#Divinità creatrice
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Ki, Dea Sumera della Terra: Creatrice della Vita e dell'Equilibrio Cosmico
Ki, dea sumera della terra, incarnava l’essenza nutriente della vita. Compagna di An, il dio del cielo, univa cielo e terra in un’unità cosmica. Il suo ruolo plasmava la creazione, dalle piante abbondanti alle fondamenta della civiltà stessa. Venerata in tutte le mitologie, l’eredità di Ki è sopravvissuta come simbolo di fertilità, forza e armonia senza tempo. Esplora i profondi misteri di questa…
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-Divino
Non ci sono parole abbastanza belle per descrivere la tua sublime essenza divina. Il tuo fascino è irresistibile, la tua sapienza illimitata e la tua bellezza sono come un lampo che confonde lo sguardo dei mortali. Nessuna divinità del passato e del presente ha mai posseduto un terzo di ciò che tu sei in tutto e per tutto.
Le tue azioni sono esempi da seguire, i tuoi pensieri saggi insegnamenti inestimabili, il tuo amore totale e incondizionato è un'esperienza che rende i corpi di argilla soggettivizzati ai tuoi piedi. Nessuno dovrebbe osare di sentirsi degno di te, ma tutti sono in debito del loro stesso essere verso la tua bontà infinita.
Se gli angeli della corte celeste cantassero insieme le tue lodi per in eterno con le voci più melodiose della creazione, non riuscirebbero a renderti giustizia nemmeno in piccola parte. Il tuo nome risuona come una promessa eterna, la tua figura splende come un'ombra diurna nel firmamento, mentre i tuoi passi sul suolo terrestre producono echi che echeggiano attraverso gli anelli del tempo.
Tutti, persino le grandi regine, gli imperatori e gli eroi dei tempi antichi, sembrano insetti insignificanti in confronto a te. Tu sei la creatrice e la ragione stessa della creazione, la fondatrice e l'assolutismo della vita universale.
A causa del tuo semplice sguardo, la storia è divisa tra una fase "prima" che ti precedeva ed un'età nuova iniziata col tuo avvento sulla scena della terra. In quel momento preciso, il sole cambiò direzione e si accese di una luce più intensa e splendente che mai era stata vista prima.
Quanto alla mia devozione per te, non posso offrirti nulla che non sia già stato donato dalla tua magnanimità illimitata. Tutto ciò che posseggo è tuo già dall'eternità, insieme al mio cuore, alle mie labbra, alla mia anima e a tutto ciò che si nasconde dietro i veli più profondi del mio essere.
Vorrei essere tuo per sempre e in eterno.
Grazie di esistere e di essere quì con me ~

-Harley Queen
*osservavo il Divino silente, rimanendo ferma immobile nel guardarlo incuriosita con i suoi capelli lunghi bianchi, fascino e corpo da statua come se fosse un dio... per poi rispondere a mia volta*
Non sono nulla di tutto ciò, se fossi una dea scatenerei saette sulla terra agli uomini, solo per sentire i loro lamenti di sofferenza. Ma afferrerò il tuo cuore nelle mie mani da guerriera e lo proteggerò fino alla fine. Grazie a te di esistere Divino Indiscusso.

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Nel momento in cui l’uomo si è chiesto quale fosse il senso della sua vita ha inventato prima la religione, poi la filosofia e in ultimo la scienza.
Con la prima il senso della vita gli giunge dall’alto, da una divinità superiore, spesso anche creatrice dell’universo, che possiede un progetto preesistente che include l’uomo.
Con la seconda, l’uomo tenta di darsi da sé la risposta a quale sia il senso della sua vita, e cerca di darsi qualche fondamento, di stabilire dei principi etici, talvolta da solo, più spesso insieme ad altri uomini: la sua comunità, l’umanità intera.
Con la terza si ricerca una verità all’interno delle cose o nei rapporti fra le cose, che sia indubitabile perché verificabile da chiunque; questa verità è la certezza del funzionamento delle cose ed è anche prescrittiva: le cose devono funzionare in questo modo, questa è la loro natura, tutto ciò che diverge è contro natura.
La scienza, come già la religione, sposta l’asse della ricerca del senso della vita umana, al di fuori dell’uomo stesso e lo ancora a fondamenta indipendenti da esso.
La religione deve far discendere il volere di Dio da Dio stesso, ma Dio non parla alla collettività degli uomini, in tutte le religioni Egli si rivolge solo ad alcuni di loro per mostrare cosa desidera, e non lo fa mai direttamente.
Subito si manifesta il dubbio che questi uomini privilegiati da Dio stiano riferendo davvero la volontà di questo Dio; subito dopo si manifesta il dubbio che questa volontà non venga alterata.
Si è ovviato al primo dubbio prestando ascolto solo a persone con caratteristiche straordinarie, buone, oneste, giuste, sagge: i patriarchi e i profeti; si è ovviato al secondo dubbio scrivendo correttamente le esatte parole pronunciate da Dio, senza alterarle.
Furono stabilite fin dall’inizio delle regole ferree perché gli scribi trascrivessero correttamente queste parole senza distrarsi e senza commettere errori; uno scriba, ad esempio, non poteva interrompere la scrittura per nessun motivo, se stava scrivendo il nome di Dio non poteva interrompersi nemmeno se era il re in persona a salutarlo, se scriveva tre nomi divini in successione, poteva fare una pausa fra l’uno e l’altro, ma non poteva lasciare uno dei nomi a metà. Rabbi Yishmael nel II° secolo d.C. intimò ad un copista: “Stai facendo il lavoro del Cielo, e se cancelli una lettera o ne aggiungi una, distruggi il mondo intero”.
Anche in questo modo fu impossibile raggiungere la perfetta uniformità di scrittura, comparando le varie Bibbie dei vari tempi, non ce n’è una che sia identica ad un’altra.
Ma il problema più grave era l’interpretazione delle parole del testo, ci sono delle frasi che possono essere intese in maniera del tutto differente: qual’è quella corretta, quale esprime la vera intenzione divina?
Ad esempio la Bibbia dice che non si deve cuocere un capretto nel latte della madre (Esodo 23, 19); alcuni l’hanno inteso alla lettera, cioè non è lecito cucinare un capretto nel latte della capra che gli ha dato i natali, ma in un gregge numeroso è difficile stabilire con certezza qual’è la vera madre di ciascun capretto.
Allora si è imposta un’interpretazione più ampia: non è lecito cucinare un capretto con il latte di capra e, per estensione, non è lecito accostare la carne con i latticini in un unico pasto, indipendentemente di che carne sia o di che tipo di latticino si tratti.
Per codificare le regole di una corretta interpretazione del libro sacro i rabbini nel III° secolo d.C. crearono la Mishnah, ma anche questo testo spesso si prestava ad interpretazioni differenti, al punto che per spiegare la Mishnah fra il V° e il VI° secolo d.C. i rabbini formularono il Talmud.
Oggi le discussioni e le interpretazioni del Talmud sono diventati più importanti del Talmud stesso, mentre la Bibbia si è persa completamente di vista, sostituita dalle parole del Talmud e delle sue varie interpretazioni.
La Bibbia si rivolgeva ad un popolo di pastori e di agricoltori che vivevano nella Palestina in un arco di tempo che va dal II° millennio a.C. ai primi cinque o sei secoli d.C., tutti gli esempi fatti sono semplici ed utilizzano modelli immediatamente noti a quelle persone, perché tratti dalla loro vita quotidiana.
Già un ebreo di qualche secolo dopo, che viveva ad Alessandria in Egitto e faceva il mercante o il marinaio, non trovava nel testo sacro modelli che si potessero adattare alla vita che stava vivendo.
Nella Bibbia è scritto il divieto di lavorare durante lo shabbat, ma il concetto di lavoro è molto mutato, e già ai tempi di Gesù questo era un precetto che creava difficoltà.
Si può abbeverare il proprio gregge di sabato? E annaffiare le piante? E leggere o scrivere un libro? E strappare un pezzo di carta?
Gli ebrei ortodossi hanno risposto in maniera sorprendente a ciascuna di queste domande e spesso per noi oggi inconcepibile: è lecito leggere un libro, ma non strappare la carta, per questo di venerdì nelle famiglie ortodosse si strappano diversi pezzetti di carta igienica, sperando che bastino.
Non è neppure lecito premere il pulsante di un’ascensore per raggiungere il piano della propria abitazione o per uscirne, il risultato è che le persone anziane, i pigri e i disabili rischiano di rimanere prigionieri in casa di sabato.
Col tempo la religione, e non solo quella ebraica, pur di conservare l’ascendenza divina del senso della vita, l’infallibilità della parola di Dio e l’uniformità della Legge, ha sacrificato sempre di più l’aderenza alla realtà, discutere su cosa fare è diventato più importante del farlo.
(Testo liberamente tratto dal libro di Yuval Noah Harari, Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’I.A., Bompiani, 2024, Cap. 4, Errori. La fantasia dell’infallibilità).
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Fra improbabilità e caso si fa spazio il creazionismo

