Don't wanna be here? Send us removal request.
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ho smesso di parlarle quasi un anno fa e mi manca ancora.
Ci sono dei rari momenti in cui percepisco il fantasma della sua presenza negli angoli di esistenza, in quelle pause in cui osservo cosa ho davanti e mi chiedo come lo illustrerei a qualcuno che non può vederlo, come lo spiegherei a lei.
Mi manca quando scopro un nuovo motivo per cui la vita è bella e non posso dirglielo. Quando nasce qualcosa di nuovo che mi ricorda che la vita è piena di passione, che ho 17 anni e sono viva e non sono solo un guscio vuoto, ma lei non può saperlo.
Mi manca quando mi capita sotto gli occhi un nostro stralcio di conversazione, una qualsiasi testimonianza del fatto che non è stato tutto uno strano sogno e che io e lei eravamo legate da qualcosa di innegabile e tangibile, mi manca perché realizzo che nessun altro è mai stato come lei e nessun altro lo sarà mai, ed è una benedizione e una disgrazia.
Mi manca tanto amare, ma non mi manca la sofferenza.
Ripenso con orrore ai mesi di angoscia, immersa fino ai capelli in una malinconia grigia e salmastra che non mi faceva respirare, ripenso a come la mia immagine di me era uno scarabocchio disastrato e disordinato e penso che non posso più tollerare di stare così.
Cerco di convincermi che la ragazza che rivoglio indietro non esiste più da anni, la mia migliore amica si è persa nel buio in cui era immersa e non è colpa mia se non ho potuto salvarla.
Cerco di convincermi che non l'ho lasciata sola, che non è stata una scelta egoista. Ma egoista lo sono sul serio, perché spero anche di mancarle più di quanto lei manca a me.
Non la rivoglio nella mia vita. Vorrei solo parlarle ogni tanto.
E faccio l'opposto dei ladri, lascio tracce di me tutto intorno, nel caso lei sia a portata d'orecchio. Condivido più di quello che vorrei condividere, perché lei guarda i miei stati e quindi sa qualcosa di me. Io non so niente di lei.
Solo che mi manca ancora.
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Penso che il mio scrivere abbia un qualcosa di estremamente narcisistico.
L'essere consapevole della propria capacità di creare, di dare origine tramite semplici lettere accuratamente combinate a un qualcosa di piacevole, armonioso, complesso e unico.
Il pensare di essere diverso da chiunque altro perché nessun altro avrebbe scritto esattamente quello che hai scritto tu, scrivendo le stesse parole nello stesso ordine volendo esprimere la stessa cosa.
La sensazione di non essere semplicemente un futile archivio di nozioni e buonsenso, la certezza - seppur alquanto flebile - di saper effettivamente fare qualcosa meglio degli altri e di avere effettivamente qualcosa da condividere.
Riuscire a convincermi che il motivo di tanto chiasso è il fatto che ho effettivamente qualcosa da dire.
E rileggere è nutrimento per l'ego, mi fa sentire piena, soddisfatta, realizzata.
Lasciare le storie a metà, d'altra parte, mi fa sentire tremendamente vuota e spezzata. Come se vivessi in prima persona il dolore di quei personaggi senza capo né coda, senza un destino, senza un finale, bloccati in eterno in quel momento in cui la mia mente si è dimostrata troppo pigra e la mia determinazione troppo sottile per non cedere alla noia.
Trovo poi sconcertante notare che mi riesce scrivere solo dei miei sentimenti. �� già qualcosa avere qualcosa dentro, mi dico, non essere vuota e piatta come tanti miei coetanei, avere qualcosa di intimo, non dettato da influenze esterne.
Ma a chi altro potrebbe mai interessare?
Chi altro potrebbe trovare conforto o intrattenimento in queste parole, se non una me più vecchia di qualche giorno, mese o anno che sia?
Le autobiografie sono così boriose, presuntuose.
Le storie, d'altra parte...
Essere in grado di originare nella propria mentre luoghi, spazi e persone, orchestrare eventi e intrecci come un coreografo guida i propri ballerini in complicati ma accurati passi di danza, arrivare fino in fondo, dimostrarsi capace di chiudere il cerchio e finire ciò che si è iniziato.
