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Il terremoto del 20 febbraio 1743 nell'interpretazione popolare e religiosa, e in un antico canto dialettale savese
  di Gianfranco Mele
  Come noto, il 20 febbraio del 1743 vi fu un violento sisma[1] che danneggiò la città di Nardò in particolare, ma anche altri numerosi altri centri: si ebbero danni consistenti in Francavilla Fontana, Leverano, Brindisi, e numerose altre città e paesi di Terra d’Otranto. Nel territorio di Sava si verificarono danni al Santuario di Pasano, e mi soffermerò sulla storia degli effetti del terremoto in questa cittadina per raccontare di come la devozione popolare abbia attribuito alla Madonna una intercessione divina nei confronti della catastrofe, immortalando tale accadimento anche in una composizione dialettale in versi.
Un po’ dappertutto, persino nei luoghi dove vi furono morti, si volle credere che Madonne e Santi protettori avessero scongiurato un disastro ancora più grave. Così, finanche i danni subìti da edifici religiosi furono interpretati come effetto della protezione divina che aveva preferito attirare su di sé, sui luoghi di culto, gli effetti del terremoto, anziché danneggiare più di tanto il popolo.[2]
In Sava, si attribuì alla Madonna di Pasano il potere di aver scongiurato una tragedia annunciata: per tradizione, la Vergine (che aveva luogo di culto nel casale omonimo già da epoca bizantina)[3] era ritenuta specialista sia in miracoli concernenti malattie,[4] che nell’evitamento di catastrofi e calamità naturali:
“Le apoplasie, le asme, le febbri, gli spasimi, le cecità, le stroppiature, e tutta quella serie di mali, che per il peccato del nostro progenitore inonda il gran mondo; i terremoti, le inondazioni, la mancanza d’acqua, l’insetti divoratori, i rettili velenosi, i fulmini, le saette, l’archibuggiate, o al tatto di qualcun de’ suoi voti, che pendono dalle sacre pareti alla gran Donna dedicati, o all’unzioni degl’ ogli delle sue lampade, o al religioso esercizio, o per l’usanza di mandare alla sua Cappella tredici verginelle, o alla sola interna invocazione del suo Sacro Santo Nome, retrocedono, e fuggono, e spariscono”[5]
La chiesa di Pasano viene riedificata, ultimata e inaugurata nel 1712 (ce ne danno notizia un vecchio manoscritto attribuito (parzialmente) all’ Arciprete Luigi Spagnolo[6] e l’opera “Cenni storici di Sava” di Primaldo Coco)[7], e viene costruita a ridosso di una cappella più antica. Il terremoto del 1743 la danneggia notevolmente, per cui dieci anni dopo, nel 1753 la chiesa viene parzialmente ricostruita e fortificata con l’aggiunta di contrafforti laterali e con modifiche e restauri al dossale dell’altare.[8]
Santuario Madonna di Pasano: i contrafforti laterali furono eretti in conseguenza del terremoto del 1743
  Dei lavori di restauro effettuati nel 1753 a effetto del terremoto sono testimonianza due iscrizioni murate vicino all’altare maggiore, come documenta il Coco, poi riassunte e sostituite in una unica lapide.
Le iscrizioni più antiche recitavano:
Singularis fidelium pietas erga efficiem hanc
Virgini Pasanensis hoc altare primam ex licentia
lapide fecit A.D. MDCCXXXII
Terremotu postea dirutum magam partem
iterum riedificavit pietas ipsa ac tandem
postridie Kalendas Iunius A Virg. Partu
MDCCLIII inaugurare complevit.
  Nei primi del Novecento queste iscrizioni furono sostituite con la seguente:
D.O.M.
Aram principem Virgini deiparae de Pasano
Quam pietas fidelium primum erexit a. MDCCXXXII
Et denuo terremotu pene dirutam a. MDCCLIII refecit
expolivit picturisque exornavit an. Maximi Iubilei
MCM
  In appendice al manoscritto redatto dal non meglio identificato nipote di Luigi Spagnolo (forse Giovanni Spagnolo, anche lui Arciprete in Sava, dal 1884 al 1901), si narra di un turbine avvenuto il 2 maggio 1871 che danneggiò terreni facendo cadere numerosi alberi in agro di Sava, e diroccò due edifici del paese. All’invocazione da parte dei savesi della Vergine di Pasano (e del posizionamento a mò di sfida della sua statua), il turbine deviò percorso, secondo il racconto dello Spagnolo. A seguire nel manoscritto, lo Spagnolo racconta della guarigione da parte della Vergine di Pasano di un sacerdote leccese “stroppio di mani”, e di un miracolo riguardante il terremoto del 20 febbraio. Qui, però, si indica un anno nel quale non risultano terremoti in Terra d’Otranto: il 1790. Trattasi evidentemente di un errore da parte dello scrittore, che voleva indicare appunto il terremoto del 1743. Devo aggiungere che ho potuto consultare il testo originale (in una riproduzione digitalizzata a cura di Internet Culturale)[9] ma era monco proprio di questa parte (un foglio), che ho ripreso dalla trascrizione di Giuseppe Lomartire, inserita nel suo libro “Sava nella storia”.[10] E’ lo stesso Lomartire in ogni caso, in articolo successivo, a chiedersi se non vi sia stato un errore nella datazione (il giorno e il mese coincidono, ma non l’anno).[11] Ecco i passi dello Spagnolo trascritti dal Lomartire:
“Nel 1790 a 20 febbraio quasi tutti i luoghi di questa provincia, e forse l’Europa tutta ebbero danni dal flagello del terremoto, che fu alle ore 23 e mezza circa del su detto giorno, e solo in Sava non vi fu danno alcuno, ma soltanto cadde il capo altare della Cappella di Pasano, sicchè la beatissima Vergine par che indusse il suo Figlio a scaricar l’ira sua sopra di sé in detta cappella, ed esimere Sava da detto flagello.”
In un ciclostilato senza data a cura del Gruppo Culturale Salentino di Sava (le “Note” del G. C. S., distribuite ad associati, amici e simpatizzanti, furono concepite e diffuse tra il 1977 e il 1979) il Lomartire ritorna sull’argomento e riporta i versi popolari che ricordano il terremoto del 20 febbraio 1943, raccolti dalla voce di una anziana donna savese:
“Fuei la Matonna nostra ti Pasanu
ca ti na cranni sbintura ni sarvòu
la menzanotti ti lu vinti ti febbraru
quannu totta la terra trimulòu.
La Matonna an cielu sta priàva
lu fiju sua onniputenti
surtantu la Cappella cu sgarràva
e di Sava cu ni lìbbira la genti.
