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MAG071 - Caso 0172501 - “Metropolitana”
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KAROLINA
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Un secondo. Dichiarazione di Karolina Górka, riguardo a un breve periodo in cui è rimasta intrappolata sulla metropolitana di Londra. Dichiarazione rilasciata direttamente dal soggetto il 25 gennaio 2017.
KAROLINA
Grazie. La notte del 6 gennaio 2017 ho lasciato lo Star of Kings e ho camminato fino alla stazione della metro di King’s Cross Saint Pancras. Per ragioni che non ho interesse di discutere qui ho da qualche anno mantenuto la tradizione di celebrare un Capodanno personale con un paio dei miei più cari amici, una settimana circa dopo l’evento vero e proprio. Le ultime due di queste celebrazioni sono avvenute allo Star, un pub a cui mi sono affezionata per la sua selezione di birre e i caminetti che tiene accesi durante l’inverno. Lo trovo un luogo molto confortante.
Era esattamente l’una di notte quando sono andata via, dato che quella era l’ora in cui il pub chiudeva di venerdì, e gli unici ospiti rimasti erano un mio collega di nome Andrew Barnet, la mia amica Leanne Hilliard e suo marito Mark. Tutti confermeranno la mia presenza e l’ora della mia partenza. Avevo originariamente in programma di andare a casa poco dopo la mezzanotte, e la mia coinquilina, Tamara Simpkin, era tornata a quell’ora, ma io ero presa da una discussione piuttosto animata con Andrew, ed ero rimasta fino agli ultimi ordini. Lungo la strada per la stazione, mi sono fermata da Crystal Kebab e ho comprato un pacchetto di patatine che ho mangiato lì. Ho mangiato lentamente, perché si era alzato il vento e non ero così desiderosa di tornare fuori al freddo.
Quando sono arrivata alla stazione avevo perso quello che precedentemente sarebbe stato l’ultimo treno. È stato con un certo sollievo che mi sono resa conto che la Victoria line, che mi avrebbe portato a casa vicino alle Seven Sisters, aveva cominciato di recente a far circolare un servizio notturno di venerdì e sabato. Ero un po’ riluttante a condividere la mia corsa verso casa con un vagone pieno di ubriachi, ma quello era sempre il pericolo di uscire a bere di sabato. Quindi mi sono avviata giù dalle scale mobili e attraverso i tunnel verso il binario northbound della Victoria Line.
Era deserto; non c’era una singola persona all’infuori di me. Guardando giù dall’altro lato ho visto un’altra figura, una soltanto, ma stava camminando verso il resto della stazione. Era difficile a dirsi da una certa distanza, ma credo che avesse in mano una pala di qualche tipo. Non era passato nessun treno da almeno dieci minuti, ma in quel momento non ci ho pensato su.
Era inquietante, aspettare lì, e forse avrei dovuto prenderlo come un segno premonitore, ma c’era stato tanto rumore intorno a me tutta la sera e ora mi stavo godendo il silenzio. Speravo che se il binario era così deserto magari anche il treno sarebbe stato tranquillo. Magari avrei anche potuto avere un vagone tutto per me.
Il treno è arrivato normalmente. Forse i freni hanno finschiato un po’ di più di quanto avrebbero dovuto, ma non c’è stato niente che mi ha colpito come strano. A pensarci ora, forse il vagone era più vecchio di quello che avrebbe dovuto essere, o più polveroso, ma non stavo prestando così tanta attenzione e non l’ho guardato bene dopo. Quindi quando si sono aperte le porte sono entrata e mi sono seduta. Avevo ragione, non c’era nessun altro sul vagone. C’ero solo io.
Il mio telefono era morto due ore prima, quindi non potevo ascoltare la musica, e sono semplicemente rimasta lì seduta in silenzio mentre le porte si chiudevano e il treno cominciava a muoversi in avanti. Aun certo punto il silenzio ha smesso di essere confortante e ha cominciato a darmi l’impressione che se mi stesse schiacciando. Anche il rombo del movimento del treno sembrava silenziato, come se fosse attutito in qualche modo.
Ho cercato di distrarmi. Ho guardato le pubblicità incollate sopra la fila di sedili di fronte al mio, ma erano vuote. Almeno, sembravano vuote quando le ho guardate la prima volta. Avvicinandomi un po’ ho potuto vedere che c’era qualcosa dietro la plastica trasparente. Era terra. Sembrava che ciascuno dei cartelloni fosse stato coperto con uno strato di compatto terriccio asciutto. Mi sono girata a guardare quelli dietro di me, sopra il mio sedile, e ho visto la stessa cosa. Ho alzato una mano per toccarne uno, e sono stata accolta con una piccola pioggia di pietrisco, ma comunque non potevo vedere niente dietro di esso.
