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denny1416 · 3 years
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Ero su Instagram e mi è capitato di vedere un reel di una ragazza appassionata di fotografia che, per la maggiore, scatta foto di ogni angolo di Roma. Oltre a foto meravigliose, che ti fanno venir voglia di vivere lì, posta di tanto in tanto anche delle curiosità interessanti sulla città. Una di quelle che mi è appena capitato di leggere è sul rione Monti. In particolare quelle sul fatto che si può trovare un murales dedicato a Totti e un'altra sostenente che in passato non era una zona raccomandabile, dal nome Suburra.
Ora la mia mente ha fatto un accostamento automatico ed è scattata immediatamente l'immagine dei Quartieri Spagnoli a Napoli. Avevo davanti agli occhi il murales dedicato a Maradona e ho ripensato anche al fatto che spesso dicono che quella è un luogo da non percorrere in solitudine.
Ora che ci penso però, credo che possano esserci altri parallelismi. Quando sono stata a Monti, ho percorso strade in salita e altre in discesa, visto foglie rampicanti che hanno un effetto un po' magico alle viuzze e odore di cibo.
Anche nei Quartieri si può sentire l'odore del cibo, le foglie rampicanti rigogliose accompagnano anche qua i tuoi passi e le salite ti affannano allo stesso modo.
Le differenze anche ci sono, ovviamente. Nel rione Monti ci sono tanti ristoranti, ragazzi seduti sulle scale o in piedi contro i muri che fumano e bevono. Ci sono i turisti che vengono ingannati da ristoratori, ma anche simpatici romani doc che gesticolano con fare quasi teatrale. Studenti che bevono per festeggiare (gli studenti trovano sempre qualcosa per cui festeggiare e quindi bere). Lucine ovunque ad illuminare i vicoletti da film in cui senti riecheggiare i tuoi passi.
Nei Quartieri ci sono studenti che fanno da ciceroni ad amici venuti da fuori e cercano di abbattere qualche stereotipo, gli anziani nei circoletti che giocano a carte e fumano il sigaro, i ragazzi sui motorini, qualche matto che grida ai turisti le informazioni per vedere i murales di Maradona e io ci ho trovato anche una signora molto gentile, la classica nonna dei film per famiglie, che mi ha accompagnata fino a dove dovevo andare perché non mi voleva lasciare da sola e che aveva anche una graziosa parlantina.
Un'altra cosa che non riesco a non pensare sono i colori delle due città. Anche guardando le foto che io stessa ho scattato. I miei occhi e quindi la mia mente percepiscono Roma come beige, crema o panna e un giallo tenue, che a volte è anche un po' aranciato. Napoli è azzurra veramente, non solo come dice Nino D'Angelo. Tutte le tonalità di quel colore sono accompagnate anche da un grigio antracite e dal colore del tufo. E il giallo.
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Angelo Gorgoni (1639-1684) di Galatina e una stroncatura forse immeritata (1/2)
di Armando Polito
Dopo aver passato in rassegna i componimenti dedicati, a parte il primo, agli animali, in cui i riferimenti al mito trovavano diffuso albergo secondo il metaforico gusto dell’epoca, passo a quelli in cui il Gorgoni  si misura con problemi esistenziali o fenomeni con cui l’umanità è destinata a confrontarsi fino, probabilmente, alla sua estinzione.
  (pag. 81)
La Morte 
Senza  penne son vento; à scherno hò l’ali,
e ‘l tutto in brieve punto lascio ucciso.
Le Bare elette ad egria funerali.
per carri eleggo dove trionfo à riso.
Pioggie di sangue, e grandini di strali
ovunque giungo, ovunque approdo avisob;
e degli spirti altrui spoglie fatali
empio l’Inferno, e colmo il Paradiso.
Mi porge il Tempo tributaria usura;
già potendo fermar l’Orbe retondo
come estinto l’inceptoc in sepoltura.
Ogni cosa creata in Lethed affondo;
sotto i miei colpi ha da spirar Natura,
Iddio produsse, ed io rovino il mondo.
________
a tristi
b annuncio
c ciò che si è iniziato
d Fiume dell’oblio nella mitologia greca e romana; da λανθάνω (leggi lanthano)=nascondere.
  (p. 82)
La Politica
Se’ tutto il Mondo à gli miei gesti intento,
sovra tutti i Monarchi impero a pieno.
Chi de’ Statuti miei s’avanta alienoa
voli tra Selve à pasturar l’Armento.
Scovro grandezze, che non regna argento,
con astutie à gli Regni io reggo il freno.
Fingo, che sorda sono, ò cieca almeno,
s’à punire non vaglia un tradimento.
Più nelle Reggie, che ad altrove hò loco.
