#andrea magicamente cis
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AHAHHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHHAHA
#manco se lo vedo ci credo#andrea magicamente cis#la parola bisessualità cancellata#ma per piacere#prisma la serie
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Quando era all’opposizione, Giorgia Meloni aveva una sola soluzione per tutto: dimissioni immediate.
Bastava un sospetto, una scelta politica discutibile, un errore di gestione, e partiva la richiesta di fare un passo indietro. Ministri, sindaci, sottosegretari: tutti, nessuno escluso.
Oggi, invece, la musica è cambiata. Il governo è suo e, magicamente, nessuno deve più dimettersi.
Puoi essere rinviato a giudizio, puoi essere indagato, puoi addirittura essere condannato – come nel caso di Andrea Delmastro e Augusta Montaruli – e la linea resta la stessa: negare, attaccare i giudici, restare al proprio posto.
Eppure, le sue parole di un tempo non lasciano spazio a dubbi: “La politica deve dare l’esempio”, “Dimissioni subito!”, “Chiederle è un atto dovuto”.
E allora, Presidente Meloni, ci dica: valeva solo per gli altri?
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Woda - “P.U.B. (Prendimi, Usami e Buttami)”
Il nuovo singolo dell’eclettica band sugli stores digitali e nelle radio

“P.U.B. (Prendimi, Usami e Buttami)” è il nuovo singolo della rock band dei Woda sui principali stores digitali e nelle radio italiane in promozione nazionale. Il brano è stato registrato, mixato e masterizzato da Andrea Mazza presso il R3born Digital Studio. Il singolo nasce da un’idea di Max e Alex di comporre un brano per esprimere in modo esplicito il “desiderio” dell’uomo di essere “preso, usato e poi buttato” da una donna. Vuole essere un brano goliardico, ma con un velato richiamo alla vita reale. La donna è come un “riflesso in uno specchio”, “un domani che già non c’è”, ed inesorabilmente l’uomo verrà preso, usato e buttato senza alcuna conseguenza traumatica per entrambi. Dal punto di vista musicale il brano rispecchia il nuovo mood della band rispetto al passato, ed è in linea con gli ultimi lavori usciti quest’anno, con la sezione ritmica in primo piano e il suono delle chitarre che richiama al rock americano, sonorità d’oltreoceano, puntando di più sulle medie frequenze. Una evoluzione musicale dopo anni di sperimentazioni che la band ha costruito tra i tanti concerti in giro per lo stivale e all’estero e le infinite ore in studio.
“Qui l’uomo si rivolge alla donna in maniera diretta e provocatoria chiedendo alla stessa di unirsi a lui sessualmente senza vincolo alcuno permettendole e consentendole ogni depravazione dal punto di vista sessuale essendo consapevole che a tutto non ci sarà un domani o un futuro sentimentale.” Woda
Guarda il video
youtube
“P.U.B. (Prendimi, Usami e Buttami)” ha un videoclip ufficiale che ne accompagna l’ascolto sul canale ufficiale Vevo della band. Il videoclip è stato ideato e diretto dal filmaker Gaetano Palmieri. Tutto nasce da un fumetto realizzato dal Collettivo Ronin, dove, nel primo numero, viene raccontato in modo molto romanzesco la storia dei Woda. Nel video il fumetto è essenzialmente un cammeo, ossia è lo strumento che fa nascere una festa rock in casa di un signore che si vede recapitare per posta il fumetto stesso. Aprendo il fumetto, la sua casa si riempie di gente che beve, parla e socializza e ovviamente dei Woda che suonano fino a quando non lo richiude e tutto sparisce tranne la band che viene imprigionata in uno specchio e spedita indietro nel tempo, nell’anno 1865, ma quella è un’altra storia… un altro brano e deve ancora essere raccontata.
Storia della band
I Woda nascono nella primavera del 2015, ma solo nel 2018 decidono di aprire una nuova porta, quella dell'inedito, ed è qui che da un cassetto iniziano a prendere vita una serie di testi scritti e lasciati in sospeso. Nello stesso anno, infatti, viene pubblicato il brano “Dipendenza” edito dall’etichetta inglese
Tilt Music Production. Nel 2020, sempre edito dalla Tilt Music Production, fa seguito il brano “Medusa”, canzone epica e ricca di sfumature che preannunciano un nuovo tipo di sound in trasformazione. Oltre 385.000 streams con il primo e oltre 96.000 con il secondo singolo. Il 2020 è sicuramente un anno pesante per tutto il mondo e soprattutto per il mondo musicale e proprio in questo anno la band ha dato vita a nuovo materiale che prende forma. Il 20 novembre 2020 viene pubblicato il singolo (sempre edito dalla Tilt Music Production) “Portando la pelle a casa” realizzato dalla R3BORN Digital by Gaetano Palmieri (video) e dalla 7MZ Studio by Andrea Mazza (audio). Brano che vuole sensibilizzare l’umanità al fatto che questo mondo è saturo dei nostri comportamenti sbagliati. Tali sfumature nascono grazie all'arrivo nella band dei nuovi elementi che si affiancano a Max (Massimo Montecucco), alla chitarra Alex (Alessio Lanza) ex Crimen, Acid/c e Pakura Klimt, ed alla batteria e produzione Andy (Andrea Mazza) ex Triora, LorWeaver, Scarlett D.Gray, The Redwood Treese e da qui magicamente prende vita nuovo materiale, nuove idee, nuove canzoni un nuovo suono. La nuova line-up si completa da lì a poco con l’arrivo al basso di Ansel (Alessandro D'Angelo) e da Enry (Enrico Masini) alla chitarra solista. Il 2021 porta i Woda alla composizione di “Divano giallo”, omaggio a Lucrezia Paone, la giovane fan della band che purtroppo per una grave malattia ci lascia a soli 15 anni. Per renderle appunto omaggio e onorare la sua memoria i Woda trasformano in musica una sua poesia. Ne esce una ballad ricca di emozioni scritte nella poesia originale di Lucrezia. Nel 2022 si torna al vecchio rock con un brano dai toni accesi e incalzanti “We are biker guys”, track che narra le avventure del biker lungo le strade del mondo e raccoglie oltre 320.000 stream su Spotify, venendo ascoltata soprattutto negli States. L’8 marzo 2023 vede la luce un mini-Ep di tre pezzi: un live in studio Lo-Fi. La scelta del nome “Ruvido Woda” sta a significare proprio la qualità del suono: un suono appunto ruvido, senza pre e post-produzione, un live in studio senza tanti fiocchi e fiocchetti. La band autoproduce e lancia il 27 luglio del 2023 un nuovo singolo dal titolo: “P.U.B. (Prendimi, Usami e Buttami)” attualmente in promozione nazionale. Sempre in collaborazione con la Tilt Music Production la band sta per atterrare con altre novità sul mercato musicale. Up to the Woda!
Spotify: https://open.spotify.com/track/5GpbYPUDqL6mOWgNe8jU1f?si=4029a4575a5a44f7
Vevo: https://www.youtube.com/@wodawodavevo4256
YouTube: https://www.youtube.com/live/eqH8frkgmNs?feature=share
Facebook: https://www.facebook.com/wodawoda.official
Instagram: https://www.instagram.com/wodawoda_official/
TikTok: https://www.tiktok.com/@woda666?_t=8euvAKnCmLQ&_r=1
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La Mabelle bimba che felice come non mai aveva parlato di lui ai suoi genitori, aveva detto a suo padre che un ragazzo le aveva chiesto la mano e ci saremmo sposati, quella bimba si è sentita abbandonata per l’ennesima volta. Ha pianto, anche cinque minuti fa a piangere era lei.
Mabelle adolescente ha preso il controllo e ha detto sai cosa? Sei qui da appena due mesi e ti hanno cercato in 10 per chiederti un appuntamento. Tu non accettavi perché eri fidanzata con lui. Fallo ora. Quindi magicamente Pietro è tornado da Istanbul per prendersi un café con me oggi pomeriggio, Matteo mi ha chiesto di vederci stasera dopo il lavoro perché mi ha visto sull’altalena aspettando Pietro ma non ha voluto salutarmi perché non ci credeva che fossi io e fossi tornata. Uno che si professa un secret admírer su Instagram mi porta domani al cinema in zona bicocca. Andrea è venuto a prendermi un paio? di giorni fa nella sua nuova macchina, l’abbiamo battezzata. Scopa malísimo, peggior scopata della mia vita. Pensare che avevo una cotta per lui a 15anni 😹
Ho anche messo Tinder per scherzo con un amico e ho 8 uomini 10 donne e 4 coppie in attesa di conferma
E non sento niente
Ma almeno ho smesso di sentirmi male perché ha rinunciato a me
E come ha detto mia madre “sei giovane, è il primo che ti dice di essere sua moglie, non l’ultimo. E ricordati che ti manca molto da provare, vai vai”
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La passione che ci prende ad ogni nostro incontro
ha qualcosa di magicamente indefinibile.
Io e te soli...due corpi nudi
uniti in un solo abbraccio. Buona serata a tutti ❤❤
@pensierisanguigni 😘❤
(Andrea Totaro )
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“Sapeva quando vivere e quando morire, mi torturò vederlo in miseria”: quando Wystan H. Auden chiese ad Hannah Arendt di sposarlo (e lei lo rifiutò)
Cinquant’anni fa accadono due cose decisive nella vita di Wystan H. Auden, uno dei poeti centrali – per opere, intensità saggistica e molteplice attitudine del verso – del secondo Novecento. Nel tardo agosto del 1969, in Svizzera, muore Erika Mann, la primogenita di Thomas. Nel 1935, Auden aveva accettato – su consiglio dell’amico amato Christopher Isherwood – di sposarla, per consentirle l’ottenimento del passaporto britannico e la conseguente fuga in UK. Era lesbica, Erika. In quello stesso anno, ripescando le lezioni del suo antico prof, J.R.R. Tolkien (era il 1926) e la passione per l’insularità islandese (ad esempio: Letters from Iceland, 1936), Auden traduce l’Edda poetica, il repertorio di miti medioevali, referto di re e spade e lupi e verbi, repertorio identitario di lassù. L’altra cosa decisiva è questa. Auden chiede ad Hannah Arendt di sposarlo. La Arendt ha grosso modo la sua età – 63 anni, quell’anno – qualche anno prima ha pubblicato il celebratissimo La banalità del male. La filosofa rifiuta il poeta. “Il poeta Wystan H. Auden, con cui Hannah era amica dalla fine degli anni cinquanta, andò nel suo appartamento e le fece una proposta di matrimonio. Hannah, ovviamente, gli disse di no, ma questo non la sollevò, perché presagiva che Auden avrebbe preso male questo rifiuto. Auden negli ultimi anni era decaduto da quell’elegante gentleman che era a un clochard trascurato ed era chiaramente disperato nel profondo. Dopo la risposta negativa di Hannah, Auden si ubriacò senza freni e Hannah dovette trascinarlo sull’ascensore. ‘Io odio la compassione’, scrisse Hannah allora a Mary McCarthy, ‘mi spaventa, da sempre, e credo di non aver mai conosciuto qualcuno che abbia provocato in me così tanta compassione’” (da Alois Prinz, Io Hannah Arendt, Donzelli, 1999). Nel 1972, per Faber, Auden pubblica l’ultimo libro di poesie, Epistle to a Godson; a Vienna, il 28 settembre del 1973, il poeta, dopo una lettura di poesie, muore, infarto. Poeta geniale (le Poesie scelte sono edite da Adelphi, 2016, ma sarebbe bello pubblicare come si deve, singolarmente, capolavori come L’età dell’ansia e Horae canonicae), il 12 gennaio del 1975 è narrato dalla Arendt in un lungo articolo, sul “New Yorker”, Remembering W. H. Auden (che proponiamo, parzialmente, nella versione di Andrea Bianchi). A fine anno, il 4 dicembre, morirà anche lei, Hannah. “Penso sempre a Wystan”, scrive, due giorni dopo la sua morta, ancora a Mary McCarthy, “e alla miseria della sua esistenza, e al fatto che mi sia rifiutata di prendermi cura di lui quando venne e pregò di essere protetto”. (d.b.)
***
Incontrai Auden tardi. Tardi sia per me che per lui. Eravamo entrambi in quell’istante nel quale la semplice e comprensiva intimità amicale che formiamo da giovani non ci è più disponibile: non resta abbastanza davanti a noi, né potremmo sperarlo, e quindi non condividiamo l’intimità. Perciò fummo eccellenti amici ma senza confidenze. Di più, in lui vi era una riserva che scoraggiava la familiarità – né da tedesca misi alla prova questo silenzio british. Piuttosto, lo rispettai lieta, quasi fosse la segretezza necessaria al grande poeta, uno che era riuscito a imporsi di non parlare in prosa, in modo sciatto e casuale, di cose sulle quali poteva discorrere in modo più soddisfacente tramite una concentrazione densa e poetica.
Sarà la reticenza la deformazione professionale del poeta? Nel caso di Auden questo sembrava verosimile perché molti dei suoi lavori, con totale semplicità, sorgono dalla parola parlata, dagli idiomi quotidiani – come “Lay your sleeping head, my love, Human on my faithless arm.” [Deponi il tuo capo assonnato, amore mio, sul mio semplice braccio senza fede]. Questo genere di perfezione è molto rara; la troviamo nelle migliori poesie di Goethe e anche, decisamente, in quelle di Puskin, giacché la loro caratteristica è essere intraducibili. Simili poesie d’occasione sono slogate dall’originale e poi si dissolvono in una nuvoletta banale. Qui tutto dipende da “gesti fluenti che elevano i fatti dal prosaico al poetico” – un punto evidenziato dal critico Clive James nel saggio su Auden apparso sul numero del Dicembre 1973 di Commentary. Se questo stile fluente è raggiunto, siamo convinti magicamente che il linguaggio quotidiano sia latentemente poetico e, ammaestrati dallo sciamanesimo poetico, apriamo per bene le orecchie ai veri misteri della lingua. Anni fa Auden mi risultò intraducibile: fui convinta della sua grandezza. Tre traduttori tedeschi si erano dati da fare e avevano fatto stramazzare senza troppi scrupoli una delle mie poesie favorite, “If I could tell you”, la quale sorge in modo naturale da giri di frase colloquiali come “Time will tell” e “I told you so”:
Time will say nothing but I told you so. Time only knows the price we have to pay; If I could tell you I would let you know.
If we should weep when clowns put on their show, If we should stumble when musicians play, Time will say nothing but I told you so.
The winds must come from somewhere when they blow, There must be reasons why the leaves decay; Time will say nothing but I told you so.
Suppose the lions all get up and go, And all the brooks and soldiers run away; Will Time say nothing but I told you so? If I could tell you I would let you know.
[Il tempo non lo dirà, io te lo dicevo. / Solo il tempo sa il prezzo da pagare; / se lo sapessi te lo direi. // Se dovessimo piangere quando i clown si danno da fare, / se dovessimo inciampare quando suonano i musicisti, / il tempo non lo dirà, io te lo dicevo. // Il vento verrà pure da qualche parte se ora soffia qui, / ci saranno cause che fan gialle le foglie; / Il tempo non lo dirà, io te lo dicevo. // Ora pensa che i Leoni prendono e se ne vanno, / e tutti i ruscelli e soldati se ne fuggono; / il tempo non lo dirà, ma io? / Potessi dirtelo, lo sapresti]
Vederlo alla fine caduto in miseria, senza una giacca o un paio di scarpe di riserva, mi fece capire vagamente perché si nascondesse dietro il motto “Enumera le tue fortune”; pure, trovavo difficile capire appieno perché rimanesse in miseria senza riuscire a far nulla in quelle circostanze assurde che gli rendevano insopportabile quel che gli rimaneva da vivere. Era ragionevolmente famoso e una simile ambizione non contò mai troppo per lui perché era il meno vanesio tra gli autori che conoscevo – del tutto immune alle vulnerabilità infinite che sappiamo essere prodotte dalla gretta vanità. Non dico che fosse umile; nel suo caso era la confidenza con se stesso che lo proteggeva dagli adulatori e questa sua qualità esisteva prima di ogni riconoscimento e di ogni fama, prima addirittura di ogni successo.