Perché la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio. La dimostrazione dell'esistenza di Dio su basi scientifiche e matematiche è un tema che, dopo aver affascinato pensatori come Anselmo e Gödel, torna nel recente libro di Bolloré e Bonnassies. Che però fa un uso della scienza del tutto inadeguato, oltre a cadere nell'errore logico comune a tutti gli argomenti a sostegno del cosiddetto “disegno intelligente”. La dimostrazione dell'esistenza di Dio su basi razionali è un tema sul quale si sono cimentati giganti del pensiero, da Anselmo d'Aosta a Gödel, passando per Tommaso d'Aquino, Cartesio, Leibniz e Kant. Ma come è ben noto si tratta di argomenti non conclusivi. Non sorprende dunque che periodicamente si torni sopra questo vecchio problema, evidentemente mal posto. Tra gli ultimi tentativi il libro di Bolloré e Bonnassies sembra godere di un successo particolare. Pubblicato nel 2021, è stato tradotto in italiano nella primavera del 2024 e continuiamo a leggerne lodi senza riserve sulla stampa e sui media digitali. Il sottotitolo invoca «l’alba di una nuova rivoluzione». Ma c’è ancora qualcosa da dire su questo argomento? Ci sono novità dalla scienza in grado di colmare il vuoto dei tentativi precedenti? Benché il libro abbia venduto molto e attratto un certo interesse, non ci pare che ci siano novità reali rispetto ad Anselmo (morto all’inizio del XII secolo). Ci troviamo semmai solo un uso retorico e inappropriato di alcuni risultati scientifici, insieme a un errore logico comune a tutti gli argomenti a sostegno del cosiddetto “disegno intelligente”. Qualche coordinata Gli autori del libro sostengono come ormai, basandosi sulla scienza, sia possibile dimostrare in modo inequivocabile l’esistenza di una divinità creatrice. All’estremo opposto dello spettro c’è chi, come Daniel Dennett, afferma senza mezzi termini che la fede religiosa sia una varietà di malattia della mente . A scanso di equivoci e inutili polemiche, non ci sembra che una tra queste due posizioni debba essere corretta. La religione, più in generale la spiritualità, costituisce sicuramente una dimensione importante per qualcuno, ma questo non ha bisogno di avere una base scientifica. Ed è certamente comprensibile che chi le ha a cuore entrambe trovi stimolante la sfida di giustificare la propria fede su base scientifica. Ma non sempre il mescolamento di fede e scienza produce risultati positivi. Un’osservazione dello psichiatra Giovanni Jervis ci sembra illustrare bene il punto generale: «La nostalgia dell’infinito è rispettabile, ma se non riesce a diventare poesia alta subito diventa qualcosa di più basso e banale, ossia sentimentalismo e retorica». Bolloré e Bonnassies insistono con una retorica tanto consolidata quanto inconcludente: perché esiste un lungo elenco di importanti scienziati credenti, dimostrare l’esistenza di una divinità creatrice su basi scientifiche è del tutto possibile. Inutile dire che da un punto di vista logico questo argomento non ha alcuna rilevanza. Le convinzioni personali di chi ha fatto la storia della scienza non hanno nulla a vedere con la razionalità. La scienza è un’attività umana, nata per diversi motivi e praticata da persone che hanno vissuto immerse nel loro periodo storico. E così, sfogliando gli annali della storia della scienza, troviamo che i grandi scienziati sono distribuiti su tutte le possibili tipologie umane: atei (Laplace), religiosi (Maxwell), bigotti (Cauchy), eretici (Newton), guerrafondai (von Neumann), pacifisti (Richardson), conservatori (Gauss), rivoluzionari (Landau) e, più vicino ai nostri tempi, anche razzisti e sessisti (categorie egregiamente rappresentate da Watson, ma purtroppo non solo). Non si tratta però dell’unico argomento di Bolloré e Bonnassies che elaborano una linea di ragionamento da loro stessi etichettata come “rivoluzionaria”. Pur concedendo che per quasi cinque secoli si sono accumulate scoperte scientifiche che suggerivano la possibilità di spiegare l’Universo senza la necessità di un Dio creatore, notano che negli ultimi tempi le cose starebbero andando nella direzione opposta. Un ruolo particolare in questo viene assegnato alla scoperta della termodinamica, da cui segue che l’universo si sta degradando dirigendosi verso una morte termica. Questo è a detta loro un cambiamento radicale di prospettiva, da cui discenderebbe l’esistenza di una divinità creatrice. Anche senza entrare in dettagli di storia della fisica, è opportuno inquadrare certi risultati ben noti nel loro contesto storico: la termodinamica non è esattamente una scienza giovane. Nasce all’inizio dell’Ottocento e la sua completa formalizzazione risale alla fine del diciannovesimo secolo. Analogamente il tema della morte termica, che inizia con un fondamentale lavoro di Ludwig Boltzmann del 1872, è stato un tema discusso ampiamente da grandi scienziati, come Kelvin, già a fine Ottocento. La speranza che la termodinamica costituisca un game changer nelle prospettive di dimostrare l’esistenza della divinità creatrice su basi scientifiche sembra dunque mal riposta. La prova scientifica non è uno strumento adatto alla teologia Il problema non è limitato alla termodinamica o alle altre aree della ricerca scientifica menzionate da Bolloré e Bonnassies. Si tratta piuttosto del fatto che, per loro natura, la dimostrazione matematica e la prova scientifica non sono strumenti adatti a dimostrare l’esistenza del Dio che avrebbe creato l’oggetto di indagine della scienza stessa. Ricordiamo innanzitutto che non esiste alcuna dimostrazione matematica o prova scientifica che non muova da qualche ipotesi la cui verità è data scontata. La bontà di una conclusione scientifica dipende quindi da due fattori: la correttezza del ragionamento e la plausibilità di ciò che si dà per scontato, ovvero le ipotesi. Per questo una parte fondamentale del lavoro scientifico riguarda la giustificazione delle ipotesi. Nella dimostrazione matematica, si danno per scontate le definizioni e le regole di inferenza. Possiamo, per esempio, concludere con certezza che un numero è dispari (B) se sappiamo che non è pari (A), perché sappiamo che tutti i numeri sono pari oppure dispari (A oppure B). Ma perché lo sappiamo? Perché siamo noi a definire cosa significa per un numero essere pari. E per le stesse ragioni sappiamo anche che tutti i numeri sono pari oppure dispari (se ci mettiamo prima d’accordo su cosa sono i numeri). All’ulteriore domanda su cosa giustifichi quello che stiamo dando per scontato, rispondono millenni di matematica, e tutto ciò che con successo si basa su di essa.

