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HELLDECOR
Helldecor nasce fra i sogni di una calda estate, su una chat bollente. Quasi niente era chiaro di quello che sarebbe stato, solo idee vaghe e desolanti, tipiche privatrici del sonno, solite arrivare alle 00.01 a.m.
Volevamo metterci gli anni degli studi universitari alle spalle, seppellirli nel bel mezzo del niente, dopo aver camminato dritto nel deserto per migliaia di chilometri. Ed eccoci finalmente li, in una notte di stelle cadenti e Gif iridescenti a voler fare il falò ultimo. Era stata un'idea ossessionante che ci aveva perseguitato probabilmente dall’alba dei tempi, l’ornamento.
Per poter discutere cosa sia l’ornamento servono sicuramente anni di studi e letture interminabili che abbiamo più che abbondantemente effettuato prima di renderci conto che bisognava renderlo soggetto di studio. Era quindi necessario iniziare un processo di ricerca e di conoscenza, quindi ci siamo presentate. Eccoci noi siamo le Solar Queen Bizantine. Qui per affrontare impervie quanto inutili imprese, regnanti delle buone conversazioni e punitrici di silenzi imbarazzanti. Abitiamo salotti e sale da té, Limousine dagli interni rosa pavone come i peggiori privé della scena House dei primi 2000, aneliamo alla roulotte della nostra madre spirituale Moira Orfei.
Abbiamo quindi deciso di avvicinarci al suddetto tema come ci approcciamo a tutto quello che facciamo nella vita: dal espletare le più semplici necessità biologiche al eseguire le più complesse inutilità della vita domestica come per esempio apparecchiare la tavola. Era quindi nostro intento viverlo, nel proprio presente, in quella piega del lenzuolo spazio tempo che ci troviamo ad essere. Ma è possibile vivere l’ornamento?
Fortissime nelle nostre incertezze e ponendo in forma affermativa i nostri dubbi abbandonammo quella notte, le pretese di far finta di capire qualcosa e ci lanciammo in un frenetico scambio di figurine. Figurine che avevamo collezionato nelle svariate gite di piacere concesseci negli anni. Insegne, rotonde e statue. Baraccopoli, periferie, case e interni di negozi. Parchi, vasi e giardini: con nani, con alci, con gatti. Vestiti, tende, cappelli e scritte. Scritte tridimensionali, lisce e opache. Oggetti misteriosi, perturbanti, silenziosi, astuti o innocenti. Superfici aggiunte, appiccicate, ruvide, trasparenti e cangianti ed ancora sculture gonfiabili, posaceneri, orli e merletti. Oggetti rituali, festoni, scenografie da camera. Lucine colorate, luci bianche, lampadari. Continuavamo a mandarci vagonate di immagini che si accumulavano infinite nei, chissà dove locati, database. A quel punto ci domandiamo cosa avremmo dovuto fare, come comportarsi: setacciare, escludere, continuare ad accumulare? Come procedere?
Quale sarebbe stato il metodo migliore per mappare il concetto di ornamento a noi contemporaneo, non lo sapevamo ma forse lo scopo della nostra ricerca si stava finalmente mostrando, anche se di sfuggita, un inafferrabile, impalpabile guizzo, come la coda di un pesce che balza fuori dal fiume mentre non stai guardando.
