabilmente portavo una camicia che ho ancora a casa dei miei.
Avevo le Converse bianche.
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diluv-io · 2 years ago
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Quasi
Destinati a fare del male e farci fare del male, ad aggrapparci al nulla sperando sia tutto, a illudere ed essere illusi, ad ascoltare a ripetizione una canzone sperando che quelle note possano arrivare così telepaticamente chissà dove, a regredire all'adolescenza proprio quando pensavamo di essere adulti, a criticare (prima) e invidiare (poi) la (supposta) banalità degli altri, ad aspettare ore e giorni sapendo già tutto, a prendere treni e aerei solo per una passeggiata e un bacio che non arriveranno mai.
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diluv-io · 2 years ago
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Nuvole, parte 2
Vorrei scappare dalla macchina soffocante e volare tra le nuvole come Marcello, senza mai cadere giù.
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diluv-io · 2 years ago
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Nuvole
Ti ricordi le domeniche nella vecchia casa? Quelle calde ma nuvolose, le finestre aperte con i bambini che giocano nel cortile, la musica e le sigarette sempre accese, il tavolo nero costantemente impolverato, la presuntuosa ingenuità della felicità.
Ho vissuto altre domeniche ma non ho più trovato gli stessi rumori, solo la notte solleva la polvere dalla memoria come un vento caldo e leggero.
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diluv-io · 3 years ago
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Vivere ancora
Proprio quando avevo fatto i conti con quello che è stato hai bussato di nuovo alla porta della mia vita. Io l’ho lasciata socchiusa, ma tu hai infilato un piedino e lentamente sei rientrata.
Per i primi giorni ho pensato di vivere un sogno, come se quel treno non ci avesse portati a Camogli ma in un altro mondo dove non era successo nulla.
Poi ho capito e ho iniziato, come dice la canzone che ti ho mandato in quel periodo, a vivere ancora.
E l’unica cosa che so è che vorrei continuare a vivere così e come sempre chiedo solo di poterti amare, ma sembra che nella mia vita e nella tua alla felicità ci si possa solamente avvicinare e sfiorarla vedendola ad un passo senza raggiungerla mai.
Spero che un giorno riusciremo a prendere le misure del nostro amore. Basterebbe così poco, eppure quel poco forse non è così poco.
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diluv-io · 3 years ago
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Rumore e silenzio
Da quando non stiamo più insieme sto uscendo quasi tutte le sere, è una cosa che non facevo da anni e che forse non ho mai fatto con questa intensità e queste possibilità.
Solitamente il lunedì vado al cinema, ho fatto l’abbonamento e l’ho già rinnovato. Il martedì, il mercoledì e il giovedì cerco qualche evento tranquillo, come una presentazione di libri, oppure sento qualche amico e ci vediamo per bere o mangiare qualcosa in giro.
All’inizio della settimana controllo quali serate ci siano il venerdì e il sabato, ed in base alla tipologia di luogo o di musica identifico chi potrebbe farmi compagnia e andiamo insieme.
Ho ricominciato ad andare ai concerti e mi sto divertendo anche ad esplorare maggiormente il mondo del clubbing. Mi piace entrare in posti nuovi e vedere i tipi umani che li frequentano: di solito persone che potrebbero sembrare all’apparenza eccessive nel vestiario o negli atteggiamenti, ma in cui in realtà la cultura comune anestetizza tutto lasciando una sensazione di serenità e rispetto condiviso. Mi piace vedere i ragazzi che ballano con gli occhiali da sole e la felpa legata in vita e le ragazze che si muovono con gli occhi chiusi come se fossero sospese nell’aria. Mi piace fare tardi e uscire quando è già giorno, con gli uccellini che cantano e i bar che aprono timidamente le serrande.
Mi piace più di tutto quel momento in cui il cervello smette di lavorare e finalmente riesco ad essere leggero e concentrarmi solamente sul presente mentre i rumori mi riempiono e non mi sembra stare occupando un lembo minuscolo del pavimento appiccicoso di un capannone davanti al quale domani o tra una settimana magari passerò senza nemmeno ricordarmi di esserci stato.
Ricerco quel momento anche perché quando il rumore finisce e anche le orecchie hanno smesso di fischiare e in casa non c’è più nessuno a volte il silenzio mi fa pensare a te.