*
Geoffrey Grigson, nel Times Literary Supplement, riporta questo dialogo tra il giovanissimo Auden e il suo relatore a Oxford. “Tutor: ‘E cosa farà, Mr. Aunde, quando lascerà l’università? Auden: ‘Farò il poeta.’ Tutor: ‘Bene, in questo caso troverà utile aver insegnato Inglese.’ Auden: ‘Non capisce. Farò il grande poeta’”. Questa confidenza non lo lasciò mai, ma non gli proveniva da confronti con gli altri o dal tagliare per primo il traguardo; era naturale, ben connessa, ma non identica, con la sua enorme abilità a trattare la lingua, e a farlo rapidamente, quando gli andava a genio. E poi non gli andava nemmeno a genio, perché non esibiva la perfezione finale, né vi aspirava. Sempre tornava alle sue vecchie poesie, d’accordo con Valéry quando dice che una poesia non è mai chiusa per sempre, ma solo abbandonata. In altre parole Auden era benedetto da quella rara confidenza in se stesso che non abbisogna di ammirazione e di buone opinioni altrui; e che può benissimo reggere l’autocritica senza cadere nel trabocchetto del dubbio perpetuo su se stessi. E la cosa spesso la confondiamo con l’arroganza: Auden non fu mai arrogante tranne quando qualche volgarità lo provocava; allora si proteggeva con i modi rudi e abbastanza improvvisi, tipici dell’inglese di razza. […]
*
Auden era più saggio di Brecht, ma non era sveglio quanto lui. Auden sapeva che “la poesia non fa accadere nulla”. Per lui era piena insensatezza che il poeta avocasse a sé speciali privilegi o chiedesse permessi che siamo felici di elargire in gratitudine a tutti. Nulla era maestoso in Auden quanto la sua integra sanità e la sua salda reputazione per la sanità; ai suoi occhi tutti i generi di follia erano assenza di disciplina – indecente, indecente usava dire. Il fatto principale era non avere illusioni, non accettare pensieri (tantomeno se sistematici) che ci chiudessero gli occhi davanti alla realtà. Auden rigettò le sue immature credenze leftist per gli eventi che sappiamo: processi a Mosca, patto Hitler-Stalin, esperienze di guerra civile spagnola. Furono gli eventi a mostrare tutta la sinistra come “disonesta e vergognosa”, come ebbe a scrivere introducendo Collected Shorter Poems. Così è chiaro per sempre da dove saltava fuori il suo:
History to the defeated may say alas but cannot help nor pardon.
[La storia agli sconfitti / sta bene se lo dite ma non giova né perdona.]
E questo equivaleva a dire che “quel che accade è tutto per il meglio”. Auden protestava di non aver mai creduto in questa pessima dottrina, anche se qui sono in dubbio perché quei versi sono troppo buoni, troppo precisi per essere stati prodotti dalla sola efficacia retorica; inoltre, Auden sarebbe stato l’unico a scostarsi dall’ottimismo dei leftist degli anni Venti e Trenta, se veramente avesse creduto alla poesia e non al senso di quello che scriveva. Comunque sia venne il tempo in cui
In the nightmare of the dark All the dogs of Europe bark . . .
Intellectual disgrace Stares from every human face—
[Nell’incubo del buio / Tutta Europa latra . . . / Disgrazia di chi pensa / La noti su tutti i volti]
Ed era il momento in cui sembrava che il peggio sarebbe successo e il male fosse l’unico a cavarsela. Il patto Hitler-Stalin era la svolta da sinistra; ora andavano abbandonate tutte le fedi nella storia quale tribunale finale che giudica le sorti terrene.
Negli anni Quaranta furono in molti a rivoltarsi contro le loro credenze, ma lo fecero dopo Auden, e in ogni caso pochi capirono quel che fosse andato storto dentro il meccanismo fideistico. Ma costoro non smisero del tutto le loro devozioni nella storia e nel successo: semplicemente e di fatto, cambiarono treno. Il treno socialista e comunista era andato male, e presero il biglietto per un viaggio nelle terre del Capitale, dove trovarono Freud insieme a qualche truciolo marxista, un treno ben sofisticato insomma. All’opposto, Auden si fece cristiano e quindi lasciò pure lui il treno della storia. Non so se Stephen Spender abbia ragione a ribadire che la fede fosse la sua stringente necessità; suppongo che questa necessità fosse semplicemente scrivere versi e tutto sommato sono ragionevolmente certa che la sua sanità, il grande senso che illuminava tutta la sua prosa saggistica e di recensore sia debitore verso l’ortodossia e il suo scudo protettivo. […]
*
Certamente sembra poco probabile che il giovane Auden, quando decise di dover diventare un grande poeta, conoscesse il prezzo da pagare, e penso che verso la fine – quando la semplice forza fisica del cuore se ne svaniva e non gli faceva reggere le emozioni che comunque aveva il talento per trasformare in elogio – considerasse il prezzo come troppo caro. In ogni caso noi, i suoi lettori, possiamo solo essere grati che pagò fino all’ultimo centesimo per la gloria durevole della lingua inglese. E i suoi amici possono trovare qualche consolazione nello scherzo sublime che Auden tende loro dall’altra parte del mondo – per molte ragioni, il poeta confidò a Spender che “la sua anima saggia e incosciente scelse per conto suo il giorno ideale per andarsene”. La saggezza di sapere “quando vivere e quando morire” non è concessa ai mortali ma Wystan, siamo indotti a credere, potrebbe averla ricevuta quale suprema ricompensa, quella che gli dèi crudeli elargiscono al loro servitore più fedele.
Hannah Arendt
*Traduzione italiana di Andrea Bianchi
**In copertina: “Wystan H. Auden: ritratto con sigaretta”, fotografia di Cecil Beaton
L'articolo “Sapeva quando vivere e quando morire, mi torturò vederlo in miseria”: quando Wystan H. Auden chiese ad Hannah Arendt di sposarlo (e lei lo rifiutò) proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2vCqga0
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Pubblicato F.A.B.I.O., EP del Collettivo Lunatika
Nel giorno della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne, esce su tutti i digital stores, per Lunatika Records/ZdB, F.A.B.I.O., l’attesissimo EP del Collettivo Lunatika.
F.A.B.I.O. è l’EP che racchiude un lungo percorso di pubblicazione a cadenza mensile dei 5 singoli: l’omonimo e variegato progetto suggestionato dalla silloge di cinque poesie scritte da Giuditta Maselli, reso possibile grazie al lavoro di Giulia Massarelli e Andrea Pettinelli di ZdB.
Sulla spinta creativa dell’autrice Giuditta Maselli e dalla label manager Giulia Massarelli, nasce l’idea di affidare ogni segmento del concept F.A.B.I.O. ad una compositrice diversa, per storia, estrazione, stile e sede. Un progetto, dunque, dal carattere trasversale e che abbraccia 5 tra i migliori talenti femminili dell’attuale panorama underground italiano. La passione e la complicità di 6 donne per un album corale che non si conoscevamo prima, ha fatto nascere quello che si è voluto definire Collettivo Lunatika, il quale debutta con questo lavoro.
Com’è fatto chi esce indenne dall’amore, quando l’amore finisce? Cosa sono quei segni che porta sul corpo? Cicatrici di un fallimento o il ricordo di un bacio?
F.A.B.I.O. non è un nome, non è una dedica, non è una celebrazione. Fosse stato così, non ne avremmo segmentato ogni singola lettera con un puntino. F.A.B.I.O. è ciò che resta, ciò che sopravvive, sono cinque impavidi resti da amare così, come sono.
L’autrice Giuditta Maselli in merito all’EP F.A.B.I.O. dichiara:
«F.A.B.I.O. è un progetto che fa disordine nella composta e tradizionale definizione di album e mette a soqquadro le categorie di poesia e di musica, sviluppando uno spazio nuovo, entro cui poter intrattenere un sodalizio inedito e creativo. Confermandosi etichetta giovane e intraprendente, Lunatika Records abbraccia l’ardita iniziativa di coniugare nel linguaggio musicale una silloge di cinque testi poetici, dando vita ad un collage di plurime immagini raccontate, interpretate e animate dalle voci di cinque diverse artiste, ognuna delle quali ha adottato un testo per poterlo, poi, allevare e crescere secondo il suo personale senso estetico e musicale.
Dalla volontà di originare un prodotto collettivo e multiforme, è nata una stretta collaborazione che ha visto coinvolte su più fronti le protagoniste di questo progetto. Ogni brano ha vita propria, racconta una sua personale storia, riflette la fisionomia artistica della cantante che lo esegue; eppure, al contempo, ciascun testo è parte di un percorso più ampio, dove le parole si legano ad altre parole, dove le storie intrecciano le loro trame con quelle di altre storie ancora, dove i significati si mescolano fino al punto in cui ci si rende conto che quello ascoltato è, in realtà, un unico, grande racconto. È in questa stretta che unisce per mano i cinque brani che risiede, allora, il concept che spiega il titolo di questo album:
F.A.B.I.O. è un complesso di cinque lettere, di cinque poesie, di cinque donne che intessono le note di una propria piccola, intima storia; e queste lettere, ancor prima d’essere parte costitutiva di un nome, prima di farsi – assieme alle altre – madri, sorelle, compagne, amanti dell’uomo figurativamente apparso dalla loro associazione, esistono in funzione di se stesse e per se stesse F.A.B.I.O. non racconta l’amore come fosse la fattura magicamente sortita tra due persone né decanta l’idea romantica dell’innamoramento; ne illustra, invece, le conseguenze, ne descrive la reazione contratta a posteriori sulla pelle, nei pensieri, dentro il cuore».
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Ah, buongiorno, c'è il sole, che palle
Mi sveglio e scendo giù dal letto
Ho mal di testa, chissà che ore sono
Inizia un altro giorno con me stesso
Avrei preferito stare solo, vabbè (vabbè), ah
Tieni tutto spento, fidati che è meglio
È importante che io eviti guardare nello specchio appena sveglio
Oh-oh no, non ci credo, già squilla
Faccio un sorso di birra
Devo vomitare, al cellulare c'è una stronza che strilla
Giorgio sei sparito ieri sera ti hanno visto
Prima ad una cena e dopo ad una festa
E dopo ancora che ballavi in discoteca
Quindi è vero, è tutto vero? E dopo attacco
Nah, non è vero stavo sul divano
Ho guardato televendite fino alle 4
Ho comprato un materasso e sono soddisfatto (Spermaflex)
Eh niente, mi arriva un messaggio che non voglio leggere
Sì, sono i miei amici che mi passano a prendere
E magicamente il mio cell si spegne
No, sai che c'è? C'ho il compleanno di mia madre
Scusa padre, non penso riuscirò a passare
Scusa frate, mi hanno rapito pure il cane (e zitto)
No, la verità è che sono un po' depresso
Eh si, no sai ultimamente succede che sono un po' depresso
Oh, niente di grave eh, non ti preoccupare, ma sono un po' depresso
Ah, v-vuoi uscire sta s-, no guarda sta sera no
Però domani, domani no, domani no perché sono un po'...
Bene, è mattina e io ho già toccato il fondo
Ho strappato l'ultima cartina, questo gesto è l'ennesimo affronto
Devo andare a ricomprarle, merda
Vogliono la guerra, ma io sarò pronto
Sono uscito e ora dovrò affrontare il mio peggior nemico, il mondo
Odio chiunque si metta sulla mia strada
La madre col passeggino, i vecchi che fanno la passeggiata
Mi maledico se poi ripenso a quella fottuta stupida cartina
E mi chiedo "Ma perché la gente esce, perché parla,
Ma perché respira, ma perché non si può andare a vivere su Marte?"
Che palle, voglio andarmene a fare in culo, tipo che se vuoi chiamarmi
Con il fuso orario sono sei milioni di anni luce distante
Mi spiace, oggi spero solo faccia buio presto
Vuoi sapere se 'sta sera esco?
Ahahah, no, sono un po' depresso
Giò, ma è successo qualcosa?
Te sto a chiama' da giorni, non me rispondi
Credevo di essere forte, quando scende la notte
A volte penso alla morte
(Abbiamo la consegna del disco, Giò)
Non ho nessuno di fronte, se ho sbagliato io
Me ne assumo le colpe (Matteo e Andrea non me stanno a risponde)
Ed ho provato a cambiare, già un milione di volte
Adesso provo a chiamare, ma nessuno risponde
Cioè non è che potete spari' così, ma che cazzo de fine avete fatto?)
No, no, no
(Mi rispondi quando senti 'sta nota? Dai cazzo)
No, sai che c'è? C'ho il compleanno di mia madre
Scusa padre, non penso riuscirò a passare
Scusa frate, mi hanno rapito pure il cane (e zitto)
No, la verità è che sono un po' depresso
Eh si, no sai ultimamente succede che sono un po' depresso
Oh, niente di grave eh, non ti preoccupare, ma sono un po' depresso
Ah, v-vuoi uscire sta s-, no guarda sta sera no
Però domani, domani no, domani no perché sono un po'
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Mi sveglio e scendo giù dal letto
Ho mal di testa, chissà che ore sono
Inizia un altro giorno con me stesso
Avrei preferito stare solo, vabbè (vabbè), ah
Tieni tutto spento, fidati che è meglio
È importante che io eviti guardare nello specchio appena sveglio
Oh-oh no, non ci credo, già squilla
Faccio un sorso di birra
Devo vomitare, al cellulare c’è una stronza che strilla
“Giorgio sei sparito ieri sera ti hanno visto prima ad una cena e dopo ad una festa e dopo ancora che ballavi in discoteca. Quindi è vero, è tutto vero?” e dopo attacco
Nah, non è vero stavo sul divano
Ho guardato televendite fino alle 4
Ho comprato un materasso e sono soddisfatto (Spermaflex)
Eh niente, mi arriva un messaggio che non voglio leggere
Sì, sono i miei amici che mi passano a prendere
E magicamente il mio cell si spegne
No, sai che c’è? C’ho il compleanno di mia madre
Scusa padre, non penso riuscirò a passare
Scusa frate, mi hanno rapito pure il cane (E zitto)
No, la verità è che sono
Un po’ depresso
Eh si, no sai ultimamente succede che sono un po’ depresso
Oh, niente di grave eh, non ti preoccupare, ma sono un po’ depresso
Ah, vuoi uscire sta s-, no guarda sta sera no, però domani, no domani no perché sono un po’ –
Bene, è mattina e io ho già toccato il fondo
Ho strappato l’ultima cartina, questo gesto è l’ennesimo affronto
Devo andare a ricomprarle, merda
Vogliono la guerra, ma io sarò pronto
Sono uscito e ora dovrò affrontare il mio peggior nemico, il mondo
Odio chiunque si metta sulla mia strada
La madre col passeggino, i vecchi che fanno la passeggiata
Mi maledico se poi ripenso a quella fottuta stupida cartina
E mi chiedo “Ma perché la gente esce, perché parla, ma perché respira, ma perché non si può andare a vivere su Marte?”