Unica certezza continuare ad aprire, non ci potevamo -ne possiamo tuttora mentre scriviamo- permettere di chiudere. È stato quello il nostro primo Nord, avevamo intuito che non sarebbe stato possibile arrivare ad una conclusione quindi abbiamo scelto la bussola e abbozzato una destinazione. Il lavoro che stavamo cominciando non era possibile darlo a priori, avremmo dovuto osservarlo nel suo sviluppo, avremmo capito solo nelle varie restituzioni, nel momento di trasformazione, di messa in posa, di travaso e quindi di apparizione sotto forma di nuova interfaccia quello che andavamo cercando. In itinere, insomma niente di più spaventoso per noi signore d’altri tempi e sicure solo nelle certezze, ciecamente venerate. Si trattava quindi di una missione, necessaria alla nostra generazione, comprendere i meccanismi di progettazione della bellezza ai tempi della post produzione digitale e della ri-postazione del desiderio. Dentro l’evoluzione del consumismo e nei tempi della quarantena globale era sempre più evidente a noi che la società spingeva ad un ultra polluzione del prodotto. Compra offerta e riproduci domanda, compra la riproduzione della domanda e ri-posta reclame. SPAM! Mangia, documenta, condividi. Rigurgita spam, brandizza, autoproduciti, auto(ri)produciti. Diventa SPAM. Acquista per postare, posta per acquistare: consenso, ricchezza, autorità. Ma in tutto questo ti sei dimenticato dell’ornamento, che cosa è l’ornamento?
Grazie ai nostri poteri di Solar Queen, quali la perfetta sintonizzazione sul dove ci si trova nel punto del discorso, ci chiedemmo all’unisono cosa significasse contemporaneo? In quanto triumvirato acefalo stabilire i confini, i termini e il vocabolario è sempre fonte di discussioni, spesso infinite e che portano, senza motivo, alla deriva, senza la preoccupazione, però, di non produrre senso, perchè un significato lo si raggiunge lo stesso, quindi finita questa piccola nota sul metodo di ricerca: contemporaneo è ciò che puoi fotografare nel tuo ora, anche, mentre stai correndo per andare ad un appuntamento, anche mentre torni dal fare la spesa, anche mentre passeggi in un esotica località di mare. Un qualcosa che è stato salvato in uno di quei grandi archivi che sono le gallerie dei nostri telefoni. In pratica delle informazioni che non sono ancora state storicizzate.
Un archivio digitale. Ecco cosa sarebbe stato nella sua prima fase. Avremmo incrociato le immagini a delle coordinate spazio temporali. Facendo orbitare quindi la nostra storia, rileggendola come degli scontrini che galleggiano nell’etere e collegati in maniera multidimensionale attraverso nodi, che possono funzionare da gancio. Facilmente immaginabili come hypertext multiversali. Una chimera fra l’Atlas di Aby Warburg e il Musée d’art moderne – Département des Aigles di Marcel Broodthaers. Un omaggio al Teatro della Memoria di Giulio Camillo, un richiamo al utopistico Mundaneum o una restituzione grafica della Biblioteca di Babele di Borges. Oppure l’atteggiamento di Ugo la Pietra nelle sue visite lagunari:
«Pago il biglietto, entro, faccio un giro delle cose da vedere, quindi esco: questo è il tempo a Venezia, un tempo uguale a quello che ognuno di noi utilizza quando entra in un museo che “conserva” opere»
Le nostre immagini, dunque, non dovevano avere delle necessità estetiche, dovevano essere dei documenti e come tali andavano lette.
Adesso il tema della lettura di un immagine è impervio e si srotola fin dagli inizi della nostra cultura. Pare che fin dai tempi delle prime comunità la società umana abbia avuto la necessità di produrre immagini. Molto tempo prima di sapere cosa fosse la scrittura. Questo inciso non vuole essere una lezione, affidabile e sicura, lungi da noi voler partorire consapevolezze o conoscenze sterili.
*Quali sono state le prime forme di comunicazione sulla terra? come comunicavano gli uomini primitivi? le prime comunità umane producevano immagini? esistono culture che non producono immagini? Sono solo alcune delle domande che vogliamo proporre.
Aperte e varcate le porte dell’immaginazione ci vogliamo lanciare in speculazioni attendibili quanto l’oroscopo e con lo stesso margine d’errore di una teoria scientifica. Certe come una legge matematica affermiamo che la donna ha generato immagini prima di chiedersi come scrivere quello che comunicava e che abbia piuttosto affidato ai fonemi, fin da subito, l’arduo compito di trasportare i suoi messaggi più profondi (proverbio, antico detto, usanza, tipico, caratteristico, vernacolare, senza autore, fiabe, dialetti).