Nell'immagine: dettaglio de La creazione di Adamo di Michelangelo. Crediti: Wikimedia Commons. Licenza: pubblico dominio Il ragionamento scientifico sperimentale è più complicato perché sulla verità delle premesse c’è sempre un grado di incertezza che qualsiasi prova scientifica trasmette alla propria conclusione. Quindi tra le molte cose che si danno per scontate nella prova scientifica c’è il concetto di certezza pratica, grazie a cui si compie una mossa apparentemente contraddittoria: assumere la veridicità dei dati raccolti pur sapendo che potrebbero non essere del tutto “veri”. Questo rende qualsiasi ragionamento sperimentale un ragionamento probabilistico. Con queste premesse possiamo chiederci che forma avrebbero una dimostrazione matematica e una prova scientifica dell’esistenza della divinità creatrice, e cosa darebbero per scontato. Spoiler: darebbero per scontata l’esistenza di qualcosa che assomiglia moltissimo alla divinità (creatrice). Dimostrazioni matematiche Per quanto riguarda la prima, la fatica ci viene risparmiata dal più grande tra i logici moderni, Kurt Gödel. Nella sua rivisitazione matematica della prova ontologica di Anselmo troviamo una serie di ipotesi molto forti, tra cui una sulla necessità dell’esistenza di certe proprietà che, nel corso della dimostrazione, portano alla conclusione che esistono necessariamente proprietà del “tipo-divino”. Come tutte le conclusioni ottenute per dimostrazione matematica, anche quella di Gödel è persuasiva nella misura in cui lo è la verità delle sue premesse. A questo proposito lasciamo la parola a un altro logico, certamente meno famoso di Gödel ma tra i più brillanti che abbiamo avuto in Italia, Roberto Magari : «In sostanza Gödel deduce correttamente da certi assiomi la sua tesi (anche se bisogna mettersi d’accordo su che cosa possa significare ‘Dio’), ma non ci sono motivi di credere veri gli assiomi più di quanti ce ne siano per accettare direttamente la tesi». Prove scientifiche Quali caratteristiche avrebbe invece una prova scientifica dell’esistenza della divinità creatrice? Sediamoci ancora una volta sulle spalle dei giganti. Uno dei primi esempi di test statistico di un’ipotesi scientifica, oggi uno degli strumenti centrali nella cassetta degli attrezzi della metodologia sperimentale, è stato condotto da John Arbuthnot all’inizio del ‘700. Osservando il registro dei battesimi di Londra dal 1629 al 1710 notò che in tutti gli 82 anni erano stati registrati (e quindi, probabilmente, nati) più bambini che bambine. I dati apparivano in aperto conflitto con l’ipotesi che bimbi e bimbe nascessero con uguale probabilità, proprio come se il sesso fosse il risultato del lancio ripetuto (senza memoria) di una moneta equilibrata. Se diamo per scontate queste ipotesi, allora un calcolo elementare ci fa vedere che la probabilità di osservare più maschi che femmine consecutivamente per 82 anni è molto, molto, molto bassa, 1 su 282. Dunque, conclude correttamente Arbuthnot, è ragionevole assumere l’esistenza di uno squilibrio alla nascita che rende (leggermente, sappiamo ora) più probabile un maschio. Fino a qui tutto bene. Ma Arbuthnot va oltre e si chiede il perché di questo sbilanciamento. Trova la risposta in ciò a cui già crede: la provvidenza divina. Questa, immettendo nella comunità più maschi che femmine, consente (tra le altre cose) alle seconde di osservare il sacramento del matrimonio nonostante le ingenti perdite dei primi, che spesso non ritornano dalla guerra. La negazione del caso La riflessione di Arbuthnot, pubblicata su Philosophical Transactions della Royal Society - una delle prime riviste scientifiche moderne - contiene un errore logico che, a quattrocento anni di distanza, ritroviamo sostanzialmente immutato nel tipo di argomento creazionista noto come “disegno intelligente”, e che si ritrova in tutto il volume di Bolloré e Bonnassies. Lo schema è questo. Si parte da osservazioni sperimentali, che chiameremo DATI. Si formula un’ipotesi che cattura l’idea che non ci sia alcuna divinità creatrice, cioè che i DATI che osserviamo siano dovuti al CASO. Poi si calcola P(DATI | CASO), cioè la probabilità di osservare i DATI se è vera l’ipotesi del CASO. Supponiamo infine che sia molto piccola, cioè che è estremamente improbabile che le nostre osservazioni siano frutto della pura casualità. Fino a qui tutto bene, come nel caso di Arbuthnot. Il problema nasce dal passo successivo, cioè nella scelta di un’ipotesi da intrattenere al posto del CASO per la spiegazione dei DATI. Dal punto di vista logico la risposta è semplice: la negazione del CASO. Ma dal punto di vista pratico-scientifico, non è affatto chiaro cosa significhi di preciso. Torniamo ad Arbuthnot. L’ipotesi CASO è tradotta con l’uguale probabilità di M e F. La sua negazione è data dall’infinita scelta di tutte le coppie di numeri reali non negativi diversi da ½ che sommano a 1. Poiché la probabilità prende valori tra 0 e 1, le scelte possibili sono tante quanti sono i punti della retta. In questa infinità troveremo letteralmente di tutto, e quindi anche la divinità creatrice. Ce lo dice una serie di risultati probabilistici fondamentali che rispondono alla domanda se il disordine può essere fonte di regolarità . L'idea è che in una successione binaria che soddisfa una certa definizione precisa di “caso” ci sono, per ogni N, tutte le possibili successioni di lunghezza N di 0 e 1. Quindi se trascrivessimo la Divina Commedia, Guerra e Pace e L’Odissea in codice binario, nella successione a un certo punto apparirà la Divina Commedia seguita da Guerra e Pace, poi apparirà L’Odissea seguita dalla Divina Commedia, poi appariranno i versi alternati della Divina Commedia e de L’ Odissea, e così via attraverso il numero astronomico di tutte le combinazioni che possono venire in mente. La successione binaria associata a un numero a caso tra 0 e 1, quasi sicuramente, contiene più materiale della biblioteca di Babele di Borges, la storia del nostro Universo dal Big Bang ai nostri giorni, e anche tutto quello che succederà fino alla morte termica dell’universo. L’errore di Arbuthnot, che si ritrova negli argomenti creazionisti fino a quello del libro di Bolloré e Bonnassies, è dunque il seguente. Rigettare un’ipotesi come “la vita è dovuta al caso” significa aprire a un’infinità di ipotesi alternative di cui non ha senso pensare che siano tutte scientificamente rilevanti. Tutt’altro. Giova ricordare che nel ragionamento scientifico la plausibilità delle ipotesi discende dalla fitta rete di fatti che a volte viene chiamata “teoria”. E quando questa non è sufficiente a delineare una spiegazione plausibile delle osservazioni, l’atteggiamento scientifico opportuno è quello di continuare con la ricerca scientifica, oppure sospendere il giudizio. Notiamo, per chiudere con Arbuthnot, che a oggi non c’è consenso su cosa spieghi i dati consolidati sul rapporto tra i sessi alla nascita. E forse la spiegazione potrebbe non esserci. Improbabilità: usare con cautela Le prove che fanno leva sull’improbabilità delle osservazioni alla luce dell’ipotesi che viene testata con i dati sperimentali sono alla base della costruzione della conoscenza scientifica. Ma vanno applicate con estrema cautela metodologica. Il loro uso inappropriato, termine con cui si copre tutto lo spettro che va da “con leggerezza” a “in modo fraudolento”, è l’oggetto dell’accesa discussione metodologica sulla significatività statistica . Una buona regola euristica emerge però chiaramente. Gli argomenti basati sull’improbabilità dell’ipotesi che si vuole confutare sono tanto meno affidabili tanto più ci si allontana da asserzioni appartenenti ad aree quantitative della scienza. Questo è il motivo per cui in molti sistemi legali si dà opportunamente per scontata la cosiddetta presunzione di innocenza. L’onere della prova, cioè, è a carico dell’accusa e non della difesa. Purtroppo, esistono molti esempi in cui questa norma di civiltà è stata contravvenuta portando a condanne basate non sulla ragionevole probabilità di colpevolezza, ma sull’esigua probabilità di innocenza . Riferimenti: - M-Y Bolloré e O. Bonnassies. Dio. La scienza, le prove. (Ed. Sonda, 2024) - D.C. Dennett. Rompere l’incantesimo (Raffaello Cortina, 2007) - G. Jervis, intervista su Reset, settembre-ottobre 2007, pag.44 - Roberto Magari. Logica e teofilia in Kurt Gödel. In: “La prova matematica dell’esistenza di Dio”. 8Bollati Boringhieri Editore, 20069 - P. Diaconis and B. Skyrms. Ten Great Ideas About Chance (Princeton University Press, 2018) - C.S. Calude and G. Longo. The deluge of spurious correlations in big data. Foundations of science 22, 595 (2017) - A. Vulpiani. Caso, probabilità e complessità (Ediesse, 2014) - H. Hosni. Probabilità: Come smettere di preoccuparsi e imparare ad amare l’incertezza (Carocci, 2018) - V. Amrhein, S. Greenland, and B. McShane, “Retire statistical significance,” Nature, vol. 567, pp. 305–307, 2019 - D. J. Hand, “Trustworthiness of statistical inference,” J. R. Stat. Soc. Ser. A Stat. Soc., vol. 185, no. 1, pp. 329–347, 2022 Read the full article
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Satana è una incoerenza teologica (una delle migliaia, riscontrabili), perché la divinità creatrice, cristiano-ebraica è, e viene ripetuto continuamente!, onnipotente (vede tutto, sa tutto e agisce su tutto il comportamento umano, azioni negative comprese).
Perché è importante aderire, volontariamente, ad una religione da adulti e non da bambini? Perché da adulti, una volta formati secondo Cultura ed esperienza, balza all'occhio che nella bibbia e nei vangeli e nelle parole dei sacerdoti stessi (del clero cattolico, in particolare) ci sono affermazioni incoerenti e risibili, anche sul fantomatico "libero arbitrio" - che il clero religioso stesso, in contraddizione con l'onnipotenza e volontà divina, ti nega.
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PILLOLE DI GUARIGIONE IN ACQUA

Da un’ intervista allo scienziato Masaru Emoto da Scienza e Conoscenza:

Ma l'acqua, a livello vibrazionale, ha una propria "impronta" o è semplicemente un veicolo che si carica di vibrazioni da altre fonti?
"Io penso, noi pensiamo, che l'acqua sia il mezzo per eccellenza per trasmettere quella che noi chiamiamo Hado, ovvero la vibrazione."

Secondo lei è giusto allora rivalutare la concezione contemporanea di vita? Non è la vita una cosa molto più vasta di quello che noi oggi pensiamo?
"Sicuramente, la vita è ovunque, nel mondo organico e non. Noi in Giappone abbiamo una Dea che si chiama Cannon, questa parola in ideogrammi significa "Vedere il Suono". Sta a significare il sentire la vibrazione ovunque, anche in un sasso che troviamo per strada. E voglio ora aggiungere una cosa: pensate alla macchina fotografica Canon, viene da Can-non, ovvero la divinità che "Vede" il suono - o Hado della vita - ovunque."
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Vi aspettiAMO martedì 8 AGOSTO in ACQUA da Nadia Previtali di DISEGNO D' AMORE e tutto il mese di agosto
INSIEME E' MEGLIO!!