Dall’apparenze mie nasce il livore;
quando è tempo di pianto, io mostro il gioco.
É delle leggi mie queste il tenore:
d’ogni perdita vasta io narro il poco,
de’ trionfi minuti, il più maggiore.
_________
a Chi si vanta di essere estraneo alle mie direttive
  (p. 98)
Per l’uso delle perucche, frequentato dal vano secolo 
Da mentitea à Natura un lusso vano,
che l’huomo accusa effiminato, e molle.
Ebro sì secolo rio, pregiasi invano,
mentre ciocche insensate Aurab l’estollec.
Braccio, che non di spada arma la mano,
almad,che non guerreri ordigni volle:
per lascivetto crin, pensiero insano,
l’accende i fasti, e vanità già bolle.
Censurata livrea, vile ornamento,
hor i petti virili abbaglia a torto,
tesor, ch’odia fortuna, e furae il vento.
Ecco, chi non dirà con senso accorto,
che l’huomo forte, divenuto lento,
oggi per Nume adori il crin d’un morto?
__________
a cose finte
b il vento
c solleva
d anima
e ruba
  (p. 131)
Forza dell’eloquenza
Tutto può, tutto fà, lingua loquace,
qualor con salia à lusingarti viene,
pretenda Ulisse, e benche erede è Aiace,
perche l’armi d’Achille, e Ulisse ottiene.b
Vinca Reina, in libertade, in pace
senza leggi tiranne, e senza pene:
e ‘l gran Periclec, nell’orar fugaced,
libera, indusse in servitude, Atene.
Eloquente spergiuro Acheo Sinone,
seppe sì dir, che la Troiana plebe
chiuse il greco destriero entro Ilione.e
Folef son poi, che le marmoree Glebe
con la lira tirò g, mentre Anfione
con l’eloquenza fè le mura a Tebeh.
_________
a arguzie
b Allusione alla contesa tra Aiace ed Ulisse per l’attribuzione delle armi di Achille, con il tragico epilogo celebrato da Sofocle nell’omonima tragedia.  Dopo che Ulisse viene giudicato più degno di lui di prenderle in consegna, Aiace medita la vendetta ma la dea Atena gli toglie il senno, per cui egli compie azioni indegne di un guerriero. Ritornato in sé, per la vergogna si uccide.
c Politico, oratore e militare ateniese del V secolo a. C; la sua azione politica non ha mai trovato valutazione concorde tra gli studiosi, considerandolo alcuni un liberale, altri un semplice populista. Già lo storico Tucidide (V-IV secolo a. c.), che pure era un suo ammiratore, in Storie, II, 65 così si espresse: Ἐγίγνετότε λόγῳ μὲν δημοκρατία, ἔργῳ δὲ ὑπὸ τοῦ πρώτου ανδρὸς ἀρχή (Era a parole una democrazia, nei fatti il potere era sotto il primo uomo). Il Gorgone sembra aderire a questo giudizio.
  d veloce, abile nell’arte oratoria
e Sinone si lasciò appositamente catturare dai Troiani e riuscì a convincerli ad introdurre dentro le mura di Troia (Ilio>Ilione) il famoso cavallo di legno.
f favole, qui, però, non in senso dispregiativo ma in quello di racconti mitici.
g Orfeo con la sua cetra faceva muovere alberi e pietre (marmoree glebe), fermava i fiumi e ammansiva le belve.
h Anfione per la costruzione delle mura di Tebe utilizzò le pietre del Citerone spostandole con il suono della lira donatagli da Ermes.
  Il prossimo sonetto che leggeremo è un’insolita, per quei tempi, dichiarazione d’indipendenza. Malizia mi suggerisce di chiedermi quale sarebbe stata la dedica, vista quella che suo fratello indirizzò, quattro anni dopo la sua morte, a Francesco Maria Spinola (1659-1727), che tra i tanti titoli, riportati nel frontespizio, deteneva anche quello di duca di S. Pietro in Galatina. Scrive, fra l’altro, Giovanni Camillo trattarsi di un attestato di antica e cordiale osservanza, il che fa pensare ad un rapporto datato, cosa confermata quasi in conclusione, dove si legge: Felicissima dunque s’appelli S. Pietro Galatina mia Patria, di cui è meritevolissimo Duca. Per esserle toccato in sorte di havere sì Nobile, Valoroso, Virtuoso, e Benigno Padrone. E d’ogni invidia degna si stimi la mia casa, con occhio cortese sempre da sì sublimi Padroni, e rimirata, e protetta. Le raccordo per fine, e protesto, che nella Schiacchiera, glorioso Stemma del suo gran Casato, ove si mira, et ammira l’apparato di tanti varii Personaggi, saranno sempre i Gorgoni le pedine, e pedoni a piedi suoi posti, e prostrati. Sicurissimi di mai assaggiare Schiacco matto di sinistra Fortuna.