Ipotizziamo ora, tolta la scrittura, a cosa potesse essere affidata la comunicazione: fonemi, disegni, indumenti, oggetti.
(Approfondendo la questione dell’oggetto, la cosa, lo strumento, l’utensile, l’apparecchio)
La materia tramite il disegno, viene informata. I primi rudimentali strumenti, utensili, armi, indumenti sono dunque portatori sani di forma e trasmettono a noi, oggi, delle informazioni quanto delle intenzioni. Dall’inizio della sua storia la forma ha sviluppato una duplice faccia: funzionale e rappresentativa. Anche questa è una buona occasione per aprire infiniti interrogativi, è valido scindere funzione e rappresentazione? Non si tratta forse della stessa cosa? Che la forma non segua necessariamente la funzione non è già stato ampiamente dimostrato da un'infinità di esempi?
Cosa succede se la funzione di un oggetto cambia o viene dimenticata. O come spiegare il form follow function nelle cose che hanno forme non adatte ad espletare la loro funzione o che non ne hanno alcuna, basti pensare all’infinito ciarpame, cianfrusaglie, ciapapuer, che invade le nostre case.
Il caso del souvenir è molto interessante perché porta con sé riflessioni sull’inutilità dell’utile. Il souvenir non serve a niente nel senso funzionale, pratico, cioè non aiuta a svolgere nessuna azione fisica della vita umana. Però è in grado di svolgere mansioni immateriali, richiamando ricordi, aiutando la memoria, diviene un vero e proprio ponte spazio temporale per rivivere nella loro quasi totalità esperienze del passato e questa non è forse una funzione da poco? Parlando di utilità si cade sempre nella rete del nostro tempo e quello che nella società del momento viene ritenuto più o meno importante, scivolando in un paragone del mondo economico, il valore cambia, come è testimone il sale, che oggi usiamo per cucinare e troviamo a meno di un euro al kg nel supermercato.
Nel Camp possiamo ritrovare invece esempio di oggetti portatori sani di un'identità culturale, non volendo avvicinare i due termini andrebbe, indagato qui, anche il folklore nella sua oggettistica. È nostra opinione che spesso quando di parla di oggetti folkloristici lo si faccia con un'accezione di inutilità di base, mentre da sempre nella cultura popolare si fa di necessità virtù, rendendoci impossibile il pensiero che ci sia qualcosa che non serva. Del maiale si mangia tutto e via dicendo.
Stiamo indagando qui il rapporto fra Rappresentazione e Funzione nella fruizione e se è possibile immaginare un cammino parallelo delle due nello sviluppo dell’ umanità.
Come è successo che il bastone che veniva utilizzato per cacciare o combattere sia diventato un monile, o il simbolo del capo? da materiale inerte ad investitore di poteri altri, intangibili, degno rappresentante di costrutti umani. Per poi passare a opera da museo, chiuso in una teca e conservato, trasportato e restaurato trasmettendo nuovi significati ed infine divenire immagine bidimensionale, fotografato, è divenuto documento! Stampato a colori, in bianco e nero, spedito come cartolina. Meme, post, sfondo per un video di Beyoncé. Ritwittato, screenshottato e messo come sfondo del cellulare. Insomma in queste matrici si susseguono leggi e regole, comportamentali, sociali, politiche e religiose che si sviluppano nel vivere collettivo.
Ci sono casi nel quale la collettività non abbia richiesto di produrre oggetti che rappresentassero ideali? Simboli, simulacri. Portatori di qualcosa oltre il regno materiale. Indumenti, monili, utensili per la casa non sono forse i primi oggetti che univano, dentro se stessi, rappresentazione e funzione? Svolgendo durante la vita un compito materiale ed assumendo un valore spirituale per la vita dopo la morte attraverso riti che demarcano il passaggio. Il cambio di stato. Da bastone a scettro attraverso l’intaglio, l’aggiunta di altri materiali, pietre o preziosi, ossa o tessuti.