Che palle, voglio andarmene a fare in culo
Tipo che se vuoi chiamarmi, con il fuso orario sono sei milioni di anni luce distante
Mi spiace, oggi spero solo faccia buio presto
Vuoi sapere se sta sera esco?
Ahahah… no, sono un pò depresso
(Giò, ma è successo qualcosa? Te sto a chiama’ da giorni, non me rispondi)
Credevo di essere forte, quando scende la notte
A volte penso alla morte (Abbiamo la consegna del disco, Giò), non ho nessuno di fronte
(Matteo e Andrea non me stanno a risponde)
Se ho sbagliato io, me ne assumo le colpe
Ed ho provato a cambiare, già un milione di volte
(Regà me dovete fa’ sapè, dovete consegnarmi il disco, cioè non è che potete spari’ così, ma che cazzo de fine avete fatto?)
Adesso provo a chiamare, ma nessuno risponde
No, no, no
(Mi rispondi quando senti ‘sta nota? Dai cazzo)
No, sai che c’è? C’ho il compleanno di mia madre
Scusa padre, non penso riuscirò a passare
Scusa frate, mi hanno rapito pure il cane (E zitto)
No, la verità è che sono
Un po’ depresso
Eh si, no sai ultimamente succede che sono un po’ depresso
Oh, niente di grave eh, non ti preoccupare, ma sono un po’ depresso
Ah, vuoi uscire sta s-, no guarda sta sera no, però domani, no domani no perché sono un po’
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Sul finir dell’anno
Dodici mesi complessivamente complessi: un anno di crisi, globalmente intesa, che ha sembrato investire ogni campo d’azione; i valori sempre più violentati, la politica sempre più urlata, crisi umanitarie ed economiche senza un piano risolutivo efficace. Il ritratto di un Paese che oscilla tra speranza e disillusione ha confermato così lo iato sempre più profondo tra la dimensione locale e quella nazionale: il legame con il territorio e il rapporto diretto con la realtà quotidiana restituiscono un quadro nel complesso positivo, mentre la realtà nazionale amplifica la portata di alcuni problemi e svaluta le condizioni di un paese in cui permangono sicuramente molte criticità. Come se ci mancasse la capacità di uno sguardo più aperto, capace di andare oltre il proprio spazio vitale e casalingo. Per una paura che nemmeno riusciamo a capire, per un paura fittizia creata molto spesso a tavolino.
C’è una costante inoltre a cui sembriamo esserci assuefatti, la morte. La geopolitica, sempre più difficile, del nostro mediterraneo non ha mai smesso di narrarci corpi, vittime dell’indifferenza, della guerra, della malattia; corpi che hanno riempito tutti quei vuoti istituzionali che in cambio tentano e tenteranno di rimuovere un’idea di Mediterraneo come origine, crocevia, coacervo e panorama di incontri e scambi, culturali e umani. Quello stesso Mediterraneo che continua a essere un cimitero a cielo aperto in cui disumanità e populismi hanno trovato radici profonde. Ma il mare non potrà mai essere di qualcuno e non di qualcun altro. I porti chiusi non esistono né nella semantica né nel diritto internazionale. Sarebbe arrivato il momento di riappropriarci della lingua, dei contenuti e delle politiche. Sarebbe arrivato il momento di analizzare i nostri difetti, il nostro imbarbarimento, in questo umanesimo destrutturato: viviamo un’epoca in cui l’individualismo e la soggettività hanno una prevalenza culturale che ha portato allo sgretolamento dei valori di comunità, collaborazione. Arrendersi al presente è il modo peggiore per costruire il futuro. Soprattutto se distruggiamo la particella segreta delle comunità: quel co. Cooperare, confrontarsi, conoscersi, condividere, coprogettare. Imparare a collaborare è la chiave per uscire dal buio. E ci siamo decisamente dimenticati come si fa.
Quest’anno per fortuna ce lo ricorda qualcuno, grazie alla potenza e alla bellezza della musica. Il secondo album dei C’mon Tigre si intitola Racines, è uscito a febbraio ed è speciale per più di un motivo. Un’autentica connessione con il suono, che continua a sfuggire a qualsiasi classificazione. E va benissimo così. Se deve esistere un podio, fittizio e inutile, quest’anno è il loro. Racines non è semplicemente un disco ma si configura più come un porto aperto. La fiducia che ho nel loro suono mi porta a non voler sapere quale sarà il prossimo accordo, la prossima armonia, mi fido di ciò che non conosco e che arriverà. Un disco che abbraccia soul, dancehall, indie-elettro-jazz, funk, hip hop, afrobeat e musica etnica con una fluidità e un equilibrio che raramente è possibile trovare; un caleidoscopio di umori e sensazioni. Quando pensi di avere afferrato una possibile chiave di lettura, il sound cambia improvvisamente. E ti ritrovi di nuovo, piacevolmente spiazzato. Anche la loro scelta dell’anonimato, sembra voler convogliare tutta l’attenzione sul progetto, non su qualcuno di specifico, ma sull’insieme che dà vita alla musica, e soprattutto a tutti coloro che credono nella purezza del sapere collaborare. I C’mon Tigre sono il grande noi di cui abbiamo bisogno, avvelenati dalla società dell’io.
Ci sono pochi progetti musicali di livello internazionale in Italia, progetti capaci di dare un senso alla parola “ricerca”. Uno di questi è decisamente il loro. Ma volgendo lo sguardo all’estero possiamo abbandonarci all’universo creativo di un trio inglese, basato tanto sull’improvvisazione quanto sulla fiducia reciproca. Andando sempre alla ricerca del fuoco. Con il loro jazz psichedelico ora free ora electro i The Comet Is Coming hanno onorato il 2019 con l’uscita di ben due album – Trust In The Lifeforce Of The DeepMystery a marzo e The Afterlife a settembre – spiazzando l’ascoltatore nel loro essere sempre qualcosa di altro dalla possibilità di mettere un tag su Instagram. Un trio, questo, capace di cambiarci la struttura del dna, soprattutto nella dimensione live.
Accanto a progetti di ricerca si stagliano poi i grandi ritorni, i grandi classici, le conferme sicure, i dischi della maturità. È in questo macromondo che possiamo inserire lo struggimento sommesso e crepuscolare che regala ogni volta la voce di Stuart Staples dei Tindersticks, in questo 2019 alle prese con un album registrato live in studio in soli sei giorni e in analogico. Dopo aver trascorso quasi trent’anni a regalarci una malinconia notturna e romantica, con No Treasure But Hope i musicisti di Nottingham continuano a ipnotizzarci con un groove jazz bramoso e diretto.
Angel Olsen e Sharon Van Etten, portano a compimento i lavori della maturità su lidi completamente diversi: la prima, attraverso una catartica maestosità e arrangiamenti devastanti, si lascia andare a lacrime di classe, sospiri colmi di panico, con gli archi che sembrano presi in prestito da Dusty Springfield; All Mirrors della Olsen è la grandezza di chi non ha più paura di deludere qualcuno, di non riuscire a fare la cosa giusta. È semplice alla fine questa cosa chiamata vita. Soprattutto se ad accompagnarti c’è questa voce, ostinata e argentea. In casa Van Etten, neomamma alle prese con una nuova idea di donna e rocker, la narrazione non è mai stata così potente e sincera. Remind Me Tomorrow è una grande guglia rock, con droni cavernosi e vortici ammalianti.
In terra inglese, Kate Tempest, tossisce abissi di disgusto e disperazione attraverso The Book of Traps and Lessons, l’album più urgente dell’anno. La Tempest striscia attraverso i residui della società: odio, miseria, divisione violenta e normalizzazione del fascismo. Un lavoro ostile e solenne che stravolge e ipnotizza nella sua struttura solenne e monolitica, glaciale e claustrofobica. Tra spoken word, suoni elettronici, basi trip hop, non lontano dall’attitudine dell’ultimo Gil Scott Heron, questa meravigliosa poetessa rabbiosa e lucida, racconta il livido declino dell’Inghilterra della Brexit, dei rapporti tra le persone nel disfacimento civico e sociale.
La musica d’autore è tornata a risplendere nel radicale mutamento compiuto da Glen Hansard che, lontano da casa, in un’afosa estate parigina, ha fatto un disco bellissimo e disperatamente commovente; la sua ha l’aria di essere una vera e propria avventura culturale, in cui i calcoli devono essere liberi, e le nuove direzioni possono significare nuove opportunità. Nuova rivoluzione anche per la norvegese Jenny Hval, sempre più abrasiva: lasciati i vampiri e i paesaggi insanguinati dell’album precedente, ci conduce in una sorta di paradiso naturale col suo massiccio The Practice of Love, un lavoro ispirato al trip-hop e alla trance degli anni ’90.
In casa nostra due dischi, diversissimi per genesi e stile, segnano la piacevolissima ricomparsa dell’idea di band e di cantautore 3.0.: se I Quartieri dopo ben sei anni di silenzio, dimostrano di aver stretto un patto di sangue con la gloriosa scuola romana, e tornano con un album importante che vive la propria contemporaneità senza il terrore di non essere capito, Andrea Laszlo De Simone, fa qualcosa che destabilizza e commuove, andando a tastare meticolosamente il polso a un suono bellissimo.
Suoni superbi arrivano anche dall’Inghilterra dove troviamo il sortilegio delle Nérija: tra le tante cose magicamente toccate da Nubya Garcia c’è anche questo supergruppo – molto attivo nel panorama jazz britannico – formato da sette donne, sette amiche, sette musiciste talentuosissime. Il loro primo LP, Blume, cattura l’abilità, il calore, la gioia e lo spirito della relazione vibrante e contagiosa di sette persone che suonano assieme come se non potessero far altro. Le dinamiche sorprendono continuamente – cambiando spesso direzione, creando un caos intenzionale che abbraccia tanto la scuola di Pharoah Sanders quanto il gospel di Fred Hammond, fino a toccare afrobeat e hip-hop. Menzione d’onore per la chitarra di Shirley Tetteh che disegna le pennellate più brillanti. La scuola jazz continua con l’esperienza di Kendrick Scott Oracle e del suo maestoso A Wall Becomes a Bridge, racconta l’oggi e lo fa tramite un modello sonoro tradizionale in cui il jazz offre un modello in cui i confini cadono, e i muri possono diventare ponti. Così come le vibrazioni cosmiche dei KOKOROKO, formazione nu jazz britannica che nell’ep omonimo mescola tradizione afrobeat, folk africano e riff infettivi con lo spirito sensibile di chi ha ricalcolato la prospettiva storica sull’onda contemporanea che sta prendendo il fenomeno che fu la casa di Fela Kuti.
Ma brillano anche Brittany Howard e Jamila Woods alle prese con due lavori interessanti: se la Howard, lasciati i compagni d’avventura Alabama Shakes, tenta il salto solista e confeziona 35 minuti di grandezza ininterrotta, grazie a ritmiche che si frappongono tra hip-hop, neo-soul e momenti più intimi capaci di evocare Billie Holiday, la Woods rende un caloroso omaggio alle icone che hanno modellato la sua identità di soulwoman ambiziosa, che usa l’eredità culturale del mondo black per narrare il presente e sognare un futuro possibile.
I Fontaines D.C., next big thing del post-punk à la Shame o Idles, sono gente di Dublino, e affrontano il degrado delle città urbane attraverso l’amore per la letteratura e la poesia (i poeti della Beat, James Joyce, Patrick Kavanagh) mentre i francesi Papooz si muovono leggiadri tra funk e ballate d’amore con un disco che racconta notti di sofisticata dissolutezza, Möet in una mano e sigaretta accesa nell’altra. Ottimo l’equilibrio tra big band, cabaret, ballad anni ’70 ed elettrofunk contemporaneo: un po’ Zombies, un po’ Beach Boys, le canzoni del loro Night Sketches sono fluidi scintillanti ed esotici pronti a prendersi cura delle nostre articolazioni.
Le operazioni impossibili e rischiose dell’anno chiudono invece con due vittorie pienamente soddisfacenti: da una parte Beth Gibbons alle prese con una sinfonia del 1976, dall’altra il disco postumo di Leonard Cohen, prodotto e modellato dal figlio Adam. La cantante inglese ha allenato la propria voce da contralto per arrivare alle altezze di un soprano e ha studiato rigorosamente il polacco, lingua del libretto della Terza del compositore polacco Henryk Górecki; e quando, nel novembre del 2014, si è tenuto il concerto a Varsavia, accompagnata dalla Polish National Radio Symphony Orchestra, e diretta nientemeno che da Penderecki, la sua sfida è sembrata tanto folle quanto necessaria. Il minimalismo infuso di sacralità, affine ai lavori di John Taverner e Arvo Pärt sembra aver trovato una nuova musa. Il lavoro invece postumo che ci ha permesso di ascoltare di nuovo la voce del cantautore canadese ha visto la collaborazione preziosissima del figlio e di tutti gli storici collaboratori di Cohen: Thanks For The Dance vive di un equilibrio perfetto grazie alla produzione sobria e rispettosa di un figlio che peraltro conferma come il padre, negli ultimi momenti della sua vita, non avesse ancora esaurito la luce immanente delle proprie idee.
E infine c’è la faccia d’angelo, Chet Baker. The Legendary Riverside Albums è una raccolta imponente che comprende quattro leggendari album pubblicati alla fine degli anni ’50 per la Riverside Records, oltre a un LP di outtakes alternati dalle sessioni live. Anche quando era rimasto senza denti e i suoi occhi erano induriti dalla disfatta, Chet Baker non ha mai smesso di svelarci il suo infinito talento, arrivando a suonare la tromba con la dentiera, una cosa difficilissima. Operazioni di raccolta, o meglio memoria, come queste sono necessarie a farci capire che non ci basteranno mai le semplici melodie della sua tromba, o lo slancio volatile della sua voce.
Un disco a parte, che esula da classifiche e giudizi, rimane quello di Nick Cave che quest’anno ha pubblicato qualcosa che si distacca dall’idea fisica di disco per abbracciare quella di preghiera. Ghosteen non compete, fluttua nell’aria e ci entra nelle vene, è la discesa nelle viscere del dolore; e fa paura perché si guarda dentro e ha il coraggio di mostrarlo a tutti. Un soffio al cuore per cui “Everybody’s losing someone, it’s a long way to find peace of mind”.
Nonostante tutto, anche quest’anno, fine del decennio, la buona musica non ci ha piantati in asso e le regole sembrano essere sempre le stesse: il suono devi viverlo per stupirti del vuoto che viene a crearsi una volta finito. Quel senso di pace, di resa. Ho avuto la fortuna di poter scrivere approfonditamente di molti dei dischi che qui ho raccolto, indirizzando a voi gli ascolti di un anno vissuto, male o bene non importa; quello che davvero conta è il processo, del suono che sgorga, si solidifica, si sedimenta, e poi si fonde. Non si è mai pronti al prodotto finale, al disco che esce dalla confezione ed entra nel tuo mondo. Eppure ne restiamo meravigliati, ancora una volta.
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Ancora solo successi !!!
Continuano le domeniche estive di grande tennis e di enormi soddisfazioni sui campi di via dello Sport e non solo.
Domenica 06 Giugno avevamo le solite numerose squadre seniores impegnate in giro per la nostra regione e le soddisfazioni non sono certo mancate.
Siamo cavalieri e quindi come al solito iniziamo al femminile, con le ragazze capitanate da coach Arnone che facevano visita al TC Milano, in una trasferta teoricamente alla nostra portata ma che come spesso succede ha riservato parecchie insidie. Se escludiamo infatti la perentoria prova di Vale Urelli, sempre in ottima forma, che aveva la meglio sulla 2.6 Atthias con un secco 62 60, negli altri due singoli le nostre hanno dovuto attingere a tutte le proprie risorse, anche inaspettate, per portare a casa le vittorie.
