#intellettuali
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gregor-samsung · 2 months ago
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Battiato: «Parliamo del silenzio».
Panikkar: «Il silenzio ha direttamente a che fare con l’ascolto. Il silenzio non si può creare se non si sa ascoltare. Non è un atto puramente fisico, il saper ascoltare. Sapere inteso come sapida scienza, come conoscenza… Saper ascoltare la musica delle sfere, avrebbe detto Pitagora. Ma anche saper ascoltare le chiacchiere degli altri. Ascoltando trasformi quello che ascolti, perché vi è sempre un rapporto biunivoco. La prima cosa da fare per entrare nel silenzio è saper ascoltare. E, come in un circolo virtuoso, per saper ascoltare bisogna stare in silenzio. Se io convivo con una sorta di dialogo interiore che si muove ininterrottamente dentro di me…».
Battiato: «O con i continui pensieri…».
Panikkar: «Certo, è la stessa cosa… Bene, in questi casi posso solo ascoltare quel che ho dentro di me, senza potermi dedicare a ciò che sta al di fuori. In Occidente si è a lungo accreditata, da Platone fino a Cartesio, la dicotomia tra corpo e spirito, come se il corpo fosse una macchina o un mero strumento. Ma non è che io sia un’anima e, solo poi, ho un corpo. No, io sono il mio corpo. Pertanto, per poter entrare nel silenzio, devo saper stare zitto non solo con le parole ma anche con il corpo. Senza una certa immobilità del corpo non si può conseguire l’immobilità dello spirito. Uno dei grandi dogmi occidentali è quello della volontà: se fai una cosa, questa deve avere un fine. In sanscrito, invece, una parola che esprima il concetto di volontà neppure esiste. Ci manca una dimensione femminile, da intendersi come disponibilità all’accoglienza, come fiducia nello spirito. È un guaio questo voler sempre prendere l’iniziativa».
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Franco Battiato, Il silenzio e l'ascolto. Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi, a cura di Giuseppe Pollicelli, Castelvecchi (collana Etcetera), 2014.
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alessandro55 · 1 month ago
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Ghitta Carell's Portraits
We all think of ourselves as one single person but it's not true
a cura di Roberto Dulio e Maria Sica
5 Continents Editions, Milano 2024, 128 pagine, 23,5x30,5cm, 50 illustrazioni a colori e in b/n, ISBN 979-12-5460-054-2
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
Il volume (il cui titolo cita il Pirandello dei Sei personaggi in cerca d’autore) approfondisce la figura di Ghitta Carell (1899-1972), fotografa di origini ungheresi naturalizzata italiana. Ghitta nasce in una famiglia ebrea di origini modeste e giovanissima si trasferisce in Italia, dove in breve tempo diviene la ritrattista più ricercata. Nel suo studio romano posano per lei intellettuali, attori, generali e dirigenti politici, ma anche donne di successo e membri delle case regnanti e della borghesia.
I suoi scatti in bianco e nero sono realizzati con il banco ottico: Ghitta lavora le sue fotografie ritoccandole con maestria e delicatezza, e realizza così immagini luminose e morbide, sulle quali agisce per sottrazione, rimuovendone gli strati più esterni e superficiali. È così che realizza una sorta di smascheramento, grazie al quale restituisce ai suoi soggetti non solo il volto ma anzitutto l’anima. Ghitta Carell muore a Haifa, in Israele, lasciando oltre 50 000 lastre, oggi in gran parte disperse.
Roberto Dulio è professore associato di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano – DABC. Si occupa della cultura architettonica moderna e contemporanea e dei suoi rapporti con l’arte e la fotografia. Ha curato mostre, tra cui: Tra le due guerre: gli architetti di Ghitta Carell, 2013 e Gli architetti di Ghitta Carell, 2014. Ha pubblicato saggi e libri, tra cui: Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell (2013); Introduzione a Bruno Zevi (2008); Giovanni Michelucci 1891-1990 (con Claudia Conforti e Marzia Marandola, 2006).
Maria Sica è funzionario dell’Area della Promozione Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Ha svolto le funzioni di Addetto presso l’Istituto di Cultura di Mosca dal 2007 al 2013 e di Direttrice presso l’Istituto di Cultura a Zagabria dal 2013 al 2016. Nel 2017 ha lavorato presso la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO. Dal 2018 al 2021 ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma e fino al dicembre 2023 quello di Tel Aviv. Nel 2021 ha curato il volume Enchanting Architecture. The Italian Cultural Institute in Stockholm by Gio Ponti (5 Continents Editions).
