#COME SE NON CI FOSSE UN DOMANI
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Sulla Felicità Festival 2025: Tutto quello che c'è da sapere sulla nuova edizione.
“Sulla Felicità Festival”, il festival ideato ed organizzato da Stefano Santomauro, torna a Livorno per la sua 4° Edizione. Il festival è stato ideato per tornare a parlare di felicità e lo fa attraverso le arti. Nelle prime tre edizioni – spiega Santomauro – il festival è riuscito a coinvolgere oltre 6.000 persone grazie aconferenze, workshop pratici, sessioni di meditazione e yoga, laboratori,…
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COME SE NON CI FOSSE UN DOMANI - DAL 6 MARZO AL CINEMA
Un film di Riccardo Cremona e Matteo KefferScritto con la consulenza di Paolo Giordano Arriverà nelle sale italiane dal 6 marzo 2025 COME SE NON CI FOSSE UN DOMANI, il documentario sul movimento Ultima Generazione che è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Special Screenings della 19° edizione della Festa del Cinema di Roma e che parteciperà al Concorso DOC del Sudestival di…
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If I don't make a Kingdom Hearts reference at least once a week I wither up and die.
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- Ma tu, da giovane, eri uno intraprendente in discoteca a rimorchiare ragazze?
- Avoja.
- Ah, pure intraprendente di natura eri.
- Avoja.
- Cos'è che ti spingeva a essere così intraprendente? La passione, gli ormoni, la curiosità o semplicemente la sete di conquista?
- La sete, proprio quella.
- Quindi l'adrenalina ti scatenava come un cavallo pazzo, da quanto ho capito.
- Avoja.
- Se tu dovessi usare una parola per ricordare quei momenti così eccitanti. Come un profumo al naso, o un particolare alla vista, o una sensazione al tatto o ancora un suono particolare di quei momenti quando ti avvicinavi a una lei, che definizione useresti?
- Quello del gusto.
- Ah già, tra i cinque sensi c'è anche il gusto.
- Avoja.
- Allora vai col gusto, dimmi che sapore ricordi?
- Negroni!
- ...
- Avoja.
ps altrimenti col cavolo che trovavo il coraggio
pps avoja
#libero de mente#pensiero#frase#vita#amore#racconto#dialoghi#gioventù#ragazze#discoteca#negroni#bere#bere come se non ci fosse un domani
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Un momento molto divertente di sabato è stato quando stavamo ciarlando su gente varia e una ragazza fa "a me piace molto - non so se la conosci, io ho letto la sua biografia e visto solo qualcosina ma mi piace - MatildeGioli" e lei ha risposto "ah sì ci ho fatto una serie quest'estate"
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LA SCATOLA DEL DOLORE
Non basta essere appassionati di qualcosa per diventare automaticamente dei professionisti specializzati, altrimenti il mondo sarebbe pieno di ginecologi e androloghe e infatti per ciò che riguarda il dolore e la sofferenza io non mi ritengo né esperto né professionista, però dopo tanti anni passati a calpestare questa bella terra in balia di mie e altrui fortune altalenanti, posso perlomeno affermare che in genere, se ne parlo, è perché so di cosa parlo.
Esistono differenti tipi di dolore e altrettante differenze scatenanti ma da che ho memoria ho sempre visto entrare nella mia vecchia casa a Viareggio persone con le lacrime agli occhi e poi uscirne, se non proprio sorridenti, perlomeno più serene.
Il fatto è che nella quasi totalità dei casi si trattava di madri e di padri che avevano perso i propri figli e le proprie figlie, genitori desiderosi di chiedere ai propri cari se Oltre ci fosse ancora sofferenza o invece la pace e la serenità che si auguravano.
Mio papà e mia mamma sono stati per la quasi totalità delle proprie vite Mulder e Scully de'noantri, però al contrario: mia mamma vedeva gli spiriti e ci parlava e mio papà scacciava infastidito i negromanti che conficcavano spille nelle loro bamboline per vendicarsi che gli rubavano il lavoro e pure gratis.