Nell’immagine che segue lo stemma della famiglia Spinola1 (d’oro, alla fascia scaccata di tre file d’argento e di rosso, sostenente una spina di botte di rosso, posta in palo) sul portale principale del palazzo ducale a Galatina, a riprova che quanto ad invenzione metaforica Giovanni Camillo non era da meno di Angelo.
foto di Alessandro Romano
Tenendo conto anche di quello intitolato La Politica, che abbiamo letto prima, mi chiedo se in fase di pubblicazione Angelo li avrebbe eliminati entrambi dalla raccolta autocensurandosi o li avrebbe mantenuti, a costo di urtare la suscettibilità dell’eventuale, quasi inevitabile per il costume dell’epoca, dedicatario.
  (p. 179)
Non hà genioa di servire in corte
Nacqui à me stesso, e così far non voglio
me stesso d’altri, e suggettar mia sorte;
qualor bersaglio mi propongo à morte,
punto da i dardi suoi, vòb che mi doglio.
Essere ad onde di capriccio un scoglioc,
troppo duro è per me, troppo m’è forte.
Ha stravaganti idolatrie la Corte,
giacche al pari del Rè s’adora il sogliod .
Ivi potenza è podagrosa all’attoe,
prima, ch’un’alma poco onore avanze,
i crini d’oro inargentati ha fattof.
Han, politici i Rè, barbare usanze;
serbano i Corteggiani in sù l’estrattog,
ond’hanno metafisiche speranze.
______
a voglia
b voglio
c Il potere è paragonato al capriccioso movimento delle onde.
d Il trono, simbolo del potere.
e lenta a muoversi, come chi è affetto da podagra
f prima che un’anima consegua un po’ di onore, ha reso i capelli color argento da biondi che erano (l’interessato è diventato vecchio)
g mantengono il favore dei cortigiani con promesse astratte
  (p. 180)
Abbondanza di poeti
Mancano gl’Alessandri, e i Cherilia
in maggior copia in ogni parte io trova
de’ metri armoniosi al Mondo novo,
più, che frutto gl’Autunni han fior gli Aprili.b
Dell’acque Pegaseec sorsi sottili
non si bevon lassù, per quel che provo.
Nascono Cigni d’ogni specie d’ovod,
a cui, fonti fatali, or sono i Nilie.
Le lire degli Orfeif, mille Neantih
trattan con man superba; e ‘l canto foscoi
par, ch’à sdegno attizzasse anco i latrantil.
Più si canta, che parla. E sì conoscom,
che Parnaso incapace à Cigni tantin,
vanno i Poeti, come i branchi al boscoo.
______
a Mancano i grandi condottieri ed i poeti epici; per i primi viene citato Alessandro Magno (IV secolo a. C:, per i secondi Cherilo di Samo, poeta epico del V-IV secolo a. C.
b in misura più appariscente dovunque io trovi al mondo poesie armoniose: come i fiori in primavera sbocciano ma non maturano mai in frutto. Probabilmente al Lezzi è sfuggito lo stile contorto di questi versi, altrimenti il suo giudizio sarebbe stato, se possibile, ancora più severo.
c Pegaso era un cavallo alato che per ordine di Posidone arrestò la crescita del monte Elicona verso il cielo, dovuta al piacere datogli dal canto delle Pieridi in gara con le Muse, con colpo di zoccolo  che fece sgorgare la fonte Ippocrene.
d nascono poeti destinati geneticamente a non esserlo
e per le quali fonti d’ispirazione non sono quelle della poesia antica (tra cui la fonte Ippocrene appena citata) ma fiumi senza mitiche implicazioni poetiche, come il Nilo
f Vedi la nota g a p. 17.
h Neante di Cizico, storico greco del III secolo a. C., viene qui assunto come modello di chi dovrebbe dedicarsi solo a ciò per cui ha provato talento (il che, però, non esclude che uno storico possa essere, magari solo potenzialmente, un poeta e che un poeta non sia negato, quasi geneticamente, per la storia).
i oscuro
l i cani
m vedo
n essendo il Parnaso (monte della Grecia centrale nell’antichità sacro ad Apollo e Dioniso, nonché sede delle Muse e, dunque, simbiolo della poesia)atto ad ospitare tanti (sedicenti) poeti
o vagano nel bosco come gli animali in branco
___________
1 La famiglia Spinola, di origini genovesi, vantò ben undici dogi dal 1531 al 1773 e ben quindici cardinali dal XVI al XIX secolo.