Ora che lo stavo cercando potevo vedere che non erano solo questi cartelli a sembrare ricoperti di terra. Appena salita avevo supposto che il vagone fosse semplicemente sporco dalla giornata di viaggiatori, ma ovunque guardassi ora vedevo che c'era un sottile strato di terra asciutta. Era sui sedili, sul pavimento, persino sul bordo dei finestrini. Dove avevo camminato potevo vedere chiaramente le mie impronte sul pavimento fangoso. Erano l’unico paio.
Ho deciso che sarei scesa alla fermata successiva. Quando avessi raggiunto Highbury e Islington sapevo che ci sarebbe stato un pullman notturno che mi poteva portare a casa. Sarebbe stato più lento, ma mi avrebbe fatto scendere dal treno e quello mi stava mettendo molto a disagio. Quindi ho aspettato.
Avevo viaggiato per circa tre minuti a quel punto e ho controllato l’orologio con impazienza. Sono passati cinque minuti. Sono passati otto minuti. Ero sicura che a quel punto saremmo già dovuti arrivare alla stazione successiva, ma il treno continuava ad andare. Non eravamo passati attraverso la stazione successiva; ero sicura che l’avrei vista attraverso i finestrini, e certamente sembrava andare a una velocità normale. Forse anche più veloce, non saprei proprio come misurare una cosa del genere.
Sono passati dieci minuti, poi quindici, e non c’era segno che il treno si stesse per fermare, o anche solo che si stesse avvicinando a un’altra stazione. Non sarebbe dovuto essere possibile, ma lo era. Io stavo lì in piedi, cercando di mantenere l’equilibrio, non volendomi sedere sui sedili o tenermi ai sostegni impolverati. L’aria era diventata pesante, e potevo sentire l’odore di umido freddo, come un vecchio scantinato o una grotta.
Dopo quasi venti minuti ho raggiunto e tirato la leva d’emergenza nella speranza che sortisse qualche effetto. Ho dovuto scavare un paio di manciate di fango appiccicoso da intorno alla maniglia prima di poterla anche solo toccare. L’ho afferrata saldamente e ho tirato. Si è staccata tra le mie mani e potevo vedere che il punto dove si attaccava al muro era stato mangiato dalla ruggine.
È stato a quel punto che ho finalmente deciso di sedermi e aspettare che finisse. Sarebbe arrivato da qualche parte oppure no, e se ero riuscita a vagare dentro un qualche sudicio treno fantasma allora non ci sarebbe stato molto che avrei potuto fare al riguardo. Ho smesso di controllare l’orologio e sono stata seduta lì.
A un certo punto ho sentito il treno iniziare a rallentare. Non c’era indicazione di dove fossimo, e gli annunci automatici della stazione erano silenziosi. Sono rimasta sul mio sedile. È stata una delle poche volte nella mia vita in cui mi sono pentita di essere atea, perché penso che avrei apprezzato avere un dio a cui pregare. Alla fine stavamo andando così piano che non mi sono neanche accorta quando finalmente ci siamo fermati per quasi venti secondi. Ho guardato le porte, ma non sembravano dare segno di aprirsi, e l’altro lato era solo il muro spoglio del tunnel della metropolitana. Non eravamo a una stazione.
Avevo già deciso che, qualsiasi cosa potesse esserci là fuori, non stare sul treno era meglio che stare ferma, quindi ho fatto del mio meglio per aprire le porte con la forza. È stato sorprendentemente facile, e una volta che le ho aperte di un paio di centimetri, qualcosa deve essere scattato e si sono aperte completamente da sole.
Sull’altro lato c'era il muro del tunnel. Ma invece che i soliti cavi e macchinari che ti aspetteresti dalla metropolitana, questo era terra cruda. Era viscida di umido, e invece dello spazio di due piedi che ti aspetteresti tra la porta e il muro, arrivava proprio alla soglia. Non c’era nessuno stacco: le porte sembravano essere attaccate a questa solida barriera di terra.
Mentre diventava chiaro che non c’era modo per me di riuscire a uscire da nessuna delle uscite laterali, mi sono trovata di fronte, nella mia testa, a tre scelte. Potevo stare seduta lì e aspettare, alla mercé di qualsiasi situazione mi ero ritrovata in mezzo. Potevo andare attraverso gli altri vagoni verso il retro del treno e sperare di poter uscire da lì e camminare lungo il tunnel. O potevo fare la stessa cosa verso il davanti del treno, sperando di trovare qualcuno nel comparto del guidatore che potesse spiegare qualunque cosa stesse succedendo. Ho scelto la terza opzione. È stato, ovviamente, un errore.
Le porte tra i vagoni erano strette, e ciascuna portava numerosi segnali di avviso promettenti morte o azioni penali se fossero state usate incorrettamente. Li ho ignorati e ho aperto quella che portava verso il davanti del treno. Il buco tra i vagoni era viscido di fango e una sottile pioggerella di terra gocciolava giù dal soffitto del tunnel. Ho aperto la porta successiva e sono entrata.