Deve essere straordinariamente appagante.
Suppongo sia già un inizio il fatto che sto scrivendo.
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È tornata la storia su wattpad e sono tornata anche io.
Tre anni e tanti traumi dopo posso dire che ho trovato un po' di peace of mind ma mi è costata la capacità di scrivere.
Forse è vero che tutti gli artisti sono tormentati, perché la produzione di arte è tormento. O almeno io sono sempre stata al meglio della mia produzione quando ero triste, sola e tormentata.
Le parole si scrivono da sole e non serve pensare, strizzarsi il cervello, non serve sforzarsi per cucire in modo omogeneo e pulito il tessuto del discorso. Viene tutto da dentro, come se quelle parole venissero dettate dal dolore stesso.
La tranquillità è asciutta e secca.
Non ho voglia di scrivere, quando ne ho voglia non so come farlo o con cosa riempire il foglio bianco, che finirà al massimo per essere riempito a metà per poi essere dimenticato in fondo alle bozze o in un angolo della mia camera.
Penso sia parte del prezzo che ho pagato per la sanità mentale. Insieme a lei ovviamente, alle sue parole e al suo tempo e al mio posto nella sua vita, che ho difeso con i denti e con le unghie per poi lasciarlo semplicemente andare quando mi sono accorta che la corda che mi legava a lei era l'artefice delle abrasioni ed escoriazioni della mia anima.
Comunque sia, sto imparando a vivere come una teenager normale. È assurdo come l'assenza di una persona può completamente cambiare la tua vita.
E proprio ora che mi sembra di aver trovato il mio posto e mi piace dove sono, come sono e cosa faccio, devo iniziare ad abituarmi all'idea che tutto questo è quasi finito.
Tra un paio d'anni sarò all'università, non so neanche io in che città, e non rimarrà niente della vita che sto vivendo adesso se non briciole e avanzi che sarò riuscita a portarmi dietro.
È una paura così grande, quella del vuoto, che non riesco a sentirla tutta per intero.
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I always try to leave tracks of what I'm going through even tho I know that I will not want to remember it when finally I'll be fine
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I feel like everybody's going on with their lifes and I'm just like the one left behind
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ho sempre più l'impressione che ad un certo punto rimarrò davvero sola con i bangtan.
Non so più come sentirmi in merito.
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non uso più questo profilo perché anche solo provare a parlare di cosa mi fa stare male rende tutto mille volte peggio.
Voglio solo scherzare e ridere e avere gente intorno che mi regga il gioco e mi faccia ridere.
Ma a fine giornata voglio stare sola.
Così non devo spiegare niente a nessuno, perché ci sono solo io che so già tutto.
E l'ho realizzato solo ieri, o comunque in questi giorni in cui non ho parlato con lei.
Ho una paura matta della solitudine ma adesso voglio stare sola.
Spero che durerà poco.
Io davvero voglio che tra me e lei le cose funzionino.
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non ho ancora capito fin dove sono capace a spingermi per non stare sola e la cosa mi fa terribilmente paura.
"we care so much until we don't" ma io vado a intervalli.
E aspettano sempre tutti il momento in cui farà più male.
Fino a qualche settimana fa non mi importava.
Ora ho il cuore riversato sulle piastrelle fredde del pavimento e si sta raffreddando, e il buco nel petto sta macchiando tutto di rosso.
Ma ho una musica dolce nelle orecchie
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e ancora una volta "we are bulletproof: the eternal" si presta per ricordarmi che seguire i bangtan non vuol dire solo non avere una vita sociale e andare a letto tardi per paura di perdere le live e non avere memoria sul telefono e avere l'utilizzo schermo altissimo, ma significa anche che nonostante io sia così incasinata dall'incasinare ogni rapporto con ogni singola persona non rimarrò mai del tutto sola perché loro non mi conoscono e quindi non possono stancarsi di me <3
è triste? Si. Mi interessa? Hell nah
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giusto per essere sicura di non perdere mai questo video
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che si fa quando si è stanchi di tutti ma si ha ancora paura di stare soli?