E se è già tardi e nemmeno sul balcone si sentono più i rumori della strada in questa città che non dovrebbe dormire mai e invece dorme eccome allora sento nella pancia il magone che sale e mi rendo conto che l’unico rumore che vorrei davvero sentire è il suono dolce di te che mi dici
ciao
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diluv-io · 3 years ago
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Partire ed arrivare
Sono passati altri giorni e ho provato ad imparare come fare andare avanti le gambe, cercando di coprire coi miei passi alcuni dei percorsi che avevamo scavato insieme.
Ho visto film di cui non ti avevo mai parlato, ho iniziato e finito libri di cui non ti annoierò mai raccontandoti la trama, ho baciato labbra nuove, ho riso e ho ballato mentre mi sforzavo di dire sì e di farmi trascinare un po’ di più.
Mentirei, però, se non ammettessi che ho anche pianto ascoltando una canzone che non avevamo mai ascoltato insieme e che mi ha fatto comunque pensare a te. Oppure che, stupidamente, il profumo di una tisana bevuta a casa dei miei mi ha ricordato quello della casa al mare dove siamo stati quest’estate, sembra ieri ed eri così bella con i tuoi vestitini mentre camminavi tra le case bianche.
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In occasione di un nuovo arrivo e di una nuova partenza riporto qualcosa che avevo scritto circa un mese fa, quando per la prima volta ripercorrevo un tragitto conosciuto in cui mi avevi sempre accompagnato a distanza:
Sto tornando a casa dei miei per la prima volta da quando non ci sei più e mi sembra così strano non informarti della mia partenza e del mio arrivo.
Forse perché la cosa che ho amato di più nei viaggi da solo è sempre stata la sensazione di avere qualcuno a cui fare sapere che sei partito o arrivato.
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diluv-io · 3 years ago
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Brutto sogno
Il tempo fa il suo mestiere, le giornate si accumulano diventando settimane, fulminee e contemporaneamente infinite.
Continuo comunque, a volte, a sperare che non sia altro che un brutto sogno, da cui risvegliarmi per ritrovarti qui o per ricevere un tuo messaggio in cui mi annunci a che ora arriverai col tuo treno.
Uno di quei brutti sogni dai quali mi riprendevo aggrappandomi a te.
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diluv-io · 4 years ago
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Lontano, lontano
E così, come sei arrivata sei volata via, in una giornata di sole troppo bella per star male. Infatti non mi sembra nemmeno di stare male, ora, forse perché queste due tremende settimane mi hanno preparato a quello che sarebbe potuto succedere, forse perché in fondo sento che sia stato giusto così per entrambi. Quel che mi dispiace di più, paradossalmente, è che l’unica persona che davvero vorrei mi aiutasse ad affrontare questo momento sei proprio tu, che come nessuno hai saputo conoscermi e comprendermi. Invece, almeno per un po’, sarò solo. E solo dovrò, con calma, mettere a posto questa camera, buttare via i fazzoletti dove abbiamo asciugato le nostre lacrime più tristi, sistemare in libreria il libro che ti avevo prestato e che mi hai riportato, trovare un posto per la spazzola ancora piena dei tuoi capelli che ho voluto tenere con me, cambiare lo sfondo del telefono con la tua foto, trovare una nuova password del computer per sostituire quella che mi hai suggerito tu, lavare i vestiti che usavi per dormire qui, non inviarti più le foto e i video di cani e mici che si abbracciano e si mordono, abituarmi ad non aspettare più di vederti comparire il venerdì sera con i tuoi capelli e il tuo zaino e tu così piccolina e dolce, non accompagnarti a Lambrate la domenica mattina dopo colazione e imparare a non piangere più quando penso a tutto questo e a tutto quello che siamo stati e a tutto quello che non possono dire una penna su un foglio o delle parole su uno schermo e che invece tu dicevi così bene senza bisogno di parlare. Solo noi sappiamo quanto siano stati i cinque anni più belli della nostra vita, e anche la loro conclusione è stata bella, se mai può essere bella la conclusione di un amore così. Mi hai spiegato cosa provi e mi hai fatto capire bene la necessità che senti dentro di dovere camminare da sola, ora. Forse è meglio così, anche se io avrei voluto accompagnarti ancora per qualche passo, mentre ora potrò soltanto guardarti da lontano, proprio come ti ho vista dal balcone andare via. Mentre scendevi con l’ascensore, però, ti ho anche vista piangere più forte, proprio quando pensavi che nessuno potesse più vederti, e per questo continuo a pensare che non ce ne fosse bisogno e che fra un po’ ci volteremo indietro e ci chiederemo come mai sia dovuta andare così.