16/06/25
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radiosciampli-blog · 4 months ago
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Sto gallo sta peggio di me,ma io ho i miei buoni motivi..del resto anche lui avrà i suoi ....in questo mare di INTELLETTUALI siamo necessari.
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aitan · 1 year ago
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"La memoria è un progetto per il futuro, non è volgersi nostalgicamente al passato. Il passato si onora solo se edifichiamo un futuro fondato su quei principi calpestati e denigrati per i quali innocenti sono caduti e uomini giusti hanno combattuto e sono morti. Purtroppo in questa nostra Europa ci sono segnali di pesanti regressioni [...]. Un'Europa pavida, vile che tace, che accetta tutto. [...] L'antifascismo si pensa, si pratica, lo si esercita avendo memoria e opponendosi a ogni forma di sopruso. Primo Levi ci ha lasciato un'eredità definitiva sulla questione: ciò che è stato può avvenire di nuovo perché appartiene al lato oscuro dell'umanità. [...] Dobbiamo combattere con tutte le nostre forze, la logica del privilegio, del sopruso, della disuguaglianza e la più grande pestilenza che può ammorbare una società: l'indifferenza.
Sono parole di Moni Ovadia. Risalgono al 2016.
Una delle funzioni degli intellettuali è subodorare la puzza di gas, di fogna, di bruciato o di sterco prima ancora che si diffonda lentamente nell'aria; tanto lentamente che finiamo per abituarcene. E tutto ci sembrerà NORMALE.
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darktimemachinechaos · 9 months ago
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𝕃𝕒 𝕞𝕒𝕔𝕔𝕙𝕚𝕟𝕒 𝕕𝕖𝕝𝕝𝕖 𝕤𝕥𝕣𝕠𝕟𝕫𝕒𝕥𝕖 𝕓𝕦𝕠𝕟𝕚𝕤𝕥𝕖
Da 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝘩𝑎𝑛𝑑𝑖𝑐𝑎𝑝, 𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐜𝐜𝐡𝐢𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐨𝐧𝐳𝐚𝐭𝐞 𝐛𝐮𝐨𝐧𝐢𝐬𝐭𝐞 ha partorito la definizione di "diversamente abile" pensando di fare un favore ai portatori di handicap: in realtà li sta solo offendendo.
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Ogni persona, affetta o meno da un handicap, ha le sue propensioni: ogni individuo possiede le sue specifiche abilità: 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐞 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨! Questa radicata ipocrisia deriva dal pensare che il rispetto stia nelle forma e non nella sostanza.
Mi ci pulisco, grandemente!, solo le natiche con il Politically Correct: 𝐥𝐞 𝐦𝐢𝐧𝐨𝐫𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐮𝐭𝐢 𝐞 𝐚𝐩𝐩𝐥𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢, non di finti intellettuali che fanno il pelo al maschile e al femminile nei nomi e/o applicano quella 𝐞𝐧𝐨𝐫𝐦𝐞 𝐢𝐧𝐬𝐮𝐥𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐒𝐜𝐡𝐰𝐚, degna solo di 𝑐ℎ𝑒𝑐𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑠𝑡𝑒𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒. Vale per tutti: 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗮𝗱𝗲𝗴𝘂𝗮𝘁𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗼𝗿𝘀𝗲, 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗰𝗼𝗿𝗿𝗲𝘁𝘁𝗶 𝘀𝘁𝗿𝘂𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶, 𝗰𝗵𝗶𝘂𝗻𝗾𝘂𝗲 𝗲̀ 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗮𝗻𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗮 𝗿𝗶𝗺𝗮𝗻𝗲𝗿𝗲 𝘀𝗰𝗵𝗶𝗮𝗰𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗶𝗺𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗽𝗲𝗿𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲 𝗹𝗼 𝘀𝘃𝗶𝗹𝘂𝗽𝗽𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗯𝘂𝗼𝗻𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗲𝗻𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶; è totalmente assurdo che un soggetto portatore di handicap, a meno che non sia ricco, possa trovare solo nello sport un proprio spazio ricreativo per esprimersi al meglio: è una forma sottile ma ben evidente di razzismo!