Nessun giovane spirito, però, ha mai parlato ai propri genitori - più grande è il dolore meno possibilità ci sono di attingere alle emanazioni della Cosa Una - invece queste madri e questi padri disperati hanno ritrovato una quiete interiore parlando non di chi è andato oltre ma di chi è rimasto.
Io sono forte con i dolori che conosco e assolutamente impreparato e fragile anche solo a pensare al dolore che non è ma che potrebbe essere. Anzi, che per forza di cose sarà.
Che cos'è, allora, la scatola del dolore?
Si tratta di una serie di espressioni emotive che ho incontrato in questi ultimi anni e che ho voluto fissare in una metafora visiva.
Noi siamo scatole, contenitori viventi delle più variegate emozioni che si agitano ad ogni nostro agire, sbattendo contro il nostro cuore e risuonandoci dentro.
Quando subiamo il lutto di una persona a noi cara, diventiamo contenitori di un'unica emozione, enorme, ingombrante e onnipresente: il dolore.
Immaginate il dolore come una palla rossa che a ogni nostro movimento sbatte contro il cuore e ci rimbomba dentro di sofferenza e disperazione. Apriamo gli occhi al mattino e ZAC! una coltellata al cuore, saliamo in macchina e ZAC!, apriamo la porta di casa ZAC! e così in ogni aspetto della nostra vita.
Poi un giorno succede qualcosa di strano... apri gli occhi al mattino e la coltellata non arriva: la palla rossa del dolore non ha colpito il cuore ma... c'è ancora! Rimbalza ovunque ma non tutti i movimenti la fanno sbattere là dove fa più male.
Ma... la palla del dolore si è forse rimpicciolita?
Non sembra sia più piccola, solo che colpisce meno frequentemente il cuore e col passare del tempo la sua capacità di ferire sembra diventare sempre più rara.
No, non è più piccola... è diventata più grande la scatola.
La persona è cresciuta intorno a quel dolore, lo ha accettato, compreso e lo ha reso più piccolo del posto in cui all'inizio esso sembrava spingere e spadroneggiare.
Non lo ha dimenticato, non lo ha seppellito, non è fuggita ma vi è cresciuta faticosamente intorno, fino a che il suo flebile manifestarsi non si è presentato come una piccola fitta di nostalgia velata di sorriso stanco.
Questo è il dolore, quando troviamo la forza di abbracciarlo e comprenderne le oscure motivazioni, perché oltre la cortina di pioggia del rimpianto e del desiderio di non sentire più, la via prosegue senza fine e i nostri sogni appartengono già al domani.
P.S.
Se il vostro dolore sembra essere troppo grande e la vostra scatola troppo piccola, cercatemi su telegram come kon_igi... magari non parleremo con gli spiriti ma vi posso assicurare che se avrete bisogno, cercherò di arrivare alla prima luce del quinto giorno. Quindi all'alba guardate ad Est! ❤️
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Il mio posto dell'anima

Senza i peccatori non avrebbero ragione d'esistere i confessionali e le chiese. Devo confessare quindi la mia trascurabile storia. Si sappia che la mia segreta passione, il mio posto dell’anima sul suo corpo, era l’attaccatura della coscia al corpo. Uno spettacolo solo a vedersi. Avrei potuto passarci delle ore. A baciarla, leccarla lì e quindi farla morire di desiderio. Iniziavo il nostro amplesso sempre lavorandola e annusandola in quell'area, dalla sua parte destra. Vi indugiavo a lungo e poi giravo con la lingua attorno alla sua fica; le passavo dapprima sopra, poi a sinistra e di nuovo a destra: strettamente di fianco alle sue grandi labbra, il mio altro posto preferito. Infine, ripassavamo insieme l’intera lezione della passione più intima: le ordinavo di alzare le cosce e, indugiando sotto di lei, le leccavo per bene tutto l'insieme di ano e perineo.