Grande attaccamento ai nostri colori, nonostante sia con noi da poco, ha dimostrato Urso Aurora per avere la meglio 67 62 64 sulla 2.7 Bruni Jasmine, che ha retto per un buon primo set il ritmo di Aurora, brava a ricomporsi dopo il primo tie-break e a rintuzzare i vari tentativi di ritorno della atleta di casa.
Sempre tonica la nostra vivaio, Sonia Cassani, alle prese con le prime avvisaglie di una allergia fastidiosa. Il parziale di 61 41 della brava 2.7 Scurtu Jennifer, probabilmente con Sonia distratta dalle voci che arrivavano da Parabiago dove il padre Enrico era alle prese con un incontro infinito in D3 Maschile, non lasciava molte speranze.
Con il padre purtroppo sconfitto, come vedremo dopo, Sonia poteva tornare a concentrarsi sul proprio match vinto alla fine con una serie di giochi consecutivi trionfando alla fine 16 64 61. Grande Sonia e basta Enrico, pensa a perdere solo i tuoi di match ! Scherziamo ovviamente.
La buona verve di Sonia e Vale continuava anche in doppio, dove ormai le nostre formano una coppia di assoluto livello. Solo un gioco lasciato alle malcapitate Bruni/Desimone, sconfitte 61 60. 4 a 0 per noi alla fine e prima esperienza in B2 che continua alla grande, con il secondo posto nel girone 1 che ci fa sognare.

Il solito bel selfie delle nostre blondes
Passando ai pari classifica del maschile, ancora una bellissima pagina scritta da Mattia e dai suoi ragazzi, che ospitavano Domenica la temibile squadra del Quanta Club di Milano, reduce da due pareggi ed una vittoria per 6 a 0.
Lasciateci partire in questo racconto dalla fine, dal match point del doppio finale che ha dato la vittoria al CTP: uno scambio a ridosso della rete in cui Gio Rizzuti, che si candida ormai a diventare il vero leader di questa squadra, ha ribattuto da distanza zero un paio di colpi per poi chiudere in una zona del campo dove i due avversari non potevano arrivare. Eravamo sul 9 a 5 per i nostri al super tie-break e i forti avversari Schiavetti/Moghini stavano cercando di recuperare da 9 a 3 sotto. Anche quel punto sembrava perso e tutti in tribuna iniziavano a temere in un calo psicofisico dei nostri dopo il terzo match point annullato. Invece, ecco spuntare il piatto corde di Giovanni, messo al posto giusto e nel momento giusto per rendere imprendibile la ribattuta ! Le foglie dei nostri alberi centenari stanno ancora tremando per le urla liberatorie cacciate da Rizzuti e con lui da tutta la panchina per il meraviglioso gesto atletico e tecnico che ci ha portato alla vittoria. Un grande Gio, ma ovviamente un grandissimo Marco Brugnerotto: una coppia che ancora una volta ha dimostrato una intesa perfetta ed un cuore infinito. Pensate che dopo il 5 a 2 sopra del primo set, i nostri hanno ceduto 5 giochi di fila e la frazione per 7 giochi a 5. Se aggiungiamo che le notizie dal campo 1 non erano confortanti, con Leo e Nick sotto nel punteggio, dobbiamo davvero sottolineare la notevole prova di carattere nel vincere il secondo set per 6 1 e poi trionfare al super tie-break !
Inebriati dalle emozioni del doppio finale, ricordiamo brevemente i primi match, con la netta vittoria (61 60) di Rizzuti sul 2.5 Coppini Alessandro (anche se il punteggio non la dice tutta e sottolinea ancora una volta come il nostro leader sia bravissimo ad aggiudicarsi i punti che contano). Aggiungiamo la buona ma sfortunata prova del nostro vivaio Leonardo Cassago che tanto ci aveva fatto sperare vincendo il primo per 63 contro il forte 2.5 Moghini Gabriele, facendo gara pari per la prima parte del secondo ma poi dovendo cedere al prepotente ritorno di un avversario apparso in ottima forma (confermata anche in doppio) con il 36 16 finale. Lo diaciamo sempre Leo ma anche questa volta tanto fieno messo in cascina !
Toccava quindi al nostro numero 1 Brugnerotto (opposto al 2.3 Pietro Schiavetti) rimettere in CTP davanti con un bellissimo primo set (vinto 62) e con un secondo parziale thriller vinto al tie-break con il punteggio di 7 punti a 2, a testimonianza che quando il gioco si fa duro, il nostro Marco riesce a dare il meglio. Davvero un tie-break al limite della perfezione e tanti complimenti Marco !
Capitolo a parte, anche qui fatto di patemi e non pochi, la partita di Christian Migliorini opposto ad un nome che qui a Parabiago conosciamo bene, essendo fratello del nostro capitano di D1. Parliamo del 2.6 Volante Matteo, sceso a Parabiago con la nomea di doppista infallibile per via del suo best ranking da numero 199 al mondo. Al nostro Christian si chiedeva non solo di portare a casa il punto ma anche, siamo onesti, di tenere in campo per il maggior tempo possibile un avversario da stancare per il doppio. Missione compiuta alla grandissima ! 26 62 62 alla fine e tante energie spese dal forte avversario che ha giocato gli ultimi game praticamente da fermo per via dei crampi ma potendo contare su un braccio da far paura, a tutti ma non a Christian, bravissimo a mantenere la calma e ad aggiudicarsi il match.
Nonostante le fatiche del singolo, Volante in coppia con Coppini ha dimostrato di essere davvero imbattibile in doppio, sconfiggendo con un netto 61 63 i nostri Carlone/Cassago bravi a stare in partita nel secondo set e dovendo cedere anche per alcuni episodi sfortunati.
Alla fine e grazie alle entusiasmanti gesta della coppia Marco/Gio di cui abbiamo raccontato prima, abbiamo vinto 4 a 2 rimanendo magicamente in testa alla classifica del girone 1.

Solita foto di gruppo finale, stanchi ma felici

e festa negli spogliatoi !
Non vogliamo annoiare tropo chi ci legge ma non possiamo dimenticare tutte le altre vittorie di giornata, a partire dalla D1 Maschile che sui campi di casa ha inflitto un netto 6 a 0 agli atleti del GGIOA Sport.
I nostri splendidi quattro moschettieri dei singoli (tutti classificati 2.7 per permetterci di girare a piacimento lo schieramento in singolo) non hanno concesso nemmeno un set ai malcapitati avversari con i seguenti punteggi:
TURCONI EMANUELE b. GIBERTINI EUGENIO (2.8) 64 63
BOGNI ANDREA b. TROIANI MASSIMILIANO (3.1) 61 63
LEGNANI ANDREA b. LOBIANCO SALVATORE (3.2) 61 62
PANARO PAOLO b. PREMOLI IVAN (3.5) 63 76
Completano il 6 a 0 finale i due solidi doppi Volante/Turconi (64 36 107 a Lobianco/Gibertini) e Favetti/Baldoni (doppio 64 alla coppia Pellegrino/Premoli).

Meritata foto finale con le girls a venute a tifare !
Erano in campo anche tutte e tre le squadre D3 Maschili.
La squadra A in quel di Buscate dove il risultato di 4 a 0 per noi parla chiaro. Da citare la buona prova di Luca Casanova, vincitore sul nostro amico Andrea Carcano con un netto 64 61, insieme al solido Stefano Mazzetto che ha sconfitto con un duplice 61 il 4.2 Genoni Diego ed infine il giovane Stefano Pettenon, autore di una prova di carattere per sconfiggere 60 75 rintuzzando alcuni accenni del famoso braccino o paura di vincere del secondo set.
Chiude il doppio di Mazzetto/Pettenon vincitori su Rossetti Massimo e Gianni Angelo per 62 63. Bravi ragazzi, dovevamo vincere ma non sempre il campo racconta la storia prevista !
Passiamo alla squadra B, opposta sui campi in mateco di casa agli atleti di Athla Sport Milano.
A dir poco perentorie le vittorie di Charlie Lusardi (60 60 al 4.3 Villani Michele a testimonianza di un ottimo momento di forma) e di Nick Soria (60 62 al numero 1 avversario, il 4.1 Roberto Cremonesi).
Del terzo singolo abbiamo parlato nel racconto della B2 femminile, con un Enrico Chicco Cassani che, come al solito, ha dato tutto contro il 4.4 Gerli Bruno, uscendo sconfitto a dir poco stremato dal campo con un 64 46 61 finale che racconta di un impegno sempre costante ma di un leggero calo fisico nel terzo parziale. Grazie comunque di averci portato tua figlia in squadra !
Toccava alla buonissima coppia di doppio Mellace/Soria portare il punto della vittoria per 62 62 contro Cremonesi/Villani. Un 3 a 1 che replica il risultato della prima giornata e che ci lascia perfettamente in corsa.
Siamo alla squadra C, quella dei giovani capitanati domenica da Paolo Palmieri e che hanno portato a casa un altisonante 4 a 0 dal Tennis OLONA 1894 di Milano. Ecco i risultati nel dettaglio:
PANARO ALESSANDRO b. FALLETTI FRANCESCO (4.3) 76 76
FIORELLINO MAURIZIO b. MONDA STEFANO (4.4) 64 76
TERRENGHI MARCO b: CASTIGLIONE GIOSUE (4.5) 63 64
BIONDI STEFANO/PANARO b. MONDA/CASTIGLIONE 62 67 107
Prove di carattere da parte di tutti e capitan Palmieri fiero dei nostri ragazzi, tanto quanto noi !
Chiudiamo con una squadra forse maggiormente esperta rispetto alla D3 C ma ugualmente piena di voglia di dare il massimo in campo: la D4 maschile di capitan Carmagnola.
Eravamo in trasferta, sui campi sempre difficili del Garden Novate e dopo las confitta del nostro numero 1 Luca Raisi, sconfitto con un duplice 64 dal 4.5 Sganzerla, ci pensava il capitano di giornata, Danilo Carmagnola a riportare le sorti in equilibrio con una bella vittoria contro il buon NC Faranda per 75 62, mai mollare Danilo !
Ottimo successo di Giuliano Morandini con il 61 61 a Zicchera per portarci sul 2 a 1 dopo i singoli.
Serviva quindi una vittoria per completare il filotto CTP del 6 Giugno e la giovanile coppia Romeo Francesco/Giovanni Giglio non poteva tradire le aspettative. Un netto 64 60 a Bernardoni/Zenoni per confermare i tre punti in cascina.
BRAVI, DAVVERO BRAVI TUTTI E ORGOGLIOSI DI TUTTI VOI !
Come diciamo sempre CTP never stops e la prossima Domenica saremo ancora tutti in campo a dare il massimo per i nostri colori, con la B2 maschile in casa contro il forte Selva Alta e le ragazze che invece riposano dopo tante fatiche.
Tutte le Serie D scendono in campo per cui vi consigliamo di stare sintonizzati !
BUON TENNIS A TUTTI
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Mostro – Un po’ depresso
Ah, buongiorno, c’è il sole, che palle
Mi sveglio e scendo giù dal letto
Ho mal di testa, chissà che ore sono
Inizia un altro giorno con me stesso
Avrei preferito stare solo, vabbè (vabbè), ah
Tieni tutto spento, fidati che è meglio
È importante che io eviti guardare nello specchio appena sveglio
Oh-oh no, non ci credo, già squilla
Faccio un sorso di birra
Devo vomitare, al cellulare c’è una stronza che strilla
“Giorgio sei sparito ieri sera ti hanno visto prima ad una cena e dopo ad una festa e dopo ancora che ballavi in discoteca. Quindi è vero, è tutto vero?” e dopo attacco
Nah, non è vero stavo sul divano
Ho guardato televendite fino alle 4
Ho comprato un materasso e sono soddisfatto (Spermaflex)
Eh niente, mi arriva un messaggio che non voglio leggere
Sì, sono i miei amici che mi passano a prendere
E magicamente il mio cell si spegne
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No, sai che c’è? C’ho il compleanno di mia madre
Scusa padre, non penso riuscirò a passare
Scusa frate, mi hanno rapito pure il cane (E zitto)
No, la verità è che sono
Un po’ depresso
Eh si, no sai ultimamente succede che sono un po’ depresso
Oh, niente di grave eh, non ti preoccupare, ma sono un po’ depresso
Ah, vuoi uscire sta s-, no guarda sta sera no, però domani, no domani no perché sono un po’ –
Bene, è mattina e io ho già toccato il fondo
Ho strappato l’ultima cartina, questo gesto è l’ennesimo affronto
Devo andare a ricomprarle, merda
Vogliono la guerra, ma io sarò pronto
Sono uscito e ora dovrò affrontare il mio peggior nemico, il mondo
Odio chiunque si metta sulla mia strada
La madre col passeggino, i vecchi che fanno la passeggiata
Mi maledico se poi ripenso a quella fottuta stupida cartina
E mi chiedo “Ma perché la gente esce, perché parla, ma perché respira, ma perché non si può andare a vivere su Marte?”
Che palle, voglio andarmene a fare in culo
Tipo che se vuoi chiamarmi, con il fuso orario sono sei milioni di anni luce distante
Mi spiace, oggi spero solo faccia buio presto
Vuoi sapere se sta sera esco?
Ahahah… no, sono un pò depresso
(Giò, ma è successo qualcosa? Te sto a chiama’ da giorni, non me rispondi)
Credevo di essere forte, quando scende la notte
A volte penso alla morte (Abbiamo la consegna del disco, Giò), non ho nessuno di fronte
(Matteo e Andrea non me stanno a risponde)
Se ho sbagliato io, me ne assumo le colpe
Ed ho provato a cambiare, già un milione di volte
(Regà me dovete fa’ sapè, dovete consegnarmi il disco, cioè non è che potete spari’ così, ma che cazzo de fine avete fatto?)
Adesso provo a chiamare, ma nessuno risponde
No, no, no
(Mi rispondi quando senti ‘sta nota? Dai cazzo)
No, sai che c’è? C’ho il compleanno di mia madre
Scusa padre, non penso riuscirò a passare
Scusa frate, mi hanno rapito pure il cane (E zitto)
No, la verità è che sono Un po’ depresso Eh si, no sai ultimamente succede che sono un po’ depresso Oh, niente di grave eh, non ti preoccupare, ma sono un po’ depresso Ah, vuoi uscire sta s-, no guarda sta sera no, però domani, no domani no perché sono un po' depresso
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Teatro della Tosse
STAGIONE RAGAZZI 2018-2019
La Tosse in Famiglia (domeniche a Teatro)
Mattine a teatro
Trailer
POLLICINO
https://vimeo.com/294334921
LA FAVOLA DEL FLAUTO MAGICO
https://vimeo.com/154968321
IL FAMOSO CANTO DI NATALE
https://vimeo.com/100779646
IL GATTO CON GLI STIVALI
https://www.youtube.com/watch?v=jwTJu-z0bdI
STORIE E RIME DISEGNATE
https://www.youtube.com/watch?v=-AyJ_3awmB8
L’OMINO DELLA PIOGGIA
https://www.youtube.com/watch?v=LFYJ_jKR1nI
Abbiamo fatto 13!
