#Pier Leone Mignanego
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ Sono contento, cari ragazzi, che non abbiate mai sentito il desiderio di fare politica. Ma non ne sono sorpreso. L'ambiente familiare nel quale siete cresciuti non poteva spingervi alla ricerca del potere. Non dico, con questo, che il potere sia di per sé detestabile. Fa parte dei giuochi della vita, e non dei più sciocchi. Ma bisogna intendersi sul suo significato. Per molti, il fascino del potere consiste nella possibilità di influire sulla vita degli altri; in una parola, nella possibilità di comandare. A mio giudizio, questa è tuttavia la parte più fastidiosa del potere, la più volgare, se non la più odiosa. Voi sapete che ho sempre cercato di ridurre al minimo i miei interventi su di voi, perché ritengo che ciascuno, compresi i miei figli, debba esser libero di vivere la sua vita, e di cercare la felicità a modo suo. Perfino il timore che qualcuno agisca in una determinata maniera per compiacermi, e non per sua preferenza, riesce a turbarmi.
È poi vero che le nostre azioni incidono spesso, senza che lo vogliamo, sulla vita del prossimo; ma questa è una realtà di cui mi rammarico. Il fascino del potere è un altro: è la facoltà di decidere. La nostra esistenza si arricchisce quando siamo in grado di prendere decisioni. Kierkegaard afferma che esistiamo in quanto scegliamo, e scegliere significa appunto decidere. Ora, è chiaro che facoltà decisionale e potere coincidono: più si sale nella scala gerarchica, più si decide. Il generale decide più spesso del suo attendente. In questo senso, ma soltanto in questo, vale la pena di fare carriera: la vita di un capo è più ricca, più intensa, più stimolante di quella del subordinato. Purché il capo, e questa è una condizione importante, anzi essenziale, sia capo davvero, sia cioè libero di decidere di testa sua. In questa accezione, potere equivale a libertà. “
Piero Ottone, Le regole del gioco: piccola filosofia ad uso personale, Milano, Longanesi, 1984³; pp. 47-48.
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giancarlonicoli · 6 years ago
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21 SET 2019 12:06
PANSA IS BACK! IL PRIMO ARTICOLO DEL GIORNALISTA PER IL “CORRIERE” DI CAIRO: “SONO ARRIVATO A VIA SOLFERINO IL 1° LUGLIO DEL 1973. OTTONE ERA ALLE PRESE CON LA POSSIBILE USCITA DI MONTANELLI. UNA PARTE DELLA REDAZIONE PREMEVA PERCHÉ VENISSE CACCIATO. LA PENSAVO ANCH'IO COSÌ, RITENENDOLO UN FASCISTA. IL MIO GIUDIZIO CAMBIÒ SOLTANTO QUANDO LE BR GLI SPARARONO NELLE GAMBE. CONFESSO CHE DI MONTANELLI MI IMPORTAVA POCO. DA GIOVANE CAZZONE PENSAVO CHE I MIEI ARTICOLI AVREBBERO FATTO DIMENTICARE I SUOI…”
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Giampaolo Pansa per il “Corriere della sera”
Sono arrivato al «Corriere della Sera» il 1° luglio del 1973 lasciando una gabbia di matti. La gabbia era il «Messaggero» di Roma, diretto da Alessandro Perrone. Lui aveva un cugino primo, Ferdinando, padrone di una quota del giornale. I due cugini non andavano d' accordo e litigavano tutti i giorni, dalla mattina alla sera. Per di più, alla redazione non piacevano i nuovi arrivati.
Capeggiati da Giorgio Fattori, era una microscopica squadra, ci stavo anch' io con un incarico per niente adatto al sottoscritto: il redattore capo. Infine i giornalisti di via del Tritone ci accolsero tappezzando il corridoio con i manifesti pubblicitari di una casa vinicola: «Arrivano i piemontesi!». Forse era un omaggio al nuovo direttore amministrativo, giovane e bravissimo, Gigi Guastamacchia che aveva un solo difetto: era di Cuneo o di quelle parti. Che cosa ho trovato al «Corriere»? Prima di tutto l'ombra di un padrone strapotente: Eugenio Cefis, il re indiscusso della Montedison, che però non si faceva mai vedere in Solferino.
Ma lui e la sua banda se ne occupavano eccome! Una volta arrivato al «Corriere», Cefis si trovò alle prese con un problema non da poco: lasciare Piero Ottone alla direzione oppure sostituirlo? Una parte dei cefisti era per la cacciata di Ottone. Costoro erano superstiziosi e gli faceva orrore la scarpa ortopedica che Piero portava da ragazzo dopo aver fatto la poliomielite. Ringhiavano: «Omo segnà da Dio, cento passi indrio». Un uomo segnato da Dio va tenuto lontano cento passi. Ma i cefisti non avevano tra le mani un altro direttore per il «Corriere» e Piero rimase al suo posto.
Ottone era il direttore ideale per il giornalone di via Solferino. Prima di tutto era un signore paziente. Il suo vero nome era Pier Leone Mignanego e sapeva trattare tutti con una grande signorilità. Era di sinistra, di centro o di destra? Non l' ho mai compreso e del resto non me lo sono mai chiesto. Allora certe etichette non avevano l' importanza che hanno oggi. In Italia comandava un solo partito, la Democrazia Cristiana, mentre l' unico oppositore, il Partito comunista, doveva accontentarsi di qualche lembo dell' Emilia e della Toscana.