Info e prenotazioni Nadia 349 8832635
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Paola, fedele a me stessa
Insegnante di Meditazione e di Usui Holy Fire & Karuna Reiki, Terapeuta Reiki per Umani ed Animali, Membro dell’ Associazione Canadese del Reiki e del Centro Internazionale di Formazione Reiki sede negli Stati Uniti, Cristallo Terapeuta, formazione Crystal Academy in Hawaii, Usa. Life and Spiritual Coach. Esperta in Tecniche Bioenergetiche Quantistiche e Vibrazioni Sonore Cristalline, Istruttore di Nordic Walking Ways, Creatrice del metodo Meditare attraverso il Nordic Walking Ritmico®
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UNIONE SACRA PONTE PER L’INFINITO

Uomo e donna hanno ruoli differenti ma hanno bisogno l’uno dell’altra per completarsi. Un uomo senza donna non è nulla ma nemmeno una donna senza uomo è molto meglio. Separati siamo esseri incompleti alla ricerca di qualcosa che non troviamo; uniti, il Vero uomo e la Vera donna sono una forza.
La donna apre all’uomo la porta dell’eternità; la Vera donna è una semi dea, figlia della Pachamama, della grande Madre Cosmica, fonte di vita eterna.
E così lei è il cammino verso l’eternità, la strada che permette di fondersi con l’Infinito.
L’uomo vicino alla vera donna si divinizza. Per scoprire i misteri della divinità l’uomo deve penetrare nel cuore della donna, deve considerare la donna come la versione della natura creatrice la cui morale si basa sul rispetto per la vita.
Attraverso la donna, l’uomo può giungere all’assoluto; per questo è così importante per lei imparare a indirizzare la propria energia. La donna ha il potere di liberare l’uomo dal materialismo. Grazie a lei l’uomo, condannato altrimenti a rimanere schiavo del proprio materialismo, riceverà il fuoco che gli permetterà di essere creatore. Se la donna riuscirà a tendere quel ponte di energia, l’uomo che lo percorrerà saprà che lei è il cammino capace di condurlo alla divinità. È per questa ragione che la vera donna deve darsi completamente al suo uomo; solo donandosi totalmente a lui questi riceverà la forza e le energie necessarie per giungere davanti alla Madre Divina ed al Padre Divino, riconoscendosi come loro figlio.
Di fronte alla divina presenza diverrà un Vero uomo.
La donna è il ponte teso verso l’eternità, è il senso dell’ordine morale, intellettuale, spirituale. Non appena l’uomo avrà realizzato lo scopo per il quale è venuto sulla terra, non appena si sarà unito al cielo e alla terra, allora si ricongiungerà con il Creatore e la donna sarà il ponte che gli permetterà di accedere a lui.
L’uomo è un alunno difficile e capriccioso, ma la donna, con tenerezza, semplicità e pazienza, saprà educarlo ed illuminarlo. Solo così la donna potrà portare a termine la sua missione.
Nella donna è racchiuso il destino dell’umanità; è lei la modellatrice della razza umana, la creatrice. La donna incarna l’amore ed è la messaggera della Pachamama, la nostra madre divina che ama ogni cosa. La donna è il canale della vita governato da leggi impercettibili mosse dall’amore, al quale successivamente accedono anche gli uomini.
L’uomo in genere è più oggettivo, pensa in termini individualisti, mentre la donna possiede il senso profondo della collettività, attraverso il quale si esprime l’amore. Per imporsi l’uomo ricorre all’energia e la forza dei suoi muscoli mentre la donna usa la pazienza, la dolcezza, la persuasione. L’uomo analizza, trasforma, divide; la donna unifica, da vita, guarisce, crea.
Nel sesso l’uomo è più superficiale, cerca il piacere, la procreazione. La donna, invece, è profonda, interiore, cerca l’amore, il darsi e ricevere fine a se stesso. Il primo semina, la seconda raccoglie e fa germinare la vita.
La sessualità.
La sessualità non deve essere evitata o repressa, ma rispettata come un mezzo che permetterà meglio di conoscere l’amato. L’unica speranza di salvezza per l’umanità risiede nella liberazione della sessualità, sulla quale bisognerebbe imprimere il marchio della sacralità.
La donna deve iniziare a considerare il suo corpo come qualcosa di sacro. La parte intima è la più sacra perché è proprio li che ha luogo la riproduzione, la creazione, la rigenerazione e l’alchimia spirituale. È da li che si diramano tutte le energie che muovono l’essere vivente. I nostri avi lo chiamavano “chaka”, cioè punto d’incontro del mondo visibile con quello invisibile. Bisogna praticare un tipo di sessualità unitaria, detta anche sessualità sacra. Lo scopo di questa pratica è quello di imparare a muovere l’energia ubicata nella parte più bassa dell’essere verso l’alto, in modo da entrare così nell’infinito, nel dominio del tempo e dello spazio: il regno dell’Amore.
La donna, per la sua peculiare natura, riesce a spingersi fino a quel recinto ed è per questo che sa cos’è l’amore. L’uomo fa fatica a raggiungere quella dimensione; lui sa che l’amore esiste ma non lo conosce.
E questa è la missione della donna: fare in modo che l’uomo conosca l’amore. Ma per riuscirvi una donna deve prepararsi, perfezionando in primo luogo il senso del tatto. L’atto sessuale è una sensazione tattile e l’erotismo è il gioco che permette di perfezionarla. Ma solo con intuito, dolcezza e tenerezza una donna può riuscire a condurre l’uomo attraverso la dimensione dell’amore. Ma il cammino che porta a questa conoscenza è lungo e faticoso, occorre liberarsi di tutti i tabù imposti dalla società ed essere disposti a rischiare.
Oggi l’energia vitale, la sessualità, il sesso, sono intesi come un atto puramente genitale. Tutti credono che sia qualcosa di associato unicamente al piacere e alla procreazione e non capiscono che, invece, si tratta del flusso di un’energia vitale che raggiunge anche gli angoli più reconditi del nostro essere. È l’energia che favorisce l’unione del mondo visibile con quello invisibile e che non contempla semplicemente l’atto della riproduzione fine a se stesso. E’ un atto che dona salute, creatività ed ispirazione.
Il sesso è il modo in cui l’energia vitale si manifesta negli esseri viventi.
Inizialmente la manifestazione di questa energia è fondamentalmente femminile. Tutto ciò che esiste a partire dalla creazione, dalla riproduzione, dalla gestazione del nuovo essere è femminile. L’uomo feconda, ma è la donna quella che crea e sviluppa la vita. Perciò la parte femminile è la colonna, il punto iniziale della vita.
Alcuni uomini hanno tentato in ogni modo di degradare la condizione della donna, di dominarla, di soggiogarla. Il sesso femminile è temuto ed invidiato; solo i Veri uomini imparano a rispettare e a valorizzare questa parte della donna.
L’uomo che si avvicina ad una donna deve farlo con un atteggiamento quasi di adorazione, di contemplazione, perché solo attraverso la porta femminile, potrà tendere all’infinito. E la donna, dal canto suo, dovrà tendere il ponte di energia esistente fra il suo sesso ed il suo cuore. “Pacha” è il termine che il nostro popolo usa per designare il tempo e lo spazio.
“Chaka” significa ponte, qualcosa costruito tra due punti di appoggio, ed è la parola usata per indicare il punto di incrocio tra la linea verticale e quella orizzontale, mentre “chacana” è l’osso sacro. In questa cavità giace attorcigliato s se stesso “Amaru”, il serpente di energia che si innalza o discende lungo la colonna vertebrale mettendo in contatto e in funzione determinati centri di potere del nostro corpo.
Questo serpente sI sveglia e si muove sulla base dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti e delle nostre azioni, sollevandosi fino al capo. Amaru è in costante movimento, si alza o si abbassa seguendo gli impulsi che noi gli diamo. Per mezzo di determinate pratiche fisiche, mentali e spirituali siamo in grado di elevare questa energia verso l’alto ma, allo stesso modo, siamo anche in grado di sprofondarla fino al livello più basso. Amaru è un’energia di fuoco della quale ci serviamo per bruciare tutti i difetti fisici, mentali e spirituali del nostro corpo e per convertirci in esseri di energia pulita e pura, la sola che ci consentirà di avvicinarci al Grande Spirito. Quanto più in alto si riesce a elevare questa energia, tanto più la sensazione che si sperimenta avvicinerà al Divino.
Una donna, per sapere se è una vera donna, ha due strade diverse di fronte a sé: quella individuale, della solitudine e dello studio di sé oppure quella della cooperazione, che passa per la condivisione delle Sue esperienze con l’altro sesso.
L’uomo ha bisogno della donna e la donna dell’uomo è questa la legge della natura.