Sotto ogni colpo di lingua la sentivo aprirsi, allargarsi e offrirsi. Quando poi mugolando dal piacere iniziava a muovere i fianchi, così facendo mi dava la misura del suo desiderio crescente. Alla fine, allargava da sola le gambe al massimo, mi prendeva la testa decisa con entrambe le mani e me la forzava, mi costringeva a incollare le mie labbra alla sua vulva bellissima e saporita. Non potevo scappare, quasi non respiravo e allora la leccavo il più dentro possibile come se non ci fosse un domani. Veniva gemendo e quindi mi ordinava di scoparla immediatamente. Io eseguivo, pazzo di lei. Venivo regolarmente dentro la sua fregna. Non voleva che uscissi. In tutto questo scenario, scopandola facevo l’amore coi suoi capezzoli e lei ogni tanto grata, in cambio se ne aveva mi dava il suo latte. Soprattutto quando aveva partorito da pochissimo e non vedeva l’ora che le succhiassi le mammelle.

In quel periodo, di latte ne aveva tantissimo e le mammelle le scoppiavano, quasi. Quando la succhiavo al seno, regolarmente dopo poco veniva. Per me era godimento puro. L’avrei voluta solo per me. Ma lei amava più di ogni cosa i suoi figli e per questo sopportava un matrimonio finito, con un uomo gran lavoratore ma sessualmente spento e disinteressato. Uno che non la scopava neppure più. Giusto ogni tanto rapidamente, per dovere e senza troppo entusiasmo. Per punizione, lei non gli concedeva di baciarla lingua in bocca: serrava le labbra pur carnose e bellissime. Così, per negargliele, lei girava la testa a destra e sinistra. Solo per quelle labbra l’avrei sposata io stesso, fosse stata sul mercato. Ma lei invece era tutt'altra indole, rispetto al marito. Io lo so bene. Era una donna calda, piena di passione e voglia di vivere.

A volte arrivava decisa, incazzata, ma con me comunque sempre allegra. Mi ordinava delle cose che mi lasciavano a bocca aperta dallo stupore. Tipo: “Dai, abbiamo solo un’oretta. Muoviti: inculami, ché quello stronzo non mi guarda neppure più. Ho semplicemente un grandissimo bisogno di sentirmi femmina bramata e vinta, usata. Voglio che tu non desideri altro al mondo che sborrarmi dentro. E allora spaccami, fammi tua con la forza. Oggi mi devi fare maleeee: fammi sentire che mi sottometti. E se ti dico basta, tu sii maschio: inchiodami col tuo cazzo e fammi soffrire. Voglio piangere dalla rabbia per l'umiliazione della sottomissione.” Dio quanto mi piaceva, quella donna! Poi, poco più di un anno fa il marito ha avuto una promozione e hanno dovuto spostarsi.

Abbiamo continuato per un po’ a vederci, con mio grande sacrificio: dovevo fare quattrocento chilometri solo per un pomeriggio con lei. Con enorme dolore, soprattutto da parte mia, man mano la cosa s’è diradata ed è finita. Ogni tanto mi scrive e mi dice che uno che la faccia godere come me ancora non l’ha trovato. Che mi pensa spesso. Ogni sua frase per me è una coltellata dritta al cuore. La mia lingua ancora ha nostalgia del suo sapore. Però intanto sperimenta, cambia, cerca. Sono contento per lei, alla fine. Io un po’ soffro. Un po’ tanto direi, perché comunque sono ancora molto innamorato…

RDA
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La dico diritta.
Chi oggi critica Jannik Sinner non capisce nulla di tennis e dovrebbe stare lontano migliaia di chilometri da questo sport.
Quello che ha passato lui, costretto a tre mesi di inattività forzata per una vicenda di un’ingiustizia solare, avrebbe ammazzato un toro, distrutto mentalmente e fisicamente chiunque dei suoi avversari.
Lui invece cosa fa? Rientra dopo tre mesi di stop e in meno di un mese, come se nulla fosse, fa finale a Roma e arriva a tre Championship point a Parigi, contro un femomeno, sulla sua superficie sfavorevole.
