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#Spesso
ragazzoarcano · 7 months
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“Troppo spesso sottovalutiamo il potere di un tocco, un sorriso, una parola gentile, un orecchio in ascolto, un complimento sincero, o il più piccolo atto di gentilezza, che hanno tutti il potenziale per cambiare una vita.”
— Leo Buscaglia
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serenamatroia · 1 year
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unaragazzadadifesa · 1 year
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Spesso vogliamo cambiare la nostra vita, ma quasi sempre è lei che cambia noi...
- Serena P. (unaragazzadadifesa)
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stemk17 · 11 months
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Premio: "è meglio che sto zitto" assegnato a Maurizio Scaltriti.
L'analfabetismo funzionale di Maurizio Scaltriti (@ScaltritiLab su Twitter).
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Quali sono i principi della deontologia medica?
1) Rispetto per i diritti e la dignità di ogni persona
2) Competenza
3) Responsabilità
4) Integrità
che non ritroviamo nell'atteggiamento sopra riportato in allegato, e ciò va a discapito dell'autorevolezza della scienza stessa.
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cathy257 · 2 years
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Milk chocolate mousse, brownie and caramel butter cream. The perfect end to a wonderful (as always) evening with @mariamartensson_ #spesso #chocolatemousse #brownie #dessert (på/i Spesso) https://www.instagram.com/p/CkOyKabtIDM/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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ilfascinodelvago · 3 months
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L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo
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sonego · 3 months
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all the italian grand slam winners in tennis history 🇮🇹
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ragazzoarcano · 8 months
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"Noi che abbiamo l'anima moriamo più spesso"
— Emily Dickinson
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thenightunfurls · 3 months
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e comunque potevamo perdere mahmood per Milano e invece lui ha deciso di fregarsene e di essere sardo dalla testa ai piedi
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serenamatroia · 7 months
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unaragazzadadifesa · 2 years
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Il problema è che spesso sono troppo impegnata a vivere per scrivere.
- Serena P. (unaragazzadadifesa)
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tettine · 25 days
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viendiletto · 3 months
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Ho vissuto 17 anni a Pola ed è stata una vita da favola: è quella la mia terra e mi manca tanto. Siamo andati via nel 1946 perché c’erano già state le prime foibe, in Istria si sapeva, a Pola meno. Venivano di notte, chiamavano la persona e dicevano “Vieni, ti devo parlare”, e quella spariva. Poi ci accorgemmo che, dopo tempo, a Pola, sui tabelloni di un cinema erano esposti cadaveri; così la gente andava alle foibe per cercare lembi di indumenti dei familiari scomparsi. Fummo sfollati a Orsera (in croato Vrsar) nel 1944-’45, quando avevo 14 anni, perché gli alleati bombardavano e c’erano i tedeschi. Ricordo un presidio di giovani soldati, 18 o 19 anni, che furono convinti dalla popolazione pro-Tito a lasciare il presidio e andare in bosco coi titini. Questi presero le armi dei nostri soldati e si vestirono con le loro divise: i giovani che andarono in bosco non tornarono più. Le mamme andavano a chiedere a don Francesco Dapiran, poi parroco di Fertilia, dove fossero i loro figli, e lui andò a cercarli paese per paese, chiedendo alla popolazione dove fossero stati portati: erano tutti morti gettati nelle foibe. Tornammo a Pola e riprendemmo la vita di tutti i giorni. Vivevamo in mezzo a gente slava, ma non lo sapevamo, eravamo tutti una comunità. Furono alimentati rancori e odi, ma in realtà non c’era questo fra noi, eravamo gente buona. Mio padre, originario di Buggerru, e mia madre ripresero a lavorare, io proseguii gli studi. Poi anche da noi iniziarono le uccisioni e facemmo domanda per espatriare. La nostra partenza fu fissata il 10 febbraio 1947, ma l’uccisione del generale De Winton la rinviò. Essendo una ragazza di 17 anni, vivevo quell’esperienza non come un disagio, ma come un’avventura. Partimmo col successivo imbarco, il pomeriggio di sabato 15 febbraio. La domenica, a bordo, il parroco celebrò la messa, quindi, nel pomeriggio, arrivammo ad Ancona. Mi aspettavo una festa d’accoglienza, con le bandiere, invece ci vennero incontro delle barche con a bordo uomini che, col pugno chiuso, ci insultavano gridando: “Tornate a casa vostra, fascisti!”. Se non ci fossero stati i carabinieri quelli ci avrebbero buttati in mare: li ringrazierò per sempre per quello che hanno fatto per noi. In treno raggiungemmo Civitavecchia da dove c’imbarcammo per la Sardegna. Il giorno dopo sbarcammo ad Olbia, quindi ci trasferimmo a Sassari e da lì prendemmo il treno per Cagliari. Il paesaggio che si presentò ai miei occhi era desolante, mi sembrava di attraversare la steppa; ricordo delle cavallette enormi ma anche un bel sole, che ci accolse con tutto il suo calore. Il primo impatto con Cagliari fu positivo: il municipio e il bel giardino antistante mi diedero subito l’impressione di una bella città, nonostante i danni subiti dalla guerra appena terminata. Ci condussero nel campo profughi, situato tra le vie Logudoro e San Lucifero, e lì l’accoglienza fu buona. La città mi piaceva e mi piace, ma mi sono inserita con difficoltà, la mia mentalità era diversa da quella che ho trovato e non riuscivo a capire le persone che si esprimevano solo in sardo. Sono arrivata a 80 anni e ringrazio Dio e ringrazio la Sardegna perché mi trovo bene, la vita è tranquilla, una pensione l’ho avuta, ho pochi amici ma buoni e tengo collegata tutta la ‘mia’ gente, sparsa in tutto il mondo.
Nerina Milia, esule da Pola
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gelatinatremolante · 9 months
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Sguazzare nell'acqua, mangiare pesche (oltre a gelati, granite e ghiaccioli), vivere solo dal tramonto in poi e altri modi per riuscire a sopravvivere a questa stagione conosciuta con il nome di estate.
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