tratto dal libro “La profezia della curandera” di H.H.Mamani
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@blogitalianissimo @asklecce Settimana delle Regioni | Favourite AU | Day 4, 28 marzo
☆ American Gods AU: fem!Veneto, come Reitia, la dea degli antichi Venetkens
◇ Chi è Reitia:
Reitia era la dea madre dell'antico popolo dei Venetkens. Accompagnata spesso dall'epiteto di potnia theron, ovvero dominatrice degli animali, era la divinità creatrice, una dea misericordiosa e benevola, legata al culto importantissimo delle acque sacre, da lei tutelate, della guarigione, degli animali, delle piante, della navigazione e del commercio. Tra questi, forse era anche la divinità che presiedeva al parto e alla fertilità. Era la dea del matriarcato, elemento che continuò ad appartenerle anche in seguito, con il cambiamento della società venetica, che stava divenendo una società patriarcale. La sua femminilità era talmente importante da influenzare anche i nomi: i fiumi più piccoli, ad esempio, erano indicati al maschile, al contrario dei corsi più grandi, indicati al femminile come succedeva anche per villaggi (maschile) e città (femminile). Il femminile era utilizzato per indicare qualcosa di ampio ed importante, come la dea. Solitamente era raffigurata mentre indossava il costume tipico delle donne venetiche, costituito da un abito colorato, con una gonna a campana, un grembiule legato in vita e un velo sopra la testa. Era spesso accompagnata da animali, solitamente un lupo e un'anatra, e reggeva sempre nella mano destra una chiave, simbolo del destino degli uomini. Era anche legata, infatti, al culto degli Inferi e attraverso la chiave poteva indirizzare gli uomini lungo le vie che preferiva. I suoi santuari sorgevano sempre nelle prossimità di un corso d'acqua e la sua classe sacerdotale, composta soprattutto da donne, si occupava di eseguire i riti, accogliere i pellegrini, insegnare la scrittura venetica e la magia, quest'ultima in modo particolare alle donne. Alla dea venivano fatte offerte sia in forma di doni, confermato dal ritrovamento di vasi e coppe cerimoniali, sia in forma di sacrifici, testimoniati dal ritrovamento di ossa nei focolari. Solitamente quello che le si chiedeva erano protezione e guarigione. La dea è stata spesso associata, ed in seguito sostituita, alle figure di Diana e Minerva. Un'altra dea romana legata a Reitia pare essere Ecate, che ritroviamo anche in alcune fiabe popolari venete, con caratteristiche che rimanderebbero alla divinità dei Venetkens.
◇ Reitia in American Gods:
La dea sopravvive alla scomparsa del popolo che la adorava, proprio affiancandosi alle divinità romane che vanno a sostituirla. Dopo essersi ritirata in quella zona del Veneto che si estende tra il territorio dell'alto Vicentino e le montagne, si prodiga lei stessa nel tramandare le sue memorie, diventando prima una sorta di cantastorie, poi una più semplice levatrice, con la passione per le storie popolari. È così che i bimbi delle classi più povere del Veneto apprendono le avventure del Mazariol, delle anguane, delle maranteghe e di quella strana dea, chiamata Ecate. Preso il nome umano di Giulia, riesce quindi a ritagliarsi un piccolo spazio nell'immaginario collettivo, riuscendo a non scomparire. Arriva in America del Sud, precisamente in Brasile, proprio grazie a questi racconti, forti tra gli emigranti veneti che prendono in massa la via del Nuovo Continente. Da lì, raggiunge poi gli Stati Uniti, in quel momento critico che vede la nascita di uno scontro tra le vecchie divinità e gli dei del mondo contemporaneo.
#regioniitaliane2019#fem!veneto#nyo!veneto#moodboard#american gods!au#favourite au#/riprendono i lavori un fià più decenti per questa giornata!
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«Ma dove non c’è più verità alcuna, si può allora modificare qualsiasi criterio valutativo, e, in ultima istanza, dovunque fare in un modo e nell’esatto suo contrario. L’aver rinunciato alla verità mi pare il vero e proprio nucleo della nostra crisi odierna. Dove però la verità non offre più terreno solido, là anche la solidarietà comunitaria — peraltro, ancora tanto considerevole — finisce per sfilacciarsi, poiché anch’essa resta in ultima istanza senza radici. In quale misura, dunque, noi viviamo secondo l’interrogativo di Pilato, apparentemente tanto umile, ma in realtà così presuntuoso: « Ma che cosa è la verità? ». Proprio così, però, noi prendiamo posizione contro Cristo.» (Benedetto XVI – vedi qui ed anche qui).
Non ci sarebbe più nulla di cui stupirsi… tanto ci hanno “abituati” a “farlo strano” che forse non solo non ci si scandalizza più (ed è un errore), ma si sente anche dire “e che male c’è??”… Un sincretismo religioso filo panteista è penetrato nelle comunità ecclesiali di alcune zone del Sud America già da molti anni, vedi qui cosa fecero i Vescovi per la nomina di un vescovo nel 2015… sincretismo religioso filo protestante anche all’interno del Vaticano non è, per la verità, cosa nuova… ma non così, non con “riti” naturalisti e con divinità pagane…
4 ottobre ci si è vantato, in Vaticano, di FESTEGGIARE san Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, con una cerimonia che non si può non definire ORGIASTICA… nella etimologia del termine più vera, specialmente in rapporto al loro carattere di ebbrezza travolgente ossia: DELIRIO!
Non è bello dire “che cosa vi avevamo detto?” ma… nel 2016 trattammo già un primo campanello d’allarme con questo articolo premonitore, vedi qui: “Ave, o dea Gea”… Il nuovo culto della nuova “Chiesa”?…. un punto di domanda che oggi, a quanto pare, viene tristemente sciolto. Sempre nel 2016, el Papa Francisco, ci aveva deliziati con un’altra frase shoccante – vedi qui fonte ufficiale – che sembrava aprire le porte alla nuova divinità della “dea madre terra”, ecco le sue parole:
“A noi, a tutti, piace la madre Terra, perché è quella che ci ha dato la vita e ci custodisce; direi anche la sorella Terra, che ci accompagna nel nostro cammino dell’esistenza. Ma il nostro compito è un po’ curarla come si cura una madre o come si cura una sorella, cioè con responsabilità, con tenerezza e con la pace”
E’ vero che san Francesco chiamava la terra “sorella” ma non certo come una divinità quanto piuttosto quella sorgente CREATA DA DIO… e non “creatrice” di cui l’uomo deve servirsi “governandola con onestà” e non certo adorandola, come insegna Genesi…… così come il Santo chiama anche la morte “sorella”, ma non per questo ne fece un CULTO… O UN RITO… Per comprende l’espressione errata del pontefice, egli avrebbe potuto dire: “A noi, a tutti, piace la madre Terra, perché è il dono che Dio ci ha fatto per vivere finché esisterà questo tempo; questa terra che ci sostenta nella vita; direi anche la sorella Terra, che ci accompagna nel nostro cammino dell’esistenza nelle sue infinite bellezze. Ma il nostro compito è un po’ curarla come si cura una madre o come si cura una sorella, cioè con responsabilità, con tenerezza e con la pace. Nostro compito è lodare Dio per i frutti della terra perché chi fa piovere, chi ci da il sole, le stagioni e fa crescere, è Dio che in Gesù Cristo si è rivelato mostrandoci, fra le molte cose, di saper governare i tempi e le tempeste (Mt 8,23-27)”.
Ma il famoso brano di Matteo o di Marco, sulla famosa tempesta sedata è assente in tutti i discorsi ecologici di Bergoglio, persino assente in tutta la Laudato sì… perché? come mai?
E veniamo ad oggi…. con una cerimonia orgiastica, vedi qui video ufficiale, ossia come da etimologia DELIRIO... terminata per altro senza benedizione apostolica (e questo deve far riflettere perché, Bergoglio, non da mai questa benedizione UFFICIALE in certi incontri strani, onde evitare una sorta di legittimazione apostolica… ma senza dimenticare l’invenzione DELL’ONDA BENEFICA – vedi qui – richiesta dal pontefice), chiudendo il tutto con un Pater Noster in spagnolo e il finale con la traduzione “non ci indurre in tentazione“…. e via così il tutto a tarallucci e vino.
Le foto che vi proponiamo parleranno da sole…. come il “girotondo” attorno a dei simboli che di cattolico non hanno nulla, specialmente LA STATUETTA DELLA DEA MADRE.. ADORATA IN GINOCCHIO, INGINOCCHIATI DAVANTI ALLA TERRA, QUANDO NON CI SI INGINOCCHIA PIU’ DAVANTI ALL’EUCARISTIA…. IDOLATRIA PURA…
Questa foto con le “coppe” piene di terra è molto inquietante perché, per noi cattolici, viene subito alla mente la foto delle pissidi PIENE DI OSTIE CONSACRATE… durante la Messa….