Uno così, semplicemente, non è di questo mondo. Uno così andrebbe preso e studiato per capire di che materia è fatta la testa di un campione.
E invece c’è chi sta lì a ricordare che Sinner non ha mai vinto un match sopra le 4 ore di gioco, dimenticandosi di dire che lui, sopra le 4 ore, non ci arriva praticamente mai perché sono sempre o quasi mattanze con una rete in mezzo.
Addirittura “La Stampa” ieri, un minuto dopo la fine della partita, titolava: “Jannik Sinner PERDE il Roland Garros”. Non lo vince Carlos Alcaraz. Non - meglio ancora - “vince il tennis”. No, perde Sinner.
Come se qualcuno, dopo 5 ore e 29 minuti della finale Slam forse più bella della storia del gioco, sicuramente del Roland Garros, potesse essere associato alla parola sconfitta.
Di più, io nella “sconfitta” di ieri ci ho visto riflesse le vittorie di domani. Perché ieri Jannik ha dimostrato per la prima volta nella sua carriera di essere definitivamente competitivo per i big titles ovunque, e in qualunque condizione. E il primo ad averlo capito è Alcaraz, che sa di dover ancora alzare il livello.
Una partita memorabile si gioca in due. E Jannik per quasi tre ore l’ha giocata alla pari, anzi meglio. Poi Carlos si è messo in modalità God on e il resto l’hanno fatta una prima palla sotto il suo standard (unica pecca di una partita stellare) e una piccola sbavatura solo sul secondo dei tre famosi match point (sì, anche lui è umano).
Ma di cosa stiamo parlando?
Siamo di fronte al manifestarsi di un prodigio, di un fenomeno generazionale come se ne vede - Big three a parte - uno, massimo due ogni vent’anni e c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di criticarlo perché non ha vinto, perché non esulta, perché “non ha grinta” (sì, ho sentito anche questa idiozia), addirittura perché ha “regalato” una palla ad Alcaraz, invece di applaudirne la enorme sportività (tra l’altro ieri più volte reciproca) di questo meraviglioso essere umano, molto prima del fenomeno.
Chi ama e conosce il tennis oggi lo ringrazia per averci dato insieme a Carlos la partita del secolo, del decennio, decidete voi.
Per le parole esemplari che ha speso dopo e la sua capacità inumana e al tempo stesso umanissima di saper perdere.
A uno come Jannik oggi, nella sconfitta, soprattutto oggi, dovremmo dire GRAZIE per la partita eroica che ha giocato, per come ha perso, senza tirare in ballo il pubblico, i francesi, la sfortuna, l’avversario, i telecronisti. Anche in questo l’Italia avrebbe tanto da imparare da uno come Jannik.
Perché è facile salire sul carro quando vince.
Molto più difficile starci oggi, composti e dignitosi come lui.
I campioni sono fatti così. Sforziamoci almeno di esserne degni.
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C’è chi ancora basa la sua vita sulle lauree che ha conseguito, chi spende soldi come se non ci fosse un domani, chi ammazza la propria donna, chi gioca coi tuoi sentimenti, chi deride gli altri e sorride, chi pensa che ubriacarsi sia la salvezza da tutti i mali, e chi, come il sottoscritto, sta ancora fermo a guardare tutti gli anni della propria vita passare senza muovere un passo.
#pensieri#non#frasi motivazionali#amici#falsi#le migliori frasi#frasi#citazioni#frasi tumblr#frasi italiane#frasi musica#riflessioni#domande#tumblr italia#frasi vere#frasi tristi#frasi sulla vita
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Lettera aperta a tutti quelli che che mi hanno conosciuto.
Passano gli anni ma mi rendo conto che chi sta meglio di me in realtà sta peggio.
Persone che ho sempre voluto vedere felici, che mai avevo visto nemmeno di persona, hanno cercato di usarmi pensando fossi ingenuo, ma la bontà non è sinonimo di ingenuità, di debolezza, io ho aperto le porte a chiunque, perché dentro non smetterò mai di abbandonare quel bambino che sono stato, che condivideva anche i sorrisi che non aveva per sé stesso, ma che non avrebbe passato la notte se avesse saputo che il suo “amichetto/a” il giorno dopo avesse avuto il broncio.