Interessante potrebbe essere affrontare il tema dell’ornamento attraverso il mito, la leggenda o semplicemente la storia dello sviluppo della colonna. Che ricordiamo aver trovato dentro il più antico testo a noi pervenuto, anche se con molte difficoltà e molti possibili tradimenti e altrettante interpretazioni, De architettura di Vitruvio. Dove viene raccontata l’evoluzione della colonna da dorica, ionica a corinzia. Dove la dorica viene associata ai Dori, dai caratteri più maschili ricordati da una proporzione più tozza e robusta di 1 a 7. La colonna ionica che viene narrata come desunta dalle forme femminili, più slanciate nella proporzione di 1 a 8, le scanalature del fusto a riportare le pieghe del vestito e le volute del capitello somiglianti alla capigliatura. Fino ad arrivare ad una vera e propria metamorfosi in pietra di una storia di una fanciulla che depose una cesta poi avvolta dalle crescenti foglie di acanto.
Le colonne, come la ben nota Colonna Traiana, il famoso Obelisco di Luxor o la Stele di Rosetta, sono spesso state utilizzate per esporre una storia o quantomeno una versione di quella storia. Anche il bassorilievo sembra nascere da quella esigenza, come nel caso delle metope del Partenone nelle quali sono illustrate la centauromachia, l’amazzonomachia e la gigantomachia. Nel fregio del Partenone viene raccontato quello che Camille Paglia interpreta come la rappresentazione di un rito di pulizia, un bagno di purificazione delle divinità dalle loro parti bestiali, che vede l’ascesa degli dei sul Monte Olimpo come divinità dall’aspetto umano. Per la storica dell’arte, in quel bassorilievo è raccontata una storia diversa da quella che probabilmente avevano in mente gli scultori mentre la producevano, per lei vi è presentata la nascita dell’occhio occidentale, punto di inizio dello sviluppo della cultura visiva nella quale oggi siamo immersi, basata interamente sul senso della vista. Una cultura che ha deterso la bestialità e il terreno in favore del raziocinio, del chiaro e del retto. Quello che ci dicono i riallocati e ribattezzati Marmi di Elgin è più di una semplice e testuale narrazione, mettono in scena un vero e proprio dramma che attraversa il tempo e lo spazio ed ha tanti volti quanti spettatori. L'indagine da noi compiuta vuole ripensare il rapporto fra scrittura e architettura. Sradicare l’idea dell’architettura come libro in pietra. Quanto siamo stati influenzati dal ragionamento implicito della scrittura nella lettura di quelle che erano storie raccontate per immagini? Esiste un modo di raccontare la storia oggettivo? Non si è sempre vittima delle lenti di chi la racconta o dal contesto nel quale si trova sia l’osservatore che l’osservato? Ci domandiamo se i musei, soprattutto quelli nazionali, usciranno mai dal veicolare concetti ottocenteschi dal sapore assolutistico mentre osserviamo che la scrittura viene utilizzata come ornamento. In effetti anche L’Alberti propone per il più sublime decoro del tempio, scritte in lettere capitali per il fregio. (Lapidario, tipografia, font)
Anche nell’interpretazione della colonna ci sono svariate proposte, c’è chi vede nelle colonne il ricordo di vecchie liturgie, sacrifici alle divinità, dove la testa, il capitello, rimane a ricordare le offerte come carcasse di animali, pellame o tributi floreali. Non meno interessante la vestizione che avviene delle colonne nei giorni di festa all'interno di alcune chiese, pratica oggi rara ma che fu molto in voga nel passato. L’Alberti vede la colonna invece come elemento di base della sua teoria architettonica e la definisce come primo ornamento.
