kamisetanaranja
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WELCOME TO MY SILLY MIND :)
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Sono tipo 10 anni che ho Tumblr e non ho intenzione di cambiare questa bio molto Tumblr, so there u go: My life is a struggle of constantly wanting to go out and have fun with people and also avoiding human contact at the same time. Toni // Italian boy.
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kamisetanaranja · 1 year ago
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epistola n.boh
Questo episodio ha il sapore delle cose davvero inaspettate.
Torno a scomodare le epistole dopo anni di assenza dai sentimenti veri (forse qui esagero) per parlare di te, Denise, che fra tutte sei la persona che di queste parole ne ha ricevute meno. Non che si tratti di un vanto o un privilegio, o forse sì, ma mi concedo di cogliermi ancora oggi, a 27 anni, impreparato.
Ho spesso pensato che il tempo in cui scrivevo così corrispondesse all’apice della mia sensibilità. Probabilmente mi sbaglio, ma sono sicuro che farlo in qualche modo aiuta. Che serva ad allontanare, a dimenticare, a migliorare: qualcosa farà.
Su un treno di ritorno dalla nostra città del cuore, penso per la prima volta che:
Bologna è una fase.
Mi odio mentre lo scrivo, ma l’ho pensato veramente. Non mi era mai successo di scendere in strada, guardare i tetti delle chiese disseminate casualmente ai tuoi piedi e provare un sentimento di ansia. Leggera tachicardia e spaesamento per lo meno, e non credo centrasse il caldo.
La verità è che da quasi una settimana io ti vedo D, che io abbia gli occhi aperti o chiusi. Nonostante le canne sono tornato a sognare, ma solo il tuo viso: tu che sorridi nella replica notturna di quei momenti in cui pensavo che fossimo speciali; che io potessi, con la mia banale presenza, far sparire tutti i tuoi dolori.
Quando mi raccontavi nelle nostre ustionanti distanze che Bologna da sola ti causava agitazione, io non ti capivo. Non ti ho capito finché non l’ho provato e mi è bastato. Sarà che non siamo più abituati a stare male, che abbiamo altri pensieri più incombenti da mettere in prima linea (sarà che siamo cresciuti!!!!), ma vivere le strade di Bologna così mi è sembrato un duplice omicidio: spaziale e personale, se posso inventarne un paio.
L’agglomerato urbano che più mi ha ispirato fino ad oggi mi si ritorce contro causandomi sensazioni frustranti, anche quando in compagnia di persone a cui voglio bene. Mi è sembrato, per l’ennesima volta, di nascondere la mia pura verità, che forse non ho concesso nemmeno a te.
La persona che nella mia vita attuale (possiamo chiamarla “avvicinamento all’adultezza”?) mi ha più toccato, ora ritorna sotto forme diverse, fantasmiche, per ricordarmi i peggiori sbagli: quelli fatti con il cuore.
Non so se sia legittimo che io rincorra l’orgoglio di essere un uomo tutto d’un pezzo, che riesce a gestire (cioè sopprimere) certe emozioni per non causarne di più pericolose agli altri. Quante volte mi ripeto questa cosa? Mi do i brividi.
Io lo so che non posso metterti al corrente di come mi sento, innescherei un loop distruttivo che non ti meriti, non ci meritiamo, per l’ennesima volta. Soprattutto ora che stai cercando di essere felice lontana da me con persone nuove, mi sono promesso di non interromperla e che se si dovesse arrestare, per lo meno non sia per causa mia. Resterò zitto e buono (come sempre dopo tutto) perché sembra che io sia in grado di fare del male solo involontariamente, quando credo di non fare, ma semplicemente di essere.
Eppure, oggi come quella volta in cui ti ho vista camminare in Piazza Maggiore, sento un richiamo naturale, come nei film che ci hanno insegnato ad amare male. Non so dire se la psicologa sarebbe d’accordo, glielo chiederò lunedì, ma per l’ennesima volta sto bloccando una sensazione che urge di uscire. O forse esplodere come una guerra di secessione. Siamo alla ricerca del vero in questo mare di nebbia.
Le tue recenti apparizioni mi hanno versato in un disagio mai provato prima: come descrivi quella sensazione che da bella diventa brutta? mi fa tornare in mente tutte le paranoie che mi hanno inculcato negli ultimi 10 anni di relazioni tossiche e fallimentari.
Mi è stato detto così tante volte di essere la causa della rovina altrui che alla fine ci ho creduto, e ora ho paura di sfiorare qualsiasi ragazza per paura di romperla. Non tutte sono fragili come te, eppure mi ostino a metterci lo stesso tatto, a tenermi a debita distanza, a non entrarci in contatto per nulla.
Non è nemmeno questione di “non riesco più a fidarmi”, ma più di “non so più come si fa”.
Come si fa a parlare ad una ragazza e far passare quel tipo di interesse? Quel tipo di interesse, in primis, deve esserci, manifestarsi, e non arriva mai.
Ritorni sempre tu.
Sopra Aurora. Sopra Anna. Sopra me.
Forse è l’ennesimo rimuginio che un attempato Toni si concede per sentirsi giovane, o l’ennesima trappola della retorica retromane che colpisce anche chi ne è stato avvertito, ancor più veementemente. 
Hai fatto tornare anche quella leggera fiamma competitiva che sopraggiunge alle superiori, che mi fa pensare che Davide sia solo la mia brutta copia (lo è, fattuale), ma non è questo che serve alle mie fila, non è questo il punto. Mi perdo inutilmente nelle interpretazioni della tua realtà, che non è più la mia, cercando di convincermi che tu stia tenendo una distanza cautelare perché non mi hai ancora gettato nel dimenticatoio. Se le nostre ultime parole in quell'abbraccio sono state vere, non posso non crederci almeno all'1%.
Fa malino al cuore vedere che condividi la musica e i concerti con lui.
Forse me lo merito. Forse questa storia non da risposte a nessuno, semplicemente scorre, come tutto finché siamo presenti per esserne testimoni.
Non mi sono mai sentito solo come negli ultimi mesi senza di te. Crescere da soli, avevi ragione, può essere logorante. Vi vedo tutti sorridenti e accompagnati, anche quando piove, che è quello che più amavo di noi: la pigrizia che esisteva solo per farci stare incollati, la fatica di scendere a fare la spesa perché volevamo sfamarci di amore e nient'altro era la nostra fragile forza.
A dircelo non ce la facevamo, ma a farlo le abbiamo provate davvero tutte.
Anche se forse non proprio tutte tutte.
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kamisetanaranja · 2 years ago
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OGGI è UNA GIORNATA CHE NON CAPISCO
Oggi è una giornata che non capisco.
È sabato e fuori c’è il sole. Svegliandomi ho pensato che vorrei andare al mare, ma la benzina costa e camminare sulla spiaggia nelle 3-4 ore di sole che concede un pomeriggio di gennaio mi farebbe ricordare i momenti passati con Greta. Ah, tra le altre cose non mi ha ancora risposto. L’ultima volta che ci siamo visti deve aver accennato a quel messaggio scritto più di un anno fa: mai ricambiato.
Quindi finisce che resto a casa ad aspettare la sera. Stasera vedrò Carla e Alessia e forse questo mi basta, anche se la testa dice tutt’altro. É in giornate come queste che mi dissocio più facilmente. A pranzo ho pensato ardentemente di voler avere una persona con me, una spalla dove appoggiarmi, una coscia in cui posare la testa e distendermi. Le chiederei di sussurrarmi che va tutto bene, che sono abbastanza anche se non faccio tutte le cose che vorrei fare. Avere qualcuno che offra la sua presenza, senza dover parlare, perché tanto a quello ci penso io, almeno fino a quando non arriva l’imbarazzo di avere tante parole e pochi argomenti. Mi infastidisce se mio fratello mi parla: ripete le stesse cose da anni e ho l’arroganza di pensare che non capisce le priorità della vita. Vorrei tagliarmi la lingua, ma l’ho già fatto. Mia madre mi guarda perplessa senza dire nulla, ma sa che oggi è una giornata che non capisco. Almeno qualcuno lo capisce. A volte credo che sarebbe utile avere una psicologa istantanea, che quando fai pensieri del genere si materializza davanti a te per spiegarti che succede. Ma io già lo so cosa sta accadendo: è la follia insita nell’essere umano. Per quanto cerchino di dirci che sia una devianza, un’eccezione, ognuno di noi, mi dico, pensa queste cose. Forse siamo solo noi che lo facciamo più di altri.
Forse è la depressione, la stasi dell’azione. Vorrei sparire, a chi di dovere lasciare prove che conducano al mio mondo interiore.
Se questa fosse una poesia ne sarei fiero (forse è così). Sui miei “forse” ci costruisco un castello di carte, e siccome siamo dentro al Ghibli può resistere al vento. Penso ad Alessandra (Z…..), con la necessità di scriverne il cognome per non confonderla con altre anime. Siamo sconosciuti ogni giorno di più perché decidiamo di esserlo.
Fatico a guardare le persone in faccia quando parlo, soprattutto se è una ragazza, e non me lo spiego. Sono veramente innamorato di tutte o è solo una richiesta di attenzione?
Interromperò qui il flusso di coscienza per andare a stendere la lavatrice, assalito dall'ansia di non riuscire a tornare a sedermi su questo divano con le stesse intenzioni. Dopo tutto mi ero detto di leggere Galimberti tutto il pomeriggio, come se questo non fosse un segnale di qualche forma di bulimia che ancora non accetto.
Come mi nascondo davanti al mondo? Come mi nascondo davanti al mondo.
Basta provare a parlarmi per rendertene conto.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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L’ascesa ‘Esagerata’ di Tananai
Ogni medaglia, si sa, ha due facce. Tananai e la sua musica non fanno eccezione: da una parte c’è Alberto Cotta Ramusino, belloccio, occhiaie e giornate improvvisate, un coglione come ama definirsi; dall’altra Tananai, un artista che non conosce altro mezzo al di fuori della musica per esprimere il suo mondo interiore. 
Ogni lato porta in seno una traccia del suo opposto. Alberto ha le braccia ricoperte di tatuaggi di Schiele a riprova della sua natura artistica. Lo pseudonimo Tananai racconta molto della persona che è Alberto. Il termine deriva da un etimo incerto del nord Italia e significa un ragazzo che non ha imparato molto, uno acerbo, un sempliciotto. Così era solito chiamarlo suo nonno e così ha deciso di presentare il suo progetto musicale al pubblico. 
Il dualismo del cantante classe ’95 si rispecchia nel suo nuovo singolo Esagerata, uscito lo scorso 3 dicembre e che, udite udite, lo porterà sul palco di Sanremo Giovani. Una svolta inaspettata per il ragazzo di Cologno Monzese che il 15 di dicembre gareggerà con alcuni tra i migliori giovani emergenti della musica italiana sul prestigioso palco del Teatro Ariston. 
Con Esagerata Tananai inaugura una nuova fase della sua carriera, dando una precisa connotazione alle sue nuove produzioni. Ancora una volta torna utile la metafora del dualismo. I suoi pezzi sono ingannevoli: ti portano dove vogliono e poi ti trafiggono il cuore. Il brano si costruisce un pezzo alla volta mentre Tananai con la sua solita Maleducazione canta dell’ennesima storia d’amore che ha mandato alla deriva. Il beat suggerisce un mood disinteressato, di certo non impegnato, almeno fino al ritornello dove avviene la magia. 
Però sei brava Solo in settimana Chissà dove ti sei buttata Tra le braccia di un idiota Sei una tipa complicata Sempre stata esagera— Non ti parlo più Da quando hai detto: "Non ti parlo più" E non ti vado giù Da quella storia che non ti va giù E non impari mai E non impari mai E non impari mai E non impari 
Synth e pad disegnano un loop dove il risentimento di Alberto è chiaro. Dopo numerosi tentativi di dialogo cede stremato, la base sfuma e lascia spazio a un ritornello che sublima il timbro basso e avvolgente della voce. Il bridge strumentale chiude il brano e senza accorgersene lo abbiamo già fatto ripartire.
Ma chi è Tananai e da dove salta fuori? 
Il progetto aperto nel 2019 dai singoli Volersi Male e Bear Grylls in realtà non è il primo per il talento lombardo. In pochi lo hanno riconosciuto, ma il primo pseudonimo di Alberto Cotta Ramusino è stato Not for us. Il primo amore di Tananai infatti è stata la musica elettronica che tutt’ora contamina le sue canzoni. Un progetto che stava andando a gonfie vele: tra i finalisti del talent televisivo Top Dj, vinto infine da Albert Marzinotto, e un trasferimento a Londra per lanciarsi verso il panorama internazionale. Salvo poi stufarsi. 