Perché siete “cresciuti” dando spazio all’odio?
Perché anziché promettere ad altri non promettete a voi stessi di ritrovarvi?
Di guardarvi dentro una volta tanto, e affondare nel male che avete condiviso con me, anziché condividere quella parte di “esseri umani” che era ancora insita in voi?
Se foste stati di parola, come a quegli anni, non mi avreste mai abbandonato, così dicevate.
Vedere lasciare soffrire una persona non rientrerà mai nei mei pensieri, anche se fosse qualcuno che, come successo fino all’altro ieri, ha fatto di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote, no, perché so che anche il peggiore ha dentro qualcosa di positivo da condividere con chi gli sta accanto, solo che non lo sa, ma anche se fosse, non ci proverebbe minimamente a mostrarlo, l’egoismo è letale.
Parto sempre dal presupposto che non ho lezioni da dare a nessuno, sono anni che passo muto ad osservarvi, non ho mai commentato una virgola, chi sarei per farlo?
È proprio per questo, che ho preso in mano una penna e ho iniziato a sfogare tutto ciò che avevo dentro, quello che avrei voluto dirvi, ma sarebbero stati guai a raccontarvi quello che provavo, perché un consiglio oggi è visto come una condanna.
Eppure vi ho sempre lasciato sfogare con me, vi ho sempre ascoltato, anche quando ne avevo le palle piene, avevo i problemi a casa con mia mamma e la sua maledetta malattia, io per anni non sono esistito per voi, ma non me ne vergogno, ho ammesso anche io i miei sbagli, ho chiesto scusa, anche quando non non mi andava di farlo, e soprattutto quando non c’era motivo per scusarmi, ma pensavo: “Magari domani sanno che potranno sfogarsi nuovamente con me, si sentiranno più liberi dal peso che questa società ci scaglia addosso”.
Quanto male mi son fatto!
Ma rifarei di nuovo tutto, vi verrei di nuovo incontro, vi vorrei vedere sorridere solo a sentirmi parlare, vi vorrei tutti più uniti, come da piccoli ricordate?
Non c’era bimbo/a che stesse solo.
Perché qualcuno andava a recuperarlo, anche a costo di restarci solo assieme.
Ma abbiamo dimenticato, come si dimentica la storia, stessa identica cosa.
Di voi ricordo ciò che dicevate tutti: “Mattia non cambiare non diventare come gli altri, hai qualcosa in più che non riuscirò mai a spiegarti”, questa frase me la ricordo ogni mattina quando mi sveglio, da quanti anni ormai? Troppi.
Permettetemi una domanda?
Perché voi siete cambiati?
Per piacere a gente che poi vi ha fatto lo stesso gioco che avete fatto con me?
Perché farsi del male da soli?
Perché arrivare a non guardarsi più in faccia?
E poi c’è ancora qualcuno che pensa di cambiare il mondo?
Sì, uno ce n’era, il sottoscritto, ma non voleva cambiare il mondo, solamente la sua generazione, il mio sogno più grande, che continuerò anche se con molto sconforto, a portare avanti, “UNO CONTRO TUTTI”, chissà se ora qualcuno, capirà/collegherà tante mie frasi passate a cosa fossero collegate.
Siete riusciti a darmi contro per una canzone su ciò che ho vissuto sulla mia pelle, e sono stato zitto, scendeva una lacrima, ma stavo zitto, so che qualcuno ancora l’ascolta e sappiate che vi leggo spesso nei commenti, e mi fa sorridere il fatto proprio da chi mi “odiava” ingiustificatamente alla fine è finito a farmi i complimenti, ma no, io non voglio queste cose, voglio solo capire perché un giorno disprezzate e l’altro apprezzate una persona come nulla fosse, ma non sapreste spiegarmelo, ne sarei sicuro.