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È sempre stata una cosa palese, ma realizzo solo adesso che stancarsi di me è davvero facile.
Un sacco di gente si stanca di me e manco posso dirgli nulla, poverini, perché non è che non abbia niente da offrire ma ce l'ho solo per poche persone.
Le uniche eccezioni sembrano essere il mio gruppo di amiche e la mia migliore amica, anche se lei dovrebbe stancarsi sul serio e non capisco perché non lo fa.
È che con alcune persone davvero mi trovo meglio che con altre, e non è questione di conversazioni più o meno frequenti o cose in comune.
La maggior parte delle persone semplicemente mi scivolano addosso, non importa quanto parliamo e quanti interessi comuni abbiamo.
Con il mio gruppo di amiche non è così, capita ogni tanto che smetta del tutto di avere voglia di parlare ma quando torno è tutto come prima ed è davvero bello.
Con lei invece non so.
Non ci sono discussioni o altro, almeno non ultimamente, solo che comincio a sentire che mi scivola addosso.
Lo sento e basta, anche se a guardare le conversazioni e il resto non è cambiato nulla.
Quando sento che qualcuno mi scivola addosso finisce sempre che smettiamo di parlare.
Non litighiamo o altro, ma finiscono le cose da dire.
È triste a dire la verità.
Sarebbe molto meno triste litigare.
E so che è successo anche a lei, mesi fa anche io le scivolavo addosso.
E ha smesso di parlarmi, per tre mesi.
Ma è tornata e adesso ha tante cose da dire e vuole parlare e non è tutto come prima, ma va bene lo stesso. Dalla sua parte.
Io sento di non avere più niente per lei invece, e sento che lei non ha più nulla per me.
Sono comunque troppo codarda per smetterla di parlare, perché con lei non potrei smettere pian piano di scriverle e basta, dovrei dare una spiegazione. Gliela dovrei, una spiegazione.
E neanche trovo il coraggio di chiederle una pausa, anche perché di starle lontano ho un po' paura.
Quindi di questi stupidi pensieri non me ne faccio nulla, posso solo scriverli e rileggerli s girarmeli tra le dita sperando di schiarirmi le idee, e che questo brutto periodo passi in fretta.
Passa sempre, dovrei saperlo, ma questo in particolare sembra non passare mai.
Magari però passerà sul serio.
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Solo per assicurarmi di non perdere la oneshot Yoonmin che ho salvato nelle note (rompendo il telefono vecchio ne avrò perse una decina)
Jimin non aveva più diciannove anni.
Non ne era mai stato più conscio di quando sentì le sue ginocchia scricchiolare dolorosamente all'umidità della notte quando scivolò fuori dal letto.
Yoongi dormiva beatamente, gli dava le spalle.
Bah, per lui era diverso.
Era sempre stato così.
Uscì cercando di non fare rumore, pur consapevole che il suo compagno non si sarebbe svegliato neanche se una mandria di paparazzi gli fosse piombata in casa.
Sorrise orgoglioso di sé stesso a quel pensiero.
L'aveva sfinito.
Si erano sfiniti a vicenda.
Jimin sentiva la stanchezza annidata dietro le ginocchia, sulle spalle, sulle palpebre ormai pesanti.
Camminò scalzo sul parquet del loro appartamento.
Dieci anni.
Stava con Yoongi da dieci anni.
Quel pensiero lo stordì al punto che dovette appoggiarsi allo stipite della porta del corridoio per non cadere.
Raggiunse il salotto ancora barcollante, si posizionò davanti al balcone.
Merda, avrebbe fatto un casino infernale aprendo quel coso.
La pesante persiana era calata fino a terra per garantire un minimo di privacy a chi abitava quel tutt'altro che modesto appartamento vicino alla periferia di Seoul.
Nonostante i tre piani che li separavano da terra, non si sa mai.
Si rassegnò alla prospettiva di svegliare il suo hyung e impiegò la poca forza che gli rimaneva nelle braccia per alzare la persiana.
In fondo aveva desiderato parlargli dal momento in cui si era svegliato accanto a lui nel cuore della notte, circa quindici minuti prima.