L’ormai ex dj ha raccontato in diverse interviste come avesse perso gli stimoli per un genere avviatosi verso il declino. A testimoniarlo l’evoluzione delle classifiche orientate verso altri mari. L’ascesa di quella massa potente quanto informe che in Italia è chiamato “indie” lo ha riportato all’ovile con una nuova sfida: cantare. Prima di Tananai infatti Alberto non aveva mai inciso la sua voce sui propri brani né aveva mai reso pubblici i suoi testi. 
Dopo i primi 3 singoli d’esordio tra i quali si cita Ichnusa, brano spartiacque della sua nuova carriera, pubblica Piccoli Boati, il suo primo EP capitanato da Giugno, presenza fissa della playlist Indie Triste targata Spotify. L’album ambientato nella periferia milanese è di una malinconia disarmante. Anche in questo caso Tananai si conferma il solito cazzaro citando Eugenio Montale in 10k scale e ironizzando sulla mancanza del bidet quando si viaggia all’estero in Bidet (e altre scuse per mancarsi). Fra rimandi intertestuali e gags però non si perde la retta via e l’EP si chiude ciclicamente come è iniziato: Saturnalia, il brano di chiusura, racconta di un vecchio festival di musica elettronica a cui il cantante era solito andare per ballare fino all’alba. In un capannone ora in disuso si concentra tutta l’emozione di Tananai. 
Dopo un modesto silenzio aggredisce il 2021 con Baby Goddamn: beat che ricorda il miglior Eminem e testa che proprio non riesce a stare ferma. In seguito Maleducazione e Esagerata, dove il ragazzo buono a nulla sembra essersi parzialmente ricongiunto con il suo primo amore per la musica elettronica. 
Il talento di Tananai non passa inosservato ai grandi della musica italiana. Di recente compare nel nuovo album di Fedez nel brano Le madri degli altri e ha collaborato con Jovanotti all’interno della nuova raccolta del padre del rap italiano intitolata Il Boom in uscita il 10 dicembre. 
La dialettica di Tananai è ammaliante. Chi sei e chi ti dà il diritto di stravolgere la mia vita in questo modo? Le innumerevoli storie d’amore che ha rovinato sono anche le nostre e, a differenza di quanto sottintende il nome d’arte, in ognuna di esse si nasconde un insegnamento. Tutta colpa della nostalgia, ma quanto è bello stare male.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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BROMANCE: MECNA E COCO CONTRO LA MASCOLINITÁ TOSSICA
Una battaglia che i due rapper hanno da sempre condotto a partire dalla dialettica dei testi e che mette di fronte ad una situazione più attuale che mai. Bromance, l’album collaborativo annunciato a sorpresa dall’omonimo singolo il 29 settembre, si schiera a favore dell’apertura emotiva affrontando una tematica più che mai attuale. 
Il rapporto tra Mecna e Coco, prima ancora di essere di natura professionale, è quello di due amici che condividono la stessa passione: la musica. Quasi ironicamente entrambi si chiamano Corrado, ma le loro affinità non si limitano al nome. Entrambi del sud, il primo pugliese il secondo campano, hanno dovuto compiere un viaggio che li ha portati lontani dalla loro terra, nel bene e nel male. Mecna in direzione Milano per sviluppare il suo primo grande amore per la grafica, Coco verso Londra in cerca di fortuna come pizzaboy (lo dice anche il nome Instagram). Insomma entrambi non hanno messo la musica come prima scelta, ma ci sono arrivati maturando e cercando ognuno la propria strada. Fortuna vuole che queste strade si sono poi incontrate: dopo vari featuring, il 22 ottobre esce Bromance, il loro album come duo targato Virgin Records e distribuito da Universal. È la sublimazione di una storia d’amore tra fratelli. 
Il progetto nasce e cresce nell’ombra, lontano dall’hype. Un prodotto che i due fratelli per scelta hanno cullato e accudito fra le pieghe delle loro vite accompagnati dai rispettivi musicisti: Lvnar, Seife e Alessandro Cianci per Mecna e Geeno per Coco. Menzione d’onore per Sick Luke che in Bromance torna a collaborare con Mecna dopo Neverland.  I messaggi vocali presenti in Amici dimostrano quanto sia stato difficile portare a termine un progetto così ambizioso senza intaccare gli impegni, e soprattutto i tour, di ognuno. Prima a distanza, poi in studio assieme, a casa l’uno dell’altro.
Mecna è un artista affermato con ormai 7 album all’attivo. Conserva la sua anima blue dal giorno zero, creando canzoni che si prestano ad essere dediche d’amore a tutti gli effetti. Coco invece, nonostante i tatuaggi in faccia, sembra essere addirittura più fragile. In diverse strofe ricorda il momento in cui per poco non decise di abbandonare la carriera artistica a causa del senso di insoddisfazione verso sé stesso e i suoi lavori, salvo poi rialzarsi ogni volta e rispondere con nuova musica. Acquario, l’album che lo ha traghettato fuori da questo vortice autodistruttivo, resta ancora oggi uno dei prodotti musicali più interessanti del 2019. 
La disarmante sensibilità de i Corrados permette loro di infondere significato nelle piccole cose che diamo per scontate. Un portone di un palazzo qualunque in XXO riporta alla mente storie d’amore sfortunate, sbocciate nel momento sbagliato. In La più bella la pizza del giorno dopo, concetto particolarmente italiano, diventa il metro di paragone con cui misurare i nostri sentimenti per un’altra persona. Mecna e Coco sono chirurgici nell’interpretazione delle turbe interiori, come possedessero uno speciale passepartout che gli permettesse di trasportare l’ascoltatore nei meandri delle menti altrui. In aggiunta, hanno la straordinaria capacità di rallentare e accelerare il flusso dei pensieri come avviene per la metrica nei loro pezzi. 
Il singolo Bromance con cui è stato annunciato l’album rappresenta perfettamente i due mood degli artisti, come uno schiaffo e una carezza. Nella prima parte il beat disegna un’atmosfera sognante che permette ai rapper di parlare della loro love story a distanza. Poi da lontano entra un’inconfondibile batteria hip-hop e tutto si fa più nitido. Mecna e Coco ci ricordano che sono la best couple: non quelli che vendono più degli altri, ma quelli che alla fine diventano i tuoi artisti preferiti. 
“Scusa se siamo arrivati senza annunciarlo Sai com'è, facciamo sempre il giro più largo (Lo sai) Non siamo nelle classifiche a fine anno Ma la tua tipa vuole venire con noi al ballo” 
Ancora una volta Mecna e Coco si riconfermano due inguaribili romantici entrati quasi per sbaglio nella giungla dell’hip-hop, se non fosse che tecnicamente ci stanno dentro eccome. Come dicono nel pezzo d’apertura del disco “tristi da quando non era figo” ed è vero, basti guardare ai lavori precedenti. Il loro rap è diverso: si discosta dalla struttura che predilige l’uomo spaccone e tutto d’un pezzo. La dialettica del rap è da sempre un argomento di dibattito. Episodi di misoginia e oggettificazione del corpo femminile sono ritenuti lo standard. Di recente però è in ascesa una nuova tendenza che sposta molti artisti dalla parte giusta della storia, per citare lo storico Barbero, rendendoli consapevoli dell’importanza della parità di genere nella società di oggi. Bromance si inserisce in questa corrente di pensiero in virtù dello stile di scrittura dei due rapper meridionali che fanno dell’introspezione il fulcro dei loro testi. 
L’estetica del dubbio che accomuna il dynamic duo sembra essere infine la loro fortuna: il senso di insoddisfazione e il bisogno di trovare risposte ai continui quesiti che gli si parano d’innanzi sono lo stimolo per superare sé stessi. I due si interrogano allo stesso modo sul senso della fine e sull’amarezza del primo caffè al mattino. Da questo annullamento di registro sorge la necessità di abbattere un altro opprimente muro, quello della mascolinità tossica. Con questa accezione si intende l’insieme degli stereotipi che definiscono l’uomo come essere dominante nella società e che lo vogliono misogino, omofobo e inibito nei suoi sentimenti. 
L’artwork del disco, curato dallo stesso Mecna, assesta il primo colpo. La figura di un cuore viene disegnata da due catene che lasciano a penzoloni due ciondoli da coppietta: due metà di un cuore spezzato sopra le quali vi è inciso il nome dei rapper. Il videoclip del singolo Bromance prosegue il discorso: Mecna e Coco si siedono a contemplare le immagini della loro amicizia divisa fra studio, comparse a concerti, pranzi, cene e momenti di svago promettendosi fedeltà reciproca. Il film prosegue mentre il mood hip-hop entra in scena e i rapper, ora vestiti in felpa rosa Bromance, cantano davanti alle rispettive scenografie (Mecna con le celebri faccine tristi e Coco con i graffiti in corsivo). 
I due artisti che hanno messo la loro amicizia prima del business posano un ulteriore tassello a favore di una libertà che è di tutti gli uomini, ma dalla quale molti prendono le distanze per paura. I profili stereotipici entro i quali la società tende a incasellarci sono ingombranti al punto da inibire l’uomo nei suoi atteggiamenti e comportamenti, frenandolo dal sentirsi libero di esprimere il suo mondo interiore. Se è vero che i testi hanno il potere di riorganizzare una cultura dall’interno, dobbiamo sperare in una maggiore proliferazione di materiale come Bromance. Mecna e Coco sono due uomini che non hanno mai avuto paura di mettere in gioco la loro fragilità nonostante gli sguardi storti dei colleghi. Non solo: abbracciare la propria emotività ha permesso loro di affermarsi negli astrusi meccanismi del rap. In un paese che più volte ha chiuso un occhio di fronte ad atti di violenza di genere e che a volte sembra non prendere seriamente in considerazione le conseguenze che questi episodi hanno sulla salute mentale, non possiamo fare altro che sperare in un’ascesa di un pensiero nuovo: lontano dagli stilemi della società e più vicini l’un l’altro.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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BLANCO: perché funziona?