  Per la prima parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/27/angelo-gorgoni-1639-1684-di-galatina-e-una-stroncatura-forse-immeritata-1-2/
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allaboutilvolo · 7 years
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#pierobarone #ilvolo #wma17 #Repost @barone_piero (@get_repost) ・・・ Questo premio è dedicato a tutti voi che ci sostenente quotidianamente con il vostro affetto. Ci rivediamo questa sera ai #windmusicawards su Rai1 dall'arena di Verona per il secondo premio. @rai1official #wma
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gardanotizie · 4 years
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Nel numero di giugno 2009 del mensile Gienne a pagina 44 un articolo con il titolo ad effetto: “Ritrovare le proprie radici attraverso la scienza araldica – Fuorilegge gli stemmi di oltre la meta dei comuni bresciani” ha destato un certo stupore. In verità più che fuorilegge oltre la meta degli stemmi sono fuori norma. Su questo non ci sono dubbi. Come possiamo scoprire se uno stemma è a norma? L’araldica è una scienza. Che sia più o meno esatta, questo è un altro discorso. Ma è certo che esistono regole ben precise e severe, al punto che rimettere a norma uno stemma non è semplice. Presso Ufficio Araldico, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ci sono dei veri esperti che non permettono certo divagazioni in merito alla precisione normativa. E se l’araldista chiamato a disegnare lo stemma non è competente, si rischia di fare brutte figure.
Ma come deve essere uno stemma comunale a norma? Lo scudo deve misurare 7 moduli di larghezza e 9 moduli di altezza. Generalmente quello adottato è di tipo sannitico, detto anche francese o moderno. Lo stesso deve essere sormontato da una Corona formata da un cerchio aperto da quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte (nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d’argento e murato di nero. (art. 97, R. D. 7 giugno 1943, n. 652). Un altro elemento importante sono gli elementi decorativi posti in fondo allo scudo: due rami, uno di quercia con ghiande e uno di alloro con bacche, fra loro decussati (a forma di Croce di S. Andrea) sotto la punta dello stesso e annodati da un nastro con i colori nazionali.
Inutile dire che lo stemma dovrà essere riconosciuto dal Capo dell Stato con apposito decreto, controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Una curiosità. Se visitate i siti dei comuni gardesani, quasi sempre troverete lo stemma. Provate a scoprire se, in base alla foto sopra proposta, se sono o meno a norma. Noi ve ne proponiamo due sicuramente non a norma: lo stemma del Comune di San Felice del Benaco e lo stemma del Comune di Salò.
Ecco come deve essere la forma dello scudo, con i suoi elementi esterni: Corona e gli elementi decorativi. Lo scudo a norma deve misurare 7 moduli di larghezza e 9 moduli di altezza. Generalmente quello adottato è di tipo sannitico, detto anche francese o moderno. Lo stesso deve essere sormontato da una Corona formata da un cerchio aperto da quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte (nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine, il tutto d’argento e murato di nero. (art. 97, R. D. 7 giugno 1943, n. 652). A sx lo stemma di San Felice del Benaco e, a dx quello del comune di Salò. Sotto una bozza di scudo a norma
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La scienza araldica indica le norme per uno stemma senza “peccato” Nel numero di giugno 2009 del mensile Gienne a pagina 44 un articolo con il titolo ad effetto: “Ritrovare le proprie radici attraverso la scienza araldica - Fuorilegge gli stemmi di oltre la meta dei comuni bresciani” ha destato un certo stupore.
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mairenadelalcor · 7 years
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ilvolomiami · 7 years
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Questo premio è dedicato a tutti voi che ci sostenente quotidianamente con il vostro affetto. Ci rivediamo questa sera ai #windmusicawards su Rai1 dall'arena di Verona per il secondo premio. @rai1official #wma/ This award is dedicated to all of you who support us daily with your affection. We are going to the #windmusicawards on Rai1 tonight at the Verona Arena for the second prize. @ Rai1official #wma #IlVoloMiami #IVU #IVUFamily💗 #IlVoloversUnited #DianaPresidentOfIlVoloMiami❤️
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ilvolotherapy · 7 years
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@barone_piero Questo premio è dedicato a tutti voi che ci sostenente quotidianamente con il vostro affetto. Ci rivediamo questa sera ai #windmusicawards su Rai1 dall'arena di Verona per il secondo premio. @rai1official #wma
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Araldica carmelitana a Nardò (Lecce)
di Marcello Semeraro
Ripropongo in questa sede la versione integrale del mio saggio sull’iconografia araldica dei Carmelitani Calzati di Nardò, apparso sul volume Decor Carmeli. Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò, a cura di Marcello Gaballo (Mario Congedo editore, Galatina 2017, pp. 259-264).