𝗨𝗻𝗮 𝗦𝗼𝗰𝗶𝗲𝘁𝗮̀ 𝗦𝗮𝗻𝗮, in primo luogo, 𝗻𝗼𝗻 𝗶𝗻𝘃𝗲𝘀𝘁𝗲 𝗶𝗻 𝗿𝗲𝗹𝗶𝗴𝗶𝗼𝗻𝗲 (𝗲𝗿𝗴𝗼: 𝗶𝗴𝗻𝗼𝗿𝗮𝗻𝘇𝗮!) 𝗺𝗮 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝗶𝗻 𝗦𝗰𝗶𝗲𝗻𝘇𝗮, 𝗽𝗲𝗿 𝗴𝗮𝗿𝗮𝗻𝘁𝗶𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗼 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗱𝗲𝗯𝗯𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗯𝗮𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝘁𝗶𝗲 𝗶𝗻𝗴𝘂𝗮𝗿𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶 𝗲 𝗱𝗶𝘀𝗮𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀, 𝘀𝗼𝗿𝗿𝗶𝗱𝗲𝗻𝗱𝗼 𝗮 𝗱𝗲𝗻𝘁𝗶 𝘀𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗮 𝗴𝗲𝘀𝘁𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗯𝗲𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗲: 𝗹𝗮 𝗦𝗮𝗹𝘂𝘁𝗲. In questa mia ottica empatica e progressista, mi rifiuto di accettare qualsiasi elogio del dolore, qualsiasi discorso che trasformi il soffrire in una virtù, poiché si rivela soltanto una 𝘃𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗿𝗲𝗮𝗹𝘁𝗮̀ dentro alla quale un portatore di handicap, un malato cronico, sostiene, addirittura!, che si possa essere felici lo stesso in quanto portatori di un handicap, in quanto affetti da una malattia cronica: 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝗳𝗲𝗹𝗶𝗰𝗶𝘁𝗮̀ 𝗺𝗮 𝗺𝗲𝗿𝗮 𝗿𝗮𝘀𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗻𝗲𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗿𝗼𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 "𝗳𝗶𝗹𝗼𝘀𝗼𝗳𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘁𝗮" 𝘁𝗼𝘁𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗶𝘀𝘂𝗺𝗮𝗻𝗶𝘇𝘇𝗮𝗻𝘁𝗲.
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rideretremando · 2 years ago
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"Nell’ampio campo intellettuale di coloro le cui idee non mi convincono, Michela Murgia era evidentemente l’unica in grado di argomentare un pensiero. E quindi, inevitabilmente, circondata di emule goffe, di ancelle volenterose, di allieve che ripetono a memoria la poesia di Natale ma cui manca il guizzo."
Guia Soncini
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bigarella · 11 days ago
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L’estremo scorcio del 1977 segna l’avvicinamento al punto più drammatico della storia nazionale di quel decennio
“Coraggio e viltà degli intellettuali”, a cura di Domenico Porzio, è un istant book pubblicato nel 1977 per Mondadori che raccoglie gli interventi dei maggiori protagonisti di quella che fu, con ogni probabilità, la polemica più significativa sull’impegno degli intellettuali italiani nella società di quegli anni. Porzio offre una vera e propria veduta panoramica, porosa e sfaccettata, di una…
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adrianomaini · 11 days ago
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L’estremo scorcio del 1977 segna l’avvicinamento al punto più drammatico della storia nazionale di quel decennio
“Coraggio e viltà degli intellettuali”, a cura di Domenico Porzio, è un istant book pubblicato nel 1977 per Mondadori che raccoglie gli interventi dei maggiori protagonisti di quella che fu, con ogni probabilità, la polemica più significativa sull’impegno degli intellettuali italiani nella società di quegli anni. Porzio offre una vera e propria veduta panoramica, porosa e sfaccettata, di una…
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bagnabraghe · 11 days ago
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L’estremo scorcio del 1977 segna l’avvicinamento al punto più drammatico della storia nazionale di quel decennio
“Coraggio e viltà degli intellettuali”, a cura di Domenico Porzio, è un istant book pubblicato nel 1977 per Mondadori che raccoglie gli interventi dei maggiori protagonisti di quella che fu, con ogni probabilità, la polemica più significativa sull’impegno degli intellettuali italiani nella società di quegli anni. Porzio offre una vera e propria veduta panoramica, porosa e sfaccettata, di una…
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collasgarba · 11 days ago
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L’estremo scorcio del 1977 segna l’avvicinamento al punto più drammatico della storia nazionale di quel decennio
“Coraggio e viltà degli intellettuali”, a cura di Domenico Porzio, è un istant book pubblicato nel 1977 per Mondadori che raccoglie gli interventi dei maggiori protagonisti di quella che fu, con ogni probabilità, la polemica più significativa sull’impegno degli intellettuali italiani nella società di quegli anni. Porzio offre una vera e propria veduta panoramica, porosa e sfaccettata, di una…
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gregor-samsung · 2 months ago
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" Qualsiasi democrazia si basa su un presupposto ripetutamente riformulato e ridefinito: essa non è il migliore dei mondi possibili. Per quanto incomparabilmente migliore di qualsiasi altro regime politico, ciascuna democrazia sa che il suo codice genetico ne afferma la costante perfettibilità nella consapevolezza che nessun assetto politico riuscirà mai ad assurgere alla perfezione. Pertanto, non saranno le considerazioni compiaciute a fare crescere e migliorare i regimi democratici. Gioveranno a questo scopo le critiche fondate, tanto più credibili se provenienti da chi ha saputo rinunciare a numerosi e facili privilegi. Saranno utili le alternative praticabili, adeguatamente delineate. Saranno importanti le intransigenze motivate. Critiche, alternative, intransigenze costituiscono il motore del cambiamento, del rinnovamento, oppure anche, semplicemente, dell'adeguamento a condizioni nuove della stessa vita democratica, in special modo se investita dal vento dell'alternanza. Critiche, alternative, intransigenze saranno rafforzate in special modo dal rigoroso richiamo all'impegno personale (il kennedyano «chiediti che cosa puoi fare per il tuo paese»). "
Gianfranco Pasquino, La democrazia esigente, Il Mulino (collana Tendenze), 1997¹, pp. 61-62.