Se non avete mai sentito parlare di Blanco probabilmente vivete in una grotta o siete sprovvisti di qualsivoglia forma di rete di comunicazione. Il che è un peccato, perché è uno di quegli artisti che anche se non ti piacciono non riesci a fare a meno di canticchiarlo. Ogni intro scandita dalla celebre tag (Blanchito beibe, Michelangelo… mettimi le ali) è un invito a nozze.  Per i pochissimi che non hanno idea di quanto appena letto, un rapido riassunto: Blanco, all’anagrafe Riccardo Fabbriconi, è un ragazzo della provincia di Brescia che neanche maggiorenne ha stravolto le classifiche italiane e non solo. Scoperto durante il primo lockdown di marzo 2020, sale alla ribalta nell’estate dello stesso anno con l’uscita del singolo “Notti in Bianco”, considerato ad oggi un taglio generazionale della musica italiana. L’attenzione mediatica che ne consegue lo porta a contatto con diverse personalità di spicco del settore: da qui il featuring con Mace e Salmo ne “La Canzone Nostra” e la comparsa nell’album di Madame in “Tutti Muoiono” oltre che nel progetto 64 bars targato Red Bull con “Dio Perdonami”. Il 9 settembre di quest’anno, dopo più di un anno di lavoro assieme all’inseparabile Michelangelo, suo produttore, l’Italia è pronta: “Blu Celeste”, il suo primo album, esordisce ai vertici delle classifiche in Italia e si stabilisce dopo 72 al terzo posto nella classifica degli album più ascoltati al mondo di Spotify. Allo stato attuale, con la ripresa degli eventi dal vivo, il paese freme all’idea di un tour di Blanco che sembra deciso a confermare le voci che lo descrivono come il futuro della musica italiana. Per quanto questo appellativo sia affrettato e a dir poco rischioso, bisogna dare a Blanco quel che è di Blanco. Nonostante la rapidissima ascesa, il successo di cui gode oggi non gli è di certo piovuto addosso dal cielo. La decisione di lasciare la scuola, presa in accordo con i genitori, per dedicarsi completamente alla sua arte non lo ha reso meno maturo, anzi, forse più consapevole. In più interviste ha ammesso di essersi sentito poco stimolato dal sistema scolastico italiano e che questo lo ha portato ad approfondire di più le sue passioni e sé stesso. Di fatto il canto e la scrittura sono delle novità, valvole di sfogo senza le quali esploderebbe, interessi che lo hanno stregato e su cui ha ancora ampi margini di miglioramento. Di certo a soli 18 anni la vita è ancora una scoperta. Ma come è riuscito un ragazzo così giovane a raggiungere il successo durante una pandemia e in così poco tempo? L’elemento che rende Blanco immediatamente riconoscibile è la voce: potente e selvaggia, ma sempre tendente all’intonazione. Nelle prime apparizioni davanti agli schermi un leggero autotune sembrava necessario a completare la performance del giovane artista. Oggi invece il canto è molto più educato e controllato. Ma è proprio questo aspetto grezzo e acerbo che lo ha reso un’icona per le nuove generazioni. Come molti adolescenti anche Blanco ha iniziato strillando rime a casaccio nella cameretta, ma come si poteva notare dai brevi estratti Instagram che concedeva ai suoi follower, sembrava farlo in maniera più sciolta, privo di quell’ansia da prestazione che causa la sezione commenti. A distanza di tempo e con album all’attivo Riccardo non ha perso l’incoscienza che si riconosce nelle sue urla, ma fa proprio di queste il punto di forza della sua musica. Spesso le strofe si perdono in strascichi sbuffati e nevrotici, dove Blanco sembra a tutti gli effetti posseduto dall’anima della sua stessa canzone. Una tendenza che si è riconosciuta fin da subito in “Belladonna (Adieu)”, primo singolo pubblicato, che vede la giovane superstar alle prese con una metrica sconclusionata, più recitata che cantata alle volte. Una volta raddrizzato il tiro nei brani successivi (decisamente più impacchettati per il mercato musicale odierno) il gioco era fatto. Blanco è riuscito a condensare nel suo timbro il grido giovanile che molti si vergognano di urlare al cielo perché è cringe. Quando i genitori non ne vogliono sapere di capirti e nemmeno gli amici riescono a sollevarti, quando anche l’ultima speranza della tua giovane vita sembra già sul punto di lasciarti. Blanco, nel suo atteggiamento yolo (you only live once), è l’emblema di questa categoria di ragazzi a metà tra l’esasperato protagonismo e la paralizzante timidezza. Non a caso di recente Spotify ha creato una playlist editoriale dal nome Sangue Giovane, la cui prima edizione ritraeva proprio il ragazzo classe 2003 in copertina. Qui si raccolgono brani che, come quelli di Blanco, condividono la stessa grinta emotiva che ha portato diversi giovani artisti sulla strada dell’emancipazione musicale. È l’intenzione a renderlo speciale, un istinto naturale fatto di occhi spalancati e saliva alla bocca. La voce di Blanco si conferma la matrice di ogni suo pezzo, poiché è da lì che parte la magia. L’album Blu Celeste infatti è costellato di produzioni molto variegate fra loro che spaziano dal synth pop, alle ballad piano e voce fino ad arrivare a suoni tipicamente trap e punk-rock. Nonostante questa diversità ciò che indirizza la canzone è sempre la sua voce, i larghi sospiri e la bocca spalancata ad urlare più forte di quanto fatto in precedenza. A bilanciare gli stridii, falsetti angelici e vagiti onirici gli pervadono le viscere, dimostrando di essere capace di provare emozioni forti per poi impiantarle e riprodurle nei cuori altrui. L’equilibrio tra i registri canori conferma la sua capacità di misurarsi e di riconoscere i momenti topici di ogni pezzo. Dall’unione di un ragazzo esagitato e di urla scatenate non ci si aspetta una tale maturità, soprattutto se si pensa ancora una volta alla sua età, ma Blanchito è tutto questo e non solo. Nell’era odierna che vede la musica governata da una costante commistione di genere, Blanco viene spesso inserito nella categoria del rapcore. In realtà lui stesso afferma di non sentirsi né un rapper né un cantante, “chiamatemi come volete” dice ad ESSE Magazine, basta che lo si lasci esprimere in modo libero. Con questa libertà ci ha creato un genere tutto personale che di questo passo rischia di diventare una religione. Non eccessivamente scatenato, ma nemmeno imbrigliato: precisamente bilanciato. A misura di Blanco. Per avvalorare le doti musicali oggigiorno è necessaria una cura maniacale del personaggio per renderlo accattivante al punto giusto, in linea con i gusti del proprio pubblico. In risposta Blanchito si spoglia nudo in mezzo alla natura stuzzicando immaginari primordiali come pochi hanno fatto prima d’ora. A meno che non si tratti di interviste è difficile imbattersi in un Blanco vestito. Nei primi videoclip che lo vedevano saltare e sbraitare a petto nudo si ha assistito alla nascita di questa tendenza, mentre in quelli che accompagnano i brani di Blu Celeste lo vedono nudo immerso in ambienti bucolici, nei boschi, nel deserto o mentre cerca di tenersi in equilibrio sopra gli scogli. L’immaginario che gli è stato cucito addosso riprende quella caratteristica selvaggia e animale che echeggia nelle sue canzoni. Coperto spesso solo da un paio di mutande invece che da una foglia di fico, Blanco veste i panni di un uomo primitivo guidato dalle proprie esigenze fondamentali. Deve ancora scoprire molto di sé stesso e del mondo che lo circonda, quindi va a tastoni: conosce con le mani, schiaccia la fatica sotto ai piedi, assaggia con corpo e mente le sensazioni che la terra ha da offrirgli. È lui stesso ad affermare come sia spesso la natura ad ispirarlo, tanto da portarlo a riflettere poco vestito, per così dire, in un bosco vicino casa non solo nei videoclip ma anche nella vita reale. Il ruolo tematico dell’uomo primitivo giustifica i suoi comportamenti eccentrici, i suoi ratti schizofrenici e gli sfoghi attraverso i quali parla di sé, delle sue ansie e delle sue paure, delle persone che gli mancano e delle persone che ama. Tutto alla massima potenza. Oltretutto la nudità lo insignisce del valore dell’umiltà, qualità dell’essere umano che, a suo dire, non va mai dimenticata. Soprattutto per uno nella sua posizione, sedotto da mille tentazioni in giovane età ci metterebbe un secondo a perdere la giusta rotta, per questo si augura di rimanere la persona di sempre e di non staccare mai i piedi da terra se non per volare assieme a Michelangelo.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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MiAmi, già Mi Manchi.
L’idea di partenza era quella di parlare di Simpatico, solare, in cerca di amicizie, album d’esordio di Vipra. Sapere che sarebbe stato l’artista di punta della giornata di sabato al MiAmi fest, mi forniva l’occasione di raccontarvelo nella sua veste live, più vera e umana. Ma dopo aver avuto il privilegio di esserci stato al MiAmi e aver poter riassaporare l’atmosfera che solo un festival può regalare, i piani sono saltati e ho deciso di andare freestyle.  Niente descrizioni forbite stavolta. Di getto racconto il mio ritorno ad un concerto, con gli occhi di un ragazzo che vive per la musica. 
Premetto che non ero mai stato al MiAmi, un’istituzione a mio avviso per quanto riguarda il panorama della musica indipendente italiana. Alla salda guida di Carlo Pastore, personalità che tanto ha fatto e continua a fare per la musica emergente, il festival quest’anno assume una nuova identità: cancellate MiAmi e scrivete Mi Manchi. I presupposti per riempire il Circolo Magnolia di amore incondizionato ci sono tutti. 
All’ingresso del parco dell’idroscalo di Milano mi viene controllata la temperatura corporea, pratica alla quale siamo tutti ormai più che abituati. Dopo che la security si è sincerata che non ci fosse una molotov nel mio zaino (testuali parole) al posto della borraccia, mi viene consentito l’accesso. Ci siamo, sono nel mio habitat naturale, come quando si toglie il guinzaglio al cane in spiaggia. Nel verde viene allestita una prima area relax fatta di panche, tavoli da sagra e sedie sdraio. Tutto molto indie. L’area concerti invece sta un po’ più in là, dove mi viene controllato il biglietto acquistato su Dice (nuovo circolo di biglietti online consigliatissimo e al passo coi tempi, non come TicketOne if you know what i mean). 
Appena entro incontro una mia amica offertasi come volontaria per i 3 giorni del festival che mi spiega tutte le cose che posso fare e non posso fare. Ancora una volta si ringrazia la pandemia, ma non mi lamento affatto. Sulla destra si riconosce l’ingresso del backstage, luogo che frequenterò spesso nelle ore successive. Vengo accompagnato al mio posto a sedere e scopro di essere letteralmente davanti al palco, in quinta fila. Meglio di così non si può mi dico. La zona bar rimane per tutto il tempo mediamente affollata, ma nessuno viola le norme di distanziamento sociale nemmeno per un secondo. Stessa sorte per la zona dedicata al merchandising, dove ognuno si avvicina in modo ordinato e scambia due parole con il personale. L’atmosfera è rilassata come non succedeva da tempo. Sembra di essere in un sogno e nemmeno le zanzare riescono ad infastidirmi. È Natale e io ho 10 anni. Gli occhi mi brillano. Prima che iniziassero le performance già si nota qualche artista intrattenersi con il pubblico ora al bar ora al merch. Ci faccio un salto e ci trovo Alessio Kaneki degli PSICOLOGI. Sta vendendo le magliette e i cappellini dei bnkr44, quei giovani ragazzi che hanno portato una buona parte del pubblico alla giornata di sabato. Gli chiedo cosa mi consiglia e me ne torno al mio posto con un cappellino (fighissimo manco sto a dirvelo) e una maglietta. Tutto sta tornando piano piano alla normalità e mi si stampa uno stupido sorriso in faccia che non scomparirà fino al giorno dopo. 
Il duo dei Gbresci aprono le danze. Un antipasto dal gusto dolceamaro: l’autotune sopra la chitarra distorta mi riporta indietro al mio primo festival quando avevo a malapena 18 anni. Nonostante la tristezza e la rassegnazione dei testi (mood che adoro, chi mi conosce lo sa bene) già mi gusto l’eccitazione di aver scoperto una nuova e freschissima realtà musicale (e non solo, scopro più tardi che Gbresci è un collettivo di artisti a tutto tondo, tra i quali anche grafici e videomaker). Poco dopo raccontano di essere alla prima esperienza live; la band è nata in lockdown. È tutto bellissimo. A seguire un mio cavallo di battaglia annunciato: Giuse the Lizia, fresco di firma per Maciste Dischi mi ha già stregato con Vietnam, suo unico singolo all’attivo. Anche lui all’esordio su un palco (e che palco, lo ammette lui stesso), armato solamente della sua chitarra e della sua attitude da regaz di Bologna, si fa volere bene. Voce graffiante e destrezza alla chitarra convincono il pubblico che comincia a scaldarsi. Porta sul palco Mr.Monkey, produttore di Vietnam, e comincio la mia danza seduta. Quando si congeda dallo stage lo aspetto al varco del backstage e ho l’occasione di scambiarci due parole (scusatemi, sono fatto così). Mentre ci fumiamo una sigaretta scopro con grande sorpresa la sua età: 19 anni, ma scherziamo? Di Palermo, ma fuori sede a Bologna per studiare giurisprudenza. Praticamente è in corso con il mio coinquilino, assurdo. Non vedo l’ora di sentire roba nuova gli dico, soprattutto il trap take rilasciato per Radio 105. Ancora fremente dal suo esordio si concede una birra mentre io torno al mio posto. Ancora per poco però. È il turno di ETT ma sarò sincero: non ho avuto occasione di ascoltare nulla perché distratto (manco mi fosse dispiaciuto) dall’apparizione di Dario Pasqualini prima (cantante degli Iside) e dal management di Bomba Dischi poi. Con Dario è una figura di merda allucinante: mi mancano le parole ma riesco a complimentarmi per Anatomia Cristallo, album d’esordio della band bergamasca, e rimedio una foto scattata dalla sua ragazza, in arte HÅN, anche lei musicista e cantante. Ci congediamo con la promessa di rivederci il 24 giugno