Quando arrivai in via Solferino, Ottone era alle prese con un problema gigantesco: la possibile uscita di Indro Montanelli intenzionato a fondare un giornale tutto suo. Una parte della redazione del «Corriere» premeva perché Indro venisse cacciato. La pensavo anch'io così, ritenendo Indro un fascista o giù di lì. Confesso che il mio giudizio cambiò soltanto quando le Brigate rosse spararono nelle gambe a Montanelli in piazza Cavour a Milano, mentre si recava a piedi alla redazione del giornale che aveva creato.
Confesso che di Montanelli mi importava poco. Da giovane cazzone pensavo che i miei articoli avrebbero fatto dimenticare i suoi. Per me era molto più importante che fosse rimasto al «Corriere» un signore che di nome faceva Franco Di Bella. Chi era costui? Non conosco quale fosse il suo incarico contrattuale, ma compresi subito che se il giornale usciva senza errori, perfetto, sempre in palla era merito di Franco. Quando arrivai in Solferino, volle subito capire che tipo ero, se mi piaceva scrivere o se appartenevo alla plebe degli sfaticati. Ogni mattina mi consegnava una notizia di agenzia e mi ordinava: «Fammi un fogliettone per la prima pagina».
Nel faticone Pansa aveva trovato il tipo giusto. Credo di aver scritto per lui una quarantina di pezzi sempre comparsi in prima pagina. E fu così che i lettori del «Corrierone» cominciarono a conoscere la mia firma.
In seguito Di Bella divenne il protagonista di un episodio che nella mia vita non ho più dimenticato. Era l' inizio del novembre 1975. La mattina del due, la festività dei morti, stavo in una casa di campagna che avevo costruito nell'Oltrepò Pavese, nel paese di Calvignano. La casa esiste ancora, ma da un pezzo l'ho regalata ai miei nipoti. La mattina del 2 novembre 1975, qualcuno bussò alla nostra porta. Andò ad aprire Lidia, la mia prima moglie, e si trovò di fronte una coppia che non conosceva: Franco Di Bella e una ragazza bella e spigliata.
La coppia entrò in casa e si presentò. Ad accoglierla fu mio figlio Alessandro che allora aveva tredici anni ed era un tipo molto sveglio, del genere carogna. Quando comprese di avere di fronte uno dei capi del «Corriere» che mi chiamava spesso anche a casa, gli disse: «Ma lei lo sa che questa notte hanno ammazzato Pasolini?».
Di Bella ringhiò: «Che cosa mi stai dicendo?». Sempre più spavaldo, Alessandro continuò: «Le dico quello che tutti i giornali radio stanno ripetendo da stamane...». Di Bella rantolò: «Datemi un telefono». Chiamò via Solferino e si imbattè in Gaspare Barbiellini Amidei, il capo della cultura. Gaspare gli disse, gelido: «Rimani pure dove sei, ho già pensato a tutto io».
È utile ricordare che Pier Paolo Pasolini, un acquisto recente del «Corriere», era il numero uno delle stelle reclutate da via Solferino. Una donna l'aveva trovato morto alle 6.30 di quella domenica 2 novembre all' Idroscalo di Ostia. Purtroppo i testimoni del risvolto famigliare di quella tragedia sono scomparsi tutti: morto Franco Di Bella, morto mio figlio Alessandro, morta Lidia la mia prima moglie. Soltanto io sono ancora qui. E a volte mi domando che cosa ci faccio in questo mondo. Ma devo riconoscere che ritornare al «Corriere» mi mette di buonumore.
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funkoneblr-blog · 8 years ago
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Sin dalla giovinezza, Pier Leone Mignanego (questo il suo vero nome), si mostrò sempre fortemente interessato alla politica ed al giornalismo.
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gregor-samsung · 3 years ago
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“ Oswald Spengler, l'autore del Tramonto dell'Occidente, prevede che la disintegrazione delle regole porterà al cesarismo: cioè a dittature in cui uomini spregiudicati, indifferenti a qualsiasi norma, conquistano il potere con la violenza. Qualcuno dice che qualche traccia di cesarismo, nel nostro tipo di democrazia imperfetta, esiste già. Certo, gli uomini spregiudicati non mancano. Ho vissuto, quando ero ragazzo, un esperimento di cesarismo modesto, piuttosto casalingo: quello del fascismo. Ricordo un tema, scritto quando avevo quindici o sedici anni. Vi affermai che Mussolini adottava in Italia una certa forma di governo, una certa ideologia, ma avrebbe potuto adottare forme di governo e ideologie diverse, pur di raggiungere i propri obiettivi. Gli esaminatori ridacchiarono, e mi dissero che forse avevo esagerato. Sono contento di avere individuato, già allora, un tratto essenziale della politica moderna. Jefferson tornava in Virginia, Disraeli si ritirava a scrivere libri, quando le loro idee non prevalevano nel giuoco politico, e quando coloro che perseguivano idee diverse avevano la meglio. Mussolini era disposto invece ad abbracciare qualsiasi ideologia pur di non ritirarsi, pur di conquistare un potere sempre più vasto. Non c'è nessuno sulla scena, oggi, che ve lo rammenta? Se voi voleste far politica onesta, fareste poca strada. Gli uomini politici onesti, nell'Italia di oggi, riescono tutt'al più a salvarsi l'anima; ma non salvano il paese. Sono contento, ve lo ripeto, che non abbiate queste ambizioni, che scegliate altri giuochi. “
Piero Ottone, Le regole del gioco: piccola filosofia ad uso personale, Milano, Longanesi, 1984³; pp. 63-64.
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funkoneblr-blog · 8 years ago
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Si è spento a 92 anni nella sua casa di Camogli, in Liguria, il giornalista Piero Ottone. Piero Ottone, pseudonimo di Pier Leone Mignanego era nato a ...
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