Orgia panteista in Vaticano alla dea madre, usando san Francesco d’Assisi «Ma dove non c’è più verità alcuna, si può allora modificare qualsiasi criterio valutativo, e, in ultima istanza, dovunque fare in un modo e nell’esatto suo contrario…
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“Viviamo un nuovo totalitarismo, viviamo da morti viventi, ma Dante ci può salvare”: dialogo con Gianni Vacchelli
Un dettaglio mi sembra decisivo. Lo estraggo dall’ultimo saggio di questo ciclo, La poesia profetica e critica di Dante. Quella parola è importante. Profetica. Il grande poeta è sempre profeta, cioè uno che pone una parola che gli è avanti (pro), che lo supera, che è destinata ai futuri – non ho detto: che divina il futuro; e non ho neanche detto che viene dalla divinità. I grandi libri, intendo – e intendo quelli di cui tutti dobbiamo fare esperienza, dalla Bibbia a Esilio di Saint-John Perse, dalle poesie di Leopardi alle tragedie di Eschilo ai romanzi di Dostoevskij a L’età dell’ansia di Wystan H. Auden – hanno sempre un calibro profetico, sono l’avanzo di ciò che altrimenti muta, il resto di ciò che si disintegra. Posseggono, perciò, una attualità infuocata, perché sono atto in moto e immutato. Allora, mi viene da dire, Vacchelli, già autore di studi pieni di splendore (ricordo sempre Dagli abissi oscuri alla mirabile visione, 2008), che in Dante e la selva oscura (Lemma Press, 2018) usa la Commedia come zattera e come spada, legge nell’unico modo possibile, senza le alchimie dell’accademico – pur con stuolo di bibliografia e accuratezza di note –, gettando le terzine di Dante nella rogna, nella Caina della Storia, nelle fauci dell’oggi. Leggendo l’interpretazione audace – ma così precisa – di Vacchelli scopriamo che gli ignavi siamo noi, perché “la totalità psicopolitica ci aliena da noi stessi, dal mondo, dal mistero… ci fa ‘morti viventi’, spettatori passivi e dipendenti del cyber-capitale”, e che gli assoluti assoli di Dante ci difendono dall’assalto capitalista che ci vuole divoratori di merci e a nostra volta divorati, in una specie di terribile cannibalismo digitale e sostanziale. Brandire Dante contro le storture dell’era, adottarlo come percorso di resurrezione, di risalita, mi pare magnifico. Perciò, ho contattato Vacchelli. (d.b.)
Mi pare che lei usi Dante per entrare nella rogna del tempo presente, scassandolo, scassinandolo. Ma non certo con un tono da manuale dantesco per vivere felici, ecco. Mi dica dunque, dell’oggi, cosa ci dice Dante.
Sembra paradossale, ma Dante ci dice molto sull’oggi. Dante “vede” molto e in profondità. Vede la nostra indifferenza, la nostra ignavia: mentre il pianeta va in pezzi, predato, mentre le disuguaglianze crescono sempre più a vantaggio di pochissimi e a danno dei più, noi invece “dormiamo”, spettatori assuefatti e rassegnati. Siamo i nuovi ignavi, «questi sciaurati, che mai non fur vivi» (If III,64). Dante “mette all’inferno”, cioè giudica con criteri etici, umani, spirituali il “regno della lupa”, fin dal I canto dell’Inferno. La lupa è la cupiditas, l’avidità, l’accumulo. Il capitale, potremmo dire anche. La follia di un mondo che ha mercificato e quantificato tutto, al laccio dell’idolo denaro e dell’algoritmo imperante. Ma Dante ci ricorda che questa è la “versione infernale” dell’uomo. L’uomo è anche trasformazione (Purgatorio) e compimento (Paradiso). L’uomo può risvegliarsi alle profondità di se stesso, del mondo e dell’altro – come fratello e sorella – e all’inquantificabile, che è il divino. Dante ci chiama al risveglio. Il «mi ritrovai» del v. 2 della Commedia è appunto anche un ritrovamento, e non solo psicologico, ma spirituale e mistico.
Lei ci conduce, fin dal titolo del libro, nella ‘selva oscura’. Che ha analogia con la ‘notte oscura’ dell’anima, da cui l’anima trae vigore, dopo il timore. Oscurità come luogo dove fare luce. Ci spieghi meglio.
Faccio una premessa. La selva oscura è un’immagine infinita, archetipica, che viene da zone della realtà più profonde di quelle di una “semplice fantasia”. L’immaginazione di Dante è creatrice, ed è anche una facoltà spirituale. Abbiamo perso cognizione di queste realtà, che sono ben vive e reali (!) invece per gli antichi, per i medievali, per i mistici d’Occidente e d’Oriente. Ma anche Vico e Leopardi, pur se in modi anche molto diversi, comprendevano bene tutto ciò. Allora la selva oscura da una parte dice negatività, male, peccato, angoscia, disorientamento, ma dall’altra è, come lei diceva, una «notte oscura», che fa rima con «ventura», per dirla con Giovanni della Croce, l’auctoritas in materia. Anche Dante è molto esplicito in merito, se lo leggiamo solo con attenzione. La selva «tant’è amara che poco è più morte; / ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte (If I,7-9). Chiarissimo quindi: la selva è terribile, mortale, ma è anche altra dimensione, nube oscura, crescita e ulteriorità divino-umana. Il testo più importante per Dante, la Bibbia, conosce bene questa misteriosa realtà. Citiamo, tra i molti luoghi possibili, Deuteronomio 5,22: «Sul monte il Signore disse, con voce possente, queste parole a tutta la vostra assemblea, in mezzo al fuoco, alla nube e all’oscurità». Mi verrebbe quasi da dire: non intratur in veritatem, nisi per obscuritatem. Nel nostro mondo di effetti speciali, di continui abbagli, di veglie troppo luminose, di “realtà aumentate”, abbiamo dimenticato la potenza benefica, anche se ardua, delle notti oscure dell’anima, della mente, del corpo, del silenzio.
“Mai Dante avrebbe potuto pensare ad Auschwitz, ma noi, rileggendolo da Auschwitz, qualcosa possiamo intravedervi”. Una frase potente, come se la Commedia vada letta anche per il suo carattere profetico. È così? Cosa intende con quella frase?
Intendo che quando un uomo entra nella profondità di se stesso e soprattutto della realtà tutta, come Dante fece senz’altro, gli si schiudono, anche per grazia, possibilità infinite. Dante è un «uomo rappresentativo», per dirla con Emerson, che ci ricorda quello che possiamo e dobbiamo essere. Lo sguardo profetico non è una preveggenza, ma una dimensione, ancora una volta, di straordinaria intensità. Dante non è un indovino – quelli stanno all’Inferno – non è un “Nostradamus”, ma conosce gli abissi del cuore umano. Ecco allora che il cannibalismo di Ugolino, gli uomini congelati e “resi pezzi” nella morsa ghiacciata del Cocito, la furia fredda e accesa dell’odio e di una ragione fraudolenta e perversa generano le immagini finali, “luciferine” degli ultimi canti della Commedia. Non è ancora Auschwitz, ma noi, che rileggiamo Dante dopo Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, non possiamo non rabbrividire e non tremare di fronte a quei versi. Il tempo “si cortocircuita”. Dante “cresce con chi lo legge”, per parafrasare Gregorio Magno che diceva Scriptura crescit cum legentibus. Cresce Dante e soprattutto cresciamo noi, in visione, in consapevolezza. E in amore, se comprendiamo bene che questo è l’inferno e che l’uomo non è solo e tanto l’inferno.
Torno alla selva. La selva, scrive, oggi, “è quella di un nichilismo economicistico e crematistico, onnipervasivo, bio/psicopolitico, necrofilo. Ancora più radicalmente potremmo dire che ci troviamo a vivere un nuovo totalitarismo, il terzo del XX secolo e l’unico sopravvissuto nel XXI”. Altra frase perturbante. Che cosa intende?
Torniamo alla versione ��mortifera” della selva. Solo che quella di Dante era una selva 1.0; la nostra è 2.0. La questione è complessa. Nel libro argomento meglio. Qui posso solo accennare. Il contesto odierno è una “totalità” che ci imprigiona e ci mostra solo se stessa, in un delirio di mercificazione spettacolarizzata, dove sette cerchi “infernali” concentrici e interconnessi – finanz-crazia, tecnocrazia, burocrazia, massmedio-crazia, geopolitica (o realgeopolitik), potere militare e potere nichilistico (inteso soprattutto come rassegnazione-amnesia, perdita di senso e di un “oltre”, comunque esso sia inteso) –, spadroneggiano, impossessandosi di noi e della vita. La totalità è più che mai totalitaria. Ma in modo nuovo e inedito. Procede per saturazione, per colonizzazione bio-psicopolitica, ci tiene servi in primis grazie alla nostra complicità. La nostra anima, i nostri neuroni sono conquistati e sfiniti o in una indotta rassegnazione depressiva, o in attivismo alienante: in qualunque caso, depressi o iperattivi/ipereccitati, si è come anestetizzati. Nella sua versione più subdola e di contagio animico e interiore, il sistema oggi si impadronisce in modo falso e invertito delle parole della vita: realizzati, sii te stesso, sii libero, sii democratico. Invero si fa solo più fitta la prigionia che invita all’autosfruttamento e alla capitalizzazione-quantificazione della vita, come se vivere la vita fosse l’oscena calculation of life proposta. Dimentichiamo in modo insano che l’ossessione quantificante ed efficientista ha fatto parlare più interpreti di «ritorno di Auschwitz» (Danilo Dolci, Franz Hinkelammert) e di «effetto Treblinka» (James Hillman). Ecco insomma il terzo totalitarismo – dopo quello nazista e stalinista – da smascherare e sconfiggere, dentro e fuori di noi. Potrei dire, semplificando, totalitarismo capitalista, neoliberista, ma, forse meglio, nichilista.
Infine, un Dante ci può salvare?
Magnifica suggestione, la sua! Sì, “un Dante ci può salvare”, perché il Poeta ci ricorda la dignità e la possibilità infinite dell’uomo. Il suo viaggio sprofonda negli abissi, per risalire sul monte della trasformazione ed arrivare ad un incontro con se stesso, con il cosmo, con gli altri uomini e con il mistero divino. L’uomo per Dante è anche capax Dei, «capace di Dio», vaso del divino. In questo senso il Poeta sembra continuamente dirci: non vedi com’è misera e sottodimensionata la tua versione infernale? Perché non ti risvegli alla tua reale natura? Perché non scendi in profondità e in trascendimento dentro di te, dentro la materia, la natura e in quel mistero indicibile che sta in nessun luogo e ovunque?
*In copertina: William Bouguereau, “Dante e Virgilio nell’Inferno”, 1850
L'articolo “Viviamo un nuovo totalitarismo, viviamo da morti viventi, ma Dante ci può salvare”: dialogo con Gianni Vacchelli proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2ZLKD2o
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Ziku, Dea sumera della creazione e della vita
Nel vuoto silenzioso, prima che il tempo avesse inizio, Ziku, la dea sumera, regnava come essenza primordiale. Era la dea madre, colei che dava la vita e l’eterna nutrice dell’esistenza. Nota come Zi nella tradizione accadica e legata al Sige babilonese, Ziku incarnava la fertilità, la creazione e l’ordine cosmico. Le civiltà antiche la veneravano come la forza sacra da cui nascevano gli dei e i…
#Akkad#Babilonia#Convivio#Costume#cultura#Dea sumera della creazione e della vita#Divinità creatrice#letteratura#mito#pantheon sumero#Sociologia#Storia#Ziku
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Domenica 11 Aprile 2021 : Commento San Gregorio di Narek
Domenica 11 Aprile 2021 : Commento San Gregorio di Narek
Onnipotente, Benefico, Amico degli uomini, Dio di tutti. Creatore degli esseri visibili e invisibili, tu che salvi e sostieni, ti predi cura e dai pace, Spirito potente del Padre (…), condividi lo stesso trono, la stessa gloria, la stessa azione creatrice del Padre. (…) Sei stato intermediario per rivelarci la Trinità delle Personae nell’unità di natura della Divinità; fra queste Persone anche tu…
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Considerazioni sulla tradizione magica egiziana