nello stesso posto, al Gran Teatro all’aperto in occasione dell’Ape x Magnolia, altro festival che li vedrà protagonisti assieme a Post Nebbia e Marco Castello. Con la scusa di scattare una foto alla mia amica in casacca gialla da volontaria reincontro Kaneki, che stavolta è assieme ai suoi manager. Gli infognati come me sanno di chi si tratta: Alberto Paone, manager per Bomba Dischi e batterista di Calcutta, mi corregge quando per la terza volta lo chiamo Riccardo. Ad accompagnarlo il maestro Davide Caucci, talent scout che ha scoperto e lanciato artisti come gli Psicologi appunto e una ragazza di nome Ariete, forse qualcuno l’ha sentita nominare. Kaneki insiste per un selfie di gruppo, quindi daje. Me ne vado, perché è il turno di Laila Al Habash, lieta sorpresa della giornata. La ragazza classe ‘98 dal sangue palestinese si mangia il palco assieme all’amica Matilde, in arte Plastica, alla tastiera. I suoi movimenti sensuali catturano l’attenzione anche di chi le dà le spalle, la voce bollente fa il resto. Un gruppo di ragazzi seduti davanti a me non riesce a trattenersi e scoppia in una danza covid friendly e io non posso che adagiarmi sullo stesso vibe. Ad un certo punto la cover de La fine dell’estate dei Thegiornalisti mi colpisce dritto al cuore. È il primo video per Instagram lol. Giunti al giro di boa, tutto il pubblico sta aspettando la rivelazione di fine 2020. I bnkr44 aggrediscono il palco con la fame dei vent’anni. Straripanti di energia mettono in scena una performance unica nel suo genere: un divano al centro del palco (simbolo del bunker che per loro significa casa), una tastiera a sinistra e una tela bianca a destra. Il giovane collettivo di Empoli alterna canzoni in gruppo a pezzi solisti che gradualmente stanno pubblicando nei loro EP. La delicatezza di Erin e Piccolo commuove un paio di ragazze di fronte a me, mentre l’arroganza di Faster e Fares galvanizzano il resto del pubblico. A fare da moderatori JXN alle basi e Caph alle seconde voci. Sul finale portano sul palco anche Kaneki per Temporale e Finale Strano, canzone che vede tutti e 6 gli artisti cantare all’unisono. La performance termina con Erin letteralmente a testa in giù. Quanto possono dare alla musica questi ragazzi non è quantificabile. Sono le 21.30 ma non ho ancora fame. So però che non posso perdermi nemmeno un secondo di quello che sta per accadere, quindi vado a prendere una pizza che lascio raffreddare sulla sedia accanto a me. È giunto il momento che tutti stanno aspettando, il motivo per cui mi trovo a Milano il 5 giugno invece che essere a casa a studiare. Sento lo stesso brivido che mi percorreva la schiena prima di un concerto dei Sxrrxwland: è il turno di Vipra. L’intro di Siamo Seri suona all’infinito mentre il palco si oscura. All’accensione delle luci, la sagoma di Vipra si inchina ricordandomi un supercattivo di un anime di cui tutt’ora non riesco a ricordare il nome. Ad accompagnarlo gli Inude, amici e compaesani del cantante pugliese, e Mr.Monkey, produttore pluridisco d’oro già visto in precedenza con Giuse the Lizia. C’è qualcosa di strano. La voce non sta al passo con la metrica del pezzo e quando il brano si conclude si spiega tutto. Vipra è nel mezzo di un attacco di panico e non lo nasconde. Racconta in affanno di quanto siano state estenuanti le prove che si sono concentrate in 3 giorni, causando la tendinite al batterista. I ragazzi della band non hanno potuto salire a Milano con grande anticipo per cause lavorative. Con voce tremolante dice: “il ritratto più fedele della musica italiana in questo momento”. Davanti alle sue parole metà del pubblico lo capisce e lo compatisce, mentre i restanti sembrano increduli. Dopo tutto non so quante altre volte si siano trovati d’innanzi una scena simile. Ma se ho imparato qualcosa dai concerti precedenti a cui ho assistito, è che a Vipra i primi pezzi servono per scaldarsi e riprendere coscienza. Infatti basta poco per far ricredere i più scettici. La voce affaticata si sente, ma non nuoce ad uno spettacolo fatto non soltanto di musica, ma anche di stand up comedy. Giovanni si dimostra uno showman a 360° riempiendo i tempi morti con gag improvvisate ricche di autoironia e di critica sociale. Non posso fare altro che dichiarargli il mio amore. Giunti al primo featuring dell’album, apprendo che canterà comunque tutti i brani, interpretando anche le strofe di Fulminacci in Cancella File e di Margherita Vicario in Baby Mama. Il messia dai capelli lunghi è un dio benevolo. Il pubblico torna presto a suo agio. Canta, balla e si emoziona, ma sinceramente faccio fatica a rendermene conto perché in preda ad un attacco d’euforia: urlo, scalcio e scalpito sul posto. Visto da fuori deve essere stato uno spettacolo agghiacciante. Sono finalmente nel posto in cui dovrei essere al momento giusto. La tensione emotiva si alza quando Vipra viene raggiunto sul palco da Jack, in arte Osore, personaggio che mi manda in orbita per la sua misantropia e il talento nelle produzioni. Non so in quanti possano vantare una conversazione di mezz’ora con Jack. Io sono uno di quei pochi. Abbandono i ricordi dei Sxrrxwland per tornare alla realtà: Febbre è una sberla in faccia (come mi aspettavo), SXR un pugno dritto allo stomaco. Per un secondo sono certo che stia per salire sul palco pure Tremila, ma il sogno non si avvera. Va bene comunque, perché le automazioni del launchpad di Osore mi regalano di nuovo quelle sensazioni. Mando un bacio a Gino da lontano e continuo a scatenarmi. È il turno di cmqmartina, regina della prima giornata del Mi Manchi. Ora capisco cosa intendeva Vipra quando diceva di aver fatto un disco da pogo nel peggior periodo storico per pubblicarlo. Tagadà è una martellata che rispedisce indietro nel tempo. Non sono l’unico che fatica a restare seduto, ma la performance non ha ancora raggiunto il climax. Dopo un paio di malfunzionamenti all’autotune, Ciao bella mette tutti d’accordo e riporta in vita il famigerato motivo di “bella ciao” declinato al punk. Il bis del ritornello finale non basta ad appagare il virtuosismo della band che si lascia andare ad un intermezzo suonato che spacca i timpani. I toni si abbassano per Ragazzino, pezzo finale del concerto, introdotto dalla chitarra di Mr.Monkey e sublimato dall’ultimo intervento in crescendo degli Inude. “Non fare il ragazzino” canta Vipra e io mi ci rivedo pienamente. Il miscuglio di generi che confluisce nel pop del ragazzo di Nardò è un’istantanea della perdizione che affligge i giovani d’oggi, offuscati da pressioni e aspettative che non riescono a soddisfare. Ci svegliamo stanchi ogni giorno e non sappiamo il perché. Appesantiti da una costante sensazione di vuoto che colmiamo con sedativi di ogni sorta. Quando esprimiamo la nostra opinione, non veniamo presi in considerazione. Sono giovani, che vuoi che facciano? Poi ci viene detto di non fare i ragazzini. Quindi chi siamo? Nel curriculum, alla voce soft skills, scriveremo: Simpatico, solare, in cerca di amicizie, per colpa vostra. 
Il coprifuoco è vicino. Giovanni ringrazia e noi ringraziamo lui. Chiediamo l’ultima, come da usanza, ma il mondo deve ancora tornare del tutto alla normalità. Ci viene gentilmente chiesto di avvicinarci all’uscita e inizia l’esodo. Stavolta però non si vedono bronci, ma solo sorrisi. Saluto il MiAmi/Mi Manchi totalmente distrutto. Un grazie non sarà mai abbastanza.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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ISIDE, ANATOMIA DELLE EMOZIONI
L’album d’esordio degli Iside, Anatomia Cristallo, è un distillato del XXI secolo. Un lavoro ambizioso e maniacale. Un dialogo introspettivo con l’animo umano.
Un cristallo è un solido i cui atomi sono ordinati nello spazio con regolare periodicità determinando forme poliedriche. Si dice cristallina una cosa limpida, chiara, trasparente. Ogni volto di un cristallo infatti può essere visto attraverso. Il cristallo modellato dagli Iside però ha un’ulteriore peculiarità. Nelle sue facce ci si può specchiare; ci si può riconoscere o riscoprire. 
L’anatomia di un cristallo non si allontana da quella di un essere umano. Stavolta però sul tavolo dell’autopsia non troviamo un corpo fisico, già analizzato in abbondanza dalle cosiddette scienze dure, ma un corpo etereo: quello delle emozioni. 
Le scienze che più indagano le emozioni, oltre a quelle cognitive, sono quelle artistiche, che per antonomasia utilizzano un approccio lontano dalla scomposizione in minime parti. Le emozioni affiorano se poste in relazione, nei momenti di contatto e cooperazione, esattamente quello che è avvenuto quando i quattro ragazzi classe ’96 si sono isolati sulle montagne bergamasche durante il lockdown.  Anatomia Cristallo è uno studio dei sentimenti più irruenti e incontrollabili. Così complicati che per essere studiati, dovevano prima prendere forma attraverso il loro racconto. 
Per comprendere meglio un lavoro tanto complesso è utile affidarsi al lavoro di Paul Ekman, psicologo e luminare nell’ambito delle emozioni. A partire dagli anni ’50 si dedicò allo studio delle espressioni facciali per dimostrare come queste fossero direttamente connesse con gli studi sulla personalità. La psicologia sociale mostrò un crescente interesse per le sue ricerche in ottica evolutiva, mentre Ekman cominciava a focalizzarsi sempre di più sullo studio delle emozioni. In seguito a numerose indagini svolte sulle comunità più disparate (tra le quali anche tribù non civilizzate) riuscì a dimostrare l’esistenza di un catalogo di emozioni universali comuni a tutte le culture. La cosiddetta teoria neuroculturale di Ekman riprende gli studi di Darwin che considerava le espressioni corporee come manifestazioni di emozioni generate da pattern neurobiologici ereditari. 
Nel suo studio lo psicologo inocula 6 emozioni primarie: 
1. Rabbia 2. Paura 3. Tristezza 4. Felicità 5. Sorpresa 6. Disgusto 
Successivamente Ekman e il PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) hanno individuato altre 21 emozioni secondarie, risultanti di analisi più approfondite sulle prime 6 emozioni (lista completa al link: https://www.wired.it/scienza/lab/2017/09/13/nuove-emozioni-umane/).
Ascoltando per la prima volta Anatomia Cristallo si viene risucchiati in un vortice di sensazioni che tolgono il fiato. Nessuna conoscenza, appresa o innata, riesce a spiegare quello che si sta ascoltando. La parola da sola non basta: sono le emozioni a farci da guida. L’anatomia degli Iside è un dilemma decodificabile solo attraverso l’emotività, per questo gli studi di Ekman offrono una chiave di lettura provvidenziale. 
Le produzioni sono fondamentali nella costruzione del senso emotivo. I suoni vengono scelti, scomposti e rimescolati in un cocktail dall’equilibrio perfetto. Chitarre classiche, synth vintage e percussioni digitali annullano i confini dei generi in favore di un unico flusso di coscienza. La musica è filtrata dallo schermo intangibile della personalità: ora ovattata perché proviene dal profondo, ora ritagliata e incollata come in un collage per mettere ordine e dare senso all’impronunciabile. Viene data nuova connotazione alle pause: dove non ci si aspetta che la base possa interrompersi, ecco che questa si spegne improvvisamente, mentre la voce prosegue la sua recitazione. L’effetto che si crea è straniante, ma lascia l’ascoltatore in trepida attesa che si ripeta. Come un uno space vertigo: sai che prima o poi cadrai verso il basso. Aspetti. E aspetti. E quando arriva, diventi brivido. 
“Nel nostro processo di lavoro, non abbiamo mai cercato uno standard, una formula che fosse sempre giusta. Abbiamo sempre posto in prima posizione la migliore possibilità in quello specifico brano, senza necessariamente cadere nella struttura strofa-ritornello. Le canzoni sono piuttosto flussi di coscienza pieni di contrapposizioni che si susseguono in modo naturale dal momento in cui si cerca di auto analizzarsi. La struttura si costruiva di conseguenza, segue il momento, le scene che si disegnano. Non è necessariamente una scelta giusta, sicuramente rischiosa, ma è sincera. La sincerità nell’arte è la cosa fondamentale, rispecchia il contesto, il campo d’azione in cui agisce, funziona all’interno del proprio spazio, nella propria cornice.” (Iside a DLSO) 
Per quanto riguarda i testi, la semantica è raffinata. Le citazioni ricercate e colte. Le immagini evocative tipiche della nostra epoca. L’organizzazione tuttavia è ermetica: i concetti a volte restano inconclusi, ora vittima della bassa soglia dell’attenzione generazionale, ora della lacerante incursione di un pensiero sbagliato. Ogni brano inoltre possiede una “v” seguita da un numero. Un escamotage con cui la band fa sapere quanto ogni brano sia frutto di numerose revisioni e aggiustamenti. Il numero corrisponde alla versione del pezzo che è stata scelta per essere inserita nell’album. 
“Le parole scelte vanno spesso in contrapposizione, smentiscono il concetto detto prima, lo modificano e spostano il punto del discorso su quello successivo: un continuo rincorrere quello che ci sarà dopo, dimenticando cosa c’è stato prima, perché ormai è passato, è inutile, il presente è condizionato da altri pensieri validi solamente ora. Ora siamo delicati e dolci, ora invece gridiamo in faccia tutti problemi della nostra esistenza.”  (Iside a DLSO)
Ogni emozione che proviamo è un cristallo puro e bellissimo, al contempo inafferrabile e incomprensibile. Anatomia Cristallo è tutto questo. 
Partendo dalle pulsioni euforiche, Che Mutande Hai v9 è l’adorazione. Un’ossessione al limite dello stalking, la brama di sapere tutto della persona che vive oltre quella finestra. La peculiare ritualità di un voyeur sfocia nell’innamoramento, una delle emozioni più dominanti. Quest’ultima si ritrova anche in Incantesimi v96, atipica poesia d’amore che il cantante dedica alla propria ragazza, oltre che in Margherita v11, secondo singolo estratto dall’album. 