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diluv-io · 4 years ago
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2021
Le vibrazioni della vita hanno forma sinusoidale.
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diluv-io · 5 years ago
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Giorno 310: 27/12/2020, Domenica
Sono passati dieci mesi dalla data dell’ultima traccia scritta di questa sorta di diario pandemico precocemente interrotto. Avrei voluto scrivere qualcosa in altre occasioni e ricordo nitidamente di avere cercato di farlo, dopo un mese dal 21 Febbraio, o dopo due, o dopo sei. In tutte queste occasioni non ho avuto la forza o la voglia di confrontarmi né con quello che stava accadendo né con me stesso né con i pensieri che stavano attraversando la mia mente, sballottati da una parte all’altra come una barchetta di carta tra le onde burrascose delle infinite informazioni che scrosciavano su di me. Forse, come ogni volta, ho pensato che quello che avrei potuto scrivere non sarebbe stato nulla di rilevante e ho lasciato che altri lo facessero per me, oppure che la mia mente metabolizzasse quelle idee masticate e il tempo me le facesse dimenticare. Il tempo è passato, dieci mesi appunto, ma le sensazioni rimangono le medesime e l’unico motivo che mi porta a scrivere ora è che ora ho avuto per la prima volta l’occasione di rileggere le poche righe di questo diario e di rivivere le mille sensazioni di quei giorni che sembrano distanti ere geologiche nel tempo.
Il tempo, sì, perché di sicuro qualcosa è cambiato nel misurarlo o nel percepirlo, in me e in tante persone che conosco. Penso fosse Settembre quando ho sentito per la prima volta qualcuno utilizzare l’espressione “l’anno scorso” per riferirsi al periodo da Febbraio a Maggio, quello che all’inizio non aveva un nome o ne aveva tanti diversi, poi è diventato “il lockdown”, poi ancora “il primo lockdown”, con la solita metafora bellica, proprio come la Grande Guerra, conquistatasi il suo primato di orrore solo per essere stata superata dall’orrore una seconda volta. Molto probabilmente chi mi parlava di fatti de “l’anno scorso” era ben conscio di quanto quel periodo, in realtà, fosse lontano solo pochi mesi, ma la quantità di situazioni e sensazioni era probabilmente troppo grande per essere infilata in quello spazio così ristretto. Per quanto personalmente non abbia mai usato quell’espressione, anche oggi il calcolo del tempo mi risulta complicato, perché alcune settimane sembrano durare mesi, altre volano e guardando indietro sembrano passati a volte anni, a volte pochi secondi. Lo spazio, invece, si è decisamente ristretto alle quattro mura di una camera, che sia la mia stanza di Milano ormai abbandonata e consegnata al ricordo, o la mia vecchia camera a casa dei miei genitori dove sono ora.