  ARALDICA CARMELITANA A NARDÒ
LO STEMMA CARMELITANO: ORIGINE E SVILUPPI
L’uso degli stemmi da parte dei membri della Chiesa risale alla prima metà del Duecento, un secolo dopo la comparsa delle prime armi in ambito militare e cavalleresco. Questo ritardo si spiega facilmente se si considera che il sistema araldico primitivo si elaborò interamente al di fuori dell’influenza di Roma, la quale in un primo momento si dimostrò refrattaria all’utilizzo di emblemi profani legati a guerre e tornei. Fu solo col prevalere di un più generico significato di distinzione sociale che l’uso degli stemmi troverà piena giustificazione negli ambienti ecclesiastici, soprattutto per via della sua utilità nei sigilli[1]. L’iniziale avversione della Chiesa nei confronti delle armi cadde quindi nel momento in cui esse persero il loro carattere esclusivamente militare, diffondendosi, tra il XIII e il XIV secolo, a tutte le classi e le categorie sociali. I vescovi furono i primi a fare uso di stemmi (ca. 1220-1230), seguiti dai canonici e dai chierici secolari (ca. 1260), dagli abati e, verso la fine del Duecento, dai cardinali[2]. Quanto ai papi, il primo a utilizzare uno stemma fu Niccolò III (1277-1280), ma è con Bonifacio VIII (1294-1303) che tale uso divenne sistematico[3]. Le comunità ecclesiastiche fecero lo stesso a partire dal XIV secolo: ordini religiosi, abbazie, priorati, conventi e case religiose faranno via via un uso sempre maggiore di emblemi araldici, con le dovute differenze, a seconda del particolare ordine e delle regioni di appartenenza[4]. Anche i Carmelitani si dotarono di proprie insegne araldiche, tuttora innalzate dagli appartenenti a due distinti ordini religiosi: i Carmelitani dell’antica osservanza (o Calzati) e i Carmelitani Scalzi (o Teresiani) (figg. 1 e 2).
Fig.1
Fig. 2
  Sulle origini dell’arma carmelitana non si hanno riferimenti cronologici certi. Quel che sappiamo è che l’insegna vanta una lunga storia, attestata sin dalla prima metà del XV secolo[5]. In origine i frati portarono uno scudo “di tanè, cappato di bianco (d’argento)”[6], composizione che rappresenta l’araldizzazione dell’abito carmelitano, formato dalla cappa bianca aperta sull’abito di colore tanè (marrone rossiccio)[7]. Questo fenomeno di araldizzazione dell’abito si ritrova, del resto, anche nello stemma innalzato dall’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), nel quale però il cappato rappresenta la cappa nera aperta sull’abito bianco[8]. Il più antico esemplare a noi noto di stemma carmelitano si trova su un sigillo ogivale usato intorno al 1430 dal Capitolo Generale dell’Ordine (fig. 3).
Fig.3
  Il campo mostra la Vergine in trono – un tipo assai ricorrente nella sfragistica carmelitana, che perdurerà fino al XVIII secolo – dentro un edicola tardo-gotica e in basso un frate genuflesso, affiancato da due scudi: quello dell’Ordine, accollato a un pastorale posto in palo, e quello di famiglia[9]; attorno la legenda SIGILLUM COMMUNE CAPITULI GENERALIS CARMELITARUM. Un altro sigillo ogivale, datato 1478 e pubblicato dal Bascapè, ha il campo suddiviso in tre piani: in alto un sole raggiante, al centro l’Annunciazione, in basso un frate affiancato da due scudetti cappati dell’Ordine[10]. Nel corso dei tempo, tuttavia, questa forma grafica primitiva conobbe numerosi sviluppi e varianti, in linea con una tendenza riscontrabile anche in altri stemmi di ordini religiosi. Lo studio delle testimonianze araldiche dimostra che l’evoluzione dell’insegna carmelitana può essere fatta risalre al XVI secolo. Sul frontespizio del Jardín espiritual di Pedro de Padilla, pubblicato a Madrid nel 1585, si trova inciso uno scudo cappato che reca per la prima volta, nelle due metà del campo, tre stelle dell’uno nell’altro[11], figure allusive alla Vergine Maria e ai profeti Elia ed Eliseo (fig. 4).
Fig. 4
  Lo scudo è timbrato da una corona, formata da un cerchio rialzato da tre fioroni e da sei perle poste a trifoglio e diademato da un arco di dodici stelle: chiaro riferimento alla corona della “donna vestita di sole” di biblica memoria (cfr. Ap 12, 1). L’uso di questo tipo di corona quale timbro dello scudo è documentato già alcuni anni prima, come si vede nell’incisione presente sul frontespizio delle Costituzioni del 1573[12].