E difatti Sava fuei sarvàta,
ma la Cappella rumàsi rruinàta! “
Così come, dunque, a Sava fu considerata la Vergine di Pasano protettrice della popolazione rispetto alla calamità, a Nardò si credette che fu San Gregorio a intercedere per evitare danni ancor più gravi, a Lecce si pensò all’intervento provvidenziale di S. Oronzo, a Mesagne si ringraziò la Beata Vergine del Carmelo, a Francavilla Fontana la Madonna della Fontana, a Latiano Santa Margherita, a Oria San Barsanofio.[12]
I versi popolari raccolti in Sava hanno un corrispettivo nei più noti versi leccesi dedicati a S. Oronzo per il medesimo avvenimento:
“Foi Santu Ronzu ci ne leberau
de lu gran terramotu ci faciu
a binti de febraru tremulau
la cetate, e no cadiu.
Iddu, iddu de cieli la guardau
e nuddu de la gente nde patiu.
È rande Santu! Ma de li santuni
fece razie. E meraculi a’ migliuni.”
Santuario di Pasano, interno (altare e dossale)
  [1] Per approfondimenti, una serie di articoli sul terremoto in questione è pubblicata su Fondazione Terra d’Otranto: http://www.fondazioneterradotranto.it/tag/terremoto-1743/
[2]    Daniele Perrone, Il terremoto del 1943 che scosse il Salento, novembre 2014, Bistrò Charbonnier http://bistrocharbonnier.altervista.org/il-terremoto-del-1743-che-scosse-il-salento/
[3]    Gianfranco Mele, Sava (Taranto). L’antica chiesa di Pasano, settembre 2016, Fondazione Terra d’Otranto https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/09/14/sava-taranto-lantica-chiesa-di-pasano/
[4]    Gianfranco Mele, L’antica tradizione degli ex voto a Pasano, La Voce di Maruggio, gennaio 2020, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/l-antica-tradizione-degli-ex-voto-a-pasano.html
[5]    Dal manoscritto “Orazione Panegirica in lode della Prodigiosissima Vergine Maria sotto il Titolo di Pasano, Primaria e Speciale Protettrice della Terra di Sava”, s.d.. Il documento contiene in calce al frontespizio la scritta aggiunta “”Recitata da mio zio arciprete don Luigi Spagnolo di anni 18 essendo accolito nel seminario di Oria“, e in allegato 3 fogli contenenti la storia di Pasano e dei “miracoli” attribuiti alla Madonna, con citazioni e trascrizioni di passi di Domenico Antonio Spagnolo (Arciprete in Sava dal 1686 al 1722), Alessandro Maria Calefati (Vescovo della Diocesi di Oria dal 1781 al 1793, anno della sua morte), Luigi Spagnolo (Arciprete in Sava dal 1800 al 1828), Pasquale Cantoro Melle (che, da una annotazione dell’autore – nipote del Luigi Spagnolo, sappiamo morto nel 1790). Il manoscritto è conservato ad Oria nella Biblioteca De Leo ed è là censito con “data stimata: 1801-1900”.
[6]            Manoscritto “Orazione Panegirica in lode della Prodigiosissima Vergine Maria sotto il Titolo di Pasano, Primaria e Speciale Protettrice della Terra di Sava”, op. cit.
[7]    Primaldo Coco, Cenni Storici di Sava, Stab. Tipografico Giurdignano, Lecce, 1915, pp. 282-284
[8]    Cfr. Primaldo Coco, op. cit.; vedi anche Antonio Cavallo, Santuario di Santa Maria di Pasano, C.S.P. Centro Studi Pubblicitari, Tipografia Centrale, Manduria, senza data, pag. 8
[9]    Internet Culturale, cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche italiane http://www.internetculturale.it/
[10]  Giuseppe Lomartire, Sava nella storia, Grafiche Cressati, Taranto, 1975, pp. 87-93
[11]  Giuseppe Lomartire, Pasano ieri e oggi – vicende varie del Casale e del Santuario, in: Note del Gruppo Culturale Salentino di Sava, ciclostilato in pr., s.d.
[12]  Cfr. Daniele Perrone, cit.
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photoxtee · 4 years
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sinapsinews · 5 years
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Chiusura scoppiettante per la settima edizione di Miss Trans Europa 2019, la tradizionale kermesse di bellezza fortemente voluta da Stefania Zambrano, organizzatrice, attrice di cinema e teatro, icona del movimento Lgbtqi italiano (gay, lesbiche, trans, queer e gender non conforming e intersessuali), con il fattivo sostegno di Luigi Papacciuoli. La finalissima, presentata con ironia, briosità e tanta verve da Sofia Mehiel La Papessa, fiera del successo del suo singolo Respect in any body, coadiuvata dalla mediterranea e simpatica Tilde Mendes, in perfetta sintonia tra di loro, ha visto trionfare l’aversana Alessia Cinquegrana, 31 anni, sposata da due anni, stilista e con una forte voglia di maternità. La neoeletta si è commossa molto all’atto della proclamazione ed è stata festeggiata non solo da fuochi d’artificio e da coriandoli sparati sul palco, ma anche dalle altre concorrenti, dal marito e dai familiari.
La serata si è aperta con un momento di riflessione e di provocazione: sulle note di una tipica tammurriata due ballerini hanno reso omaggio alla Madonna di Montevergine, la Mamma Schiavona tanto venerata e amata dalla galassia Lgbt a testimonianza che la fede non innalza barriere e non discrimina nessuno.
Subito dopo l’organizzatrice e anima pulsante della manifestazione, Stefania Zambrano si è presentata in scena vestita da Papa lanciando un appello a favore delle unioni civili e sottolineando l’ipocrisia della chiesa che emargina i gay e poi mette a tacere la pedofilia del clero.
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La nuova edizione del concorso di bellezza e portamento ideato nel 2013, ha visto in gara 16 concorrenti, che, spinte da uno spirito competitivo, hanno sfoderato le loro affascinanti e sensuali armi per aggiudicarsi la corona e lo scettro di Trans più bella d’Europa. Arduo il compito della giuria composta da Ileana Capurro, avvocato e presidente di Atn (Associazione Transessuale di Napoli), Antonio D’Addio, giornalista, direttore di Sciuè, vicedirettore de Lo Strillo e collaboratore di varie riviste nazionali, Marzia Mauriello, docente di Antropologia Medica e ricercatrice, Carmine Ruggiero, opinionista senza peli sulla lingua, Tanya Di Martino, vicepresidente dell’associazione Pride Vesuvio Rainbow ed organizzatrice di Erotika.
Numerosi gli ospiti che si sono succeduti durante l’evento: il ballerino Mario Vincitore, la cantante Alessia, il neomelodico Ciro Muoio, Samantha delle Coccinelle, la star della musica napoletana Stefania Lay e il divo della serata Angelo Sanzio, il Ken italiano, che è stato accolto con tanto affetto e calore. E ancora: la bella e sensuale Arianna Maravolo, Miss Campania 2018, la giornalista Maria Consiglia Izzo, l’attrice Anna Brancati, vista ne “La Parrucchiera” e in “Gomorra” e protagonista di un corto che sarà presentato al Social Word Film Festival e alla Mostra di Venezia, Sara Finizio, vincitrice dell’edizione 2018, Salvatore Campanile, Salvatore De Vito, Alessia Finizio, La Duchessa, Loredana Rossi, vicepresidente di Atn, Valentina Viglione, Gianluca Mulè, Deo Tattoo e tanti altri.