Uno dei momenti che ricordo più chiaramente e che continua a tornarmi alla mente risale al 23 Febbraio. Sono in fila alla cassa nello stretto Carrefour di Viale Abruzzi e cerco invano di coprirmi la bocca con lo scaldacollo che ho rubato a mio padre e che di solito utilizzo solo per andare a sciare. So che questo gesto è inutile ma è la prima volta che mi si presenta quella strana sensazione di pericolo che ora pervade tanti entrando in un luogo aperto al pubblico. Non ho la mascherina perché non sono riuscito a procurarmene una, perché nessuna farmacia si aspettava che centinaia di persone entrassero di colpo per procurarsi delle mascherine e io non ho fatto in tempo ad essere tra loro, così come la maggior parte di coloro che sono in fila insieme a me, a parte un paio di asiatici. È domenica sera, come oggi, e nel supermercato ci sono le tipiche persone che possono ritrovarsi a fare la spesa la domenica sera: giovani professionisti, mamme di corsa, ragazzi universitari come me. C’è qualcosa di strano, però, c’è più gente, ci sono le mascherine, alcuni scaffali sono vuoti e qualcuno non ce la fa a tenersi tutto dentro e vuole esprimere ad alta voce quello che pensa sulla situazione, come succede a volte a Milano, ad esempio sul tram quando c’è qualche problema sulla linea o un ritardo e per un attimo gli estranei con cui stai condividendo il tragitto in silenzio da decine di minuti improvvisamente cominciano a parlare tra di loro e parlare con te, fino a quando tutto finisce e ognuno torna al proprio silenzio. Nel supermercato il problema c’è, qualcuno lo esprime al telefono e parla di “psicosi collettiva”, di gente pazza che ha fatto le scorte, altri invece parlano da soli ma ad alta voce, per sentire i propri pensieri e farli sentire agli altri, per farsi vedere, per fingere, e ricordo benissimo la ragazza che guarda la fila e guarda i pochi con la mascherina e guarda gli occhi spaventati e sorride ironicamente, cercando complicità, cercando qualcuno che come lei pensi che sono diventati tutti scemi, che le confermi che la domenica sera non c’è mai una fila così e che fino a due giorni fa chi cazzo se lo sognava di entrare nel Carrefour di Viale Abruzzi con una maschera in faccia…
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Sembra ieri ma sono passati dieci mesi e ora anche al Carrefour di Viale Abruzzi non si può entrare senza una maschera in faccia. Io non ci vado più, perché in questi mesi mi sono laureato e mi sono iscritto di nuovo all’università, ho cercato un lavoro e l’ho trovato, ma sia l’università che il lavoro si fanno dal proprio computer, non si va più né a lezione né in ufficio e io sono tornato dai miei per risparmiare e per non restare chiuso in quella stanza ma stare chiuso in questa camera e a Milano non so quando tornerò, non so quando rivedrò la mia fidanzata, non so quando potrò abbracciare davvero i miei nonni, non so quando potrò vedere in faccia i miei colleghi e rivedere i miei amici, non so dove andrò perché sono dieci mesi che tutto vive nell’incertezza e nel dubbio, nella frustrazione e nell’impotenza e io vorrei solo sapere cosa fare domani.
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diluv-io · 6 years ago
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Giorno 7: 27/02/2020, giovedì
In solo 7 giorni, l’altalenarsi di rassicurazioni e allarmi è riuscito a mandare praticamente tutto in vacca. Siamo partiti dalla minimizzazione, siamo passati all’apprensione, e ora siamo approdati al fatalismo. Da qui in poi, a meno di improvvisi miglioramenti o peggioramenti, le opinioni continueranno a dividersi sempre più e l’unità di intenti sarà sempre più complicata da raggiungere.
Osservazioni sparse:
il potere di orientamento delle opinioni dei mezzi di informazione è totale e pervasivo. I media forniscono diverse versioni di un fatto: indipendentemente dal loro valore queste attecchiscono su un determinato gruppo di riferimento e definiscono le scelte presenti e future degli individui che ne fanno parte. Il difficile percorso che porta ad un’indipendenza culturale, comunque mai completa, rende tutti, in misura più o meno grave, riprogrammabili a seconda del clima del momento. Questo processo, che sembrerebbe richiedere molto tempo di elaborazione, invece, è continuo: i recentissimi eventi dimostrano quanto sia facile diffondere e cambiare completamente opinioni nel giro di poche ore, indipendentemente da età, titolo di studio, esperienza. Tutti sono vulnerabili;
siamo tremendamente abitudinari e, all’insorgere di qualsiasi tipo di ostacolo, pretendiamo con vigore il ritorno, visto in maniera miracolosa, della cosiddetta normalità, come se ci fosse dovuto. Poniamo barriere al cambiamento fino a quando non ne siamo costretti, utilizziamo l’ironia e qualsiasi altro mezzo per fare finta di niente il più possibile, neghiamo l’evidenza fino alla fine: tutto per mantenere inalterate le certezze che abbiamo costruito;
lo stile di vita della società dei consumi ha devastato qualsiasi tipo di spirito di adattamento e i valori collettivi più spontanei, esaltando invece l’individualismo più totale, vuoto e uniformato possibile. Ricollegandosi al discorso sull’abitudine, con questo modo di vivere è estremamente complicato rinunciare alle comodità e immaginare scenari alternativi a quelli imposti e consolidati dal tempo. Osservo che, dopo soli 2 o 3 giorni di minimo cambiamento della routine quotidiana, alcuni sembrano già non poter più resistere, e pare che a mancare non siano tanto attività o oggetti necessari, quanto le più risibili piccolezze che circondano la nostra vita: aperitivi, palestra, eventi, ecc;
chi non coltiva una propria dimensione intellettuale privata ha difficoltà ancora più serie nell’affrontare situazioni simili e nello stare da solo.