Io ho tanti di quei testi scritti negli ultimi anni, che spesso mi faccio paura da solo, non mi rendo conto di quanti ne scrivo, di quante cose il cuore comunica alla mano che spesso trema, come non volesse accettare quelle cose, ma deve, dobbiamo, accettare tutto in questa vita, ma io in primis non vorrei mai.
Come non ho mai accettato le malattie di mia madre, la morte degli unici amici che avevo fin da quando ero adolescente, che sono gli angeli in terra che hanno evitato quel pensiero maledetto che avevo di togliermi la vita…ma qui mi fermo, perché ognuno di noi non accetta il passato, quindi si blocca, respira, e sa, che se continuasse a pensare a tutto ciò, prima o poi sarebbe lui stesso ad andarsene.
Purtroppo la rabbia generata dalla mia generazione, da chi è passato per la mia anima, e dai quali ho voluto assorbire, pur di evitare di vedervi soffrire ancor di più, mi ha ucciso dentro.
Voi tutti qui, fuori da qui, avete visto Me per quel poco che mi è rimasto da far vedere esteriormente, con un maledetto sorriso che non farò mai mancare a nessuno, gentili o meno che siate con me; quelle poche volte che stavo al centro estivo le animatrici mi dicevano che un mio sorriso giornaliero, era la carica per tutti i ragazzi dello staff, e chi sono io per tenere musi?
Dentro non esisto più, da anni, ma sto cercando di recuperarmi, pezzo per pezzo, forse non mi basterà il resto della vita, ma voglio ritrovarmi anch’io.
Il “numero uno” non esiste, qui dietro al mio essere, c’è solo tanta fragilità, tanta voglia di donare amore, un po’ di spensieratezza, anche se momentanea, di rialzare chi è a terra e spronarlo a rigenerarsi, assieme, mai da soli.
Questa società c’ha fatto sbranare fra di noi, fatto credere che uno potesse essere meglio dell’altro, che potesse avere tutti ai suoi piedi, e noi ci abbiamo creduto, dai più piccoli ai più grandi, passando da un social alla vita reale, visto che ormai non c’è più differenza fra quest’ultime.
Voglio essere sincero con me stesso fino all’ultimo, anche a costo di perdere qualsiasi cosa ma mai la dignità, quindi risponderò a semplici domande che mi son state fatte negli ultimi anni, alle quali non ho mai voluto dare risposta.
Cos’è l’amicizia?
Puro opportunismo.
Cos’è l’amore?
A 16 anni ti avrei risposto, quello che ha verso di me mia madre, piange, urla *silenziosamente* dai dolori, passa settimane a letto, ma rinasce quando mi vede felice, anche se solo per un giorno.
Oggi?
La stessa cosa.
Il significato del termine “amore” mi ha aperto gli occhi mentre pensavo inconsciamente di viverlo, ma andando avanti si inciampa negli errori degli anni passati, e l’amore per giunta non è mai stato amore, è sempre quel qualcosa con una data di scadenza, una parola inventa per stupire un pubblico di creduloni, sii sincero, per quante forme possa avere l’amore, come può essere chiamato tale, se siamo nati con l’odio e il disprezzo reciproco dentro?
E tu come ultima cosa mi hai domandato perché scrivo?
Perché tutto ciò chi mai avrebbe avuto il coraggio di ascoltarlo?
Vi abbraccio con tutte le mie paure, spoglio di tutto ciò che negli anni non ho saputo tenermi stretto, consapevole che domani potrei non esserci più, e sicuro di aver raccontato tutto di me, perché l’oscurità non mi appartiene, e so di essere stato messo al mondo con uno scopo;
come ognuno ha il suo, io ho il mio, quello di far farvi splendere nel vostro piccolo, anche se per poco, assieme a me.