Prima di uscire tornò in cucina, prese due bottiglie di birra.
Aveva davvero bisogno di schiarirsi la mente e no, la birra non avrebbe aiutato, ma era troppo assonnato per realizzarlo.
Si sedette sulle mattonelle fresche ignorando le comode sdraio a soli due metri da lui, poggiò la schiena contro il muro di casa.
Il silenzio rendeva la notte innaturale.
Il buio sembrava condensarsi nella totale assenza di suono, si accumulava in grumi, si faceva viscoso.
E Jimin aveva freddo.
Era il diciannove luglio.
Dieci anni.
Non poteva pensarci.
Una piccola parte di sé si chiese perché la cosa lo sconvolgesse tanto. Non aveva mica reagito così al loro ultimo anniversario, e nove non è molto meno di dieci.
Non era un segreto che lui e il suo hyung stavano insieme da davvero tanto tanto tempo.
Si decise ad aprire la birra.
Si leccò le labbra, bevve un sorso.
Poi un altro.
Chiuse gli occhi.
Eppure cazzo, dieci anni sono dieci anni.
Non sono nove e non sono otto e non sono undici, sono dieci.
Due cifre.
Prese un altro sorso.
Si lasciò sfuggire un sorriso bonario al pensiero che probabilmente Yoongi problemi del genere non se li faceva mica.
Nel senso, anche per lui dieci anni erano tanti.
Era stato felice di averli raggiunti e di aver festeggiato con lui, ma lo aveva fatto con uno spensierato sorriso sulle labbra.
Li aveva festeggiati come aveva festeggiato gli otto anni, o i nove.
E Jimin non sapeva neanche perché fosse tanto importante per lui, davvero.
Non ne aveva neanche parlato con Yoongi, non perché convinto che non avrebbe capito ma perché lui stesso non si spiegava il motivo di quel suo stato d'animo, e quindi parlarne sarebbe stato semplicemente stupido.
Invece il suo hyung, che non era mica scemo, ronfava beatamente tra le lenzuola.
Mentre si riportava la bottiglia alle labbra Jimin pensò quasi meccanicamente a Yoongi addormentato, al suo respiro delicato, le palpebre che tremolavano di tanto in tanto, l'espressione serena che raramente gli vedeva da sveglio.
Non perché fosse particolarmente nervoso, semplicemente perché quando dormiva era sereno in un modo _diverso_.
Non sapeva spiegarlo, così come non avrebbe saputo spiegare come conosceva altri lati di lui.
Non avrebbe saputo spiegare l'espressione che faceva quando stava per fare una battuta stupida, leggermente diversa da quella che precedeva una battuta davvero bella.
Non avrebbe saputo spiegare la sua espressione felice, quella fintamente felice, quella assorta, quella annoiata.
Non avrebbe saputo spiegare tutte le piccole cose che conosceva, quelle che aveva notato da solo vivendo con lui, così come non avrebbe saputo spiegare perché sapere di conoscere questi piccolissimi dettagli di lui ed essere uno dei pochissimi a godere di questo privilegio lo riempisse d'orgoglio al punto di non riuscire a non sorridere quando ci pensava.
Era come una garanzia.
Yoongi era tutto suo.
Un altro sorso di birra.
Il pensiero di lui lo stava scaldando, così come la bevanda ghiacciata che teneva in mano.
Non aveva più tanto freddo.
Nel momento in cui si rese conto di come la densità del buio stesse andando scemando sentì dei passi felpati provenienti da dentro l'appartamento.
"Ah Jimin, mi sono girato e non c'eri. Hai idea di che brutta sensazione?"
Rimase ad guardare mentre Yoongi si avvicinava, si sedeva accanto a lui e apriva la birra.
"Che fai qui?"
"Non lo so, nulla, credo. Scusa per averti spaventato, hyung"
"Mh non importa. Ma che fai, tremi? Hai la febbre?"
"Non lo so. Muoio di freddo"
Ma era un tipo di freddo diverso da quello legato alla temperatura corporea.