Mostrami tutti i tuoi pericoli Sei una margherita in mezzo al prato Posso pungerti? Dimmi di sì Quando mi sfori, ho le vertigini Con un bacio mi hai avvelenato Penso solo a te, non è orribile (Margherita v11) 
L’adorazione di Crisi v8 invece agisce retrospettivamente provocando imbarazzo. È la totale remissione all’altro. L’assenza di autocontrollo ci rende spesso vittime di una fremente eccitazione. Non c’è più ragione, siamo anestetizzati, vittime di una realtà kafkiana che ci avvolge ogni volta che si incrocia quello sguardo. 
Imbarazzo presente anche in Faccio Schifo v4, mutilazione dell’autostima. Un susseguirsi di eventi e pensieri negativi che conducono all’autodistruzione. Nel bridge finale l’imbarazzo sfuma e diventa soggezione, furia interiore che solo il dolore empatico può placare. 
Oddio che imbarazzo, non ci posso credere Ho fatto un disastro, ti prego non mi uccidere Mi sono distratto mentre ti guardavo ridere (Faccio Schifo v4) 
Asimmetrico v10 vede la negazione dell’imbarazzo in favore di una calma cristallina. In un testo malinconico la voce si posa delicata sulle note di chitarra, medicando le ferite dei pezzi precedenti. È un pit-stop, una pausa di riflessione necessaria. Qui non siamo vittime degli eventi, ma guardiamo distaccati quello che ci circonda. Cinismo e apatia si sfiorano. Di fronte allo specchio, quando cogliamo i dettagli più scomodi del nostro viso, la calma diventa l’unica forza per non abbatterci. 
Un’emozione centrale nella dialettica degli Iside è il desiderio sessuale, già da tempo in repertorio in brani come Nessuno. In Anatomia Cristallo la horniness permea in più canzoni: da Margherita v11 ad Alieni v9, fino a Pastiglia v7, primo singolo estratto dall’album. Alieni v9, uno dei pochi pezzi in cui si riconosce la gioia, è pregno di immagini erotiche dalle quali si riconoscono i momenti che scandiscono il rapporto sessuale: la saliva sul collo, “ballare l’hula-hoop” e addormentarsi con la testa appoggiata ai seni. È l’attrazione magnetica fra due corpi. Le percussioni concitate invece rendono l’erotismo di Pastiglia v7 ancor più limpido. Il sentimento accessorio è sicuramente l’estasi scatenata dall’unione di due corpi: 
Leccami di nottе le ferite dеl cuore Senza pudore, passa per osmosi l'odore […] Riempimi di botte, saltami sull'addome Finché non piove, mi sentirai urlare il tuo nome (Pastiglia v7) 
A guidare il concept dell’album è però la sfera disforica delle emozioni. In Miopia v3 si scontrano disgusto e nostalgia: la repulsione per una persona si mischia al fascino di ricordi amorosi. Ne consegue un’inibizione esistenziale: siamo naufraghi in un mare in tempesta. 
Un disgusto di carattere più misantropico risiede in Gonna v5, pezzo più criptico dell’album. Una canzone ispirata dall’arte di Basquiat, dalla quale emerge una profonda confusione che fonde paura, ansia, e ammirazione. Il risultato è l’autodistruzione. La produzione scandisce due mood: uno tranquillo e leggero a cui risponde uno rabbioso e ansiogeno. Introdurre il disco con questo brano è un azzardo. Il primo ascolto è straniante; non dà una chiara direzione all’ascoltatore, al contrario lo disarma. Solo al termine dell’album si riconosce il suo valore. L’invito è quello di spogliarsi da ogni struttura. A fare da guida è l’anima, piccola lanterna nella pancia di una balena. 
Io Ho Paura v0 e Pazzia v1 sono la paura. La prima, la celebrazione del timore. Stare da soli, l’insonnia, il buio. La paranoia provoca il raptus di follia che stravolge il finale. Pazzia v1 invece esige di essere urlata: VAFFANCULO ANGOSCE. A colloquio con i propri demoni, spicca l’ansia che toglie il sonno. L’unica soluzione è la condivisione: in due si è più forti. 
Tremo forte, mi sveglio sempre la notte Pieno di, pieno di botte Vaffanculo angosce (Pazzia v1) 
Infarto v666 (unica versione ironica assieme a Incantesimi v96) è il terreno della rabbia che esplode in urla liberatorie. È una giornata iniziata male che prosegue in peggio. Non c’è la forza di sopportare, tantomeno di reagire. Ci si schiera contro il mondo senza sentire ragioni. 
L’ultima nota di merito va a Breakout v10, unico featuring del disco assieme a Sethu. Si celebra la tristezza che abbraccia tutto il disco. È la depressione giovanile, l’istinto suicida che si annida nella testa, ma che non riusciamo ad ammettere. 
Break out, cazzo, mi ammazzo tra un'ora Chiuso dentro al bagno il mio cervello si detona Mi chiedi: "Come stai?", "male" non lo dirò mai Male non lo dirò mai, ehi (Breakout v10) 
I timbri vocali di Dario e Sethu si mettono a confronto creando un effetto ossimorico: la voce degli Iside, più dolce e sognante, sintetizza in una quartina l’assilo esistenziale della gioventù odierna: 
Solitari invidiamo agli alveari di essere così speciali  E sempre innamorati delle loro api Noi umani divеntiamo criminali e bipolari Forse perché abbiamo ricеvuto troppi pochi baci  (Breakout v10)
Sethu è un prigioniero che risponde a una vita di soprusi. Sputa le ansie nell’unica maniera che conosce: gridandoti in faccia. 
Qualcosa è andato storto, bitch, non ho sonno E non ho più paura di una Glock contro il collo Mi dice: "Fatti vivo" e sono morto da una vita (Breakout v10)
Anima Cristallo è il viaggio di un gruppo di ragazzi coraggiosi abbastanza da guardarsi dentro e non aver paura di cadere. Il cristallo multiforme degli Iside offre prospettive con cui identificarsi o smentirsi. Certo è che un disco tanto elaborato rappresenta bene l’immaginario giovanile, con tutte le contraddizioni e le incongruenze del caso. La pressione di essere qualcuno e l’ansia di non essere abbastanza. 
Gli Iside sono Dario Pasqualini, Daniele Capoferri, Giorgio Pesenti e Dario Riboli. Bravi ragazzi, laureati, sensibili, ironici: artisti. Anima Cristallo è il loro album d’esordio fuori su tutti i digital stores per SonyMusic. Prenditi un istante per guardarti allo specchio.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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IL BUNKER SI TINGE DI AMARANTO
Dopo Distaccato di Fares (prodotto da JXN) e Luce spenta di Erin (autoprodotto assieme a Caph), è il turno di Piccolo. Il terzo progetto solista in uscita dal bunker è Amaranto: 7 tracce prodotte da Erin e Caph pronte a stravolgere il concetto di malinconia. 
Per contestualizzare, un rapido excursus sui bnkr44. Trattasi di un collettivo proveniente dalla provincia di Empoli composto da ragazzi poco più che ventenni. Dopo essersi affermati su SoundCloud, vengono invitati dal duo degli Psicologi ad aprire alcune delle date del tour estivo 2020. Poco più tardi vengono scritturati da Bomba Dischi (etichetta discografica degli stessi Psicologi e di Calcutta) che pubblica alcuni loro brani su Spotify in un album best of dal titolo 44.DELUXE.  Il collettivo toscano scuote il panorama indie mischiando itpop e lo-fi. Canzoni come Sabbia e Temporale entrano nelle playlist di alta distribuzione e in poco tempo il bunker dove i ragazzi si rinchiudono per fare musica diventa un punto di riferimento. Dopo 44.DELUXE si apre un nuovo capitolo: i progetti solisti. 
La voce di Piccolo vola alta, tra precise intonazioni e falsetti. A volte trema quasi fosse sull’orlo di una crisi di pianto, ma tiene duro. I testi si rivelano piuttosto ermetici nonostante le scelte semantiche non escano dal quotidiano. La dizione è frammentata per porre l’accento su melodie di voce freschissime, alle quali l’orecchio non è del tutto abituato. Provare per credere. In merito al genere non si discosta molto da quanto prodotto con i bnkr44 e anzi, Amaranto pare essere il cugino melanconico di Luce spenta (Erin). Il mood, come direbbero in America, è blue, anche quando la base sembra suggerire scenari più radiosi. Piccolo, all’anagrafe Duccio Caponi, è il classico cantante che ti fa provare nostalgia per qualcosa che non hai ancora vissuto. 
Il sample della risata di Erin apre I miei ricordi, primo brano dell’album. L’autore è sospeso fra la perdita della memoria e la capacità di richiamare alla mente vivide immagini del passato. Nella prima strofa emerge una figura ricorrente dei testi di Piccolo: l’attesa legata ad un determinato luogo. 
Se mi senti, se mi aspetti Non cercarmi tra la gente Puoi trovarmi dove sempre (I miei ricordi) 
Luoghi mai espliciti, ma che riconosciamo come i luoghi in cui abbiamo condiviso sensazioni forti. Luoghi che saranno per sempre legati a ricordi, pure se ti convinci di averli cancellati. Le parole si dicono e si contraddicono in modo incerto e febbricitante. L’insicurezza porta costantemente il giovane a rivalutare quanto appena detto. Alla fine ammette: “ho perso”. 
Staccionate nasconde un ritornello d’autore. Difficile credere che sia stato scritto e prodotto da ventenni, ma è tutto vero. I synth vengono troncati sui primi due versi per esplodere assieme alla voce nei due versi successivi in modo quasi orchestrale. 
Aspettami che non voglio scivolare  La notte in bilico sulle staccionate Per vedere cosa c'è al di là Del confine con la tua città (Staccionate) 
In bilico sopra quelle staccionate tipiche della provincia Piccolo si relaziona con una persona più disinvolta che “vuole fare le cose pericolose”, mentre lui, appesantito dalle paure, fatica a reggere il passo. 
Il terzo brano è Fantasmi. La voce educata del ragazzo toscano si scontra con un basso arrogante alla Good times di Ghali. Il testo ricalca il videoclip di Fili di ferro, in cui si vede Piccolo scappare da una ragazza in mezzo ai panni a stendere. Ritorna il motivo dell’attesa con un elemento in più. 
Se vuoi puoi aspettarmi dove mi hai lasciato (Fantasmi) 
I luoghi dove si viene portati o lasciati sono centrali nell’estetica di Piccolo, come dimostra il testo di Luci, brano di 44.DELUXE. 
Dimmi dove verrai A prendermi stanotte E ancora per quante volte Vorrai portarmi con te (Luci - bnkr44)
Anche qui, il luogo non è specificato. È un segreto che ci si porta nella tomba. Un luogo onirico, figurato. Una consuetudine di pochi eletti. L’anello di congiunzione tra due anime. 
In Triste nuvola il vibrato nella voce coincide con la narrazione del brano. Da una produzione che, a detta di Erin, era pronta ad essere cestinata, giunge una storia tipicamente adolescenziale. Piccolo cerca in modo esasperato l’attenzione di una persona amica per farla sentire sollevata in un momento di massima difficoltà. Chissà che quella persona non sia lui stesso. 
Cosa avevi ieri? Perché non mi guardi più? Cosa dovrei fare per attirare la tua attenzione? E non basta farsi del male alle braccia? Piccola triste nuvola, che c'è? (Triste nuvola) 
Cerotti sulle guance è il tuffo al cuore che ci si aspettava dall’album. Un’iniezione di malinconia per endovena. In un impianto piano-voce, si inseriscono synth celesti. Piccolo dà sfoggio delle sue abilità canore in modo magistrale. Niente vibrato questa volta, solo precisione. Anche in questa occasione ritorna l’immaginario del luogo da raggiungere: 
Ma dimmi dove mi porti Le notti in cui mi chiedi di non prendere La strada giusta […] Dai, dovrei Ma sto ancora un po' se vuoi farmi vedere (Cerotti sulle guance)
-Non preoccuparti, ci penso io. Ti porto da qualche parte così non ci pensiamo. Ti porto al mare, o in quella casa abbandonata dove abbiamo scritto il nostro nome sui muri. 
-Tanto lo so che stai prendendo tempo perché non vuoi che me ne torni a casa. So che mi vuoi tenere lontano da quella roba. Per questo ti ringrazio. 
Nel mentre i cerotti asciugavano le lacrime. 
Gocce è il singolo che annuncia l’EP ed è il brano manifesto della metrica sincopata dell’artista. Fra synth retro space Piccolo racconta la dissociazione dalla realtà che si prova assumendo farmaci a base di benzodiazepine. Nel tentativo di rifuggire all’ansia si ritrova intrappolato in una sorta di limbo dove anche le cose più semplici sembrano irriconoscibili. Tutto perde senso.