Nel 1595 furono pubblicati i decreti per i Carmelitani di Spagna e Portogallo, dove si trova inciso uno scudo ovale[13], timbrato da una corona con cinque fioroni alternati a quattro perle, dalla quale esce come cimiero un braccio sinistro impugnante una spada fiammeggiante; sopra, un cartiglio svolazzante reca il motto Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum (“Ardo di zelo per il Signore Dio degli eserciti”) (fig. 5).
Fig. 5
  La spada e il motto alludono, chiaramente, al profeta Elia (cfr. 1Re 19, 10). Nei secoli seguenti, questa rappresentazione completa dell’arma carmelitana, costituita dallo scudo e dalle sue ornamentazioni esterne, godette, pur tra varianti, di una certa fortuna. La riforma dell’Ordine, avvenuta nella seconda metà del Cinquecento per opera di Santa Teresa d’Ávila e di San Giovanni della Croce, ebbe conseguenze anche dal punto di vista araldico.
I Carmelitani Scalzi, infatti, si differenziarono dai Calzati aggiungendo una crocetta[14] sulla sommità del triangolo, probabilmente per “denotare la vita più penitente che essi menano osservando la primitiva regola”[15]. Ne troviamo un esempio antico sul frontespizio dei Privilegia Sacrae Congregationis Fratrum Regulam primitivam Ordinis B. Mariae de Monte Carmeli profitentium, qui Discalceati nuncupantur, opera edita a Madrid nel 1591 (fig. 6).
Fig. 6
  Come si vede nell’illustrazione, la modifica operata dagli Scalzi, una sorta di brisura[16] araldica nel senso lato del termine, riguardò solo il contenuto dello scudo, lasciando inalterate le ornamentazioni esterne, vale a dire la corona nimbata, il cimiero e il motto eliani. A poco a poco il triangolo della partizione prese la forma di un monte stilizzato, probabilmente per effetto di una diversa interpretazione attribuita al cappato, considerato come rappresentazione simbolica del biblico Monte Carmelo – al quale le origini dell’Ordine sono ricondotte – piuttosto che come araldizzazione dell’abito religioso.
Una forma particolare di stemma fu poi quella adottata in epoca moderna dalla Congregazione Mantovana, dal Camine Maggiore di Napoli e, più in generale, dai Calzati delle Province del Sud Italia, che si caratterizza per l’aggiunta, nella metà inferiore del campo, di un ramo di palma e di giglio – attributi iconografici di S. Angelo di Sicilia e S. Alberto di Trapani, i primi due canonizzati dell’Ordine – spesso infilati in una corona e talora uscenti da un monte di tre cime all’italiana[17] (figg. 7, 8)[18].
Fig. 7
Fig. 8
  Le varianti a cui andò incontro l’insegna nel corso del tempo furono molteplici e riguardarono sia il contenuto dello scudo che le sue ornamentazioni esterne[19]. La corona, ad esempio, non compare in tutti gli stemmi e non sempre da essa esce il braccio d’Elia impugnante la spada. Anche il motto Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum non è di uso costante. Gli smalti della metà inferiore del campo sono il tanè o il nero, ma vi sono casi eccezionali in cui esso è d’azzurro. Nel Settecento, al posto del cimiero col braccio di Elia, apparve sporadicamente un monogramma mariano dentro un sole raggiante. In linea generale si può sostenere che lo sviluppo grafico dello stemma è stato vario, condizionato, da una parte, dall’aggiunta di figure allusive alle origini e ai santi patroni dell’Ordine, e, dall’altra, da altri fattori propri della creazione artistica, quali il capriccio degli esecutori o il gusto del tempo.
L’arma carmelitana può anche comparire come quarto di religione all’interno dello scudo, dov’è associata, mediante una partizione (soprattutto il partito), all’arma (personale o familiare) dell’ecclesiastico proveniente da tale Ordine (fig. 9).
Fig. 9
L’uso del partito, in particolare, è documentato sin dal XVII secolo negli stemmi dei priori generali e dei Carmelitani divenuti cardinali o vescovi. Talora, l’insegna dell’Ordine è posta su uno scudetto, come si vede nello stemma del cardinale Joaquín Lluch y Garriga (†1882, O.C.D.) e in altri esempi[20]. Le suore del Secondo Ordine carmelitano, infine, portano le medesime insegne dei rispettivi ordini maschili[21].