Chiudo mandando un abbraccio forte a mia mamma, il delfino che mi porto sempre in tasca da quando ero piccolo, per ricordarmi che non sono mai solo, anche nei momenti più disperati, mio padre, che nonostante le voragini d’incomprensioni conta su di me, per i vostri sacrifici, mi metto dalla vostra parte e riconosco tanti miei errori ingiustificabili, un abbraccio forte a tutte quelle persone che conosco e ho conosciuto che stanno passando dei brutti momenti, del resto non c’ha mai uniti così tanto il male quanto il bene…e a te che sei arrivato fin qui, l’unica cosa che chiedo sempre a tutti dopo un semplice ma per molti ormai banale: “Come stai”?! Ricordati di farti un sorriso appena puoi.
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mia madre non è mai stata una con le idee politiche espressamente chiare ma quando difende la meloni vi giuro che mi fa incazzare come se non ci fosse un domani.
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Ieri era la Giornata della Felicità, e ovviamente me la sono persa. Me lo sono proprio dimenticato tra le mille cose che avevo da fare. Non che cambi molto, anche se me ne fossi accorto, cosa avrei potuto fare? Intendo proprio ieri che non possa fare oggi, domani e dopo domani. Ieri avrei potuto celebrare la #giornatadellefelicità con un balletto sotto la pioggia per sentirmi vivo. Non pioveva, c'era un sole brillante. E ballare sotto il sole, a meno che non fossi stato su una spiaggia deserta, non ha molto senso. O magari avrei potuto scattarmi un selfie, con il set di filtri "Miracolo a Lourdes", per convincermi che sto bene? La verità è che la felicità non aspetta calendari, eppure eccoci qui, a rincorrerla come se fosse il famoso treno che passa una sola volta. Il 20 di marzo per l'esattezza.
Tanti pensano che l'essere felici stia nella differenza tra l'essere scelti, oppure respinti. Questo concetto, secondo me, ci trasformerebbe in margherite che camminano su due gambe, dove nella nostra testa il "mi vuole, non mi vuole" deciderà se essere felici o meno. Mai lasciare la nostra felicità nelle mani, o nelle decisioni, di un'altra persona. Io l'ho fatto, credetemi è una sofferenza enorme mista a umiliazione. Anche quei piccoli ostacoli quotidiani che si trasformano in montagne russe emotive, il "ci penso domani" dei sentimenti, il rimandare le attenzioni a noi stessi mentre la vita passa, inesorabile.
La felicità, però, ha una spia luminosa, ed è su di un ipotetico cruscotto ovvero il nostro viso. La spia che si accende con la felicità, però, non è il sorriso ma sono gli occhi. Sta negli occhi. Puoi sfoggiare il sorriso più smagliante del mondo, ma se gli occhi sono spenti, è solo una recita. Marco Aurelio lo aveva capito quando disse: "La felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri". Non è là fuori ma dentro di noi. È un germoglio che cresce solo se lo annaffi e ne hai cura. Non fatevi ingannare a chi vi vende la felicità con delle promesse di successo, amore o di una vita perfetta. La felicità vera sta nei dettagli come un gesto, una presenza, del cibo cucinato apposta per te come si deve. Il cibo come una metafora, può essere sia l'alimentazione per il corpo come il nutrimento per l’anima; e saperlo gustare è ciò che ti salva nei giorni negativi. Nutrite l'anima leggendo, più che potete.
Il problema è che la felicità va afferrata al volo, ma in troppi hanno la stessa prontezza con cui capiscono l'ironia. Cioè zero. E così restano lì, a mani vuote, chiedendosi perché la spia nei loro occhi non si accende mai. Non aspettate il prossimo 20 marzo per celebrare questo sentimento di gioia, cercatelo e celebratelo tutti i giorni dell'anno. Io ci provo e ammetto che non è per nulla semplice, ecco perché cerco di circondarmi di anime nobili. Sono isole in mezzo al mare del qualunquismo e, se riesco, cerco di far accendere più spie luminose negli occhi di chi incontro. La felicità va condivisa.
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Vi ricordate Carolina Crescentini sulla scala dell'Ariston per mezz'ora
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Oggi ho voglia di coccole ma nello stesso tempo essere sbattuta come se non ci fosse un domani
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L'amore che provo per te mi fa credere di essere abbastanza forte da affrontare questa distanza. Eppure, troppe volte mi ritrovo a desiderare una presenza, un abbraccio, un gesto che possa colmare il vuoto che sento.