Da tredici anni consecutivi al Teatro della Tosse i prezzi della stagione ragazzi sono invariati (domeniche 6 euro bambini, 8 euro adulti e Carnet 50 euro per 10 ingressi validi utilizzabile da più persone contemporaneamente per uno stesso spettacolo / 5 euro per le scuole infanzia e primarie per le mattine), ad aumentare è il numero di spettacoli in cartellone.
Sono 20 i titoli in stagione si parte l’11 novembre con il ritorno di Federica Sassaroli che presenta il nuovo spettacolo La Gabbianella e il Gatto e si arriva fino al 7 aprile con Sogni in Scatola l’ultimo titolo della stagione della Compagnia Nanirossi.
La stagione si conferma come una delle più ricche e longeve del nostro paese, tra quelle dedicate ai ragazzi.
A confermare l’autorevolezza acquistata nel corso degli anni nel panorama nazionale è la presenza in cartellone della nuova regia di Emma Dante, che firma Hans e Gret la sua personale visione di una delle favole più famose e controverse dei fratelli Grimm e di compagnie provenienti da ogni zona d’Italia. In particolare quest’anno ci fa piacere ospitare due compagnie del Salento: i Crest che portano in scena Biancaneve e la Compagnia INTI con Zanna Bianca.
Il conteggio dei titoli 2018/2019 aumenta ancora con gli spettacoli inseriti nel cartellone delle mattine e con le proposte di spettacoli direttamente negli istituti scolastici. In particolare quest’anno abbiamo deciso di lavorare con decisione in questa direzione e sono sette i titoli che portiamo direttamente nelle scuole. Quattro sono in lingua inglese firmati da Nicholas Brandon che porta in scena Tales from England, Il Cappellaio matto, My friend Sherlock Holmes e A porter’s tale, a cui si aggiungono Il pifferaio di Hamelin e due spettacoli del Teatro del Piccione: Escargot e Taro il pescatore.
Il direttore artistico Amedeo Romeo ha affidato anche per questa nuova stagione la programmazione del Teatro ragazzi a Daniela Ottria, responsabile dell’ufficio scuola.
La stagione 2018/2019 è stata resa possibile grazie al Ministero per i beni e le attività culturali, al Comune di Genova e alla Regione Liguria ed è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo.
Un ringraziamento particolare a Latte Tigullio, che da diverse stagioni sostiene le nostre attività dedicate ai ragazzi e da quest’anno ha rafforzato ancora di più il suo sostegno alla stagione.
Tra le conferme da segnalare la trasmissione radiofonica interamente dedicata a spettacoli e protagonisti de La Tosse in famiglia in onda su Radio Babboleo News.
La trasmissione è curata dalla giornalista Alessandra Rossi, che ogni settimana porta i radioascoltatori dietro le quinte del teatro alla scoperta di misteri, segreti, curiosità e spesso si imbatte nei strani personaggi che la domenica prendono vita sul palco.
Per il quinto anno consecutivo si rinnova la collaborazione con HELPCODE, che da anni si batte per i diritti dei bambini. Anche per questa nuova stagione HELPCODE allestirà alcuni laboratori domenicali a teatro sui diritti dei bambini e porterà questi appuntamenti anche all’interno delle scuole. Il 19 marzo verrà proiettato il documentario da loro prodotto con protagonista Claudia Gerini, il cui doppiaggio è stato realizzato dagli allievi dei corsi di teatro guidati da Pietro Fabbri.
Il film a cui possono partecipare le scuole al costo di 1 euro a bambino racconta il quotidiano viaggio di alcuni ragazzi per raggiungere la scuola. L’intero incasso sarà devoluto a HELPCODE.
Per consultare l’offerta completa di Helpcode per le scuole: helpcode.org – [email protected]
Da quest’anno è iniziata la collaborazione con Emergency, che mette a disposizione 10 laboratori gratuiti indirizzati ad alcune classi che parteciperanno ai nostri spettacoli. Emergency racconta la pace propone laboratori specifici per fasce d’età e tematiche specifiche che parlano di diritti umani, rifiuto della guerra e della violenza.
Confermati i laboratori gratuiti che anticipano lo spettacolo domenicale delle ore 16.00 in collaborazione con alcune realtà del territorio: Asilo Nido La Monelleria di Carignano, Helpcode, Gelateria Yogurteria Karol – Ice, Tagesmutter Arcobaleno, Yummi Cake Shop oltre agli appuntamenti curati dagli artisti e gli amici che lavorano sul palco e dietro le quinte del teatro: Paolo & Gisella, la costumista Daniela De Blasio, gli Scenografi Paola Ratto e Andrea Corbetta.
Inoltre si ringrazia per la collaborazione 101 gite in Liguria.
Ci sarà anche l’area bimbi con nuovi giochi e la piccola biblioteca dedicata alla letteratura per l’infanzia.
Tutti elementi che hanno portato la stagione ragazzi a staccare più di 165.000 biglietti negli ultimi 11 anni.
Molto spesso per i più piccoli il battesimo del teatro avviene proprio qui alla Tosse, dove per la prima volta assistono ad uno spettacolo e vengono a contatto con la magia e la poesia che solo sopra un palco si può trovare.
La stagione
Dopo il ritorno di Federica Sassaroli, che lo scorso anno con il “Trenino dei folletti” aveva realizzato 5 sold out, con La Gabbianella e il Gatto (11 novembre) la settimana successiva sale sul palco Once Danza Teatro che il 18 novembre porta in scena C’era una volta una bambina, rivisitazione della Fiaba di Cappuccetto Rosso. Lo spettacolo è inserito anche nel cartellone della 4° edizione della Rassegna internazionale di danza Resistere e Creare.
Il 25 novembre Pollicino coproduzione Teatro della Tosse/Teatro del Piccione che portano in scena una delle fiabe più famose del mondo con una poesia che emoziona grandi e piccini.
Altra produzione Tosse il 2 dicembre con La favola del Flauto magico in stile operina, con musica suonata e cantata dal vivo da un ensemble di musicisti, attori e cantanti lirici che eseguono le principali aree del capolavoro di Mozart..
Mentre la domenica successiva (9 dicembre) un omaggio ai monelli, ai dispettosi, insomma ai Cattivini. Un cabaret concerto per i bimbi monelli del Kosmocomico teatro, vero inno all’arte tipicamente infantile di combinare guai.
Prima di natale il 16 dicembre Il famoso canto di Natale del Signor Charles Dickens dei Teatri Soffiati, che lo scorso anno avevano divertito gli spettatori della Tosse con Jack e il fagiolo magico. A raccontare la storia del malvagio Scrooge sono i due orfanelli del libro, che in questa messa in scena sono particolarmente sbadati ma divertentissimi.
I tre Porcellini dell’Erbamatta arrivano il giorno della Befana con un allestimento particolare che si ispira ai libri pop up, dove gli oggetti cambiano e si trasformano con un semplice tocco di mano.
Il 13 gennaio Nicholas Brandon volto storico della Tosse porta in scena il suo bizzarro cantastorie inglese che in Tales from England racconta le fiabe della tradizione anglosassone un po’ in italiano e un po’ in inglese.
La compagnia savonese I Cattivi maestri il 20 gennaio porta in scena Il sogno di Frida lavoro incentrato sulla figura della grande artista messicana e il suo rapporto artistico con la disabilità.
Il 27 gennaio ritorna il narratore, poeta, pedagogo Claudio Milani con Voci, uno spettacolo che racconta di principesse buone e anche di quelle cattive e soprattutto insegna ai bambini e ai loro genitori come trovare la voce che ognuno ha nel cuore.
Il gatto con gli stivali del Teatro Verde porta in scena il 3 febbraio un classico per ragazzi in uno spettacolo che mischia attori, pupazzi e oggetti.
La settimana successiva arriva Storia tutta d’un fiato pluripremiato spettacolo che mette in scena la vicenda del conte Narco coraggioso riverito e rispettato ma con un imbarazzante segreto.
Musica e disegni dal vivo sul palco della Tosse il 17 febbraio con Storie e rime disegnate, spettacolo che prende spunto dai silent books dedicati ai più piccoli.
Il 24 febbraio in cartellone il nuovo spettacolo di Emma Dante che scrive e dirige Hans e Gret tratto dalla famosa fiaba dei fratelli Grimm, La regista palermitana si cimenta con il teatro ragazzi mantenendo intatte le coordinate del suo teatro visionario e potente.
Il Teatro del Buratto il 3 marzo ritorna con la magia dell’animazione su nero con lo spettacolo Becco di rame. Una storia vera tratta dagli scritti del veterinario Alberto Briganti in cui i protagonisti, tutti animali si stoffa prendono magicamente vita muovendosi da “soli” sul palco.
Il 10 marzo in scena Biancaneve, la vera storia raccontata da uno dei sette nani che mette a conoscenza gli spettatori, che spesso conoscono solo la versione disneyana della fiaba di come sono andate veramente le cose.
Altro grande classico per ragazzi il 17 marzo con Zanna Bianca, spettacolo di narrazione tratto dal famoso racconto di Jack London che racconta le avventure di un lupo e il suo incontro con l’uomo.
Il 24 marzo va in scena Canta Canta Cantastorie un classico del Teatro della Tosse che mette in scena La Gazza ladra, La Tarantella di Pulcinella e Alì Babà, con le filastrocche e rime reinventate da Emanuele Luzzati.
Ritorna anche quest’anno Michele Cafaggi l’omino delle bolle che da diverse stagioni riempie la sala Trionfo con la poesia, la magia e l’allegria delle sue enormi bolle di sapone. Il nuovo spettacolo sarà in scena il 31 marzo.
La stagione si chiude il 7 aprile con Sogni in scatola della Compagnia Nanirossi, dove due buffi personaggi si troveranno davanti a enormi scatole e imballaggi, faticando non poco a rimettere un po’ di ordine sul palco. Lo spettacolo mischia acrobazie, comicità e ovviamente magia.
Al termine dell’ultimo spettacolo della stagione non mancherà la tradizionale festa di fine anno con tutti i collaboratori della Tosse che offriranno la merenda e tante altre sorprese ai più piccoli.
MATTINE A SCUOLA
Il lunedì mattina invece sarà dedicato alle mattine per le scuole con un ricco cartellone, oltre ad una serie di spettacoli e iniziative mirate ai diversi cicli di insegnamento. Anche per le scuole i prezzi sono invariati e tornano anche i biglietti Robin Hood, l’iniziativa della Tosse che fornisce biglietti gratuiti a chi non può permetterseli.
Il cartellone delle mattine a scuola è composto dagli stessi titoli della Tosse in Famiglia in replica il successivo lunedì mattina alle ore 10.00 (fatta eccezione per I Tre porcellini in scena lunedì 7 maggio) a cui si aggiunge Escargot del Teatro del piccione che chiude il cartellone delle mattine il 15 maggio con una storia che attraverso una lumaca parla dell’idea di casa e riscopre la lentezza.
La stagione dedicata al teatro per le scuole partirà il 12 novembre e proseguirà fino a maggio.
L’orario di spettacolo per le scuole è alle 10.00 e gli istituti scolastici possono prenotare e chiedere informazioni presso l’ufficio scuola al numero di telefono 010/2487011 – fax 010/2511275 – mail: [email protected] (responsabile: Daniela Ottria).
Biglietti
Carnet “La Tosse In Famiglia” € 50
10 ingressi validi per tutti gli spettacoli pomeridiani della domenica. Il Carnet Famiglie non è nominale, può essere quindi utilizzato da più persone contemporaneamente per uno stesso spettacolo.
Biglietti
Spettacoli per le famiglie adulti € 8
bambini fino a 12 anni € 6
Mattino per le scuole
Infanzia e primaria € 5
Secondarie di primo grado € 6
Ufficio Stampa Davide Bressanin
La Tosse in famiglia – ore 16.00
Domenica 11 novembre
LA GABBIANELLA E IL GATTO
con Federica Sassaroli
Tecnica: attore, proiezioni
Domenica 18 novembre
C’ERA UNA VOLTA UNA BAMBINA, Cappuccetto Rosso
Once Danza Teatro
Tecnica: danza, narrazione
Domenica 25 novembre
POLLICINO
Teatro del Piccione/Teatro della Tosse
Tecnica: attore
Domenica 2 dicembre
LA FAVOLA DEL FLAUTO MAGICO IN STILE OPERINA
Teatro della Tosse
Tecnica: burattini, attore e musica dal vivo
Domenica 9 dicembre
CATTIVINI, cabaret-concerto per Bimbi Monelli
Kosmocomico Teatro
Tecnica: canzoni, cabaret, narrazione, musica dal vivo
Domenica 16 dicembre
IL FAMOSO CANTO DI NATALE DEL SIGNOR CHARLES DICKENS
I Teatri Soffiati
Tecnica: narrazione, musica, animazione di oggetti, clown
Domenica 6 gennaio
I TRE PORCELLINI
Teatrino dell’Erbamatta
Tecnica: attore, grandi pupazzi
Domenica 13 gennaio
TALES FROM ENGLAND
Teatro della Tosse
Tecnica: attore, lingua inglese
Domenica 20 gennaio
IL SOGNO DI FRIDA
Cattivi Maestri
Tecnica: attore
Domenica 27 gennaio
VOCI
Momom
Tecnica: attore
Domenica 3 febbraio
IL GATTO CON GLI STIVALI
Teatro Verde
Tecnica: teatro d’attore, pupazzi, oggetti
Domenica 10 febbraio
STORIA TUTTA D’UN FIATO
Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale
Tecnica: attore
Domenica 17 febbraio
STORIE E RIME DISEGNATE
Luna e Gnac Teatro
Tecnica: disegno e musica dal vivo
Domenica 24 febbraio
HANS E GRET
Fondazione TRG Onlus
Tecnica: attore
Domenica 3 marzo
BECCO DI RAME
Teatro del Buratto
Tecnica: animazione su nero
Domenica 10 marzo
BIANCANEVE, LA VERA STORIA
Crest
tecnica: teatro d’attore
Domenica 17 marzo
ZANNA BIANCA
Una produzione INTI
Tecnica: narrazione “di razza”
Domenica 24 marzo
CANTA CANTA CANTASTORIE
Teatro della Tosse
tecnica: attore
Domenica 31 marzo
L’OMINO DELLE BOLLE…DI SAPONE
con Michele Cafaggi
Tecnica utilizzata: bolle di sapone e clownerie
Domenica 7 aprile
SOGNI IN SCATOLA
Compagnia Nanirossi
Tecnica utilizzata: circo, acrobazie, clownerie
I LABORATORI ALLE ORE 15.00
DATA DOMENICA
TITOLO SPETTACOLO
TITOLO LABORATORIO
A CURA DI
11-nov
La gabbianella e il gatto
Cre-attività…i laboratori del fare
ASILO NIDO MONELLERIA DI CARIGNANO
18-nov
C’era una volta una bambina, Cappuccetto Rosso
I diritti al centro
HELPCODE
25-nov
Pollicino
Dolci… fantasie
KAROL ICE
02-dic
la Favola del Flauto Magico Operina
Giro intorno al mondo dei bambini
HELPCODE
09-dic
Cattivini
Un mondo di colori
TAGESMUTTER ARCOBALENO
16-dic
CANTO DI NATALE
Marshmallows pupazzo di neve
YUMMY CAKE SHOP
06-gen
TRE PORCELLINI
Arrivan le befane
Paolo e Gisella
13-gen
Tales from England
I burattini come Luzzati e Cereseto
ANDREA CORBETTA
20-gen
Frida
Biscotti per Frida
YUMMY CAKE SHOP
27-gen
VOCI
Un mondo di colori
TAGESMUTTER ARCOBALENO
03-feb
Gatto con gli Stivali
Basta un’idea
DANIELA DE BLASIO
10-feb
Storia tutta d’un fiato
Spiedino marshmallows magico
YUMMY CAKE SHOP
17-feb
STORIE E RIME DISEGNATE
Cre-attività…i laboratori del fare
ASILO NIDO MONELLERIA DI CARIGNANO
24-feb
Hansel & Gret
Favoliamo!