Era ancora più sporco in questo vagone rispetto a quello che avevo lasciato, con un chiaro strato di terra fangosa sopra ogni cosa che potevo vedere. Il silenzio era stato sostituito da un nuovo rumore, una specie di lamento cigolante che sembrava provenire dal treno stesso. È stato solo dopo che ho saputo che quello è il suono che fa il metallo quando posto sotto grande sforzo. Ho camminato velocemente attraverso questo vagone, senza vedere niente che catturasse la mia attenzione, e ho aperto la porta successiva all’altra estremità, continuando il mio viaggio verso il guidatore.
Non avevo visto quanto fosse lungo il treno quando ero salita, ma ero stata al centro della banchina quindi non penso che ci sarebbero potute essere più di quattro o cinque carrozze fino alla punta. Questa porta sembrava chiusa saldamente, ed è stato solo con un grande sforzo che sono riuscita a tirarla aperta. Sono quasi caduta nello spazio tra di loro nel cercare di forzare la successiva. Sono certa che se fosse successo sarei morta.
Quando sono entrata in questo qua la prima cosa che ho notato era il soffitto. In alcuni punti sembrava aver ceduto leggermente con ampie ammaccature nel materiale che spingevano verso il basso. La maggior parte delle luci e dei finestrini erano rotti e l’intero vagone sembrava piegato e distorto leggermente, come se stesse venendo schiacciato.
Il suono dello sforzo del metallo era più forte qua, e mi sono resa conto con un sobbalzo che era esattamente quello che stava succedendo. Se stava peggiorando man mano che andavo avanti, c’era una buona probabilità che il guidatore, se ce n’era uno, fosse già stato schiacciato, o almeno intrappolato fuori dalla mia portata. Mi sono girata per tornare indietro da dove ero venuta, ma la porta si era chiusa, e nei pochi secondi che mi ci erano voluti per capire cosa stava succedendo la pressione aveva già distorto troppo la cornice. Era incastrata, e nessuna quantità di calci l’avrebbe mossa.
Stavo diventando disperata, e mi sono guardata intorno alla ricerca di qualsiasi cosa potessi vedere che potesse essere una via d’uscita. Quello che ho visto invece, proprio all’altra estremità, era una persona. Era difficile distinguerne i dettagli, dato che tutte le luci in quella sezione si erano già frantumate, ma stava seduta immobile. L’ho chiamata ma non c’è stata risposta. Mi sono avvicinata, anche se quando ho raggiunto quella parte del vagone mi sono dovuta abbassare per evitare parti del soffitto.
Sembrava un uomo, probabilmente sui cinquanta/sessant’anni, con una incolta barba grigia e quella che una volta era stata una bella giacca. Aveva occhi blu scavati e il sedile intorno a lui si era deformato a tal punto che lo teneva bloccato in un' angolazione che sembrava molto dolorosa. I braccioli erano affondati con forza nella carne della sua gamba e la sua schiena era storta. Nonostante questo, sembrava stare respirando.
Quando non ha risposto alla mia voce l’ho toccato leggermente sulla spalla. I suoi occhi si sono aperti lentamente, e hanno incontrato i miei. L’espressione sul suo viso era di una tristezza incredibile, come se tutta la paura fosse stata risucchiata fuori da lui e ora tutto quello che restava era un’indicibile infelicità. Gli ho chiesto se potevo aiutare, se potevamo uscire da lì, ma lui si è limitato a scuotere la testa, con il collo che scricchiolava orribilmente mentre lo faceva.
Ho sentito la sua mano chiudersi intorno al mio polso, stringendolo con una forza inaspettata. Ho provato a spingerlo via, ma le sue unghie affondavano nella mia pelle, facendola sanguinare. Una voce irregolare è sibilata fuori da lui, disperata e piena di dolore. Mi ha detto, “Non abbastanza spazio per muoversi. Non è mai abbastanza per respirare.” E poi mi ha lasciato andare.
A quel punto il soffitto era quasi sopra di me e i muri sembravano sul punto di cedere. Ho pensato alle mie opzioni e, dopo qualche secondo, mi sono sdraiata sul pavimento e ho chiuso gli occhi. Essere schiacciati a morte sarebbe stato orribile, sì, ma non ho mai avuto paura di morire, e non sembrava esserci nessun senso in ulteriori tentativi di fuga. Meglio accettare il mio destino e sperare che fosse tutto solo un sogno terribile.
Ho tenuto gli occhi chiusi e ho cercato di rilassarmi, mentre il suono del metallo che si deformava mi riempiva le orecchie e potevo sentire il pavimento cominciare a spostarsi sotto di me. Si è piegato verso l’alto, da entrambi i lati, e lentamente ha cominciato a premere verso l’interno. Lontano, sotto quella coperta soffocante di terra, potevo sentire il vecchio urlare.