Ora, mi rendo conto che la situazione in questo preciso momento non possa essere definita tragica, e spero vivamente che non lo diventi mai. Ma se lo diventasse tra 10 giorni, o tra 6 mesi, o per tutte altre cause in un futuro prossimo o remoto?
Anche io, come tutti, mi auguro che a breve queste considerazioni possano tornare nel luogo cui appartengono, cioè nella mente di filosofi, sognatori e scrittori di fantascienza, così che noi, soldati semplici del pensiero, potremo continuare ad occuparci con serenità delle sconfitte della Juve in Europa e dei fiori da regalare a chi amiamo.
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diluv-io · 6 years ago
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Giorno 6: 26/02/2020, mercoledì
Oggi sarebbe dovuto essere il giorno della mia laurea. A quest’ora sarei probabilmente stato pronto per uscire di casa, andare in università, accogliere amici e parenti e ripassare la mia presentazione. Peccato, sarebbe stata anche una bella giornata di sole.
Nel frattempo politici, medici e giornali stanno comprendendo di aver fatto passare l’Italia come l’appestato d’Europa e stanno abbassando i toni: sempre più confusione. Meno male che c’è Proust a tirarci su il morale:
“...un medico di famiglia sa rendere molti piccoli servigi, come, per esempio, prescrivere che bisogna evitare ogni dispiacere.” 
“Non potendo guarire, la medicina si preoccupa di cambiare il senso dei verbi e dei pronomi.”
C’è comunque un lavoro che non conosce crisi di alcun genere: quello dell’influencer. Questi personaggi continuano imperterriti a fare le sponsorizzazioni e posare mezzi nudi in giro per le città. Che il vaccino per il virus sia arrivato a loro in anteprima con la nuova scatola di FitVia? D’altronde, lo spettacolo deve andare avanti. Speriamo, invece, che non vada avanti la Juve questa sera: di questi tempi spostarsi troppo in giro per l’Europa non è consigliabile, soprattutto per chi qualche problema in passato lo ha avuto.
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diluv-io · 6 years ago
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Giorno 5: 25/02/2020, martedì
Primo giorno a casa, per ora tutto tranquillo. Ieri ho fatto un giro in bici, partendo da casa fino in Duomo: il traffico era dimezzato, così come la quantità di persone in centro. Alcuni, in particolare gli asiatici, erano in giro con la mascherina. Sono passato anche dall’Esselunga, dove i commessi si erano adoperati per mascherare la mancanza di alcuni prodotti. Il supermercato era comunque fornito. In generale, nonostante alcuni avessero la mascherina o indossassero i guanti, non ho visto scene di panico estremo.
Sono stato troppo ottimista, invece, riguardo ai commenti sui social. Da ieri si moltiplicano messaggi di minimizzazione del problema, con le solite frasi come “è solo un’influenza”, “ammazza solo i vecchi” o “guarda che scemi questi con le mascherine”. Ora, senza entrare nel merito delle affermazioni, non sarebbe possibile vivere anche questi momenti senza doversi sentire in obbligo di ostentare la propria superiorità? Ed entrando nel merito, 1) sembra evidente che non sia proprio uguale ad un’influenza, perlomeno per la diffusione e per la mancanza di cure conosciute, 2) non avete genitori, nonni o bisnonni?, 3) perché prendersela con chi sta prendendo precauzioni invece di cooperare o almeno tacere?
Grazie a questi personaggi e all’atteggiamento irresponsabile di media e politici, che si occupano principalmente di polarizzare le opinioni e darsi la colpa a vicenda, si moltiplica la confusione.