PAOLA RATTO
03-mar
Becco di Rame
Un mondo di colori
TAGESMUTTER ARCOBALENO
10-mar
Biancaneve, la vera storia
Mini Cupcake per Biancaneve
YUMMY CAKE SHOP
17-mar
Zanna Bianca
Favoliamo!
PAOLA RATTO
24-mar
Cantastorie
I burattini come Luzzati e Cereseto
ANDREA CORBETTA
31-mar
L’omino della pioggia
Tutti a tavola!
HELPCODE
07-apr
Sogni in Scatola
Festa finale
TUTTI
Ufficio Stampa Davide Bressanin Tel 010 2487011 Mail [email protected]
Davide Bressanin
Ufficio stampa
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse ONLUS
www.teatrodellatosse.it
Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
Contatti
Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
Informatica Servizi
Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
stagione ragazzi 2018-19 Teatro della Tosse STAGIONE RAGAZZI 2018-2019 La Tosse in Famiglia (domeniche a Teatro) Mattine a teatro …
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Elogio di Max Beerbohm, “il principe degli scrittori minori”, come lo definiva Virginia Woolf, morto a Rapallo qualche decennio fa. Pubblicatelo!
Oggi 20 maggio è la ricorrenza infausta della morte terrena di Max Beerbohm. Ma che nome è? Chi è questo Carneade che morì nel 1956 (!) a Rapallo?
Diciamo subito che è stato ripreso nel 2015 dalle edizioni della NY Review of Books: L’Olimpo senza menate classiste o di genere. In questi 5 anni a New York si sono anche tolti lo sfizio di cambiargli la copertina, migliorandola. Nella prima edizione compariva quel grassoccio di Beerbohm, non era uno splendore bensì per contrappasso un abile caricaturista: così ora trovate su Amazon un suo bozzetto nella nuova copertina.
*
Beerbohm nasce nel 1872, è amico di Wilde, il nostro Cecchi lo imita una pagina sì e l’altra pure, però siccome è di Kensington a Londra (zona attuale delle ambasciate) non ha bisogno di scrivere cento romanzi e di lui resta poco. Nemmeno a Rapallo nessuno sa più dove abitasse. Mi illudo di aver trovato la sua casa in una villa sopra il Porticciolo che ha il motto Incedo per ignes suppositos cineri doloso…
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Sentite come lo elogiava la Woolf nel 1922: “Era il principe degli scrittori minori, era se stesso con semplicità, in modo diretto, ed è rimasto se stesso. Con lui abbiamo avuto un saggista in grado di maneggiare lo strumento più idoneo e pericoloso per l’arte del saggio: la personalità. Lui ha infuso la propria dentro la letteratura, non in modo inconsapevole e impuro, ma al punto che non sappiamo dove inizi il Max saggista e dove finisca il Max privato” (The modern essay).
*
Lo trovai in una biblioteca londinese e mi colpì il titolo di quella raccolta made in NY: chi era questo Principe degli scrittori minori come lo vezzeggiava Virginia Woolf? Era, tanto per cominciare, autore di un piccolo gioiello antologizzato ai suoi tempi da Borges & Bioy Casares. Questo gioiello è Il più bel racconto di Enoch Soames e lo trovate online perché fu antologizzato a sua volta da Sellerio. Quel libretto andò sotto il titolo Storie fantastiche per uomini stanchi e così si condannò alla macerazione obliosa del tempo.
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Per rilanciare uno come Beerbohm, in effetti, non poteva andare a segno l’operazioncina Sellerio, stile Sciascia puro: non funzionò poi nemmeno la galanteria patriottarda dei bolscevichi Editori Riuniti quando produssero una piccola collana fantascientifica, Il Pesanervi, buttandovi dentro un romanzo di Beerbohm che più snob non si potrebbe, Zuleika (poi ripreso da Baldini+Castoldi). Cosa bisogna fare con Beerbohm? È veramente un ingestibile rompipalle? E allora va agguantato come fossimo un’iguana feroce. Lo si potrebbe anche sfogliare su google books come lettori anarchici.
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Beerbohm è il caso classico di snob diventato magicamente lettura aristo-pop. Era un santino di Bolaño, che voleva rinascere o come Beerbohm o come uno scrittore belga.
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Ora dovete fare voi la prova del nove. Mi ero tradotto sopra la pagina inglese un saggetto di Beerbohm dove il nostro eroe faceva ironia sui casi letterari che ai suoi tempi erano ripescati soprattutto in area miteleuropea (vi dice niente? Non sembra la vecchia piaga adelphiana con Sebald e compagnia cantante?)
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A proposito: la Mitteleuropa era una Pangea letteraria, una grossa falda lungo la quale si mescolavano identità. Oggi ne resta poco e la ritroviamo forse leggendo i libri di chi la visse. Gente come Sebald, o come il Kolniyatsch inventato da Beerbohm, sono il parto incongruo di un’Europa che è esistita in un sogno di mezza geografia e mezzo tedesco innestato su gerghi autonomi: ceco, polacco, tedesco apolide, addirittura e poi ungherese che è lingua di radici differenti.
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A mo’ di parentesi.
Fortuna che da noi Adelphi accarezza l’inconscio degli italiani mettendo nel catalogo tanta Germania ed Europa di mezzo. Dagli anni Ottanta Calasso ha sollevato lo stemma della cultura italiana con l’esplosione quantitativa delle sue collane extra-letterarie e poi con l’arruolamento di autori fuori dal suo canone ancestrale e mitteleuropeo. Ha assunto un’identità più individuale. Adelphi è ora chiaramente la proiezione, o meglio l’allungamento, della mente del suo unico stake-holder. Con tutte le idiosincrasie del caso, bellissime e buffe, che la portano al pop dell’individualismo. Perciò nel catalogo c’è roba per tutti (o quasi). Devoti di Mitteleuropa, servitevi.
*
A ben vedere Beerbohm aveva ragione nella satira della Mitteleuropa. I tedeschi, gli ungheresi e i loro vicini approdati ad Adelphi lungo una vena carsica hanno un’identità bruta: vanno fino in fondo alla loro barbarie per apparire un goccio più civili. I loro pensieri, le loro azioni sono irruente: il risveglio brusco da un torpore sotto un albero di pianura. Siamo sicuri che queste ‘qualità’ diano loro diritto a essere qualcosa di più che semplici libri da leggere?
*
Per non concludere.
Se prendete il libro di un inglese purosangue come Max Beerbohm, che gioia invece! Potete immaginare che con la sua classe Beerbohm ridesse sotto i baffi delle mode isteriche che giungevano dalla Mitteleuropa. Godetevi questa sua vita immaginaria alla Schwob, coagulata nel 1920. Cioè quando pubblicò una delle sue ultime cose (And even now) prima di scappare a Rapallo e sotterrare la penna. (Andrea Bianchi)
***
Max Beerbohm, Kolniyatsch
Nessuno di noi che teniamo gli occhi fissi sul paradiso della letteratura europea può dimenticare l’emozione che provò quando, pochi anni or sono, la stella infuocata di Kolniyatsch danzò davanti ai nostri sguardi. Giacché nessuno potrà obiettare al riguardo, sostengo ora di esser stato il primo a valutare la magnitudine di questa stella e ad anticiparne l’ascesa che di fatto fu trionfante. Questo nei giorni che Kolniyatsch era ancora vivo. La sua morte recente ci dà lo spunto perché arrivi il suo boom definitivo. Io non ne resterò fuori. Farò spintoni per arrivare a incidere il mio nome, ben largo, sulla pietra tombale di Kolniyatsch.
Questi cari stranieri vanno sempre elogiati con cura. Con la sola menzione dei loro nomi voi evocate dentro il lettore o ascoltatore un vago senso della loro superiorità. Grazie a Dio, non siamo insulari come un tempo. Non dico che non abbiamo talenti in patria. Ne abbiamo cumuli, piramidi, tutt’intorno. Ma dove trovare quel modo di titillare genuino se non ci servissimo dei rifornimenti in apparenza inesauribili che ci vengono forniti dalle anime angosciate del Continente – Slavi infantili dagli occhi grandi, Teutoni titanici, Scandinavi del tutto ciechi, tutti tra loro differenti eppure in subbuglio nelle loro tenebre comuni, tutti tesi in un sol gesto per cavar fuori di sé le loro forze da esportare all’estero! Non vi è dubbio che la nostra continua ricezione di questi benefit abbia avuto un effetto corroborante sul nostro carattere nazionale. Di solito eravamo abbastanza flemmatici, o sbaglio? Abbiamo imparato a essere vibranti.
*
Di Kolniyatsch, come di ogni spirito magno e autentico in letteratura, è vero che va giudicato più quel che scrisse rispetto a quel che fu. Ma la qualità del suo genio, tutto nazionale e però universale, è al contempo così profondamente personale che non possiamo permetterci di chiudere gli occhi davanti alla sua vita – una vita felicemente non sprovvista di quei dettagli sensazionali che poi son quello che realmente ci interessa.
“Chi ha lacrime per piangere, si prepari a versarle adesso”. Kolniyatsch nacque, ultimo di una lunga serie di raccoglitori di stracci, nel 1886. All’età di nove anni aveva già fatto sua una robusta passione per l’alcolismo che doveva avere in seguito una grossa influenza nell’impastarne carattere e sviluppo di pensiero. Non si ravvisano nella sua infanzia altre promesse circa il suo carattere eccezionale. Non fu prima del suo diciottesimo compleanno che assassinò la nonna e fu mandato in quel ricovero dove compose poesie e opere teatrali che appartengono a quella che oggi definiamo la sua prima maniera. Nel 1907 fuggì dal ricovero o chuzketch (cella) come lui la chiamava sardonicamente e, avendo acquisito denaro con violenza, diede, salpando per l’America, prova precoce che il suo genio era di quelli che valicano frontiere e mari. Sfortunatamente, non era un genio atto a passare oltre il lazzaretto di Ellis Island. L’America, sia detto a suo titolo imperituro, lo respinse. Già nel 1908 lo troviamo di nuovo nei suoi vecchi quartieri, mentre lavora a romanzi e confessioni autobiografiche che, nell’opinione di qualche critico, saranno la pietra di paragone della sua fama. Purtroppo oggi non è così. Domani saranno passati quindici giorni dacché Luntic Kolniyatsch ha lasciato in pace questo mondo, nel ventottesimo anno di sua vita. Sarebbe stato l’ultimo a volere che indulgessimo in qualche sentimentalismo malaticcio. “Qui non c’è nulla per le lacrime tranne quel che va bene ed è onesto e che potrà farci tranquilli in una morte sì nobile”, soleva ripetere.
*
Max Beerbohm in una caricatura pubblicata su “Vanity Fair” nel 1897
Era matto Kolniyatsch? Dipende da quel che s’intende con questa parola. Se ci riferiamo, come fecero i burocrati di Ellis Island insieme ai suoi amici e parenti, allora dobbiamo ammettere che non aveva quel genere di atteggiamento compiaciuto e timido che noialtri abbiamo, e allora Kolniyatsch non era sano. Dando per assodato che fu matto in un senso più ampio, noi opponiamo invece un blocco cementizio anti-bomba davanti agli Eugenisti. Provate a immaginare cosa sarebbe oggi l’Europa se non vi fosse mai stato Kolniyatsch! Come avverte un suo critico: “Davvero non diciamo nulla di esagerato affermando che a breve verrà il tempo, e potrebbe essere anche più vicino di quanto presumono molti tra noi, quando Luntic Kolniyatsch sarà riconosciuto, a buon diritto o meno, come uno dei meno indegni scrittori estremamente sintomatici degli inizi del ventesimo secolo i quali sono, possibilmente, ‘per sempre’ o per un periodo di tempo più o meno, certamente, degno di considerazione”. Questo è detto con finezza. Ma dal canto mio mi spingo più in là. Dico che il messaggio di Kolniyatsch ha mandato a fondo ogni altro messaggio che è o sarà. Mi domandate quale sia, precisamente, questo messaggio? Ebbene, è fin troppo elementare, troppo vicino al cuore della nuda Natura, per poterne dare un’esatta definizione. Sapreste dire qual è il messaggio di un pitone arrabbiato che sia più soddisfacente di S-s-s? O di un bulldog infuriato col suo Moo? Il messaggio di Kolniyatsch sta tra questi due. Appunto: da qualunque lato lo affrontiate, non riuscireste a inserirlo in una sola categoria. Era un realista o un romantico? Nessuno dei due, ed era entrambi. Da più di un critico è stato chiamato pessimista, ed è vero che parte della sua opera può essere calibrata sul suo pessimismo personale – di corsa e arrabbiato e non al modo dei suoi banali precursori che erano pessimisti verso le cose in generale, o verso le donne o se stessi, perché il suo pessimismo è profuso con pari durezza e odio verso bambini, alberi, fiori, luna e in verità verso tutto quel che i sentimentali hanno serbato in loro favore. D’altro canto, la sua fede bruciante in un Demonio personale, il piacere sincero causatogli da terremoti ed epidemie e la sua credenza che tutti tranne lui saranno riportati in vita per morire ibernati in una epoca glaciale ventura, ebbene questi elementi gli conferiscono un tono ottimista.
*
Per nascita e frequentazioni fu uomo di compagnia e allo stesso tempo aristocratico da capo a piedi, e Byron l’avrebbe chiamato fratello, anche se poi c’è da tremare a pensare a come lui avrebbe chiamato Byron. Per prima ed ultima cosa, fu artista e per la sua maestria tecnica si staglia su tutti gli altri. Che sia in prosa o in versi, si mantiene in un ritmo spezzato che è quello proprio della vita, con una cadenza che ti prende alla gola, come un terrier che abbia catturato un topo e sugge da voi fino l’ultima goccia di pietà e stupore. La sua abilità nell’evitare “la parola inevitabile” è semplicemente miracolosa. È la disperazione del traduttore. Lungi da me diminuire le devote fatiche di Mr. e Mrs. Staccapanni [Pegaway], la cui monumentale traduzione delle opere complete del Maestro si sta avvicinando alla sua splendida conclusione. La loro promessa di una biografia della nonna assassinata è attesa con trepidazione da tutti coloro che nutrono un interesse sconfinato – e chi di noi non è tra questi? – verso i materiali kolniyatschiani. Ma Mr. e Mrs. Staccapanni sarebbero tra i primi ad ammettere che la loro resa della prosa e dei versi che così tanto amano è una sostituzione malfatta della realtà sostanziale. Volevo affrontare io questa fatica, ma loro vi si sono fiondati e hanno cominciato prima di me. Grazie al cielo, non possono privarmi del piacere di leggere Kolniyatsch nel suo idioma gibrico originale e di beffare chi non ci riesce.
*
Dell’uomo in se stesso – ché in molte occasioni ebbi il privilegio e il permesso di visitare – ho la più piacevole e la più sacra delle rimembranze. La sua personalità era di quelle magnificamente vivide ed intense. Il volto incantevole di forma perfettamente conica. Gli occhi due lampade rotanti collocate molto vicine tra di loro. Il sorriso ti inseguiva in una caccia amorosa. Vi era un tocco di cortesia medioevale nella repressione che si imponeva per non afferrarti la giugulare. La voce aveva note che ricordavano M. Mounet-Sully negli ultimi passaggi maestosi dell’Edipo re. Ricordo che parlava sempre col più gran disprezzo delle traduzioni di Mr. e Mrs. Staccapanni. Le paragonava a – mi fermo qui! Il boom del caso Kolniyatsch non è ancora al suo massimo. Di qui a un paio di settimane potrò rialzare il prezzo delle mie Conversazioni con Kolniyatsch.