L’intera manifestazione è stata trasmessa in diretta sul canale video di Il Piccole Magazine e Piccole Trasgressioni.
Le concorrenti in gara sono state capitanate da Mary Sommella, Miss Trans Europa 2015 (squadra bianca) e da Jennifer De Santis, Miss Trans Europa 2016 (squadra blu): Anna Lopez, Federica Abate, Vittoria Rodriguez, Anny Fiorentino, Alessia De Leo, Pamela Renzi, Sarah Avolio, Felisia Bulgari, Alessia Cinquegrana, Luana Iammarino, Alessandra Langella, Guendalina Rodriguez, Luciana Palumbo, Roberta De Silva, Cinzia Sacco e Susy Sannino. Questi i premi speciali: Miss Cinema Alessandra Langella, Miss Eleganza Federica Abate, Miss Top Model Luana Iammarino, Miss Curvy Alessia De Leo, Miss Gambissime Cinzia Sacco, Miss Web Satah Avolio, Miss Beauty Anny Fiorentino, Miss Portamento Susy Sannino, Miss Ragazza Immagine Felisia Bulgari, Miss Sorriso Anna Lopez, Miss Make Up Vittoria Rodriguez, Miss Pin Up Guandalina Rodriguez, Miss Total Look Luciana Palumbo.
Le dieci finaliste sono state Federica Abate, Anny Fiorentino, Pamela Renzi, Sarah Avolio, Felisia Bulgari, Alessia Cinquegrana, Luana Iammarino, Alessandra Langella, Luciana Palumbo e Roberta De Silva. Questa la classifica: Miss Critica, che equivale ad un primo posto assegnato dai giornalisti, Luciana Palumbo, al sesto posto Anny Fiorentino, al quinto Roberta De Silva, al quarto Pamela Renzi, al terzo Felisia Bulgari, al secondo Sarah Avolio, al primo posto Alessia Cinquegrana.
“Si sta realizzando un mio sogno, ci tenevo tanto a vincere questa corona, durante la mia carica mi batterò per i nostri diritti e per esaudire un altro mio desiderio, quello di adottare una bambina” – ha dichiarato un’emozionata Alessia.
“Mi dispiace cedere la corona, ma mi tocca, l’ho portata con serietà e professionalità, grazie al concorso ho partecipato a Ciao Darwin e ho preso parte al nuovo film di Christian De Sica” – ha detto Sara Finizio, Miss Trans Europa 2018.
“Sono contenta e soddisfatta di questa edizione, ho acceso i riflettori sul bullismo che sta aumentando sempre di più, sull’ondata di odio nei nostri confronti che sta portando il nuovo Governo, sull’arretratezza della Chiesa e ho lanciato una campagna di prevenzione sull’uso del preservativo, non è possibile che ci siamo 10mila casi di sieropositività ogni anno” – ha concluso Stefania Zambrano.
Appuntamento al 2020!!! (Foto di Giuseppe Filosa)
    Alessia Cinquegrana è Miss Trans Europa 2019. Dura la provocazione dell’organizzatrice Stefania Zambrano/FOTO EVENTO Chiusura scoppiettante per la settima edizione di Miss Trans Europa 2019, la tradizionale kermesse di bellezza fortemente voluta da Stefania Zambrano, organizzatrice, attrice di cinema e teatro, icona del movimento Lgbtqi italiano (gay, lesbiche, trans, queer e gender non conforming e intersessuali), con il fattivo sostegno di…
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retegenova · 5 years
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Teatro della Tosse
22 dicembre, ore 20.30
23 dicembre, ore 16.30
TROPICANA
di Irene Lamponi con Elena Callegari, Cristina Cavalli, Irene Lamponi e Marco Rizzo regia Andrea Collavino scene Ruben Esposito costumi Daniela De Blasio assistente alla regia Roxana Oana Doran  Produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse  Creazione drammaturgica realizzata con il sostegno di  “CRISI – Teatro Valle Occupato”
    Una commedia. Da una parte ci sono gli adulti, esilaranti nella loro immaturità, dall’altra una ragazza che sogna il proprio futuro sconfinato e vitale. 
Natale. Una casa. Un padre che se n’è andato. E poi una madre bambina, una vicina di casa sempre in ciabatte e Nina, una figlia che deve “fare l’adulta” in una casa che diventa sempre più nido-prigione. Tre solitudini che si sono legate in maniera indissolubile e che si avvitano continuamente sulle stesse discussioni, per non dover affrontare la vita fuori dalle rassicuranti mura domestiche. In sottofondo la televisione, le televendite, il Papa e una canzone: “Tropicana”. Tutto fa presagire che il vulcano della canzone esploderà e la fuga pare l’unica soluzione.
Le cose sembrano cambiare quando sulla scena compare Leo, il fidanzato di Nina, che scombussola la routine delle donne. Il ragazzo è il possibile strumento di liberazione dall’opprimente vita familiare, ma non sarà facile per Nina tagliare i legami con la madre. Il testo ci propone un’altra possibilità, a dire il vero più sorprendente: la cura sta dentro, lì dentro la casa, dentro i rapporti.
Tropicana è una commedia senza retorica che parla di tutti noi, che riflette sugli aspetti più intimi dei legami familiari, sulle difficoltà dei rapporti tra genitori e figli e sui reciproci egoismi.
Un testo di antitesi, che contrappone figli e genitori, positività e cinismo.
Andrea Collavino dirige i quattro attori che interpretano un testo dal sapore cinematografico, in una scena allestita in maniera surreale, priva di riferimenti alla casa dove si svolge l’azione.
Elena Callegari è Lucia, la madre incapace di vedere la realtà che alla fine riuscirà ad accettare, Cristina Cavalli interpreta Meda, la caustica vicina di casa che nasconde una fragilità dietro alla solida corazza di cinismo, Irene Lamponi è Nina, giovane testimone delle dinamiche familiari alla disperata ricerca di un’evasione liberatoria e Marco Rizzo è il fidanzato Leo, che con il suo arrivo incrina l’apparente equilibrio delle tre donne.
E’ un testo che contiene un messaggio di positività molto forte. Tropicana in fondo ci racconta che nelle disavventure non è necessario trovare una soluzione.
Le scene sono firmate da Ruben Esposito e i costumi da Daniela De Blasio della sartoria del Teatro della Tosse.
Il testo nasce a CRISI, laboratorio di drammaturgia condotto da Fausto Paravidino, al Teatro Valle Occupato. «Uno spettacolo in cui si ride molto e insieme si piange» racconta il regista Andrea Collavino «perchè questi personaggi vogliono vivere anche se non lo sanno”.