Provando a riassumere sembrerebbe che l’ornamento è legato alla vita domestica, alle liturgie (al sacro, allo spirituale, alla religione -le metto fra parentesi perchè non mi dispiacerebbe arrivare a definirle come conseguenze o meglio come un qualcosa che accade perché chi ha capito il meccanismo della rappresentazione, dell’ornamento, l’abbia utilizzato per creare delle masse, per manipolarle e sottometterle nello stesso modo dell'anello di Tolkien), alla narrazione, il racconto, il superamento della morte, l’immortalità, la generazione di un'identità, di comunità, di un nucleo che si stringe intorno ad uno stesso ideale, alla protezione quanto alla prosperità, alla buona sorte, al profitto, al guadagno, alla ricchezza. Alla matematica quanto all'infinita varietà e vastità del mondo. Alla festa, al centro commerciale, al teatro e al cinema. Alla natura, all’uomo, alla donna. Alla cosmesi, al rivestimento, al travestimento. Alla mimesi, alla riproduzione e all’educazione.
Si inizia a definire che l’ornamento è qualcosa in grado di trascrivere, trasmettere, investire, riversare poteri magici, politici, religiosi, economici ad un oggetto. Che l’ornamento può essere letto come un pacchetto di informazioni che vengono aggiunte ad un qualcosa di comune. L’ornamento divide il comune dal raro, racconta qualcosa sul come costruire una personalità, la vita di una singolarità, scinde quello che è semplice materia da quello che diventa un prezioso, un antico, un potente, un monumentale, un sacro, un leggendario. L’ornamento riveste doni degli dei, oggetti posseduti da re, regine, imperatori o esseri umani considerati delle divinità. Trasforma mucchi di pietre nelle dimore delle divinità, è la capacità che Le Corbusier riconosce alla luce «far di pietre inerti un dramma». Ed è forse qui che potremmo aprire un’ulteriore scissione, natura o cultura, natura o artificio. Sintetizzando brutalmente i ragionamenti dell’Alberti sull’ornamento: la bellezza sarebbe prerogativa della Natura, dunque l’ornamento risulterebbe essere quello che l'uomo può fare per avvicinarsi ad essa -desiderare- qualora voglia perfezionare, sottolineare, abbellire qualcosa che per sua natura non lo sia. Si tratterebbe quindi di un Costrutto, un’altra idea di bellezza, questa volta umana, che segue l’idee delle varie società e dei loro momenti storici, l’ornamento si comporterebbe come quell’idea di bellezza oggettiva, costruita da istituzioni, personalità, eventi.
Come in una boccia per pesci, eravamo sicure, le immagini si sarebbero guardate, scontrate, incrociate o divorate evitando a noi il duro compito della selezione. Visto che comunque la scelta era già stata fatta a priori, quando il nostro occhio, a mente distratta, era stato catturato da qualcosa che per il nostro sistema di codici stonava, emergeva, pungeva.
Queste immagini, andavano poi lette e descritte, ci siamo interrogate molto prima di arrivare alla conclusione che 1+1+1 era meglio di una somma che portasse a qualche risultato, quindi di nuovo l’unica possibilità era quella di continuare ad accatastare una cosa sull’altra. Abbiamo quindi lasciato all’inglese il compito di nominare, dall’alto, le foto con un titolo sintetico, pubblicitario e concettuale che potesse portare direttamente nel ragionamento commerciale della faccenda. Prodotti. Brand. Spam!
Ad accompagnare la stringa anglofona ci divertiva una spiegazione, più emotiva, storicizzante in rigoroso e autoironico italiano. Una pista contorta che portasse a sperdere ma lasciando frammenti di noci ed altre delizie. Avremmo costruito dei testi torrone! Appiccicosi e pieni di frutta secca tenuta insieme da una sostanza a metà strada fra il liquido ed il solido, inglobante.
A questo punto la prima parte risultava terminata.
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contenitore sapone liquido due
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contenitore sapone liquido
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pacco di tabacco due
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pacco di tabacco
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circolo 
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guanto supermercato 
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bottiglietta di plastica acqua frizzante 
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plastica trasparente fresco fiore due
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plastica trasparente fresco fiore uno
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bidone rifiuti rosa
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mini pallone basket tre
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mini pallone basket due
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mini pallone basket uno
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ciabatta da casa
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sacco frigo
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coperchio lattina
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