Quando mi sono svegliata, ero sulla banchina a Walthamstow Central, con uno degli assistenti della stazione piegato sopra di me, che cercava di capire se stessi bene. Mi sentivo molto stordita e non volevo rispondere a domande, quindi ho fatto finta di essere ubriaca, ho ignorato le sue offerte di aiuto e sono barcollata fuori nella fredda aria notturna. Ci sono stati un paio di minuti di beatitudine in cui ho pensato che fosse stato tutto un sogno, ma poi ho notato che ero coperta dalla testa ai piedi di fango e terra. E il polso mi faceva male dove cinque segni rosso scuro formavano la sagoma della stretta di una mano.
Questo è quanto.
ARCHIVISTA
Beh, sembra certamente un… esperienza poco piacevole. Non sono sicuro di capire, però. Si è addormentata, in qualche modo, o…
KAROLINA
Devo averlo fatto.
ARCHIVISTA
È… Sorprendente. Prende ancora la metro?
KAROLINA
Ovvio. Vivo a Londra.
ARCHIVISTA
Giusto. Io, uh…
KAROLINA
C’è dell’altro? Le ho detto quello che è successo, quindi ho finito qua, giusto?
ARCHIVISTA
Suppongo di sì. Indagheremo e se troviamo qualcosa le faremo sapere.
KAROLINA
Non vi scomodate. Ho chiuso. Grazie del suo tempo.
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ARCHIVISTA
Beh, è stato brusco. La signorina Górka potrà anche non essere interessata nel proseguimento, ma io lo sono. Da quando ha aperto la Night Tube ci sono state una manciata di sparizioni che sono avvenute dove gli individui in questione erano dichiarati intenzionati a viaggiare sul servizio notturno della metropolitana di Londra, principalmente tra la Victoria e la Northern. Tutti loro stavano viaggiando da soli.
La ragione per cui niente di tutto ciò è stato approfondito come collegato è che il sistema di sorveglianza delle stazioni interessate non mostra gli scomparsi davvero arrivare mai. Beh, Sasha è riuscita ad approfondire, e sembra che non ci sia nessuna registrazione che mostri la signorina Górka entrare in King’s Cross Saint Pancras, anche se Martin ha contattato Leanne Hilliard e ha confermato il resto della sua storia. La TFL è stata comprensibilmente riluttante a commentare.
Una cosa interessante, uno degli scomparsi, un uomo di nome Nicholas Lekman, ha una fotografia che sembra corrispondere alla descrizione fornita dalla signorina Górka: 63 anni, barba grigia leggermente disordinata, occhi azzurri. È stato visto l’ultima volta mentre si dirigeva verso la stazione di Moorgate alle 2:30 di notte di sabato 17 dicembre 2016, in seguito a una lite con il figlio, il quale crede che non sia mai entrato nella stazione. A quanto pare, Nicholas Lekman odiava prendere la metropolitana da solo dato che era seriamente claustrofobico.
Dovrei probabilmente farne menzione con Sasha. Credo che prenda la Victoria per venire a lavoro e ha la tendenza a restare qua più tardi di quanto dovrebbe. A parte questo, tutto quello che resta da fare è passare la scopa dietro alla signorina Górka. Ha lasciato la stanza piuttosto impolverata.
Fine della registrazione.
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ARCHIVISTA
Supplemento.
Qualcuno sta vivendo là sotto. Nei tunnel. Ne sono sicuro ora. Non ho trovato altre pagine o detriti che possano indicare la presenza di ulteriori libri, ma più esploro i livelli inferiori, più spazzatura normale trovo. Carte di cibo, bottiglie vuote, anche un giornale datato all’anno scorso. È normalmente piuttosto meticoloso, sembrerebbe, dato che le cose che ho trovato avevano la tendenza a essere nascoste in posti che avrebbero potuto eludere l’occhio di qualcuno che pulisce le proprie tracce. Ma dimentica delle cose.
Lo trovo stranamente confortante che chiunque o qualunque cosa viva là sotto abbia bisogno di mangiare, dato che mi offre qualche rassicurazione che sia almeno largamente umano. Ma perchè? E da quanto? E come sta ottenendo approvvigionamenti? Se Basira rispondesse alle mie chiamate chiederei un po’ di aiuto alla polizia, nel caso in cui si trattasse di qualche [risatina nervosa] assassino squilibrato. Specialmente dato che è molto probabile che sia la persona che ha ucciso Gertrude. Assumendo che sia uno solo. Sì, a ripensarci potrei anche sospendere le mie esplorazioni finché non riesco a parlare con Basira e ottenere un po’ di assistenza.
Fine del supplemento.
[Traduzione di: Marti]
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