    Biglietti: 15 euro / ridotto 12 euro
    Davide Bressanin
Ufficio stampa
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse ONLUS
www.teatrodellatosse.it
      Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
Contatti
Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
Informatica Servizi
Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
TROPICANA – 22 dicembre, ore 20.30 / 23 dicembre, ore 16.30 Teatro della Tosse 22 dicembre, ore 20.30 23 dicembre, ore 16.30 TROPICANA di Irene Lamponi con Elena Callegari, Cristina Cavalli, Irene Lamponi e Marco Rizzo…
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pangeanews · 5 years
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Giuseppe Berto 40 anni dopo: storia di uno scrittore narciso, geniale e contraddittorio, destinato a dare fastidio
Nascere in un villaggio (Magliano) di una regione occupata (il Veneto) con plebiscito truffa (1866) da uno stato nemico (Italia). Avere talento e fascino innati, oltre alla giusta dose di narcisismo caro a ogni buon scrittore. Subire l’educazione fascista e patriottica del padre, ex maresciallo dei carabinieri, e aderirvi. Non impegnarsi negli studi liceali finché il detto padre non toglie ogni sostegno economico. Nutrire verso la figura paterna un profondo senso di colpa, legato a un desiderio di successo. Sperimentarne le conseguenze.
Mal riporre le proprie illusioni di gioventù: il fascismo, l’esercito, Mussolini e l’Italia… Iscriversi a dei gruppi fascisti. Partire volontario in Abissinia. Esser ferito, e per questo ricevere subito un paio di medaglie e per decenni un assegno. Iscriversi a lettere, prediligere il biliardo alle lezioni, eppure laurearsi in storia dell’arte. Trovarsi costretto a insegnare italiano, latino e storia a futuri geometri e maestre d’asilo. Preferire tornare sotto le armi; combattere con onore in Africa, ma andare incontro alla disfatta, e cavarsela con una fuga.
Finire per caso nel battaglione di camice nere “M”. Salvarsi la pelle sotto i cannoneggiamenti “alleati”. Trovarsi nei campi di concentramento negli Stati Uniti; e scoprirvi i grandi autori americani; e cominciare a scrivere per davvero. Farlo fottendosene dello stile contemporaneo delle italiche lettere. Vivere ai tempi di grandi editori conservatori (Leo Longanesi), reazionari (Edilio Rusconi), illuminati (Neri Pozza). Nonché ai tempi di grandi autori (Montale e Palazzeschi) che assegnano importanti premi (Campiello e Viareggio).
Optare controvoglia per Roma. Definirla una città parassitaria. Qui, in Piazza del Popolo, abbordare, bussandole sulla spalla, una bella fanciulla di diciott’anni più giovane. Sposarla. Ricordarsi di quando tra amici a turno ci s’informava delle novità, dei libri in uscita, dei premi, delle dicerie sulla pseudo intellighenzia romana: “ci spiegava […] che il regista di quel certo film era poi un pederasta, mentre sua moglie se la faceva con un collega, divorziato da una pittrice lesbica”. E ancora: “sono troppo impegnati nel farsi pubblicità, nel darsi premi, nel dedicarsi saggi e critiche in sommo grado encomiastici, nel raccomandarsi l’un l’altro presso editori e direttori di giornali”. Far per qualche tempo una nevrotica spola tra il capezzale del padre morente e gli inaccessibili salotti romani. Isolarsi.
Scrivere un libro dal titolo che evoca la guerra e le camicie nere, e pur prendendo esplicitamente le distanze da quegli anni e denunciando tutto “il grottesco del fascismo”, farsi dare del fascista per il fatto di non dichiararsi antifascista, e anzi identificando l’antifascismo militante come il nuovo fascismo. Non bazzicare cricche, accademie, circoli, partiti. Non votare, e non farsi incasellare in alcun modo. Restare sempre autonomo, libero e imprevedibile. Esser conscio che nessuno è profeta nella propria patria. Demitizzare la resistenza, la costituzione e il marxismo: “Però, dire che il marxismo è cultura non vuol dire che sia la sola sorgente o forma di cultura, e soprattutto non vuol dire che non sia violenza, anzi è violenza perfino nel campo culturale”. Incassare le critiche. Ostinarsi a scrivere…
Darsi alla scrittura di un controcanto, cupo ma non privo d’umorismo, del proprio paese. Scrivere un pamphlet, Modesta proposta per prevenire, in risposta al Manifesto per un partito conservatore e comuni sta in Italia di Antonio Delfini, e attaccare la burocrazia e i magistrati, il parlamento e la partitocrazia, la destra e la sinistra estreme e il centro, e le finzioni che rispondono ai nomi di Patria, Risorgimento, Nazione, Stato, Unità Nazionale, Popolo, Onestà, Scuola, Giustizia, Verità, Amore “e, immancabile, il Rispetto per le Leggi e le Istituzioni”. In un capolavoro teatrale profetizzare le derive del femminismo nella sedicente giustizia. Sbarcare il lunario scrivendo sceneggiature dozzinali per i cinematografari. Rifiutare una regia ma vedere un grande regista trasporre un proprio libro.
Farsi stroncare da critici letterari del calibro di Enrico Falqui. Ben sapere che tali critici letterari cadranno in un triste oblio. Spiegare: “In questo paese chi ha più soldi ha più ragione”. Poter, stoicamente, o dover, controvoglia, affermare di sé: “La critica […] da principio mi definì dilettante. Poi, siccome mi ostinavo a scrivere, ma ancor più mi ostinavo ad osteggiare i gruppi che manipolano i successi, dissero che ero pazzo”. Ricevere gli elogi del romanziere da cui è tratta la citazione in esergo al proprio più grande successo di critica e pubblico. Venire a sapere di essere uno dei tre scrittori italiani cari a Ernst Hemingway, assieme a Pavese (bene) e Vittorini (male). Avendo come principale ostracista Moravia, che domanda: “Perché porti quella barba?”, rispondergli: “Per ricordarti Hemingway”. Avere una nevrosi quasi paranoica e farne tema letterario: “La nevrosi è una malattia basata sulla paura. Paura di tutto: della morte, della pazzia, della gente, della solitudine, del movimento, del futuro”. Non prendere ascensori, treni, auto, aerei, navi, ed essere ipocondriaco al punto di dormire con due vocabolari sotto le gambe per favorire la circolazione. Aver persino e anzi soprattutto quella cosa che molti autori contemporanei dovrebbero avere fino alle estreme conseguenze, ovvero la paura di scrivere. Comprare un lembo di terra sul mare greco, o sul surrogato di Calabria, e qui affogare, per dirla con Pietrangelo Buttafuoco, “la vanità della fuga”, e vale a dire costruirsi con le proprie mani una casa, “un rifugio di pietre”.
Ricordarsi delle parole di Alessandro Gnocchi a proposito di Giuseppe Berto e Antonio Delfini: “Il fatto che autori come questi siano considerati irregolari, misconosciuti o dimenticati, suggerisce che l’Italia abbia un problema di libertà da risolvere. Così rispose Antonio Delfini a un questionario sullo stato della cultura italiana: ‘È un problema di libertà. […] Se un popolo non ama la libertà, quel popolo non avrà cultura’”.