Proverò cose nuove per non provare niente Piove, ma non riesco a sentire le Gocce per l'umore sulla mia pelle Sai, non mi sento più me stesso Da anni e non mi fa Stare meglio la Roba che prendo e che Mi porta con sé (Gocce)
L’ultima traccia è Fili di ferro, secondo singolo estratto dall’album. Un’originale accordatura di chitarra accompagna un sussurrio di voce dolcissimo. Quasi come se stesse esalando gli ultimi respiri Duccio, trafitto dalle consuete turbe giovanili, si chiede che “che cos’ho?”.  Il climax viene raggiunto nel secondo ritornello, dove Erin dimostra di essere un vero e proprio gioiello delle produzioni. Per l’ennesima volta viene ripreso il tema della fuga alla Somewhere only we know. 
Forse so dove vai quando scappi Perché anni fa mi portavi con te (Fili di ferro)
Piccolo è vittima di una forza schiacciante che lo stritola o lo risucchia. Si batte per non cadere in quegli occhi che chiamano il suo nome. Due corpi che si cercano e si vogliono reciprocamente, ma non possono coesistere. Uno dei due dovrà sacrificarsi. Soffocherà. 
Amaranto, il primo album di Piccolo (Bomba Dischi/Puro srls distribuito da Universal Music) in uscita il 5 maggio 2021 su tutti gli store digitali. Metti in play.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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“SIAMO SERI”: LA SANITÀ MENTALE IN ITALIA OGGI
A quasi un anno dall’uscita dell’ultimo singolo bene dai, Giovanni Vipra, voce dei Sxrrxwland (Sorrowland), rompe il silenzio artistico. Siamo seri, prodotta da Frenetik&Orange (Asian Fake) è il primo singolo estratto dall’album Simpatico, solare, in cerca di amicizie in uscita il prossimo 28 maggio.
In una cornice musicale sempre inedita Vipra riprende in mano il discorso aperto con i Sxrrxwland. Il trio non si è sciolto, si è solo fermato. Privi di stimoli hanno preso la saggia decisione di non forzare nulla. Ciò che sappiamo (e che ci consola) è che sia l’art director Tremila che il produttore Osore hanno contribuito alla creazione del disco. I tentativi di definire il genere musicale di questo ragazzo da parte dei critici si sprecano: se con il progetto Sxrrxwland si parlava di Avant-Pop, ora con Siamo Seri siamo arrivati all’Hyper-Pop con tonalità Drum n’ Bass. Il pezzo esordisce con un’intro da videogioco horror e richiama scenari alla Stranger Things, ma quello che ci sta per raccontare Vipra, purtroppo, non è fantasia, ma realtà.
Le canzoni pubblicate con i Sxrrxwland sono intrise di riferimenti al vampirismo sociale, o come disse lo stesso Vipra in un’intervista rilasciata ad nss magazine, questo era il tema fondamentale del primo EP (Buone Maniere per Giovani Predatori). I vampiri sociali sono individui principalmente asociali che nel momento di rapportarsi con altre persone trasmettono solo ed esclusivamente energie negative. Sono inclini al vittimismo e il loro comportamento è mosso da frustrazione, ansia, angoscia. L’obiettivo è quello di sentirsi sollevati attraverso attività più disparate: manipolare qualcuno al punto da commettere furti, micro-aggressioni o piccoli reati, consumare stupefacenti. Non cercano conforto o supporto alcuno, ma solo una scusa o una vittima su cui scagliare la loro instabilità.
E quale periodo storico migliore per parlare di instabilità. Se pensavate di arrivare qui e non sentire parlare di covid, mi dispiace per voi, ma sarò breve. Se prima della pandemia il vampirismo sociale era uno stigma di pochi, ora sembra una naturale conseguenza. L’isolamento sociale, lo stare confinati entro i limiti della propria abitazione, ha gravi effetti sulla salute mentale. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità durante il lockdown si è registrato un aumento del 15% nei livelli di ansia, depressione e sintomi da stress nella popolazione, con particolare riferimento nel genere femminile. Il rapper classe ’92 che non ha mai nascosto i suoi problemi ansioso-depressivi, ha calcato fortemente la mano su questi disagi attraverso i suoi social, rivendicando un supporto inesistente da parte dello stato. Siamo Seri è l’estrema conseguenza di questa situazione. Modellato attraverso la dialettica della trap, dal testo emerge un’immagine contraddittoria che fa rima con i limiti del quotidiano. Sogni, ironia e realtà si mischiano in un’unica massa informe nella quale non ci riconosciamo più. Le prospettive vengono ridotte alla zona di comfort, dove tutto ci consiglia di pensare in piccolo. La soluzione più rapida sono le droghe di grossa distribuzione: cocaina e xanax, effetti euforici e disforici.
“Ma davvero”, mi chiedo, “credevi A una vita di lavoro in ufficio, i colleghi Una moglie, due bambini, il calcetto, i problemi Chiedere alle ragazzine le foto dei piedi?”  (Siamo Seri)
“per raccontare il momento in cui i sogni e le speranze fanno i conti con la realtà. Quando il futuro diventa buio l'unico modo di godersi il presente è l'autodistruzione.” (Vipra)
Solare, simpatico, in cerca di amicizie, il primo album da solista di Giovanni Vipra, è in uscita il 28 maggio 2021 su tutti gli store digitali.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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FULMINACCI RACCONTA: AVERE VENT’ANNI, OGGI
Tante care cose da augurare, da sperimentare e da chiarire. Il Benjamin Button della canzone italiana racconta la sua crescita artistica e personale in poche semplici parole.
Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci, è un ragazzo come altri. Diplomato in recitazione, da un paio di anni fa il cantautore. A suo dire “non è che canta proprio”, poi lo vedi suonare a Sanremo. C’è qualcosa di innocente che lo contraddistingue. Forse il fatto che non riesce a staccarsi dalla sua chitarra, estensione del suo braccio. È il ragazzo che piace alle madri delle ragazze, ma che poi le fa arrabbiare perché non ha voglia di uscire la sera. Giovane-vecchio è l’etichetta che gli viene troppo spesso affibbiata. Piccolino, capelli arruffati, baffetti e vestiti comprati al mercatino dell’usato. Strimpellando le corde evoca immagini d’altri tempi che attentano all’immortale. Senza che nessuno se ne accorga vince il premio Tenco come miglior Opera Prima con La Vita Veramente. Non contento vince anche il premio MEI come miglior giovane dell’anno. Niente male come inizio. 
Il 12 marzo 2021, a una settimana dall’esperienza sul palco dell’Ariston, pubblica il suo secondo album all’età di 23 anni per Maciste Dischi, etichetta che vanta artisti del calibro di Gazzelle e Matteo Mobrici (ex frontman dei Canova). Nel titolo apparentemente generale, si nascondono innumerevoli interpretazioni. Quella su cui il ragazzo romano pone l’accento sono “le cose a cui tiene di più”. Tante care cose è un lavoro maturo. Viene accantonata la parlantina in favore di un canto più misurato. Se prima ci stava girando attorno, ora entra di diritto nell’immaginario della canzone italiana con pezzi meno istintivi e più ragionati. Nei brani emergono emotività e ricerca interiore. Un lavoro più introspettivo in contrapposizione con il primo che si proiettava all’esterno dell’uomo: in brani come Borghese in Borghese e La Vita Veramente Fulminacci racconta ciò che vede tracciando un disegno in equilibrio tra ironia e denuncia sociale. Tommaso e Una Sera invece sono istantanee di storie di vita vissuta, raccontante con il tono immediato di un ragazzo del ’97. Ma sono passati due anni e ora è cresciuto. L’evoluzione dell’artista si nota anche dalle scelte grafiche: la copertina di Tante Care Cose è generata da un’intelligenza artificiale che dà forma a figuranti che lasciano libera interpretazione a chi la guarda. In un’intervista rilasciata per Rolling Stone la giovane stella del pop la definisce:
“una cosa surrealista, disorientante, che ti costringe a riguardarla più volte senza sapere se ti piace, se la odi o se ne hai paura. […] È una soluzione pazzesca perché se ci pensi si tratta di qualcosa che la mente umana non ha mai visto, che non esiste, eppure la riconosci.”
Una scelta più che mai innovativa, soprattutto se proposta da un cantautore a cui per natura si appiccica l’etichetta del tradizionalista. Fulminacci svela dunque una doppia identità: una legata alle radici, alla grande canzone di Battisti e De Gregori, e l’altra orientata verso il futuro.
In Meglio di così Fulminacci mette subito le cose in chiaro tracciando nei primi due versi una cesura tra il primo e il secondo album:
Parole che ti strappano sorrisi e poi  È come se esistessimo soltanto noi  (Meglio di così)
Se il primo verso rimanda agli effetti di senso de La Vita Veramente, il secondo riporta l’attenzione su di noi. Non sappiamo più chi siamo quando la canzone finisce. Ci sentiamo di nuovo soli. Abbiamo bisogno di risposte. Fulminacci dipinge l’inquietudine giovanile della nostra generazione, quella del Game Cube e di Youtube per capirci, fatta di fuggevoli momenti di euforia e disillusione. Nei rari casi in cui si riesce a spegnere il cervello però si riesce a godere di ciò che si ha: la spiaggia in cui si andava da bambini, le discussioni con gli amici fino a notte fonda, la brezza di fine estate. In fondo cos’è meglio di così?
Santa Marinella è il celeberrimo brano con cui il cantante romano si è presentato al pubblico di Sanremo, nonché il terzo singolo estratto dall’album. Una narrazione che Fulminacci afferma di aver ricevuto aneddoto per aneddoto da un amico. Un film che meritava una colonna sonora. Per la prima volta il cantante si presta come autore di un’esperienza non sua, guardando da fuori. La canzone classificatasi sedicesima al festival di Sanremo 2021 fu concepita per un impianto orchestrale prima ancora che ricevesse l’invito al gran galà della musica italiana. L’adattamento proposto in gara si sposa perfettamente col palco dell’Ariston, dove Filippo si presenta abbracciando l’immancabile chitarra. L’incipit del ritornello entra a far parte del bagaglio culturale della generazione dei millennials al primo ascolto.
Voglio solamente diventare deficiente e farmi male Citofonarе e poi scappare (Santa Marinella)
Miss Mondo Africa è senza dubbio il brano più interessante per il suo background. Si tratta infatti di uno spin-off di Le ruote, i motori!, singolo uscito a novembre 2019. I protagonisti sono gli stessi: dei giovani che si intrattengono facendo cose da liceali, ad esempio fumarsi dieci pacchetti di sigarette sul lungotevere. La dolce noia viene interrotta dall’arrivo di un ragazzo africano piuttosto euforico che approccia i 4 ragazzi (che forse sono tre) cantando un jingle tribale all’insegna della fraternità. A distanza di anni da quell’evento epocale Fulminacci riarrangia la melodia del ritornello su un giro di chitarra soul e dà vita al sing along più coinvolgente dell’album.
Africano bianco, bello abbronzato Miss mondo Africa, playboy Africa  (Miss Mondo Africa)
L’accompagnamento orchestrale, dal quale spiccano fiati prorompenti, riempie e svuota il pezzo per lasciare spazio ad una voce impostata nelle strofe e più vigorosa nel ritornello. Un episodio “brittiano” ancor più esplosivo se immaginato live.
Come un fulmine a ciel sereno veniamo sorpresi da La grande bugia, un pezzo synth pop che riporta in vita i Thegiornalisti. In un testo apparentemente sconclusionato si nascondono due persone che cercano di comunicare da due temporalità diverse.
Millenovecento, non mi conosci […] Visti dallo spazio siamo ricordi (La grande bugia)
Coperto da un velo di stile che appaga la fetta di ascoltatori indie, Fulminacci indaga dentro di sé e si pone le domande che ronzano in testa prima di addormentarsi. Ho fatto bene a starmene zitto in quell’occasione? Avrei dovuto dirle che non riesco a scordarmi il suo sorriso? Se poteste parlare con voi stessi da bambini cosa vi chiedereste?
Un fatto tuo personale è il secondo singolo estratto fra le Tante Care Cose a cui Filippo tiene particolarmente. Dopo i singoli Le Ruote, I Motori! e Canguro ci si aspettava un lavoro del genere. Quello che sorprende è la collaborazione con Frenetik&Orange, producers in ascesa della sfera hip-hop. Fulminacci dimostra ancora una volta di sapersi confrontare con bpm elevati, tornando ai monologhi sincopati de La Vita Veramente. Il connubio di sonorità sintetizzate e copertina (anche questa prodotta con intelligenza artificiale) funziona. Ci si trova dinnanzi a due oggetti indefiniti, metafora della doppia natura dell’interprete: una cantautorale e una sperimentale, apparentemente impossibili da conciliare. Il testo, ispirato da Comizi Amorosi del maestro Pasolini, mira a smontare i pregiudizi al fine di una società migliore.