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infogiotv · 22 days ago
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✨ La Poesia e il Suono: un incontro di anime e note
Giovedì 3 luglio, nella splendida cornice della Chiesa di San Rufo a Rieti – Centro d’Italia, si è tenuto un evento che ha saputo intrecciare la profondità della parola poetica con l’incanto del suono. 📖 Emanuele D’Agapiti, poeta raffinato e sensibile, ha condotto il pubblico in un viaggio di riflessione e bellezza attraverso i suoi versi, mentre 🎹 Stefania Maroni, pianista di talento e cuore,…
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thesteamer · 2 months ago
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È buono, ma non mi piace
L’altro giorno, al bar, si ragionava su un fatto storicamente incontrovertibile: solo la cultura liberale ha prodotto un reale miglioramento delle condizioni di vita delle masse. Non lo hanno fatto gli imperi antichi, né le tradizioni orientali, né tantomeno i sistemi autocratici, teocratici o collettivisti di ieri e di oggi.
Di fronte a questo dato, il mio amico - che pure non è certo un turbo-liberista - si chiedeva come mai in genere proprio coloro che sembrano più dotati intellettualmente siano anche tra i più riluttanti ad ammetterlo, e vi si scaglino contro con tutto l’armamentario delle bufale sull’elitarismo, l’egoismo, l’indifferenza, il cinismo, eccetera.
È un paradosso curioso. Il liberalismo ha promosso libertà individuale, democrazia rappresentativa e libero mercato - ingredienti decisivi per il miglioramento delle condizioni di vita non solo dal punto di vista economico, ma anche giuridico, sanitario, civile. Eppure molti intellettuali - specie quelli con una vocazione pubblica o impegnata - mostrano un’avversione ostinata verso tutto questo. Preferiscono utopie comunitarie, sogni rivoluzionari, ideologie totalizzanti, più o meno pesanti versioni di “Stati guida”.
Ma perché?
Il liberalismo è anti-eroico. Non promette palingenesi, né assegna ruoli salvifici. Non prevede roghi né altari. Solo compromesso, diritti, doveri, limiti. Un ordine noiosamente funzionante. Per chi si immagina come sacerdote del Vero o martire della Giustizia, è una prospettiva deprimente. L’eroe liberale esiste, ma è quello randiano: non guida le masse, non salva il mondo. Vuole solo essere lasciato in pace.
È anche in un certo senso “anti-intellettuale”. Non perché rifiuti la cultura, anzi, ma perché non le riconosce di per sé alcuna supremazia. Come scriveva Feyerabend, non basta essere colti o intelligenti per avere più voce in capitolo. Il liberalismo si fida della media - anche degli ignoranti. E questo, l’intellettuale militante, non lo perdona.
Non promette felicità. Promette libertà. E la libertà è pericolosa, asimmetrica, scomoda. Chi progetta il futuro ideale vorrebbe invece un mondo ordinato secondo ragione (la sua ragione), ma il liberalismo non glielo consente.
È anti-teleologico e anti-tecnocratico. Non piega la storia a un fine, non marcia verso il sol dell’avvenire. E dato che ammette di non conoscere il futuro, il liberalismo non ha intenti pianificatori. Le politiche pubbliche devono essere limitate, controllabili, rivedibili e non fondate su ideologie. Si limita a contenere le derive e non giustifica i mezzi per i fini. A chi vive per l’Idea, sembra un’insopportabile mancanza di ambizione.