Non esser quasi mai menzionato sui manuali e nelle antologie di letteratura italiana del Novecento. Del Novecento aver scritto il più bel romanzo neoromantico, strano e nevrotico, erotico e cattolico. Scegliere come protagonisti due tardoadolescenti innamorati a Venezia. Sigillarlo con la più breve e più bella prefazione della storia letteraria d’ogni tempo e d’ogni paese: “Sia chiaro ch’io sono per l’ordine, e che ciò è inutile.”
Anche se non si ambisce a diventare grandi scrittori e a risolvere e crearsi problemi scrivendo, ma si è giusto una giovane coppia d’adolescenti, tardoadolescenti o perché no pure trentenni o persino più vecchi, si prenda esempio dai due buffi, sprezzanti, donchisciotteschi eroi di quel romanzo. Non può far che bene.
E ancora un consiglio. Farla finita, una volte per tutte, col fascismo e con l’antifascismo.
Marco Settimini
***
La cosa buffa di Giuseppe Berto (frammento)
Era una Venezia minore e dimessa quella ch’essi erano stati portati a prediligere […] perché lì era facile trovare un sottoportico o una calle poco frequentata o un punto scarsamente illuminato di qualche piccola fondamenta o un posto qualsiasi dove non appena fosse decentemente buio essi prendevano a baciarsi come matti con l’improvvisa cognizione che tutto quel ch’era accaduto prima di quel momento, vale a dire la gioia sempre rinnovata dell’incontro giornaliero e poi il lungo camminare tenendosi sottobraccio e l’instancabile giro di sospiri e occhiate e parole […] per loro andava bene solo col chiaro mentre non appena faceva buio rivelava una misteriosa insufficienza e inadeguatezza cosicché essi per tenersi al corrente dovevano cominciare a stringersi e a baciarsi […].
Le carezze erano cominciate in una sera di forte tramontana quando Maria toccandogli le mani s’era accorta di quanto fossero gelate e dicendo povero amore come sono gelate le tue mani aveva cercato di scaldargliele col fiato e anche con diversi baci ma poi visto che così non si ottenevano grossi risultati s’era aperto il cappotto e l’aveva invitato a scaldarsi meglio addosso a se stessa ché in quel momento lei non aveva affatto freddo, e lui era entrato nel dolce tepore del golf di cascimir fermandosi con le mani a premere delicatamente sui magri fianchi di lei sentendone le costole e i piccoli spazi tra una costola e l’altra e il moto un po’ rapido del respiro e percependo direttamente l’enorme tenerezza di quel contatto che a suo modo di vedere era d’una purezza esemplare anche perché l’impressione dominante era che le costole di lei fossero d’una fragilità infantile, però a lungo andare chiunque avrebbe capito che starsene lì con le mani ferme contro il corpo di lei senza stringere né cercare era cosa abbastanza ridicola e comunque poco naturale e invero Antonio stesso cominciò a pensare che ben altrimenti egli si sarebbe comportato se invece di Maria avesse avuto per le mani una ragazza un po’ meno intemerata ma naturalmente con lei non poteva comportarsi come la dozzina scarsa di ragazze meno intemerate che aveva conosciuto prima quantunque ad essere proprio onesti si dovesse ammettere che i baci con Maria avevano ormai di gran lunga sorpassato e in profondità e in completezza ogni bacio mai sperimentato prima, ma questo era un discorso giusto solo fino ad un certo punto e anzi non era giusto affatto perché un confronto tra Maria e le altre era assolutamente fuori tema e in conclusione quella prima sera egli aveva ritirato le mani che non erano ancora granché calde dicendo che bastava.
Ma la sera successiva che la tramontana era ancor più secca e gelata tornando a scaldarsi le mani su di lei egli le aveva toccato o per meglio dire sfiorato senza proprio volerlo il seno, un gesto a dir poco imprudente e infatti lei aveva avuto un tremito che poteva essere di sbigottimento o chissà mai addirittura d’insofferenza […], ma per fortuna lei non appena passato quell’insondabile tremito si affrettò a dirgli caro e caro quattro o cinque volte di seguito e in più con un’intonazione di voce tanto languida che perfino un tonto sarebbe arrivato a capire che se a lui fosse piaciuto accarezzarle il seno lei sarebbe stata sufficientemente contenta di farselo accarezzare, e così lui s’era sentito impegnato a ripetere volontariamente il gesto poco prima compiuto per caso e l’aveva fatto con grande spavento e tuttavia con stupore sia verso la cosa in sé che si presentava morbida e sensibile sia verso il godimento che sia pure a poco a poco egli ne ricavava.
E beninteso neppure da ciò era stato più possibile tirarsi indietro anche perché al momento buono non c’era nessuno dei due che proprio lo volesse e così ora subito dopo i primi due o tre baci egli senz’altri preamboli prendeva ad accarezzarla e anzi le sue mani penetravano direttamente sotto il golf e cercavano tepore e una pavida dolcezza sulla pelle nuda con l’incomodo di trovare una strada non troppo ingarbugliata tra sottoveste e reggipetto e relative spalline finché le dita arrivavano a contatto con la rotondità cedevole delle mammelle e lei allora si tendeva tutta contro il muro e tremava e diceva col fiato ansante una buona quantità di parole tenere come amore e dolcezza e tesoro mio sicché ormai non poteva sussistere alcun dubbio che ciò non le piacesse addirittura parecchio e anche ad Antonio piaceva moltissimo si capisce […].
Invero per quanto accarezzarle il seno fosse azione straordinariamente bella e dolcissima non si poteva dire che fosse pure in ogni senso compiuta e difatti alla fine di tutto quell’accarezzare restava uno strato di tensione tanto più inquietante e insoddisfatta quanto più il contatto era stato intenso e lungo e insomma ci voleva molto poco a capire che v’era un’altra e più segreta parte del corpo di lei che chiedeva d’essere accarezzata con un abbandono e anzi un richiamo per così dire autonomo nel senso che lei mica doveva rendersene perfettamente conto ma che comunque era lo stesso efficace a tal grado che una mano d’Antonio prendeva infine coraggio e cercando una stretta via tra la gonna e il ventre di lei che peraltro si ritraeva per facilitarne il passaggio scendeva sempre più giù fino a trovare quel punto basso del grembo che sembrava attirarla e lì indugiava in carezze o in qualcosa di simile mentre in lei avveniva un che di poco chiaro come una specie d’irrigidimento cedevole o di cedevolezza contratta e smetteva anche di dire le parole tenere inquantoché si teneva le labbra a morsi forse temendo di mettersi a gridare e quindi respirava col naso sempre più frequentemente e in ultimo dopo una sconcertante rottura piena di brividi gli diceva basta e si lasciava andare in un rilassamento estenuato col volto ancora acceso e gli occhi smarriti ma molto più luminosi di prima, e insomma diventava tutta tenerezza dopo il suo solitario appagamento.
Giuseppe Berto
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williamdbellb · 6 years
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Hundreds of stakeholders call for urgent action to stabilise UK solar
A Client Earth survey shows that 62% of UK homes want to install solar.
The Solar Trade Association (STA) has published an open letter to Energy Minister Claire Perry calling on her to urgently confirm the continuation of the ‘export tariff’ from next April.