Problemi di assegnazione di ruoli senza pensare Che l'ultima ruota del carro è anch'essa fondamentale Che poi qual è l'ultima è un fatto tuo personale Dipеnde da dove cazzo cominci a contare  (Un fatto tuo personale)
Chiede scusa, ma ha bisogno di dire quello che pensa. Mettere in discussione ciò che stride nel mondo di oggi. Abbattere il vecchio per dare nuovo senso alle cose.
Non sarò solo finché sono vivo Togliamo il male del quel piedistallo Non evitare mai di nominarlo E se ti basta un codice morale Diamogli una spolverata È un po’ vecchiotto e poi Somiglia troppo al codice della strada (Un fatto tuo personale)
Un’interpellazione dritta a chi ascolta. Un invito ad essere critici riguardo ciò che ci circonda. La consapevolezza che il cambiamento è nelle nostre mani.
La Tattica del sesto pezzo è: giro di chitarra movimentato + motivetto vocale di sottofondo. Filippo si sveglia Daniele Silvestri con il piglio di recitare una filastrocca. Occhi gonfi, capelli sfatti e mal di testa. È in ritardo per il primo appuntamento. Ancora un po’ brillo dalla sera prima, ma non lo ammette.
Parliamo di tutto Dei sogni, del mondo Del fatto che ti amo di brutto (Tattica)
Sta correndo, ma non sa dove sta andando realmente. Intrappolato tra le scadenze, le cinture che si spaccano al momento sbagliato e l’eterno traffico della capitale alla fine ci esce matto. Una tattica non ce l’ha. Di solito questi sono i casi in cui le cose vanno meglio.
Canguro è il primo singolo uscito a settembre che annuncia il carattere innovativo del secondo disco di Fulminacci. La chitarra è stoppata nelle strofe, sparisce nei ritornelli per lasciare spazio ad un’atipica linea basso e batteria ed esplode in una rabbia elettrica nel bridge. Il fulmine di Maciste Dischi deve alzare non poco la voce per reggere il confronto. L’impianto strumentale è disorientante, non sai dove ti sta portando. Il primo ascolto risulta spesso poco soddisfacente perché ci si scontra con un lato dell’artista mai sentito prima. Su Rolling Stone spiega come Canguro rappresenti la parte oscura che c’è dentro tutti noi. Quando durante la lezione ci si fissa su un pensiero sconveniente, che spaventa un po’. Sarei veramente in grado di fare una cosa simile? Perché quest’idea mi attira così tanto? Quello è Canguro.
Voglio fare una brutta figura Questa qua è la mia vera natura (Canguro)
Mentre il disco volge al termine, ci si imbatte in un inno al pop inglese anni 70 che tanto ha ispirato il cantante romano. Il titolo è Forte la banda e si apre con un pubblico in visibilio che anticipa una struttura alla Elton John con accordi di pianoforte cosiddetti obbligati. Il testo è un dialogo tra un giovane Fulminacci che si prepara a salire su un palco importante per la prima volta e un cantante più adulto che dice di trovarsi lì per caso. Con aria saccente quest’ultimo comincia a parlare di sé, di come il nostro paese tarpi le ali agli artisti e di come ai suoi tempi il locale fosse sempre gremito differentemente da oggi. Dall’altro capo della conversazione un ragazzo stordito.
Non ti capisco E non ti conosco Cosa vuoi dire? Lasciami stare Qua dove sto, oh-oh La gente facile come me Io no che non la lascerò (Forte la banda)
Il millennial risponde con i fatti, ovvero con la musica, rivendicando il “diritto (di) guardare in avanti”. Qui si discutono le sorti del pop, che è possibile solo se si ha delle idee. L’idea di Fulminacci è un omaggio a cuore aperto al periodo d’oro della musica mondiale: concludere la canzone con il famosissimo accordo di Mi di A day in the life dei Beatles.
Il titolo Giovane da un po’ sembra la risposta a tutti quelli che danno del vecchio a Fulminacci. Ritroviamo un’atmosfera simile a Meglio di così, ma meno rassegnata. Stavolta quella “specie di senso di vuoto”, Filippo lo riempie parlando con uno che, come si suole dire, “ha fatto il ’68”. Nonostante la forte passione che tale argomento genera in lui, il canto è rilassato come quello di un narratore e inneggia alla leggerezza giovanile in contrapposizione al sentimento rivoluzionario dell’era hippie:
E noi stiamo bene davvero Perché non abbiamo un pensiero Non voglio la verità Mi basta che il cielo è sereno E grazie che avete lottato Io non me lo sono scordato Correre a cento all'ora Che bello dev'essere stato (Giovane da un po’)
Quanto dev’essere stato bello fare il ’68. Scendere in strada e rivendicare i nostri diritti a piedi nudi. Essere ascoltati. Cambiare le cose. Oggi la cosa più anni ’60 che possiamo fare è un bagno a mezzanotte. E c’è pure chi dice “no raga io vi aspetto qui”.
Le biciclette è la tappa d’arrivo (o di partenza). Si chiude il cerchio in modo bilanciato. Due pezzi, il primo e l’ultimo, che rendono più facile mettere il disco in repeat già dopo il primo ascolto. Fulminacci si siede al piano e ricava la canzone più viscerale che abbia mai scritto. La narrazione è un frame culturale giovanile: una storia estiva destinata a morire all’equinozio. Vissuta con il cuore di un adolescente e cantata con la consapevolezza di un giovane adulto.
Lo so che è tardi Che sei partita Ma quest'estate Non è iniziata e non è finita (Le biciclette)
Trovare paragoni con altri artisti sarebbe riduttivo nei confronti del coraggio messo in gioco per la stesura di questo brano. L’immagine è quella di una camera mansardata. Hai bevuto, fa caldissimo e stai sudando. Forse è un’allucinazione, ma vedi la sua sagoma sul ciglio del letto e allunghi il braccio per accarezzarla. Fulminacci chiude l’album con la scritta sul muro che avresti voluto scrivere da sempre:
Tu che sei una e mi circondi (Le biciclette)
Non te ne sei accorto ma gli accordi di Le biciclette stanno già ripartendo in cuffia. Poi un secondo ascolto anche a Meglio di così. Si riparte da capo. Quanto è bello e faticoso essere giovani d’oggi.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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LA MAGICA MUSICA ECOLOGICA DI VENERUS
Un viaggio dentro e fuori da sé, un tuffo nella coscienza più liquida, l’abbandono della soffocante razionalità.
Il 19 febbraio 2021 è un giorno importante. Mentre il nostro paese tira un sospiro di sollievo e si permette di mettere il naso fuori dalla porta con l’arrivo della zona gialla, esce uno tra i prodotti musicali più attesi dell’anno. Andrea Venerus, cantautore e musicista originario di San Siro, pubblica Magica Musica, il suo primo album per l’etichetta Asian Fake (https://www.asianfake.com/), via Sony Music. Un assaggio del suo talento lo si aveva avuto con A che punto è la notte e Love anthem, i primi due EP rilasciati tra 2018 e 2019, dove l’artista aveva già dimostrato di aver imboccato una strada atipica all’interno del mercato musicale italiano, sintonizzandosi su frequenze che svariano dal jazz al soul, dal funk al blues. Dopo un paio di anni trascorsi a suonare e collaborare con varie personalità artistiche in tutta Italia, finalmente il lavoro è pronto: il wonder boy della musica italiana ci regala un ingresso gratuito nel suo mondo.
Sono due i singoli che precedono l’uscita dell’album. Si tratta di Canzone per un amico, scritta e pubblicata a marzo, durante il primo lockdown, e Ogni pensiero vola, lanciata nell’iperspazio dei digital stores a fine gennaio, esattamente dieci giorni dopo l’annuncio del nome e della data d’uscita del disco. Nel primo singolo è stato facile, quasi naturale, immedesimarsi. Una lettera scritta per un amico (conosciuto in arte come Cleopatria, amico e collaboratore di Venerus dal suo rientro nel Bel Paese) che si presta come strumento universale.
Forse è normale Sentirsi soli in un momento così (Canzone per un amico)
In un momento in cui le relazioni sono state messe a dura prova dalla grave situazione sanitaria era facile scivolare nell’oblio. Mai canzone fu più puntuale: un brano concepito per chitarra e voce, arricchito dal tocco magistrale di Mace, collega ormai fisso del cantante milanese (oltre alle numerose collaborazioni nell’album OBE i due hanno lavorato a 12 dei 16 brani di Magica Musica). Dopo aver appreso quale sarebbe stato il titolo dell’album, ricordo di essermi preoccupato. In un’era in cui il mercato musicale è saturo, dove per essere notato è necessario discostarsi dalla massa e cercare il particolare, l’impatto immediato, partendo dall’attirare il pubblico con nomi accattivanti, ho pensato che un titolo generico come Magica Musica potesse giocare a sfavore. A sciogliere ogni dubbio è stato il secondo singolo, Ogni pensiero vola. Accompagnato dal solito Mace, Venerus sintetizza in 3.53 minuti il messaggio dell’interno album. Sonorità eterogenee provenienti da angoli remoti del mondo. Strumenti che intervengono in modo puntuale e bilanciato. Ora la chitarra, ora il pianoforte, ora le influenze indù, ora le percussioni sintetizzate tipiche del nostro periodo storico. È da questo brano che mi è sopraggiunta quest’immagine; ho dovuto pronunciarla. Questa è musica ecologica.
Perché niente mi è mai chiaro visto da vicino (Ogni pensiero vola)
Le scienze ecologiche si basano sull’approccio sistemico, una metodologia proveniente dalle filosofie orientali dove si rifiuta la visione atomistica del mondo in favore di una visione di insieme. La realtà è vista come una fitta rete di interconnessioni fondamentali e necessarie. Questo pensiero si ripete nei versi successivi.
Ogni filo d'erba è un mondo visto da vicino E un giardino è un universo o poco più (Ogni pensiero vola)
Il ritorno alla natura: la Terra è un’immensa matrioska di ecosistemi che cooperano sinergicamente. Apparteniamo ad un sottolivello che è parte di un’entità più grande di noi. La meraviglia di amare, vivere in sintonia con la biosfera che ogni giorno ci offre un luogo da poter chiamare casa. Per raggiungere questo stato di coscienza Venerus ricorre alla sfera spirituale, all’esoterismo, allo psichedelico e all’allucinogeno, facendo riferimento al contesto iper-demonizzato delle droghe.
Cerco nuove strade per uscire da me, oh-oh Per superare ogni mio limite E scoprire poi al di fuori che c'è […] Se chiudi gli occhi, non sei più qui Scompaiono i confini del corpo E tutto ciò che ti circonda (Ogni pensiero vola)
Superare le barriere, la brama di sapere cosa c’è dall’altra parte, espandere la propria coscienza per eliminare i limiti del proprio corpo ed essere qui e altrove, ovunque e da nessuna parte. Rifiutare le etichette della società per aderire alla fluidità, alla cooperazione e all’integrazione. Raggiungere l’amore che unisce e regola i rapporti.
Forse è che appartengo a un mondo un po' magico Vorrei volare via lontano da qui E a volte sento tutto attorno un po' strano Chissà se qualcun altro è fatto così (Ogni pensiero vola)
Capita a tutti di uscire in una giornata di primavera (magari post-lockdown), prendere un respiro a pieni polmoni e innamorarsi ancora una volta del vecchio abete nel giardino di casa o delle strade che ci hanno insegnato a guidare. Per un secondo tutto ciò che ci appare nocivo sparisce e siamo un tutt’uno con la natura che ci circonda. Si sente un brivido difficile a spiegarsi. È una sensazione strana, quasi imbarazzante, ci si sente piccoli, ma in fondo una risposta non è necessaria. Un biglietto da visita più che valido.
La tracklist conta 16 brani e vari featuring di spessore, per palati sopraffini. Si nota fin da subito che la maggioranza dei titoli rimandano a concetti intangibili. Salvo Appartamento, Sei acqua e Lacrima=piccolo mare, i pezzi rimanenti rimandano alla natura metafisica del Buyo, delle Luci, della Solitudine, o il concetto di Fuori. Il tema ecologico inaugurato in Ogni pensiero vola, prosegue in Brazil, canzone molto internazionale, inserita nelle playlist di New Music Friday di Spotify in diversi paesi extraeuropei già dal giorno successivo alla pubblicazione. Un toccasana per la nostra musica. Oltre a ribadire l’importanza del concetto di rete e il rifiuto del modello cartesiano, spicca un evidente interesse per il tema dell’universo. Viene naturale chiedersi se siamo soli. Soprattutto oggi che conduciamo vite a 120 km/h e non riusciamo a creare legami stabili. Siamo soli anche fra 8 miliardi di persone.