Mi sento come se stessi cercando di afferrare un’ombra, qualcosa di sfuggente, qualcosa che non sembra appartenermi mai del tutto.
Le nostre vite sembrano scorrere su binari diversi e io mi sento un'estranea nel tuo mondo. La tua voce non riesce a colmare lo spazio tra noi.
Cerco di tenere viva la speranza, ma la nostalgia per ciò che mi manca è opprimente, e il desiderio di quotidianità cresce sempre più.
È come se questo amore fosse intangibile, qualcosa che mi sfugge continuamente tra le dita.
Ogni giorno senza di te alimenta un senso di solitudine che non riesco a scacciare. Ogni giorno che passa mi fa temere di perderti e l'incertezza del domani si fa sempre più pesante.
Ogni risata attorno a me mi ricorda quanto mi manchi, e ogni angolo della mia vita è impregnato della tua assenza.
Eppure, in questo vortice di emozioni, cerco di ricordare perché ci siamo scelti. Ripenso a tutto il bene che ci siamo fatti, e all'amore che sappiamo darci.
Così, anche se i giorni sono pesanti e le notti lunghe e insonni, io ti aspetto perché è meglio trascorrere una vita intera ad attendere il tuo ritorno, piuttosto che perderti per sempre.
-Il diario di Coraline🌙
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Vieni qui

Stasera non scappi, bella: guardacaso stasera ho voglia di te e ho bisogno di trattarti da puttana. Andiamo in camera e fammi godere. Cammina, muoviti e non protestare. Ti inginocchierai e me lo prenderai in bocca. Zitta e docile. Perché sei il mio personale passatempo, fino a prova contraria. Sono tuo marito e ti posso usare quando voglio. Stasera ho voglia del tuo corpo, di scoparti senza troppe smancerie.

Ecco: con la tua bocca per ora ho finito, perché ti voglio venire dentro, rimarcare quello che è il mio esclusivo territorio e per questo ora desidero scoparti. Spero tu al solito abbia preso le dovute precauzioni da sola, perché non voglio plastica, ostacoli o interruzioni, mentre ti fotto. E ti fotterò in modo selvaggio, davanti e dietro. Sii preparata.

Tanto, le buone maniere, le gentilezze e soprattutto l'esserti stato sempre fedele, con te non sembrano essere serviti a nulla: ho scoperto purtroppo proprio oggi che te la fai con quel cazzo di istruttore di pilates che francamente mi sembra una checca. A lui penserò domani. Per ora voglio scopare la mia puttana. Ne ho bisogno.

E poi dimmi: da quando hai iniziato a scopare con lui? E già che ci siamo: ne hai presi molti altri, di cazzi in questi ventun'anni di matrimonio? Quanti hanno conosciuto la tua gola e ci hanno sborrato dentro? Che coglione: non mi sono mai accorto di nulla! Imbecille e pure innamorato! “No, sai mia moglie… No grazie: sono veramente lusingato, ma sono sposato…” Idiota puro, fatto e finito! Che cazzo di vero scemo, a non approfittarne! Mai. E allora adesso muoviti.

Stenditi: girati a pancia sotto e apri bene le chiappe, che ti devo trapanare per bene, stasera: di dritto e di rovescio. Inizierò dalla tua fregna completamente spanata e poi a seguire ti sborrerò nel culo. Me l'hai sempre fatto sudare, ‘sto cazzo di culo tuo, come fosse il Santo Graal: una volta l'anno, se m'andava bene.

Invece le foto dell'investigatore ti fissano mentre te lo stai facendo sfondare senza troppe esitazioni, dal merluzzetto giovane. Roba forte: collare e lacrime di dolore! Porca miseria! Per un'ora intera! Ti piace, fare la troia in giro, eh? Cose da pazzi: che numeri da bordello fa, la mia sposa puttana. Che cazzo piangi, adesso? Sei mica un coccodrillo…

RDA
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