The ‘export tariff’ is not a subsidy but a mechanism that works alongside the Feed-In Tariff (FiT) to ensure small solar generators are paid at a fair market rate, for the power they feed into the grid.
The letter has been signed by over 200 diverse organisations, representing cutting edge ‘smart’ technologies, innovative suppliers and leading lights in the solar and battery storage industries.
Chief executive, Chris Hewett, said: “The latest government proposals for solar power are creating shock waves well beyond the solar industry.
“Nobody can fathom how government can contemplate leaving households and small organisations as the only generators left unpaid for the valuable power they put into the electricity network. We are asking the Energy Minister to act quickly and promise to maintain the export tariff and to uphold the basic rights of a market.”
The letter is published as the government closes one of its consultations on the FiT. The solar industry currently faces huge policy uncertainty when the FiT ends next March.
That is despite a recent survey by Client Earth, one of the signatories to the letter, showing 62% of UK homes want to install solar and 60% want to install battery storage.
James Watson, chief executive of SolarPower Europe, said: “We are astonished that the UK could propose ending payments to householders for their clean power just as Europe moves to secure the rights of all its citizens to fair payment.
“Such poor treatment of British small-scale energy consumers will harm public engagement in solar, at a time when we need to increase the uptake of clean energies, and will put the UK public at a huge disadvantage compared to other EU countries.”
The proposal also comes when UK solar deployment is at an eight-year low and the industry urgently needs Government to provide a fair and level playing field for the technology.
Deployment of solar in the UK has fallen by 95% in 2018 compared to 2015, as it has been hit with a series of damaging tax changes alongside the removal of support.
Leo Murray, director of Strategy at 10:10 Climate Action, said: “The FiT has been the most popular and successful British climate change policy ever implemented, empowering hundreds of thousands of citizens and communities to help tackle the defining challenge of our time.
“Scrapping it with no form of replacement doesn’t just mean locking the public out of the renewables revolution, it risks derailing it altogether.”
The letter instead asks Government to not only maintain the fair export tariff, but remove a series of regulatory barriers which are currently preventing a market for local flexibility services and exported power to flourish.
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pangeanews · 6 years
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“Viviamo nell’egemonia del politicamente corretto: per sopravvivere affidiamoci a Longanesi e a Flaiano”. Dialogo con Francesco Giubilei
Eravamo baldi, giovani, sfrenati. Io ero il più giovane e, per lo più, il più imbecille. Negli anni fatati del Domenicale, appena varcata la cancellata del millennio, sotto la bacchetta di Angelo Crespi, passammo mesi, insieme alla ‘crema’ dell’intelligenza giornalistica – Buttafuoco, Facci, Langone, Mascheroni, Respinti, Canessa, Buscaroli figlia e una sfilata di altri – a baloccarci con il concetto ‘cultura di destra’. Io non ero la crema, sia chiaro, ero il latte già inacidito. Per cui, orfano di tutto, di parenti buoni e di politica attiva, figliando poesia, ascoltavo. Al di là di una vasta, poliedrica, disomogenea costellazione di autori – Malaparte, Flaiano, Montanelli, Buscaroli padre, Berto, Piovene – e di altri che piovevano lì per lì, a seconda dei singoli amori – Tolkien, Dostoevskij, Russell Kirk, Rilke, Jünger … – il problema era, di solito, risolto così. La ‘cultura di destra’ non esiste, esistono degli individui singoli, anarcoidi, inafferrabili, inaffidabili, che non si riconoscono nel pantano culturale ‘rosso’. In effetti, il Domenicale franò perché troppi galli non fanno una polleria, troppe intelligenze singolari non fanno massa, troppi generali non vincono la guerra. Che fragoroso paradosso: la ‘sinistra’, galvanizzata da Gramsci, fece della cultura pop la chiave per entrare in Parlamento; la ‘destra’ anche sotto spirito berlusconiano, fece nulla. Anzi. Vezzo del politico di destra – quando sinistra e destra erano didascalie sul vuoto, ora è solo il vuoto – è invitare nel proprio salotto l’intellettuale che per sua natura è di sinistra, per farsi accogliere, così, nel club di quelli davvero intelligenti. Questo magma, ora, trova un solido studio nel lavoro di Francesco Giubilei, che dopo essere stato il più giovane editore del mondo occidentale – suoi i marchi Historica e Giubilei Regnani – ha aperto un paio di librerie, a Milano e a Roma con il marchio ‘Cultora’ – che è il suo quotidiano online – è diventato presidente della Fondazione Tatarella, ha pubblicato una biografia di Leo Longanesi e una Storia del pensiero conservatore, tra poco ti fanno Ministro, lo sfotto, ricordati di questo povero poeta svalvolato, gli faccio. Si intitola Storia della cultura di destra (Giubilei Regnani, 2018), il tomo suddetto, ha una bibliografia lunga così (25 pagine), sistema un paio di cose (“Il fascismo non è stato di destra, o meglio, è stato anche di destra ma non solo, perché costituito da varie anime e correnti”; “il berlusconismo è caratterizzato da propri modelli che esulano dai canonici riferimenti della destra”), tenta uno studio organico su un fenomeno taciuto, sotterraneo, analizzato, di solito, con l’ascia del pregiudizio. A leggere i nomi di scrittori, giornalisti, intelletti ‘di destra’, c’è da sbavare: si va da Longanesi a Ennio Flaiano, da Tomasi di Lampedusa a Giovanni Arpino, da Giuseppe Berto a Guido Piovene e Cesare Zavattini e Giovannino Guareschi e Mario Praz… Al qui scrivente – che ha l’ossessione per la maestria dello scrivere – piacerebbe che questa porzione della cultura ‘di destra’, quella più colta e sfrangiata, sfiancata dalla Storia matrigna, fosse dilatata all’eccesso. Da qui, comunque, comincia il dialogo con Giubilei. (d.b.)
Esiste davvero una ‘cultura di destra’? Attorno a quali valori si riconosce?
Una cultura di destra è esistita ed esiste, al netto del superamento da un punto di vista politico dei concetti di destra e sinistra con l’affermazione di partiti post ideologici come Lega e Movimento Cinque Stelle, da un punto di vista culturale la cultura di destra ha rappresentato nel corso del Novecento uno straordinario bacino per idee non conformi e controcorrente e valori messi in discussione dalla vulgata e dall’egemonia  culturale progressista. Nel libro analizzo la cultura di destra italiana dal dopoguerra al governo giallo-verde tralasciando il fascismo e cerco di tratteggiare quelli che sono i valori alla base della cultura di destra identificati nel 
Citami: uno scrittore ‘di destra’ particolarmente esemplare e un libro di riferimento.