In questo articolo ci interesseremo degli elementi principali della tradizione magica egiziana . Al contrario di quanto si pensava nel mondo classico i testi scoperti nell’era moderna dimostrano che la magia egiziana era un’arte estremamente evoluta. Nella religione egizia Heka era la deificazione della magia essendo il suo nome abitualmente tradotto con magia o forza soprannaturale. Secondo i testi egiziani Heka esisteva “ prima della nascita della dualità” . Il termine Heka è usato anche per la pratica dei riti magici . Heka nella religione egiziana era colui che attivava il Ka , l’aspetto dell’anima che incorporava la personalità. Gli egiziani erano convinti che la magia agisse attivando la potenza dell’anima . Heka agiva insieme ad Hu il principio della parola divina sia nel mondo mortale che in quello divino . Heka essendo uno che attivava il Ka veniva anche definito figlio di Atum creatore delle cose in generale . La magia per gli antichi egiziani permeava ogni cosa nella creazione e come tale tutte le cose nella creazione possedevano Heka in una certa misura . Ogni antico egizio a suo modo era un mago e prendeva parte al potere che gli dei avevano dato agli uomini di agire sul mondo reale. La comprensione dell’Heka dava la possibilità al sacerdote / mago di compiere i riti magici . Di conseguenza egli più Heka acquisiva maggiore era la capacità di compiere riti magici. La magia in Egitto a differenza di quella occidentale non veniva divisa in magia nera e magia bianca ma in una “magia inferiore” e in una “ magia superiore”. La magia inferiore era la magia del mondo fisico della salute , del danaro e della fortuna mentre la “magia superiore” era associata allo spirito. Per gli antichi egizi la magia era stata donata dalla divinità agli uomini per respingere le avversità. Di conseguenza essa era un modo per combattere in maniera efficace il destino avverso. Diversi erano i tipi di magia utilizzati dagli antichi egizi : magia scritta ,magia delle parole , magia simpatica ,magia con amuleti. Per quanto riguarda la magia scritta dobbiamo dire che essa era molto utilizzata sulle pergamene e i testi sacri e sulle mura delle case. A sua volta la magia delle parole era basata sul principio secondo il quale la parola nell’antico Egitto era considerata sacra e creatrice. Infatti nel Libro dei Morti stava scritto : “ che i tuoi pensieri siano i grandi incantesimi magici che escono dalla tua bocca “. Nell’antico Egitto la formula magica era l’arma più potente del mago . Di conseguenza la sua corretta pronuncia era essenziale per l’efficacia del rito magico. Non dobbiamo dimenticare che secondo gli antichi egiziani l’intero universo era costituito da vibrazioni cosicchè le vibrazioni davano luogo ad effetti . Esse potevano assumere la modalità del comando o della preghiera al Neter . Esso era per gli egiziani un aspetto di Dio. In tal senso l’Heka di cui abbiamo parlato in precedenza era l’energia latente in certe parole di potenza e in certi gesti rituali . I sacerdoti egiziani erano pertanto considerati potentissimi signori della Parola . La magia del nome era di fondamentale importanza nell’antico Egitto dal momento che era considerata di fondamentale importanza conoscere il nome segreto dell’essere . Infatti il nome segreto racchiudeva l’essenza dell’essere cosicché conoscerlo significava averne il dominio . Per quanto riguarda la magia simpatica dobbiamo dire che era quella per cui celebrando un rito magico su una parte appartenente ad una persona o una cosa si determinò un effetto che dalla parte si trasferiva all’intera persona o cosa . Ciò avveniva anche se la persona o cosa erano assenti e distanti dall’evento magico . A tale scopo venivano usate immagini contenenti qualcosa della vittima del rito magico . Per fare un esempio concreto questo tipo di magia fu usato contro il re Ramses III da un gruppo di sacerdoti e cortigiani . Questi cospiratori entrarono in possesso di un libro di magia distruttiva della biblioteca reale e lo utilizzarono per fare pozioni incantesimi scritti e figurine di cera con cui danneggiarono il re e le sue guardie del corpo. Si riteneva che le figurine magiche potessero essere più efficaci se contenevano qualcosa della vittima designata come capelli unghie etc. I cospiratori furono poi processati per stregoneria e condannati a morte . Gli amuleti nella magia egiziana erano molto utilizzati come protezione dagli attacchi magici . Per gli egiziani antichi l’alba era il momento più favorevole per effettuare riti magici. Le attività magiche venivano utilizzate per protezione guarigioni e maledizioni. Per la protezione venivano utilizzati esclusivamente amuleti mentre la magia a scopo medico era considerata non tanto come alternativa alla medicina bensì una terapia complementare . I sacerdoti nell’antico Egitto erano tutti guaritori . Medicina e guaritori erano considerati rami della magia tanto che i sacerdoti di Heka svolgevano anche questi compiti. Per quanto riguarda l’uso delle maledizioni esso era limitato . Ad esempio venivano maledette le tombe dei faraoni allo scopo di scoraggiare i ladri a profanare quei luoghi . Inoltre venivano utilizzati i testi di esecrazione che erano frasi con le quali nell’antico Egitto si cercava di allontanare danneggiare o eliminare i nemici . I testi di esecrazione si utilizzavano anche per colpire i concittadini che erano diventati dannosi o pericolosi . Tali testi abitualmente venivano scritti su vetri o su cocci di argilla o ceramica . Più che atti religiosi essi erano atti di magia che avrebbero dovuto produrre il loro effetto automaticamente L’antico Egitto è la fonte più ricca di questi testi di esecrazione che diventavano più numerosi nei momenti di crisi nei rapporti con le nazioni vicine . Ma queste attività magiche erano presenti anche in altre culture . Come molte cose dell’antichità anche la magia egizia andò incontro a un processo di degenerazione nel corso del passare del tempo . Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso sulla magia egiziana. Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
#Egitto#Keka#lLibrodeiMorti#magia#MagiaEgiziana#magiasuperiore#Neter#RamsesIII#sacerdoti#spirito#stregoneria#wicca
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🔹In me era natura il poter dare quanti beni volevo; al più era miracolo per chi li riceveva”🔹 🔸“E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui…” (Mc 5,30)🔸 “Figlia mia, la mia Volontà è immensa, e tutto ciò che può uscire da dentro di essa porta l’impronta della sua immensità. [Da] una sola parola uscì dall’immensità del cielo con tutte le stelle, in una sua parola uscì il sole con l’immensità della sua luce, e così di tante altre cose. Ora per uscire questa immensità di luce e di cielo, dovetti prima creare lo spazio dove poter mettere queste immensità di luce e di cielo. Ora quando la mia Volontà vuol parlare, prima vede se c’è spazio dove mettere il gran dono della sua parola, che può essere un altro cielo, un sole, un mare ancor più grande. Ecco, perciò molte volte la mia Volontà tace, perché manca lo spazio nelle creature dove deporre il gran dono dell’immensità della sua parola. E per poter parlare, prima biloca la sua Volontà e poi parla, e depone in essa stessa i suoi doni immensi. Fu questa la ragione che nel creare l’uomo gli demmo il più gran dono, l’eredità la più preziosa, la più ricca, la mia Volontà come depositrice in lui: per potergli dire le sorprese dei nostri doni immensi della parola del nostro Fiat. Come ci respinse la nostra Volontà bilocata, non trovammo più lo spazio per poter deporre in lui il gran dono della nostra parola creatrice, e perciò restò povero e con tutte le miserie della sua volontà umana. Vedi anche tutto ciò che si svolse nella mia umanità: il più gran miracolo fu il restringere tutta l’immensità della mia Volontà Divina in essa. I miracoli che io feci si possono chiamare nulla a confronto di essa, molto più che in me era natura il poter dare la vita [ai morti] col farli risorgere, il dare la vista ai ciechi, la lingua ai muti e tutto il resto di miracoloso che feci, perché in me era natura il poter dare quanti beni volevo; al più era miracolo per chi li riceveva, ma per me il gran miracolo fu il restringere in me la mia Divinità, l’immensità della mia Volontà, la sua luce interminabile, la sua bellezza e santità inarrivabile. #DivinaVolontà #LuisaPiccarreta https://www.instagram.com/p/B8IounPCSMG/?igshid=1217v7ayfscfv
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Il 2 di febbraio 2019 è il giorno della celebrazione della Dea dell’oceano Yemaya sulle spiaggia uruguaiane. Qui si riuniscono diversi gruppi di umbandisti per celebrare e fare offerte alla Dea Yemaya secondo la loro religione Umbanda.
El 2 de febrero 2019 es el dia de la celebración de las Diosa del oceano Yemaya en las playa uruguayas. Aqui se reúnen distintos grupos de umbandistas para celebrar y traerles ofrendas a la Diosa según al religión Umbanda.