Era il freddo che una delle notti più lunghe di sempre gli aveva lasciato addosso, era l'oscurità viscosa che si era andata a poggiare sulle palpebre per appesantirle e tra le labbra per impastare la lingua.
Era un freddo che gli risaliva la schiena.
Dieci anni.
Era così bello che faceva una paura tremenda.
Ma Yoongi era caldo.
La sua presenza lo riscaldava, così come la birra fredda e le sue braccia che ora gli stringevano il corpo.
Mentre lo abbracciava da dietro gli poggiò la fronte sulla spalla.
"Stai male, Jiminie?"
Le stelle si spensero una ad una mentre i grumi di oscurità si scioglievano, il nero era adesso un blu opaco.
"Mi stai spegnendo le stelle"
Gli rispose.
"Mh?"
Rispose lui.
Si stava già riaddormentando, ma alzò piano la testa.
"Oh... L'alba. In effetti fa un po' di freddo, ma tremare così mi sembra un po' troppo. Sicuro di stare bene Jimin?"
"Sto bene. Mi abbracci più forte?"
"Si... si"
Le braccia di Yoongi si infilarono tra il suo busto e le sue braccia e lo tirarono a sé, facendo scontrare il suo petto con la schiena del piccolo.
Gli lasciò un bacio sul collo prima di riappoggiargli la testa sulla spalla.
Lo sentì inspirare profondamente.
Sperò che non si addormentasse.
"E ha fatto ancora mattina"
Disse invece.
Erano solo cinque parole, ma a Jimin sembrò che Yoongi fosse davvero tanto tanto stanco.
Si sentì in colpa per averlo svegliato.
"Vuoi tornare a letto?"
"No. Jimin, sei qui"
"Si, sono qui"
Rispose dopo un attimo di esitazione.
"Sono qui. Siamo qui. Dieci anni, Jiminie..."
"Ci stai pensando anche tu"
"Come potrei non pensarci?"
Fu la secca risposta.
Yoongi lo strinse più forte.
"Sei qui da così tanto che è strano pensare che potresti andare via. Ho due braccia da sempre, ma potrebbero tranciarmene uno. Ho sempre avuto dei polmoni, ma potrebbe venirmi il cancro"
"Come sei apocalittico"
"Sto cercando di chiederti di non andare via senza sembrare che ti stia implorando.
So che abbiamo avuto problemi. Abbiamo problemi. Da tanto. So che probabilmente anche tu hai sentito almeno per un secondo che questo anniversario era tutto una farsa, il ristorante, la passeggiata, i regali, poi a casa...
Lo so, Jimin.
So che non siamo mai stati peggio di così e che sono dieci anni e dieci è un numero da non prendere alla leggera.
Ma tu.."
"Io non me ne vado finché non mi cacci via, Yoongi"
Lo interruppe.
Lo sentì trattenere il fiato per un secondo o due prima di rilasciarlo lentamente.
La presa attorno alla sua vita si rilassò dopo essersi stretta fino a fargli male.
"Okay"
Disse lui.
"Okay"
"Okay"
Gli rispose Jimin.
Poi guardò di nuovo su.
Il cielo era ormai indaco, mancavano pochi minuti al momento in cui il primo raggio di sole avrebbe fatto capolino dalla linea dell'orizzonte.
Le luci della città iniziarono a spegnersi pian piano mentre Yoongi si rilassava sulla sua spalla.
Non si era nemmeno accorto che fosse così teso.
"Dormi già?"
"No"
"Puoi stare sveglio un altro po' per me?"
"Si"
Lo sentì alzare la testa per guardare quello che guarda lui.
"E ha fatto ancora mattina"
Ripetè le sue stesse parole di qualche minuto prima.
"Speriamo succeda ancora per tanto tempo"
"Altri dieci anni"
"Molto di più"
E giusto per dimostrare agli uccellini che iniziavano a cantare dai rami degli alberi vicini, unici spettatori di quella scena, che a quelle parole ci credevano sul serio, Min Yoongi e Park Jimin si concessero il lusso di non baciarsi.
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Forse c'è gente che deve stare sola.