È così umano perdersi Ci vuol poco, credimi (Brazil)
La mente umana non ha limiti: viaggia stando ferma, esplora universi immaginari, si nutre di emozioni reali. Il suggerimento di Venerus è di nuovo quello dell’esperienza extracorporea, che possa guidare il corpo e i sensi in una dimensione sommersa, in totale espansione, ancora tutta da scoprire.
Dopo essersi innamorati della notte più buia che spinge l’artista sempre più Fuori, Fuori, Fuori… e dopo il primo assolo di chitarra che ricorda IoxTe (A che punto è la notte), si ritorna con i piedi per terra. Il primo ospite dell’album è Frah Quintale: invitato nell’Appartamento di Venerus, aiuta a dare forma al primo featuring. La caratura del personaggio (figura ormai affermata del panorama hip-hop italiano) spinge a pensare ad un certo tipo di adattamento a livello di sonorità e testo, ma Venerus dimostra di mantenere le redini e non deraglia. Pur essendo ancora al principio del viaggio si notano due ridondanze che saranno ricorrenti lungo tutto il tragitto: in primis, il mondo, da intendersi come luogo dove semplicemente essere, fuori dal canone di normalità. L’amore, il dolore, la follia, l’eccesso, la poesia, coesistono senza farsi la guerra. In secundis, l’artista di Asian Fake si serve del metalinguaggio per raccontarci quanto la scrittura lo aiuti a conoscere la natura che lo circonda. Un mezzo per fare chiarezza, quindi, il canale comunicativo più adatto per diffondere il messaggio. 
Con Sei acqua si raggiunge una delle tappe fondamentali del disco. L’ascoltatore si confronta con un brano che necessariamente richiede una seconda occhiata al titolo, perché, fin da subito, si ha la netta sensazione di essere testimoni di qualcosa di unico. Negli anni trascorsi a studiare musica a Londra, Venerus racconta di aver avuto l’occasione di assistere ad un concerto dei Calibro 35, collettivo di compositori italiani formatosi nei primi anni 2000. Durante il countdown dell’uscita del disco avvenuto sul canale Twitch di Asian Fake, il ragazzo di San Siro ha raccontato di quanto si sia sentito onorato di aver potuto lavorare assieme ad un’istituzione della storia musicale italiana. Una cooperazione di questa portata dimostra due cose. Venerus è un fenomeno catalizzatore per la musica italiana e la ricerca musicale che c’è dietro al suo disco è la dimostrazione del suo talento. Sei acqua è la punta di diamante del disco, oltre che pezzo di rilevanza internazionale assieme a Brazil.
Il suono delle campane d’apertura è puro risveglio spirituale.
Ho scritto una canzone da dare ai nostri cuori (Sei acqua)
La narrazione, facilmente divisibile in sequenze e accompagnata da una struttura musicale da fiaba, scritta probabilmente nel periodo vissuto a Roma, accarezza la sfera amorosa con grande delicatezza. Un pezzo che racconta come la vita sia eternamente guidata dall’amore, che annulla la distanza tra Terra e Cielo, dimostrando che siamo tutti, inevitabilmente, vittime di problematiche comuni. L’interludio in crescendo apre una sorta di feritoia spazio-temporale che dona all’interprete un momento di chiaroveggenza, in cui tenta di allinearsi con l’Universo. Terminata la trance, il brano ritorna sui binari originari con una nuova consapevolezza, in un’esplosione orchestrale che traghetta l’ascoltatore verso una nuova vita.
Dopo essersi fatti cullare da Una certa solitudine, è il momento di not for climbing e amanda lean, produttori emergenti della scena romana a cui Venerus aveva già dato spazio in Love Anthem. Solo dove vai tu è un sussurro all’orecchio, un momento di estrema sincerità dove si abbatte l’ultima barriera tra la persona che siamo e la persona che vogliamo essere. Si entra sulle punte, con la paura di fare rumore, e si esce senza riuscire a tenere ferma la testa.
Lucy (chiara citazione a Lucy in the sky with diamonds dei Beatles), assieme alla traccia numero 11, Ck, incarna più di tutte l’adesione dell’artista al mondo delle droghe sintetiche e ai suoi effetti. Le lettere LSD tatuate sul piede sono la dimostrazione di come l’artista classe ’92 non abbia mai nascosto di farne uso.
Quello che fai Ha un'eco in tutto ciò che ti sta attorno Ma forse non sai Che esiste un altro lato di quel mondo attorno a te Ma se mai, mai, mai tu vorrai Capirci giusto un po' di più Abbandona ogni struttura per un viaggio, un'avventura Potrai parlare al cielo se lo vuoi (Lucy)
Il groove di Lucy chiede a gran voce di ballare: è la canzone da festival per antonomasia. La natura duale di Ck, originariamente concepita come due brani separati, mette a confronto due mood: uno più sincopato e ansiogeno ed un altro più leggiadro e sonnolento. Se il primo è figlio di una sostanza eccitante, il secondo viene da una sostanza rilassante.
L’arte che permea Magica Musica proviene direttamente dall’Eden. Si tratta di un pezzo che non avrebbe sfigurato all’interno di A che punto è la notte, primo EP dell’artista. Si ricrea infatti un’atmosfera simile a quella di Senzasonno e di Note vocali, in una nuova connotazione cosmica, denotata da echi elettronici e dalla distorsione sulla voce. A dare nuovo umore (altro concetto ricorrente del disco) è l’arrangiamento a cui partecipa Phra dei Crookers, ennesima figura illustre che ha sposato il progetto di Asian Fake.
Se ancora non fosse stata percepita l’impronta spirituale dell’album, ecco Namastè, introdotta da percussioni esotiche e fiati orientaleggianti. Sopra una melodia che ricorda San Siro di Franco126, Venerus si diletta assieme al collega e amico Rkomi, figura camaleontica che è riuscita a coniugare alla perfezione l’hip-hop con il pop, vantando featuring assieme a grandi artisti come Ghali, Sfera Ebbasta ed Elisa. Dopo averli ascoltati in Non vivo più sulla Terra, uno dei pezzi di spicco di OBE, tornano a lavorare assieme confermando una straordinaria intesa: l’anagramma di Mirko si cala in modo eccezionale nell’immaginario di Venerus tracciando parallelismi tra il terreno e il metafisico, rimanendo allo stesso tempo fedele alla dialettica che lo ha reso un punto di riferimento per il grande pubblico.
Il cielo è il grembo, lei è la luna La vedo anche con le palpebre unite da una graffetta […] Le onde spezzano il tuo corpo, quel fuoco non vuole spegnersi Amore, cosa ci prende? (Namastè)
La già citata Ck è seguita da un intermezzo strumentale. Cosmic interlude è una traccia che i fan di Venerus aspettavano con trepidazione. Date le notevoli capacità compositive dell’artista, pare riduttivo incontrare un solo brano di questo genere. Le note dell’organo elettrico scivolano e si rincorrono. All’armonica rispondono suoni sintetizzati, sparati come raggi laser in uno scenario che rimanda a 2001: Odissea nello spazio. Tre livelli sonori che dialogano in un linguaggio ancora tutto da decodificare. Raggiunto il picco intensivo, l’astronave comincia a planare e atterra dolcemente, mentre qualcuno fa partire un carillon. Gli occhi sono ormai serrati, ma siamo vigili. Vogliamo sapere come va a finire, quanto ancora c’è da dire. Ancora non ci è dato sapere se la sonda inviata è stata in grado di trovare nuove forme di amore nell’universo.
Lacrima=piccolo mare, prodotta assieme a Vanegas e Mace, è un pezzo ingannevole: il ritmo inciampa ogni volta che le parole sembrano andare fuori tempo. A completare il quadro, l’intervento del sax di Coltreno, membro imprescindibile della band durante i concerti live.
Mentre il viaggio volge al termine, alla traccia 14 si trova l’ultimo featuring cantato. Vinny condivide il palco con l’icona del rap, nonché grande amico, Gemitaiz in Buyo. Tra violenti bending di chitarra e samples che si alternano e si sovrappongono, il rapper porta con sé gli 808 che recentemente hanno dominato le produzioni. Ancora una volta, Magica Musica. Tra i fumi della marijuana, in una dimensione onirica, i due mischiano i problemi della dipendenza a quelli d’amore con disarmante onestà, dimostrando quanto labile sia il confine fra le due sfere. In un momento di lucidità, Venerus fa scivolare sopra al tavolo un’eterna verità:
In amore non vince il più forte Ma chi è disposto a perdere (Buyo)
Nonostante l’hating per Gemitaiz nel web, il risultato finale è un pezzo di spessore.
Nel brano di chiusura, come vuole la tragedia greca, si raggiunge la catarsi. Luci è la canzone che tutti si aspettavano di trovare in Magica Musica. Un’ouverture che sembra riprendere il motivo del brano precedente (Canzone per un amico) allarga le braccia per cullarci un’ultima volta. Tra echi naturali e suoni che si riverberano, il pezzo esplode in un assolo di chitarra viscerale. C’è bisogno del ritorno della voce per risentire la terra sotto i piedi e riprendere coscienza. L’arpeggio che introduce l’outro è qualcosa di primordiale, come se esistesse da sempre all’interno della mente umana. Si diventa spettatori e attori allo stesso tempo: dentro al mondo creato da Venerus riusciamo ad ascoltare la colonna sonora, infrangendo le convenzioni del cinema. Ancora una volta, non si sa dire con precisione dove ci si trovi: sentiamo dei piedi calpestare pozze d’acqua, ma sentiamo anche riverberi cosmici; siamo qui e siamo altrove; siamo sulla Terra e siamo nello spazio; siamo la parte e siamo l’insieme.
Se mi pensi forte, io ti sento da qui (Luci)
Dopo aver viaggiato in lungo e in largo, la sonda è atterrata. Ora potrà finalmente riposarsi.
Difficile non commuoversi quando la puntina raggiunge il centro del vinile. La mole di sensibilità necessaria per tale lavoro non è quantificabile. Non si insegna, si invidia. Ogni tema è esposto in modo chiaro: l’interesse per l’universo, che torna anche nell’intervista a Franco Malerba (primo astronauta italiano a viaggiare nello spazio) a una settimana dalla pubblicazione del disco; l’amore per la natura, evocata nei testi e nelle sonorità che trasportano l’ascoltatore ora nella foresta, ora in un bazar, avvicinando l’immagine dell’artista a quella di un guru; l’acuta spiritualità e l’esoterismo, mai nascosti anche in relazione ai viaggi ultracorporei;  l’aura pan-amorosa in un revival del sentimento hippie anni 60. Venerus dimostra a tutti di essere in grado di navigare abilmente nel mare dei generi musicali senza perdere la rotta. Timbro immediatamente riconoscibile, flow cangiante, sicurezza nell’uso dell’autotune, senza alcuna ostentazione. Sacro e profano si mescolano senza obiezione. Ancora più intrigante è la ricerca del suono, la sperimentazione, il bagaglio di studio e di esperienza alle spalle, la volontà e la necessità di saperne sempre di più. Un album che non ha la pretesa di individuare singoli, di porre una canzone più in alto di un’altra. Anzi, tutte le canzoni sono “singolabili”, ma il concept dell’album le tiene unite in un’unica indivisibile realtà. Non si conosce pratica che divida la parte dall’insieme. In un’era in cui si discute se sia ancora lecito parlare di generi musicali per incasellare la musica in raccolte da propinare al grande pubblico, Venerus sintetizza un genere tutto suo catalizzando funk, jazz, blues, soul, sonorità hip-hop, senza la pretesa, ma la certezza, di arrivare alle porte del pop. Le radio che in questi giorni stanno trasmettendo la sua musica ne sono la dimostrazione. Il virtuosismo che contraddistingue Magica Musica è una boccata d’aria fresca per il nostro paesaggio musicale, da tempo troppo statico e schiavo di influenze esterne. Con questo disco Venerus si propone come ambasciatore della transizione musicale italiana, pronto non a settare un nuovo standard, quanto un nuovo metodo di fare musica. In attesa di poterci ritrovare (e perdere) ad un concerto, l’invito è quello di continuare ad esplorarci: andare sempre più a fondo nella nostra coscienza, scuoterla come una palla di vetro alla ricerca dell’ennesima Magica Visione.
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kamisetanaranja · 4 years ago
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Me: maybe im like? Too into the bands i listen to? Maybe i should tone it down?
K-pop fans: here i have calculated the length of all of k-pop man #43738’s fingers
Me: Oh. Okay
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kamisetanaranja · 4 years ago
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wednesday night mood
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kamisetanaranja · 4 years ago
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This video is sacred
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kamisetanaranja · 5 years ago
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kamisetanaranja · 5 years ago
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sincerity is scary
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kamisetanaranja · 6 years ago
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