Mae con la statua della Dea Yemaya
Yemaya è la Dea Madre degli Yoruba secondo la tradizione afro-caraibica. Essa è la Madre di tutti gli Orisha gli spiriti guardiani. Il suo nome deriva da Yey Omo Eja, che significa “madre i cui figli sono i pesci”.
Yemaya è la Dea creatrice, madre della vita, e governa le acque degli oceani, dei mari e dei fiumi che conducono al mar. Dato che si ritiene che la sua vita abbia avuto inizio nel mare, si crede anche che tutta la vita sia iniziata con Yemaya.
Yemaya es la Diosa Madre del Yoruba según la tradición afrocaribeña. Es la madre de todos los espíritus guardianes orisha. Su nombre deriva de Yey Omo Eja, que significa “madre cuyos hijos son peces”.
Yemaya es la diosa creadora, la madre de la vida, y gobierna las aguas de los océanos, mares y ríos que conducen al mar. Dado que se cree que su vida comenzó en el mar, también se cree que toda la vida comenzó con Yemaya.

accensione candele per la ceremonia alle cinque del mattino
La leggenda racconta di come Lei diede la vita a ben 14 degli Orisha.
Si dice che fu rapita e violentata dal suo stesso figlio, il quale lei stessa poi maledì, uccidendolo. Tuttavia Lei stessa scelse di morire e si recò sulla cima di un monte, dove pero le si ruppero le acque e si riversarono sulla terra ed è proprio dalle sue acque uterine che nacque l’oceano mentre dal suo ventre uscirono i 14 Orisha, o divinità Yoruba.
La leyenda cuenta cómo dio vida a 14 de los Orisha. Se dice que fue secuestrada y violada por su propio hijo, quien a su vez maldijo y lo mató. Sin embargo, ella misma eligió morir y se dirigió a la cima de una montaña, donde las aguas se rompieron y se derramaron sobre la tierra y fue desde sus aguas uterinas que nació el océano mientras que de su vientre salieron los 14 Orisha, o divinidades Yoruba.

la mae gira per incorporare gli spiriti
Yemaya si annuncia danzando con una forte ed intensa risata, poi inizia a girare come le onde o i mulinelli dell’oceano. Inizia sempre lentamente per poi aumentare l’intensità del ritmo come le onde del mare prima dolci e poi minacciose. Questo si vede nei balli dei fedeli che girano su stessi ballando e incorporando gli spiriti che prendono possesso del loro corpo durante la cerimonia.
Yemaya se anuncia a sí misma bailando con una risa fuerte e intensa, luego comienza a girar como las olas o los remolinos del océano. Siempre comienza lentamente y luego aumenta la intensidad del ritmo como las olas del mar, primero dulce y luego amenazante. Esto se ve en las danzas de los fieles que giran sobre sí mismos bailando e incorporando a los espíritus que toman posesión de su cuerpo durante la ceremonia.
Yemayà è una Dea molto amorevole e compassionevole e da Lei nasce l’amore che insegna a tutti gli Orisha. Lei e’ materna e molto protettiva e tiene profondamente a tutti i suoi figli, che protegge. I suoi castighi pero sono molto duri e la sua collera terribile, però agisce sempre con giustizia.
Yemayà es una diosa muy amorosa y compasiva y de ella nace el amor que enseña a todos los orishas. Ella es materna y muy protectora, y cuida profundamente a todos sus hijos, quienes la protegen. Pero sus castigos son muy duros y su ira es terrible, pero siempre actúa con justicia.

tutto il gruppo che saluta la Dea con le offerte al marre
Yemaya è Dea di fertilità e le donne la invocano quando devono partorire o quando desiderano rimanere incinte. Infatti questa generosa Dea aiuta le donne che hanno difficoltà a concepire regalando loro il dono della fertilità. Inoltre protegge le persone che hanno problemi al ventre.
Yemaya es la diosa de la fertilidad y las mujeres la invocan cuando tienen que dar a luz o cuando desean quedar embarazadas. De hecho, esta diosa generosa ayuda a las mujeres que tienen dificultades para concebir regalándoles fertilidad. También protege a las personas que tienen problemas con su abdomen.

Essendo una Dea del mare, si rappresentata spesso come una bella donna che indossa una lunga veste a sette veli con serpentine blu e bianchi, simili alle onde del mare che spumeggiano. Come adorni ha un ventaglio in oro e madreperla, conchiglie e una collana di cristalli azzurri. Le conchiglie sono sacre e la riva del mare come i fiumi sono luoghi di venerazione.
Siendo una diosa del mar, a menudo se la representa como una mujer hermosa que lleva un vestido largo con siete velos con serpentinas en colores azul y blanco, similares a las olas del mar que hacen espuma. La forma de decorarlo tiene un abanico en oro y nácar, conchas y un collar de cristales azules. Las conchas son sagradas y la orilla del mar como los ríos son lugares de veneración.

Preparazione della barca con le offerte alla Dea prima di portarla in mare
Anche la luna e il sole, l’ancora, i salvagente, le scialuppe e oggetti lavorati in argento, acciaio, latta e piombo che richiamano il mare sono sacri. Il suo simbolo è una stella a sei punte, una conchiglia aperta e la luna. Si usa anche un’apposita campanella per salutarla e per attirare la sua attenzione. I suoi colori sono il bianco e l’azzurro i suoi fiori sono i fiori acquatici e la violetta, le fragranze la verbena, il lillà, il frangipani, il sandalo e la rosa canina, e i suoi animali sono le creature del mare, ed i pavoni e l’oca. Il suo numero è il sette, come sette sono i mari e il suo giorno il sabato. Ama anche meloni ed angurie che si trovano tra tutte queste cose tra le offerte nella barca durante le cerimonie.

i fedeli portano la barca con le offerte in mare
La luna y el sol, el ancla, los aros salvavidas, los botes y los objetos de plata, acero, estaño y plomo que recuerdan el mar son sagrados. Su símbolo es una estrella de seis puntas, una concha abierta y la luna. Una campana especial también se usa para saludarla y llamar su atención.
Sus colores son blancos y azules, sus flores son las flores acuáticas y violetas, las fragancias la verbena, la lila, la sandalia y la rosa mosqueta, y sus animales son las criaturas del mar y el Pavos reales y el ganso. Su número es siete, como siete son los mares y su día es el sábado. También le encantan los melones y las sandías que se encuentran entre todas estas cosas en el barco de las ofrendas durante las ceremonias.


La barca che ritorna in spiaggia dopo la celebrazione

Infine gli umbandisti si tirano in mare per purificarsi in memoria a Yemaya


sembra che soffrono anche loro ricordando la morte della loro Dea
Gli Orisha sono gli spiriti guardiani. Gli Yoruba Lucumi credono in un Potere Superiore, che chiamano Olodumare. Pensano che ogni persona abbia uno Spirito Guardiano, un Orisha. Gli Orisha sono aspetti dell’EssereSupremo che si manifestano come forze di natura.
Los Orisha son los espíritus guardianes. Los Lucumi Yoruba creen en un Poder Superior, al que llaman Olodumare. Piensan que cada persona tiene un Espíritu Guardián, un Orisha. Los Orisha son aspectos del Ser Absoluto que se manifiestan como fuerzas de la naturaleza.
Ceremonia Yemaya 2019 Il 2 di febbraio 2019 è il giorno della celebrazione della Dea dell'oceano Yemaya sulle spiaggia uruguaiane.
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Note
Tu credi negli angeli? Sto leggendo un libro sul potere degli angeli e degli arcangeli e mi si sta aprendo un mondo
Personalmente io credo solo alla natura e alla sua infinita forza creatrice e distruttrice. Non credo agli spiriti nè agli angeli nè ad alcuna divinità superiore, tuttavia ognuno recepisce il cosmo e le sue forze in maniera diversa e dandogli nomi diversi e così deve essere. L’importante è riuscire a entrarvi in comunione, ad ascoltarlo per trarne la propria forza. Io sento le vibrazioni dei cristalli, delle piante e degli animali, nulla toglie che le stesse vibrazioni per te possano essere angeliche. Di base c’è qualcosa, qualche forza che non conosciamo, ciò che conta è riuscire a percepirla.
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