  GLI STEMMI DEI CARMELITANI CALZATI DI NARDÒ
L’arrivo dei Carmelitani dell’antica osservanza a Nardò risale al 1568, come già trattato da diversi autori in questo lavoro. Dai documenti d’archivio risulta, infatti, che in quell’anno ai frati, rappresentati da Crisostomo Romano di Mesagne, con il beneplacito del vescovo Giovan Battista Acquaviva d’Aragona e del duca Giovan Bernardino II Acquaviva, fu assegnata provvisoriamente la chiesa dell’Annunziata, dimorando in un primitivo e ridotto insediamento che avrebbero ampliato negli anni seguenti. Alla fine del XVI secolo è databile l’esemplare araldico più antico giunto fino a noi, scolpito sulla facciata dell’ex convento (fig. 10).
Fig. 10 (foto Lino Rosponi)
  All’interno di uno scudo appuntato, col lato superiore sagomato a due punte, è rappresentato un monte[22] stilizzato e acuminato, accompagnato, nel cantone destro del capo, da una cometa di sette raggi (più la coda), ondeggiante in banda. Lo scudo è timbrato da una corona costituita da un cerchio gemmato di stelle, sostenente fioroni oggi quasi del tutto abrasi. La composizione araldica è posta su un medaglione circolare, attorno al quale corre la scritta INSIGNE CARMELI VEXILLUM. L’uso del termine “vexillum” con riferimento allo stemma carmelitano non è certo una novità (fig. 5) e si riferisce probabilmente all’origine vessillare dell’insegna dell’Ordine[23].
Come ho già ricordato sopra, fu solo alla fine del Cinquecento che lo stemma carmelitano assunse la forma col cappato (variamente interpretato) e le tre stelle, che sarebbe poi diventata classica (figg. 4 e 5). L’esemplare litico neretino si rivela, da questo punto di vista, una testimonianza di notevole interesse perché mostra una variante insolita nell’evoluzione dell’iconografia araldica dell’Ordine, ascrivibile a una fase transizione dello stemma dalla versione primitiva a quello classica. Probabilmente seicentesca è, invece, l’arma affrescata sulla volta dell’ingresso dell’ex convento (fig. 11), riconducibile alla variante con i rami di palma e di giglio, decussati e uscenti da una corona, usata in epoca moderna nel Meridione d’Italia (figg. 7, 8)[24].
Fig. 11 (foto Lino Rosponi)
  Lo scudo, di foggia semirotonda e con contorno a cartoccio, timbrato da una corona con cinque fioroni e quattro perle, appare ingentilito, ai lati, da un cordone di tanè terminante con due nappe e, al di sotto della punta, da un cherubino; il tutto è circondato da un serto di alloro. Alla stessa tipologia appartengono due altri esemplari presenti nell’ex convento. Uno di questi è dipinto sul trono su cui è assisa la Vergine nell’affresco della Madonna del Carmelo e reca uno scudo sagomato e accartocciato, timbrato da una corona all’antica[25] (fig. 12).
Fig. 12 (foto Lino Rosponi)
  L’altro si trova scolpito sulla volta del salone al pianterreno, racchiuso da uno scudo semirotondo e accartocciato, timbrato da una corona con perle sostenute da punte (fig. 13).
Fig. 13 (foto Paolo Giuri)
  Nella chiesa della Beata Vergine Maria del Carmelo (in origine chiesa dell’Annunziata) si conservano altri tre esemplari che invece rispecchiano, seppur con varianti, l’iconografia classica dello stemma dei Carmelitani Calzati. Il primo è raffigurato su una lastra marmorea che in origine copriva l’accesso della sepoltura dei frati e che attualmente si trova come pezzo erratico in un deposito della chiesa (fig. 14).
Fig. 14 (foto Lino Rosponi)
  Tale lastra mostra al centro l’emblema dei Calzati, racchiuso da uno scudo ovale e accartocciato, timbrato da una corona rialzata da cinque fioroni, alternati a quattro perle, sostenute da altrettante punte. Il secondo esemplare è uno stemma ligneo che fa bella mostra di sé sul fastigio dell’edicola centrale del coro (fig. 15).
Fig. 15 (foto Lino Rosponi)
  Uno scudo sagomato e accartocciato, dalla foggia tipicamente settecentesca, timbrato da una corona di cui resta solo il cerchio, contiene un’irregolare rappresentazione dell’arma dei Calzati, così blasonabile: “troncato in scaglione di tanè e di…?, a tre stelle di otto raggi d’oro”[26].
Chiude questa carrellata di stemmi l’esemplare che decora un drappo rosso conservato fra gli arredi sacri della chiesa[27]. L’insegna è contenuta in uno scudo sannitico accartocciato, munito di una punta nel lato superiore e timbrato da una corona all’antica (fig. 16).