Citarne solo uno sarebbe riduttivo, la cultura conservatrice ha espresso autori come Tomasi di Lampedusa, Guareschi, Flaiano, Sgorlon, Piovene, Berto… Scrittori di grande qualità letteraria che sono stati spesso osteggiati e a tutt’oggi non sono sufficientemente ricordati a causa del prevalere dell’egemonia culturale teorizzata da Gramsci. Per anni c’è stata un’egemonia da parte del pensiero progressista, oggi assistiamo a un nuovo tipo che è quella del politicamente corretto ma le modalità con cui si concretizza sono le stesse: controllo dei principali canali di informazione, dei festival culturali, delle case editrici, delle scuole, delle università. Un sistema che andrebbe scardinato cercando di recuperare il pensiero e le opere di letterati, giornalisti (Montanelli, Nutrizio, Ansaldo, Cervi), filosofi (Del Noce, Gentile), editori (Volpe, Longanesi).
Lui è Francesco Giubilei, classe 1992
Da tempo siamo orfani di cultura tout court, ma non è che un governo ‘di destra’ – penso agli anni dell’egemonia Berlusconi – abbia fatto molto per la cultura. Insomma, dove sta il problema? Oggi, poi, mi pare che di tutto si speculi tranne che di ‘cultura’.
Il rapporto tra la politica e la cultura è un tema tanto affascinante quanto, visto dal lato della cultura, deludente. Purtroppo molto spesso i politici considerano gli intellettuali non un’opportunità bensì una minaccia, soprattutto a destra. Certo, ci sono importanti eccezioni come Pinuccio Tatarella che unì straordinari risultati politici a un’intensa attività editoriale con le sue riviste la cui memoria è oggi conservata dall’omonima fondazione, ma in generale, specie quando il centrodestra è stato al governo, si sarebbe potuto fare di più. Il vero problema è la mancanza di visione da parte della maggior parte dei politici che pensano la cultura non porti voti limitandosi a cercare risultati a breve termine piuttosto di una progettualità che, se nell’immediato può sembrare effimera, nel lungo periodo permetterà di costruire una base valoriale e una preparazione che porteranno alla formazione di una nuova classe dirigente e di un elettorato consapevole.
Da chi è rappresentata, oggi, a tuo avviso, una ‘cultura di destra’? Insomma, non vedo un Giovanni Volpe all’orizzonte. E… la cultura di sinistra? Dove si è infilata, dove vive, respira, aspira?
Dovremmo chiederci se esistono ancora destra e sinistra e conseguentemente se si può parlare di cultura di destra e cultura di sinistra, se consideriamo superata questa dicotomia è necessario allora intraprendere un serio percorso di studio su quello che hanno rappresentato per il nostro paese la cultura di destra e di sinistra. Di contro, se destra e sinistra esistono ancora ma in forme differenti, occorre capire chi oggi rappresenti i valori legati a questo mondo. Non voglio fare nomi perché risulterebbero senz’altro parziali e incompleti, dico solo che in parallelo a una generazione di ‘padri nobili’ che si è formata negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, oggi stiamo assistendo a un nuovo fermento con la nascita di associazioni, centri studi, siti internet, case editrici. Le sfide sono due: mettere a fattor comune queste sigle e creare una rete che superi divisioni e individualismi ed evitare iniziative tirate via, amatoriali o poco serie, la cultura delle destre, oggi più che mai, non può permettersi sciatteria, persone che non rispettano gli impegni e progetti fatti male.
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pangeanews · 6 years
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“Un uomo si stava radendo. Poi si è buttato dalla finestra. Tutto comincia così”: dialogo estremo con Paolo Castronuovo, lo scrittore con 18 libri inediti nel PC
Se il buon giorno si vede dall’incipit. “Il rasoio nuovo scivola che è una meraviglia. Sto togliendo quella matassa infinita di barba insediata da polvere, tufo e gocce di pittura. Voglio restare pulito per compiere la mia opera migliore. La galleria è giusto un paio di isolati più in lì, farò due passi fumando l’ultimo sigaro, o meglio il primo dopo una lunga pausa per via di una faringite cronica. Ma stavolta bisogna festeggiare, prima che i vermi mi ricoprano le mani, la faccia, il corpo, e che s’insidino sotto i vestiti. Quest’opera mi taglierà in due, sarà tassidermica, forse un po’ spinta, un po’ macabra, ma di sicuro la mia maggiore di tutti i tempi. Vorrei fosse epocale”. Non male. Paolo Castronuovo, che ha già una attività editoriale intensa, da Labirinti (2009) a L’insonnia dei Corpi (2018), esce ora con il suo lavoro più complesso, La Falla Oscura (Castelvecchi, pp.90, euro 12,00), fluviale monologo, dissacrante distopia, evento linguistico che fa a fette pensiero e mente, tempo e spazio. Non mancano, in questo delirio dell’io compresso in imbuto, alcune granate in faccia al sistema editoriale odierno. “Non mi chiedo più nulla sull’editoria in generale, o su quella specifica per la poesia, piena di poeti, agenti, critici, giudici, direttori di collana. Sono sempre gli stessi nomi e gli stessi volti. Sette che tirano avanti il carro per sé stessi, che pubblicano e premiano poesie glitterate e poetesse tettone che non appiccicano due parole. Ormai so che è così, e questo mondo editoriale non cambierà mai”. Per la programmatica violenza nel rompere con le consuetudini della narrativa italiana, Castronuovo pare un nipotino di Antonio Moresco, l’avatar di Philip K. Dick in una fiction girata a Saigon. Caos, insomma.
Da quale intuizione arriva “La Falla Oscura”, quali sono state le ispirazioni? E… che senso ha, cosa vuoi dirci tramite quel romanzo?
Un uomo si sta radendo e all’improvviso si butta dalla finestra. È partito così. Accade sempre così, io apro un documento word e comincio a scrivere tutto ciò che mi passa per la testa. Proprio come per la poesia – il mondo da cui provengo – ho una scrittura automatica, surreale e pulsante. Penso subito a come un libro dovrebbe finire e scrivo subito il finale, poi passo all’inizio, e infine alla parte centrale, per dilatarla, ampliarla e conciliare i due estremi. Quindi più che ispirazione, a cui francamente non credo, c’è molta sudorazione, lavoro, tagli, cesure, cicatrici (non mi alzo dalla sedia fin quando non mi escono le emorroidi dalle ascelle. Tutto deve essere preciso. Senza incongruenze) e soprattutto un vissuto da raccontare. Con La Falla Oscura, ho “raccontato” una storia più lineare rispetto al mio precedente romanzo, in cui lasciavo divertire il lettore a collegare il tutto come in un puzzle. Ho pensato subito di mettermi a nudo con la mia biografia… un viaggio tortuoso nella psichiatria di cui solo ora rendo pubblico, ma alla fine, a chi interessa? Chi sono io, di così importante, da poter suscitare interesse raccontando la mia vita e il mio calvario con la depressione? Ce n’è fin troppa di questa roba, se non robaccia. E poi avrebbe davvero un senso? Allora l’ho impostata così: “Un autore comincia a scrivere di se stesso, della sua vita, prima di suicidarsi – anche se non lo rendo chiarissimo per i motivi che si leggeranno –, ma il suo Corpo e la sua Mente, che io chiamo Pensiero, si distaccano l’uno dall’altro. Il Corpo si occupa di arte contemporanea estrema – e su questo devo dire che mi aveva incuriosito la morte dell’artista Chiara Fumai, la performer trovata esanime nella sua galleria – e il Pensiero si occupa della scrittura, ma entrambi devono riconciliarsi, unirsi nuovamente, l’uno non può stare senza l’altro. Il Corpo è impulsivo, e il Pensiero è troppo razionale”. Il tutto poi sfocia nella seconda parte: Sconfinamento, dove il narratore che ha smesso di scrivere le sue memorie si accorge vedendo un notiziario che la Terra è ferma per via di una collisione asteroidale. Il Tempo non esiste più e lo Spazio sta scomparendo. Deve quindi trovare la sua redenzione, la sua pace, nonostante incontri sempre sui suoi passi un losco personaggio chiamato il Lercio, che tenta di ostacolare la sua missione. Missione infatti è il titolo della terza parte. La storia dell’asteroide che spazza il Tempo e lo Spazio annullando ogni forma di dimensione spaziotemporale, e di cronaca, su cui tutti i romanzi ormai si fondano, è l’analogia della perdizione, del distacco del vuoto in cui si vive. Come lo è anche il titolo, La Falla Oscura: il luogo inesplorato di ognuno. Il narratore si analizza, perlustra nel suo passato più profondo e fa di questa avventura una terapia. Mi piaceva l’idea di inserire una storia distopica. Una semplice storia biografica come un raccontino annoierebbe. Quindi quando mi chiedono di che parla il mio romanzo, mi risparmio tutta questa pappardella e dico che è una biografia distopica – a sfondo psicologico.