Qualche osservazione: nessuno ha pensato che chiudendo le università i fuorisede si sarebbero riversati nei propri paesi natale senza alcun tipo di controllo? perché chiudere alcuni esercizi commerciali e lasciare le decisioni relative all’apertura degli uffici alle aziende?
Tornando alla vita reale, i bambini fuori sono scatenati e giocano a calcio, prima ad un gol si è sentito l’urlo “godo come un riccio”. Stasera riparte la Champions, io ho comprato libri e Settimana Enigmistica.
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diluv-io · 6 years ago
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Giorno 4: 24/02/2020, lunedì
Sono passati tre giorni dal venerdì che ha cambiato la prospettiva del prossimo futuro. Come spesso accade nella mia vita, era il 21.
Ho iniziato a preoccuparmi vedendo la vicinanza del pericolo. Conoscendo la posizione di Codogno e sapendo che molti di quelle zone sono pendolari, mi sono reso conto poco dopo che in pochissimo tempo il virus sarebbe stato rilevato anche a Milano. Partendo da questa ipotesi mi sono, innanzitutto, messo l’anima in pace per la mia laurea, che si sarebbe dovuta tenere il 26 e non ci sarebbe stata. Sabato, infatti, ne ho avuto la conferma ufficiale. Poi ho pensato potesse essere utile andare a fare la spesa il prima possibile. Per ora, anche questa mossa si sta rivelando intelligente. In questo momento ho l’occorrente per poter mangiare 10 giorni, poco più della mia spesa abituale, e sono riuscito ad arrivare al supermercato prima che tutti avessero la stessa idea.
Oggi farò le ultime commissioni. In previsione della laurea, avevo portato il mio orologio a fare riparare e una camicia in tintoria. Dopo averli ritirati andrò a comprare biscotti, sapone e qualche altro bene di prima necessità. Infine, i libri.
Mi sto organizzando in questa maniera con l’obiettivo di essere pronto ad un eventuale blocco, o restrizione, della circolazione. In ogni caso, la maggior parte dei posti dove sarei potuto andare è già chiusa: università, musei, mostre, locali. Le mie preoccupazioni sono più legate alle misure di quarantena che al virus stesso. La malattia mi inquieta principalmente in relazione alle persone che amo: la mia fidanzata, i miei genitori, i miei nonni, i miei amici. Sono, comunque, convinto che la situazione non sia da sottovalutare, e le misure prese lo sottolineano.
Come prevedibile, le circostanze stanno evidenziando comportamenti contrastanti nelle persone che mi circondano. Il sistema mediatico e le informazioni polarizzanti fornite da chi dovrebbe avere le idee chiare non aiutano. Ieri è partito l’assalto ai supermercati, sintomo di grande preoccupazione. Molti, invece, continuano a minimizzare il problema, parlano di reazioni esagerate e sembrano preoccuparsi esclusivamente degli eventi annullati o delle occasioni perse. Ipotizzo che le misure adottate dal governo e dalle amministrazioni locali potrebbero fare cambiare idea a questi ultimi in breve tempo. La mia coinquilina, che sabato parlava di "allarmismo”, ha iniziato a preoccuparsi vedendo cadere alcune sue certezze, come la spesa su Amazon, e oggi lavora da casa. Anche sui social network noto progressivamente meno battute e più silenzio. 
In questi casi mi sembra che la vera intelligenza sia in chi, con il materiale che ha a disposizione, riesce a leggere le situazioni e ad agire di conseguenza, possibilmente senza fare troppo casino. Panico e menefreghismo, invece, sono ostacoli a chi sta veramente cercando di risolvere il problema. Entrambe le reazioni, comunque, non sono da demonizzare: di fronte a circostanze così impreviste siamo tutti uguali e tutti umani. Faremmo qualsiasi cosa per porre una barriera tra noi e quello che non possiamo nemmeno immaginare, o tra noi e quello che immaginiamo con grande chiarezza, ma non vogliamo accettare.
È lunedì, c’è il sole, i bambini non vanno a scuola e giocano nel cortile. Oggi vado a vedere il Duomo, spero di rivederlo molto presto.
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