Non crede nella meritocrazia come gerarchia morale. L’intellettuale impegnato ama il termine “meritocrazia” perché implica un ente superiore - di solito lo Stato - che attribuisce onori (e stipendi) ai meritevoli, cioè a quelli come lui. Ma come ricordava Von Hayek, il merito così inteso ha un sottofondo autoritario. Il valore di mercato, per quanto imperfetto, è più equo: nasce dal libero scambio, dalla negoziazione, non dall’imposizione.
E soprattutto, il liberalismo non disprezza la massa. L’intellettuale, spesso, sì. Gli basta aprire i social per sentirsi superiore: la media delle persone appare sciatta, volgare, irritante. È allora che si affaccia la tentazione di elevarsi a guida - o peggio, ad oracolo.
Eppure, proprio per questo, il liberalismo dovrebbe apparire come l’unico rifugio possibile. È l’unico sistema che protegge l’individuo contro la tribù. Per un pensatore originale, che vive sul filo del dissenso, questa narrazione dovrebbe essere più che soddisfacente.
Il liberalismo non garantisce che emerga il meglio. Garantisce che nulla di valido venga impedito. La qualità non viene decretata dall’alto, ma selezionata nel tempo, anche contro la moda, anche contro la maggioranza. È questo che permette alle idee buone, anche se scomode, di sopravvivere.
Il paradosso, però, è che proprio chi dovrebbe essere più sensibile al valore dell’anticonformismo, finisce per conformarsi a visioni collettivistiche, disciplinari, spesso illiberali, dove la sua libertà è potenzialmente la prima a essere sacrificata. In fondo, la vanità intellettuale preferisce essere ascoltata dal potere piuttosto che tollerata dalla legge. Dimenticando però che un potere che oggi lo applaude può domani metterlo a tacere. Mentre la noiosa legge liberale, silenziosa e impersonale, lo proteggerà anche nel disaccordo.
Forse è questo l’approdo più sicuro verso cui dovrebbe tendere un intellettuale: il disincanto brillante, lo snobismo bonario. Un modo di restare nel mondo senza farsene irretire. Il liberalismo non è una fede, ma un’architettura del dubbio. Non promette salvezza, ma tolleranza. Se la storia insegna qualcosa, è che i sistemi che promettono troppo finiscono per togliere tutto.
La cosa che invece sfugge agli intellettuali “antagonisti” è che, a un certo punto, finiscono per diventarlo anche della propria intelligenza.
E fin qui, ci sarebbe comunque la buonafede.
C’è infatti il caso in cui l’intellettuale engagé sa benissimo tutto questo, magari anche da un bel po’ di tempo. E infatti si guarda bene dal trasferirsi in uno di quei “paradisi terrestri” - teocrazie, autocrazie, repubbliche popolari varie - che sicuramente riconoscerebbero tutti i suoi meriti, preferendo restare a fare il tamburino di qualche partito statalista del molle Occidente. Perché alla fine, anche qui da noi, la propaganda rende. E pure bene.
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alibelyene · 3 months ago
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Dovete schiodare il culo dal divano e andare a fare politica in piazza, nella vita REALE, invece di fingere di interessarvi dei problemi sociali qui per darvi le arie da intellettuali di 'sto cazzo.
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pier-carlo-universe · 3 months ago
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Intellettuali e popolo nell’era della disintermediazione: il tramonto delle figure guida e la crisi del pensiero condiviso, di Carlo Di Stanislao
In un’epoca senza mediazioni, la figura dell’intellettuale si dissolve tra algoritmi, silenzi e frammentazione. Una riflessione profonda sul futuro della cultura. Scopri di più su Alessandria today. Itellettuali e popolo. La dissoluzione delle figure guida nell’epoca della disintermediazione “Dove non c’è visione, il popolo perisce.” – Proverbi 29:18 All’inizio degli anni Settanta, Scrittori e…
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magauda · 3 months ago
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Bauman teorizza la decadenza degli intellettuali da legislatori a interpreti
Gruppo Messaggerie […] la storia delle riviste degli anni 1956-1967 è una storia di costanti ridefinizioni di linea, di composizione e frattura di gruppi di lavoro: il «come sir, arise, away! I’ll teach you differences» del Re Lear potrebbe essere l’epigrafe al comportamento di queste leve di intellettuali e attivisti che pure, in genere, non amavano la faziosità e la frantumazione in quanto…
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