Scrittura in prima persona, in lucidità delirante: perché? Come scegli il linguaggio con cui rivestire i tuoi lavori?
La prima persona è fondamentale per me. Mi immerge meglio in un mondo/universo tutto mio, non mi distrae da terze persone o terzi elementi. In tutti i miei scritti compare sempre la prima persona per adesso, poi un domani si vedrà. La Falla Oscura dovrebbe essere l’inizio di una trilogia: La Trilogia Nulla. Dico sempre “dovrebbe” perché scrivendo in questa maniera non so quasi mai dove andrò ad approdare, o meglio, ho sempre un obiettivo, ma mi dilato molto nelle revisioni e nel cercare di rendere il tutto collegato perfettamente tramite i dettagli, com’è accaduto in precedenza e come accade.
Cosa leggi? Che giudizio hai sulla narrativa italiana di oggi, sul sistema editoriale italico?
Sono un lettore onnivoro, ma mi nutro soprattutto di Beat Generation, Surrealismo, Neoavanguardia, Postmodernismo e sperimentazioni letterarie. Sulla narrativa di oggi vorrei dire che è quasi tutta merda. Si confezionano libri a puntino. Basta vedere i più venduti, dall’illeggibile Sole, all’ovvietà di Gio Evan con le sue pugnettine per casalinghe che vogliono rimanere giovani, e adolescenti che nulla stanno facendo che suicidarsi in un baratro abissale più squallido della retorica. Non è tutto da buttare però, ci sono nuovi autori (quelli che come ambizione hanno solo scrivere) davvero bravi. Ad esempio Introna, che per il suo ultimo libro ha lavorato svariati anni, o anche Funetta con la sua prosa dissacrante e distopica, per non parlare di quel folle di Krauspenhaar da strangolare e abbracciare. I miei preferiti però, di tutti i tempi e geografie rimangono sempre Moresco – a mio avviso il miglior scrittore italiano, basta leggere la sua trilogia I Giochi dell’Eternità per capire il calibro infinito di quell’uomo – , Moravia, Bene, Burroughs, Wallace, Ginsberg, Cartarescu. Come vedi, Davide, spazio di infiniti “generi” e sempre meno italiani. Per il resto leggo moltissima poesia. Non potrei farne a meno, neanche di scriverla. Dire chi è il mio poeta preferito è troppo complicato.
Come si concilia la poesia con il romanzo, con la prosa?
Ecco, come accennato, Mircea Cartarescu sarebbe l’esempio lampante. Lui a mio avviso non scrive romanzi, ma poesie infinite, mastodontiche, eterne. La mia personale opinione è che rimangono due cose conciliabili solo tramite lo stesso autore. Un poeta può scrivere un buon romanzo. Uno scrittore scriverà poesie pessime. Questo si è visto e ripetuto più volte nella Storia. Basta pensare alle illeggibili poesie di James Joyce, e alla sua Divina prosa sperimentale. Che nessuno ha capito, e mai capirà. Basta pensare all’Ulisse: “Io Leopold mi accodo a un funerale, mia moglie mi tradisce e ne sono a conoscenza”. È questo il vero riassunto di quel librone. È non il cosa, ma il come dici qualcosa. Quanta dedizione ci metti. Come e dove riesci a collocarlo. C’è più poesia nella prosa di Joyce che nei suoi versi. Joyce, per dirne uno. Poi, ovviamente ci sono stati nella Storia della Letteratura casi lampanti, come Leopardi, D’annunzio.
C’è un legame, a tuo avviso, tra arte e politica, tra scrittura e potere? T’importa questa politica, quella di oggi?
La politica e l’arte devono ben distanziarsi. Sia nei contenuti che nel potere dei premi. Ungaretti, uno dei miei poeti preferiti in assoluto, ma estremamente distante a livello politico, non ha vinto il Nobel perché era di destra. Ma lo meritava più che di Montale. Per i premi, poi, oggi ce ne sono talmente tanti che ormai mi rifiuto di parteciparvi. Vedo i vincitori e sono sempre gli stessi. Questo però è un capitolo a parte menzionato anche nel mio romanzo. Ma ci si potrebbe scrivere un libro a parte. Per la politica nell’arte, anche gli “addetti alla cultura” dovrebbero metterla da parte. Altrimenti sporcherebbero tutto, e si troverebbero dinanzi un pubblico che gli sta dietro solo per convenienza, che gli dà ragione giusto perché deve (ma alla fine non vuole). Invece per la politica di oggi… Ah, abbiamo politici all’opera? Credevo avessero chiuso il Parlamento trasformandolo in un grande Bar.
Il libro della vita. Il libro che avresti voluto scrivere. Il libro che scriverai. Dimmi.
Come dicevo prima, come per i poeti preferiti, non c’è un mio libro preferito. Ma Canti del Caos di Moresco; Pasto Nudo di Burroughs; La Scopa del Sistema di Wallace; La Storia dell’Occhio di Bataille; e Kaddish di Ginsberg, e le poesie di Bréton, rimangono dei miei punti cardini. Per quanto riguarda il futuro credo di riscrivere il mio precedente romanzo, per adattarlo a questa fantomatica trilogia che ti dicevo. Ho già il nuovo titolo in mente, o meglio, sono obbligato a usare quello in quanto menzionato con un titolo fittizio ne La Falla Oscura. Accadrà comunque, ne sono certo, che la poesia prenderà il sopravvento e continuerò a scrivere, scrivere, scrivere… Ma mai, e guai, pubblicare tutto. Ho diciotto inediti sul PC, e rimarranno lì.
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