Max Beerbohm
* traduzione di Andrea Bianchi
L'articolo Elogio di Max Beerbohm, “il principe degli scrittori minori”, come lo definiva Virginia Woolf, morto a Rapallo qualche decennio fa. Pubblicatelo! proviene da Pangea.
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TORINODANZA FESTIVAL 2018 Fonderie Limone Moncalieri 18 - 19 ottobre 2018 - ore 20.45 │ Italia │durata 60 minuti TANGO GLACIALE RELOADED (1982 - 2018) progetto, scene e regia Mario Martone riallestimento a cura di Raffaele Di Florio, Anna Redi interpreti 1982 Tomas Arana, Licia Maglietta, Andrea Renzi interpreti 2018 Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro Progetto RIC.CI - Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta-Novanta Ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto in coproduzione con Fondazione Ravenna Manifestazioni con il sostegno di Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale in collaborazione con Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Pubblico Pugliese - Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura, Fondazione Toscana Spettacolo onlus, Fondazione Milano - Civica Scuola di Teatro "Paolo Grassi" Lo spettacolo circuiterà nell’ambito delle rassegne: Torinodanza Festival, Romaeuropa Festival, Festival Aperto che da quest’anno hanno costituito “Un network per la creazione contemporanea”. Dopo il debutto a Torinodanza in programma il 18 e 19 ottobre, andrà in scena al Teatro Vascello di Roma per il Romaeuropa Festival, dal 25 al 28 ottobre, e al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia, per Festival Aperto, dal 15 al 18 novembre 2018. Tango Glaciale reloaded Secondo Mario Martone, Tango Glaciale da lui creato, nel 1982, a 22 anni, con il gruppo Falso Movimento nato a Napoli nel 1979, è tutt’altro che un’operazione nostalgica, bensì “una macchina del tempo” reloaded, ovvero “ricaricata” da Anna Redi e Raffaele Di Florio su tre giovani danzattori nel 1982 non ancora nati. Per RIC.CI - Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ‘80/’90, la pièce del regista napoletano è un tassello necessario. Dà conto di quanto negli anni della nostra “tradizione coreografica del nuovo”, anche il teatro sperimentale si muovesse in una direzione fisica, “alla Artaud”, refrattaria a testi e parole come unici veicoli espressivi. Qui, in sessanta minuti, una cascata di immagini, musiche non solo pop e jazz, danze e azioni/citazioni crea un universo di ritmica freschezza. A sorpresa, questo postmoderno anni ‘80 ci catapulta ancora nel futuro. Come? Simulando un percorso narrativo incentrato sull’attraversamento di una casa da parte di tre personaggi: due uomini e una donna in un rapporto tra loro non ben definito. Dall’esterno, sulla strada, si procede verso la casa a più piani ma non prima di una schizofrenica immersione dei tre protagonisti di spalle, in un getto di interferenze visive, strisce colorate e punti neri, come quando si cerca di sintonizzare il televisore su di un canale. Il viaggio “casalingo”, quanto mai paradossale, consta di dodici stazioni e due “fiati sospesi” che segnano la fine di una ideale prima parte e dell’insieme. Dallo zoom sul salotto assai colorato e con strisce da cartoon, si passa nell’antica Grecia, in costumi consoni, sullo sfondo di un lungo colonnato e la riproduzione del Discobolo, da parte di un danzattore. L’ascensore interno alla casa ci immette in una stanza con serrande dove si balla un tango con l’aspirapolvere ma anche tra uomini, assai diversi tra loro ma che ormai abbiamo imparato a conoscere, giudicando da quelle apparenze che secondo Oscar Wilde non mentono mai sui tratti invece interiori degli esseri umani. Nuova sorpresa: i tre in impermeabile da film poliziesco si trovano sul tetto della casa, tra fughe, inseguimenti, pistole, comignoli e antenne. Le stelle di un galassia lontana e sognante diventano stelline di Broadway; il sax comincia a suonare (primo “fiato sospeso”), si balla sulle note di Duke Ellington: è una citazione dal film New York New York di Martin Scorsese. La seconda parte di Tango Glaciale reloaded ci tuffa in una piscina dove cadono automobiline in un’acqua virtuale. C’è chi s’immerge nel liquido, chi pretende di tuffarvisi, chi si scatena in un rap su base elettronica. Ma quando compare un giardino fiorito i tre, di spalle, ci trasportano in Cina muniti di implacabili forbicioni da presunti giardinieri poco dopo nascosti da maschere da elefante e tigre: il giardino si è trasformato in una foresta… Il rientro a casa passa per la cucina a scacchi bianchi e neri; all’ingresso di pacchi portati dall’interprete femminile cresce la baraonda: gli oggetti cominciano a muoversi; uno dei danzattori si fa la doccia e schizza l’acqua luminosa che lo bagna. Ai litigi segue la distruzione della casa e chi si straccia le maniche della camicia attende il sax per suonare l’ouverture dell’Arlesienne di Bizet alquanto rallentata. È il secondo “fiato sospeso” e la citazione è tratta da The Conversation di Francis Ford Coppola… La distruzione totale dell’ambiente è catastrofica per il danzattore/musicista che vi soccombe, ma si apre sullo squarcio di un paesaggio desertico, con canyons poco assolati. Non accenniamo ai movimenti, né alle parole, né ai testi recitati in più lingue: abbiamo già svelato troppo. Tango Glaciale ora reloaded con la sua perfetta sincronizzazione e la sua spiazzante e folle energia finisce di essere logico, razionale, o davvero “narrativo” nel momento stesso in cui inizia a respirare. La musica è il suo racconto e la sua struttura più che rigida che in quanto tale non lascia scampo, proprio come la rapidità di ogni azione. La pièce, di certo anni Ottanta e postmoderna, potrebbe ormai essere tranquillamente definita “coreografica”. Non solo: nella sua espressività trasversale e inclusivista rientra nell’ambito dell’“opera coreografica”, a nostro avviso le dernier cri della coreografia contemporanea odierna, ancora traballante, ma proiettata verso il futuro. Marinella Guatterini UNA MACCHINA DEL TEMPO Ho visto la prima prova di Tango Glaciale reloaded tra Anna Redi e Raffaele Di Florio che hanno ricostruito con scrupolo e con passione questo pezzo di scarsi sessanta minuti e di trentasei anni fa e non ho potuto non venire scaraventato in un turbine di ricordi che mi hanno commosso. Ho rivisto il debutto a Napoli, al Teatro Nuovo, con le case dei Quartieri tutte puntellate, una foresta di pali di legno comparse all'indomani del terremoto, e la fila di spettatori così lunga da arrivare fino a via Toledo, allora si chiamava ancora via Roma. Ricordo gli amici, emozionati e sorpresi, consapevoli più di noi che quello spettacolo avrebbe avuto lunga vita, tutti a darci coraggio, a trasmetterci amore. E quella lunga vita è un fiume di ricordi, Tango Glaciale ci portò in mezzo mondo (chi era mai salito su un aereo?), venne visto a New York da Martin Scorsese, Laurie Anderson e Andy Warhol, a Londra, a Gerusalemme, a San Francisco, non si contano le città. A Roma al Quirino e prima alla Biennale di Venezia lo spettacolo era stato uno sconquasso, la gente gremiva le platee come a un concerto rock. Tomas Arana ci trainava con la sua inesauribile energia nei teatri e nei festival più prestigiosi, durò tanto, forse tre o quattro anni. È comprensibile che io abbia tentennato molto a lungo prima di dare il via libera a questa ripresa. Nulla può riportare quel fenomeno e quella energia, e bisogna considerare che Tango Glaciale era frutto non solo di un percorso (ebbene sì, avevo ventidue anni ma avevo cominciato a diciassette) ma anche di un clima artistico che oggi è lontanissimo, sebbene molte delle sperimentazioni sui palcoscenici del nostro tempo derivino da quel clima. Ma Marinella Guatterini e Gigi Cristoforetti mi hanno dolcemente assediato, il museo Madre ha messo in cantiere una mostra sul mio lavoro, il Bellini che si è proposto per produrre lo spettacolo è uno dei più dinamici teatri italiani, mi son detto: buttiamoci. Soprattutto mi sembrava interessante mettere il lavoro alla prova di una generazione che era lontana dall'essere stata concepita quando lo spettacolo nasceva: gli interpreti di questa versione reloaded sono nati tutti e tre ben dopo il 1982. Tutto è diverso, sono i diversi i corpi, il rapporto col genere (che in Tango Glaciale, due uomini e una donna, si rimescola e si trasfigura continuamente), le mitologie di riferimento (il cinema, la new wave), è interessante vedere quel che accade a questi attori scaraventati, diversamente da me, da noi di Falso Movimento e dagli spettatori di allora, ma pur sempre scaraventati anch'essi, nella macchina del tempo che è questo Tango Glaciale reloaded. Noi veniamo scaraventati nel passato, stranamente loro nel futuro. Era pur sempre uno spettacolo di fantascienza, Tango Glaciale, come certi racconti di Ray Bradbury. C'è un ragazzo che nel chiuso della sua stanza vede la casa improvvisamente trasfigurata in ogni ambiente, il salotto, la cucina, il tetto, il giardino. A spingere, secondo lui, sono forze che stanno trasformando il mondo ("this is the ice age", cantano Martha and the Muffins alla fine dello spettacolo), che lo stanno portando al di là della frontiera dove tutti i riferimenti saltano e si ricombinano tra loro, si vola tra le stelle, si comunica attraverso parole esplose. Solo l'immaginazione salva, pensa quel ragazzo (e continuerà a pensarlo per tutta la vita). Solo una relazione vitale salva, pensava Pasolini, e anche questo era vero per quel ragazzo (e lo è ancora oggi). Con quel ragazzo ci sono infatti tre compagni di scuola che coltivano le sue stesse passioni, Angelo, Pasquale e un diciottenne che sarà il suo primo attore feticcio, Andrea; un pittore, Lino, che sente esplodere anche lui la tela su cui dipinge; il conduttore di una radio libera che trasmette magicamente proprio la musica che ama quel ragazzo, il suo nickname è Daghi. C'è una giovane e meravigliosa donna, l'unica del gruppo, Licia, e c'è un formidabile straniero, Tomas, viene dagli Stati Uniti ma è l'unico scugnizzo tra questi napoletani. Insomma, abbastanza per un racconto di avventura e di fantascienza. Il racconto di Tango Glaciale. Tra i collaboratori che avrò la gioia di rivedere in occasione di questa ripresa (Daniele Bigliardo, Ernesto Esposito...), mancheranno alcuni amici che non ci sono più, li voglio ricordare: Bruno Esposito e Giancarlo Coretti dei Bisca, il gruppo che ha composto lo straordinario tango esploso che ascolterete nello spettacolo, e con loro il grande Dario Jacobelli, i suoi versi erano illuminazioni continue. Gigi D'Aria era il più amato tra i nostri amici-supporter, ciao Gigi, che il tuo sonno sia sereno. Infine l'artista a cui desidero dedicare Tango Glaciale reloaded, Annibale Ruccello. Mi sono imbattuto da poco in una sua intervista che non conoscevo: "ho un piccolo sogno, fare uno spettacolo con Mario Martone", diceva, "io mi sento più vicino a lui che non ad altri artisti". Io scrivevo con le immagini e col gesto, lui con le parole, le parole di un genio. Se solo la macchina del tempo potesse davvero farci tornare indietro e da lì tutto potesse venire ricaricato, reloaded... Chiudiamo gli occhi, e viaggiamo. Mario Martone (Copyright RIC.CI - Reconstruction Contemporary Choreography Anni ‘80-‘90) Mario Martone (Napoli, 1959) regista teatrale e cinematografico, fonda nel 1978 il gruppo Falso Movimento. Nei suoi spettacoli, dove proiezioni e pannelli mobili creano la fusione di spazio, luci, suoni, colori, movimento, gesto, musica e immagini. Nel 1992 realizza il suo primo lungometraggio, Morte di un matematico napoletano. Tra le pellicole più recenti: L'odore del sangue (2004); Noi credevamo (David di Donatello come miglior film nel 2011); Il giovane favoloso (Nastro d'argento 2015). Direttore del Teatro Stabile di Roma (1998-2000) e del Teatro Stabile di Torino (2007 - 2017), per la struttura torinese ha diretto Operette morali da Giacomo Leopardi (Premio UBU 2011 per la miglior regia); La serata a Colono di Elsa Morante; Carmen da Georges Bizet; Morte di Danton di George Büchner (Premio Ubu miglior attore 2016; Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2016 per Migliore attore protagonista, migliori costumi, migliori luci); Il Sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo (Premio Hystrio-Twitter 2018 e Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2018 come migliore spettacolo di prosa). Martone si è dedicato inoltre alla messa in scena di opere liriche in Italia e all’estero. Nel 2018, nella ricorrenza dei quarant'anni di carriera, il regista ha allestito presso il Museo Madre di Napoli la retrospettiva 1977-2018 Mario Martone Museo Madre. TORINODANZA | I PARTNER Torinodanza 2018 è un progetto realizzato da Torinodanza festival/Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, maggior sostenitore Compagnia di San Paolo, con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione per la Cultura Torino, in partenariato con Intesa Sanpaolo. Il Festival Torinodanza, nato nel 1987, è organizzato dal 2009 dal Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