Forse c'è gente che esce in gruppo e magari si diverte anche e nessuno si accorge mai di niente, ma forse questa gente ha i minuti contati a prescindere da qualsiasi circostanza.
Forse c'è gente che a stare troppo con le altre persone finisce per odiare e farsi odiare.
Forse c'è gente che la solitudine la teme ma non la può evitare, tanto da trovarci quasi un malsano conforto.
Forse c'è gente che quando gli altri li abbandonano piangono lacrime che amare non sono, anche se di certo non sono di gioia.
Forse c'è gente che la pace non se la merita.
Non perché abbiano fatto qualcosa, ma perché non sono fatti per la pace.
Forse dico "c'è gente" perché credere di essere l'unica così è semplicemente troppo, e io semplicemente non lo reggerei.
Forse c'è gente che, come me, odia l'ipocrisia ma è una fottuta bugiarda persino con sé stessa.
O forse sono sola e basta.
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Il sunto di tutto alla fine è che scrivere confonde le idee e rileggere le schiarisce.
In generale.
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Forse la persona giusta a cui parlare di queste cose non esiste.
Forse sono io la persona giusta, perché forse parole giuste non esistono.
E proprio perché sono in grado di capire cosa sento senza parole sono l'unica che mi capirà.
Oppure semplicemente me la credo troppo e sono semplicemente un incapace con le parole, dato che svariate volte è riuscito a comprendere e scrivere cosa sentivo qualcuno che neanche mi conosce.
Ego, alla fine gira tutto attorno a quello.
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Perché è sempre come se ad un certo punto avessi bisogno di prendere le distanze?
Ho degli amici e sto bene con loro e mi piace parlargli, ma di punto in bianco sento l'impellente bisogno di allontanarmi subito in modo drastico e finisco per ferire le persone che ho intorno.
Perché sparisco e nessuno capisce perché, e non lo capisco neanche io.
La cosa divertente è che io non voglio stare sola, voglio disperatamente avere qualcuno con cui parlare perché non avendolo mi sentirei terribilmente depressa.
La cosa migliore che mi viene in mente per spiegarlo è il tragitto in autobus l'anno scorso, da casa a scuola e viceversa.
Ogni tanto parlavo con persone che conoscevo che prendevano l'autobus con me, e non erano poche, ma soprattutto negli ultimi mesi capitava sempre più spesso che io mi isolassi e ascoltassi musica.
È stato il periodo più solitario della mia vita, avevo amici ma li avevo allontanati tutti.
Credevo di stare bene, ne ero così convinta che pensandoci era un periodo felice.
Ascoltavo musica completamente sola e ogni canzone era un universo che non dovevo affaticarmi a spiegare, perché non avevo nessuno a cui spiegarmi.
Mi capivo perfettamente senza parlare ed era stupendo non condividermi con nessuno, anche se un po' deprimente.
Quello è un estremo.
L'altro era prima che lei sparisse, quando mi confidavo con lei completamente e le parlavo di tutto e così con altri miei amici, tenevo tutti vicini, non li lasciavo allontanarsi.
Ma quei tre mesi hanno rotto qualcosa.
Non solo tra noi due, anche in me.
Perché da allora i due estremi si susseguono fin troppo frequentemente, e non so più cosa voglio.
Non sono né un estremo né l'altro.
Non sono bianco né nero.
Sono grigio, io.
Ma questo grigio mi fa vomitare.
Non sono mai presente per nessuno e non mi va bene niente, mi avvicino e mi ritiro a intervalli come la marea.
Mi sta facendo impazzire.
Ed ora è un momento di ritiro e sentivo che forse scrivendo sarei stata meglio perché non sono zitta ma non sto neanche parlando, perché nessuno sente o ascolta.
Se qualcuno parla in una stanza in cui solo lui si può sentire, ci sono prove che stia davvero parlando?
Lui si sente, ma sentirebbe i propri pensieri anche se non parlasse.
Quindi nel dubbio rimarrò col dubbio, non parlerò e non starò zitta.
Tumblr è una buona idea.
Grazie Jimin, o meglio, grazie a chiunque abbia scritto quella stupida storia che mi tiene con il cuore in gola.
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