TORINODANZA FESTIVAL 2018 Fonderie Limone Moncalieri 18 – 19 ottobre 2018 – ore 20.45 │ Italia │durata 60 minuti TANGO GLACIALE RELOADED (1982 – 2018) progetto, scene e regia Mario Martone riallestimento a cura di Raffaele Di Florio, Anna Redi interpreti 1982 Tomas Arana, Licia Maglietta, Andrea Renzi interpreti 2018 Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro Progetto RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta-Novanta Ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto in coproduzione con Fondazione Ravenna Manifestazioni con il sostegno di Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale in collaborazione con Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura, Fondazione Toscana Spettacolo onlus, Fondazione Milano – Civica Scuola di Teatro “Paolo Grassi” Lo spettacolo circuiterà nell’ambito delle rassegne: Torinodanza Festival, Romaeuropa Festival, Festival Aperto che da quest’anno hanno costituito “Un network per la creazione contemporanea”. Dopo il debutto a Torinodanza in programma il 18 e 19 ottobre, andrà in scena al Teatro Vascello di Roma per il Romaeuropa Festival, dal 25 al 28 ottobre, e al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia, per Festival Aperto, dal 15 al 18 novembre 2018. Tango Glaciale reloaded Secondo Mario Martone, Tango Glaciale da lui creato, nel 1982, a 22 anni, con il gruppo Falso Movimento nato a Napoli nel 1979, è tutt’altro che un’operazione nostalgica, bensì “una macchina del tempo” reloaded, ovvero “ricaricata” da Anna Redi e Raffaele Di Florio su tre giovani danzattori nel 1982 non ancora nati. Per RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ‘80/’90, la pièce del regista napoletano è un tassello necessario. Dà conto di quanto negli anni della nostra “tradizione coreografica del nuovo”, anche il teatro sperimentale si muovesse in una direzione fisica, “alla Artaud”, refrattaria a testi e parole come unici veicoli espressivi. Qui, in sessanta minuti, una cascata di immagini, musiche non solo pop e jazz, danze e azioni/citazioni crea un universo di ritmica freschezza. A sorpresa, questo postmoderno anni ‘80 ci catapulta ancora nel futuro. Come? Simulando un percorso narrativo incentrato sull’attraversamento di una casa da parte di tre personaggi: due uomini e una donna in un rapporto tra loro non ben definito. Dall’esterno, sulla strada, si procede verso la casa a più piani ma non prima di una schizofrenica immersione dei tre protagonisti di spalle, in un getto di interferenze visive, strisce colorate e punti neri, come quando si cerca di sintonizzare il televisore su di un canale. Il viaggio “casalingo”, quanto mai paradossale, consta di dodici stazioni e due “fiati sospesi” che segnano la fine di una ideale prima parte e dell’insieme. Dallo zoom sul salotto assai colorato e con strisce da cartoon, si passa nell’antica Grecia, in costumi consoni, sullo sfondo di un lungo colonnato e la riproduzione del Discobolo, da parte di un danzattore. L’ascensore interno alla casa ci immette in una stanza con serrande dove si balla un tango con l’aspirapolvere ma anche tra uomini, assai diversi tra loro ma che ormai abbiamo imparato a conoscere, giudicando da quelle apparenze che secondo Oscar Wilde non mentono mai sui tratti invece interiori degli esseri umani. Nuova sorpresa: i tre in impermeabile da film poliziesco si trovano sul tetto della casa, tra fughe, inseguimenti, pistole, comignoli e antenne. Le stelle di un galassia lontana e sognante diventano stelline di Broadway; il sax comincia a suonare (primo “fiato sospeso”), si balla sulle note di Duke Ellington: è una citazione dal film New York New York di Martin Scorsese. La seconda parte di Tango Glaciale reloaded ci tuffa in una piscina dove cadono automobiline in un’acqua virtuale. C’è chi s’immerge nel liquido, chi pretende di tuffarvisi, chi si scatena in un rap su base elettronica. Ma quando compare un giardino fiorito i tre, di spalle, ci trasportano in Cina muniti di implacabili forbicioni da presunti giardinieri poco dopo nascosti da maschere da elefante e tigre: il giardino si è trasformato in una foresta… Il rientro a casa passa per la cucina a scacchi bianchi e neri; all’ingresso di pacchi portati dall’interprete femminile cresce la baraonda: gli oggetti cominciano a muoversi; uno dei danzattori si fa la doccia e schizza l’acqua luminosa che lo bagna. Ai litigi segue la distruzione della casa e chi si straccia le maniche della camicia attende il sax per suonare l’ouverture dell’Arlesienne di Bizet alquanto rallentata. È il secondo “fiato sospeso” e la citazione è tratta da The Conversation di Francis Ford Coppola… La distruzione totale dell’ambiente è catastrofica per il danzattore/musicista che vi soccombe, ma si apre sullo squarcio di un paesaggio desertico, con canyons poco assolati. Non accenniamo ai movimenti, né alle parole, né ai testi recitati in più lingue: abbiamo già svelato troppo. Tango Glaciale ora reloaded con la sua perfetta sincronizzazione e la sua spiazzante e folle energia finisce di essere logico, razionale, o davvero “narrativo” nel momento stesso in cui inizia a respirare. La musica è il suo racconto e la sua struttura più che rigida che in quanto tale non lascia scampo, proprio come la rapidità di ogni azione. La pièce, di certo anni Ottanta e postmoderna, potrebbe ormai essere tranquillamente definita “coreografica”. Non solo: nella sua espressività trasversale e inclusivista rientra nell’ambito dell’“opera coreografica”, a nostro avviso le dernier cri della coreografia contemporanea odierna, ancora traballante, ma proiettata verso il futuro. Marinella Guatterini UNA MACCHINA DEL TEMPO Ho visto la prima prova di Tango Glaciale reloaded tra Anna Redi e Raffaele Di Florio che hanno ricostruito con scrupolo e con passione questo pezzo di scarsi sessanta minuti e di trentasei anni fa e non ho potuto non venire scaraventato in un turbine di ricordi che mi hanno commosso. Ho rivisto il debutto a Napoli, al Teatro Nuovo, con le case dei Quartieri tutte puntellate, una foresta di pali di legno comparse all’indomani del terremoto, e la fila di spettatori così lunga da arrivare fino a via Toledo, allora si chiamava ancora via Roma. Ricordo gli amici, emozionati e sorpresi, consapevoli più di noi che quello spettacolo avrebbe avuto lunga vita, tutti a darci coraggio, a trasmetterci amore. E quella lunga vita è un fiume di ricordi, Tango Glaciale ci portò in mezzo mondo (chi era mai salito su un aereo?), venne visto a New York da Martin Scorsese, Laurie Anderson e Andy Warhol, a Londra, a Gerusalemme, a San Francisco, non si contano le città. A Roma al Quirino e prima alla Biennale di Venezia lo spettacolo era stato uno sconquasso, la gente gremiva le platee come a un concerto rock. Tomas Arana ci trainava con la sua inesauribile energia nei teatri e nei festival più prestigiosi, durò tanto, forse tre o quattro anni. È comprensibile che io abbia tentennato molto a lungo prima di dare il via libera a questa ripresa. Nulla può riportare quel fenomeno e quella energia, e bisogna considerare che Tango Glaciale era frutto non solo di un percorso (ebbene sì, avevo ventidue anni ma avevo cominciato a diciassette) ma anche di un clima artistico che oggi è lontanissimo, sebbene molte delle sperimentazioni sui palcoscenici del nostro tempo derivino da quel clima. Ma Marinella Guatterini e Gigi Cristoforetti mi hanno dolcemente assediato, il museo Madre ha messo in cantiere una mostra sul mio lavoro, il Bellini che si è proposto per produrre lo spettacolo è uno dei più dinamici teatri italiani, mi son detto: buttiamoci. Soprattutto mi sembrava interessante mettere il lavoro alla prova di una generazione che era lontana dall’essere stata concepita quando lo spettacolo nasceva: gli interpreti di questa versione reloaded sono nati tutti e tre ben dopo il 1982. Tutto è diverso, sono i diversi i corpi, il rapporto col genere (che in Tango Glaciale, due uomini e una donna, si rimescola e si trasfigura continuamente), le mitologie di riferimento (il cinema, la new wave), è interessante vedere quel che accade a questi attori scaraventati, diversamente da me, da noi di Falso Movimento e dagli spettatori di allora, ma pur sempre scaraventati anch’essi, nella macchina del tempo che è questo Tango Glaciale reloaded. Noi veniamo scaraventati nel passato, stranamente loro nel futuro. Era pur sempre uno spettacolo di fantascienza, Tango Glaciale, come certi racconti di Ray Bradbury. C’è un ragazzo che nel chiuso della sua stanza vede la casa improvvisamente trasfigurata in ogni ambiente, il salotto, la cucina, il tetto, il giardino. A spingere, secondo lui, sono forze che stanno trasformando il mondo (“this is the ice age”, cantano Martha and the Muffins alla fine dello spettacolo), che lo stanno portando al di là della frontiera dove tutti i riferimenti saltano e si ricombinano tra loro, si vola tra le stelle, si comunica attraverso parole esplose. Solo l’immaginazione salva, pensa quel ragazzo (e continuerà a pensarlo per tutta la vita). Solo una relazione vitale salva, pensava Pasolini, e anche questo era vero per quel ragazzo (e lo è ancora oggi). Con quel ragazzo ci sono infatti tre compagni di scuola che coltivano le sue stesse passioni, Angelo, Pasquale e un diciottenne che sarà il suo primo attore feticcio, Andrea; un pittore, Lino, che sente esplodere anche lui la tela su cui dipinge; il conduttore di una radio libera che trasmette magicamente proprio la musica che ama quel ragazzo, il suo nickname è Daghi. C’è una giovane e meravigliosa donna, l’unica del gruppo, Licia, e c’è un formidabile straniero, Tomas, viene dagli Stati Uniti ma è l’unico scugnizzo tra questi napoletani. Insomma, abbastanza per un racconto di avventura e di fantascienza. Il racconto di Tango Glaciale. Tra i collaboratori che avrò la gioia di rivedere in occasione di questa ripresa (Daniele Bigliardo, Ernesto Esposito…), mancheranno alcuni amici che non ci sono più, li voglio ricordare: Bruno Esposito e Giancarlo Coretti dei Bisca, il gruppo che ha composto lo straordinario tango esploso che ascolterete nello spettacolo, e con loro il grande Dario Jacobelli, i suoi versi erano illuminazioni continue. Gigi D’Aria era il più amato tra i nostri amici-supporter, ciao Gigi, che il tuo sonno sia sereno. Infine l’artista a cui desidero dedicare Tango Glaciale reloaded, Annibale Ruccello. Mi sono imbattuto da poco in una sua intervista che non conoscevo: “ho un piccolo sogno, fare uno spettacolo con Mario Martone”, diceva, “io mi sento più vicino a lui che non ad altri artisti”. Io scrivevo con le immagini e col gesto, lui con le parole, le parole di un genio. Se solo la macchina del tempo potesse davvero farci tornare indietro e da lì tutto potesse venire ricaricato, reloaded… Chiudiamo gli occhi, e viaggiamo. Mario Martone (Copyright RIC.CI – Reconstruction Contemporary Choreography Anni ‘80-‘90) Mario Martone (Napoli, 1959) regista teatrale e cinematografico, fonda nel 1978 il gruppo Falso Movimento. Nei suoi spettacoli, dove proiezioni e pannelli mobili creano la fusione di spazio, luci, suoni, colori, movimento, gesto, musica e immagini. Nel 1992 realizza il suo primo lungometraggio, Morte di un matematico napoletano. Tra le pellicole più recenti: L’odore del sangue (2004); Noi credevamo (David di Donatello come miglior film nel 2011); Il giovane favoloso (Nastro d’argento 2015). Direttore del Teatro Stabile di Roma (1998-2000) e del Teatro Stabile di Torino (2007 – 2017), per la struttura torinese ha diretto Operette morali da Giacomo Leopardi (Premio UBU 2011 per la miglior regia); La serata a Colono di Elsa Morante; Carmen da Georges Bizet; Morte di Danton di George Büchner (Premio Ubu miglior attore 2016; Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2016 per Migliore attore protagonista, migliori costumi, migliori luci); Il Sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo (Premio Hystrio-Twitter 2018 e Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2018 come migliore spettacolo di prosa). Martone si è dedicato inoltre alla messa in scena di opere liriche in Italia e all’estero. Nel 2018, nella ricorrenza dei quarant’anni di carriera, il regista ha allestito presso il Museo Madre di Napoli la retrospettiva 1977-2018 Mario Martone Museo Madre. TORINODANZA | I PARTNER Torinodanza 2018 è un progetto realizzato da Torinodanza festival/Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, maggior sostenitore Compagnia di San Paolo, con il sostegno di Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione per la Cultura Torino, in partenariato con Intesa Sanpaolo. Il Festival Torinodanza, nato nel 1987, è organizzato dal 2009 dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
TORINODANZA FESTIVAL 2018
Fonderie Limone Moncalieri 18 – 19 ottobre 2018 – ore 20.45 │ Italia │durata 60 minuti TANGO GLACIALE RELOADED (1982 – 2018) progetto, scene e regia Mario Martone riallestimento a cura di Raffaele Di Florio, Anna Redi interpreti 1982 Tomas Arana, Licia Maglietta, Andrea Renzi interpreti 2018 Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro
Progetto RIC.CI – Reconstruction…
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#Andrea Renzi interpreti 2018 Jozef Gjura#Anna Redi interpreti 1982 Tomas Arana#Filippo Porro Progetto RIC.CI - Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta-Novanta Ideazione e direzione artistica Marine#Giulia Odetto#Licia Maglietta#scene e regia Mario Martone riallestimento a cura di Raffaele Di Florio#TORINODANZA FESTIVAL 2018 Fonderie Limone Moncalieri 18 - 19 ottobre 2018 - ore 20.45 │ Italia │durata 60 minuti TANGO GLACIALE RELOADED (19
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La designer turca Dilara Findikoglu ha presentato la sua collezione primavera / estate 2018 alla settimana della moda di Londra. L’evento si è svolto presso l’altare della chiesa di S. Andrea a Londra e possiamo dire con certezza che il simbolismo mostrato e` di matrice occulta e satanica. In breve, l’evento e` un sunto di tutto cio’ che veramente rappresenta il mondo della moda.
Mentre Dilara Findikoglu viene considerata una “ribelle” nel mondo della moda, è in realta` perfettamente in sincrono con la filosofia dell’industria. Non si sta ribellando affatto, sta facendo esattamente quello che le dicono di fare.
Per questo motivo, celebrità come Rihanna, FKA Twigs e Grimes indossano creazioni di Findikoglu.
Il suo ultimo spettacolo di moda ha incluso personaggi come Brooke Candy (i suoi video sono pieni di immagini MK) e l’artista drag Violet Chachki.
Brooke Candy cammina lungo la passerella. Per questo evento, la Chiesa è stata trasformata in un tempio occulto. Più precisamente: una loggia massonica.
Lo sfondo è fondamentalmente un mash-up di immagini ispirate alla massoneria. Vi sono i pilastri gemellari massonici. Tra i pilastri c’è la lettera G all’interno di un pentagramma invertito. Sotto di esso è l’occhio che tutto vede all’interno di un esagramma. Ci sono anche la squadra e il compasso massonici. Come se non bastasse la passerella e` un pavimento a scacchiera. Ecco un classico dipinto massonico per il confronto.
In questo contesto fortemente occulto, i modelli erano vestiti e disposti con una pletora di simboli. Naturalmente, il tutto doveva essere condito con l’attuale baggianata del mix gender e dell’androginia.
Questa modella sta indossando un abito da sposa completo di velo. Sul viso vediamo un sigillo.
Un sigillo è un simbolo iscritto o disegmato con poteri magici. Il termine si riferisce alla firma di un demone o di un’altra entità ed è usato nella magia cerimoniale. Il sigillo sulla fronte della modella ricorda fortemente il Sigillo di Lucifero.
Un ciondolo con il sigillo di Lucifero
In breve, la modella e` una “sposa di satana”
L’artista drag Violet Chachki indossava un vestito rosso … e delle corna da diavolo.
Cosa sta succedendo all’interno di quella chiesa? Storicamente, una Messa Nera è un rito caratterizzato dall’inversione della Messa Latina Tradizionale celebrata dalla Chiesa Cattolica Romana e dalla dissacrazione di oggetti cristiani per scopi satanici. Il fatto che i modelli vadano in giro per una chiesa con delle corna da diavolo ricorda il concetto di Messa Nera.
Il vestito indossato da questa modella e` una esemplificazione del concetto di dualismo.
Questo spettacolo di moda è una perfetta rappresentazione della mentalità dell’industria della moda odierna. Non si tratta semplicemente di “abbigliamento” o “moda”, si tratta di eventi rituali, celebrazioni artistiche della mentalità satanica dell’élite occulta.
Mentre camminano con sigilli magici, simboli occulti e altri puntelli ritualistici in tutto il corpo, i modelli vengono trasformati in oggetti caricati magicamente, trasformando questo “spettacolo di moda” – che si è svolto all’interno di una chiesa – in un rituale satanico con una elevata potenza magica.
Source: https://vigilantcitizen.com/latestnews/satanic-fashion-show-inside-church-london-fashion-week/
London Fashion Week: Uno Show Satanico La designer turca Dilara Findikoglu ha presentato la sua collezione primavera / estate 2018 alla settimana della moda di Londra.
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