Fig. 16 (foto Lino Rosponi)
  In conclusione, in base alle testimonianze superstiti si può affermare che la rappresentazione dello stemma innalzato dai Calzati di Nardò seguì, pur tra varianti, l’evoluzione dell’iconografia araldica dell’Ordine, caratterizzata dalla progressiva aggiunta sul cappato originario di figure e simboli allusivi agli ispiratori e ai santi patroni dell’Ordine. Se letti correttamente e in senso diacronico, gli esemplari neretini mostrano tre diverse fasi evolutive nella conformazione dell’insegna, che vanno dallo sviluppo della forma primitiva (fig. 10) alla forma classica (figg. 14, 15 e 16), passando attraverso la variante seicentesca adoperata nel Sud Italia (figg. 11, 12 e 13).
Riprodotti su supporti di vario tipo, questi stemmi furono impiegati dai frati con la duplice funzione di segni di appartenenza all’Ordine e motivi decorativi. Malgrado il notevole numero di varianti, i Calzati si riconobbero tutti nella propria insegna, professando orgogliosamente per mezzo di essa la propria fede e la propria appartenenza all’Ordine, con l’intento di trasmettere questo patrimonio ideale alle future generazioni. Sta a noi, dunque, decifrane il contenuto e diffonderne il messaggio: è questo, in fondo, l’obiettivo che il presente contributo, scevro da qualunque pretesta di esaustività, si propone di raggiungere.
  [1] B. B. Heim, L’araldica nella Chiesa Cattolica. Origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, pp. 23-24; M. Pastoureau, Le nom et l’armoirie. Histoire et géographie des armes parlantes dans l’Occident médiéval, in “L’identità genealogica e araldica. Fonti, metodologie, interdisciplinarità, prospettive”, Atti del XXIII Congresso internazionale di scienze genealogica e araldica (Torino, 1998), Roma 2000, pp. 78-79.
[2] M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Bari 2014, pp. 201-202; E. Bouyé, Les armoiries pontificales à la fin du XIII siècle: construction d’une campagne de communication, in “Médiévales”, 44 (2003), pp. 173-198.
[3] Sulle origini dell’araldica papale, v. Bouyé, Les armoiries pontificales cit., pp. 173-198; Heim, L’araldica cit., p. 100.
[4] A. Cordero Lanza di Montezemolo, A. Pompili, Manuale di araldica ecclesiastica nella Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 2014, pp. 17-18.
[5] Le fonti per lo studio dell’arma carmelitana antica sono costituite essenzialmente dai sigilli. Sulla sfragistica e sull’araldica carmelitane, v. G.C. Bascapè, Sigillografia: il sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia, nell’arte, II, Milano 1969, pp. 180-186.
[6] Nel blasone il termine cappato designa una partizione formata da due linee curve o rette che partono dal centro del capo e terminano ognuna al centro dei fianchi dello scudo. Come vedremo, nel corso del tempo il cappato carmelitano venne reso in maniera diversa, fino ad assumere la forma di un troncato in scaglione o di un monte stilizzato.
[7] Tuttavia, negli stemmi disegnati e stampati il colore tanè, che non fa parte dei sette smalti convenzionali del blasone (oro, argento, rosso, azzurro, verde, nero e porpora), diventa spesso nero. Il Ménestrier, il più autorevole araldista dell’Ancien Régime, a proposito dello stemma carmelitano così scrive: “L’Ordre des Carmes porte un escu tanè ou noir, chappé ou mantelé d’argent, pour representer les couleurs de leur habit”. C.F. Ménestrier, Les recherches du blason. Seconde partie de l’usage des armoiries, Paris 1673, p. 182. L’uso di una formula bicroma negli abiti religiosi fu introdotto intorno al 1220 dai Domenicani (saio bianco e mantello nero, presentati come i colori della purezza e dell’austerità) e fu ripreso dagli stessi Carmelitani e da alcuni ordini monastici (Celestini, Bernardini, ecc.). Su tale questione, v. Pastoureau, Medioevo simbolico cit., p. 140.
[8] Sull’insegna domenicana e sulle sue varianti, v. Bascapè, Sigillografia cit., pp. 203-205.
[9] Nei sigilli ecclesiastici, l’uso di associare, ai lati della figura del religioso, due scudi (quello del vescovado, dell’abbazia o dell’ordine, da un lato, e quello familiare, dall’altro) è riscontrabile a partire dal XIV secolo. A. Coulon, Éléments de sigillographie ecclésiastique française, in “Revue d’histoire de l’Église de France”, 18 (1932), pp. 178-179.
[10] Bascapè, Sigillografia cit., tav. XXXI, n. 3.
[11] Si dice di più figure che, poste in campi contigui di smalti diversi, assumono lo smalto del campo opposto. Le stelle sono invece due nell’esemplare inciso sul frontespizio delle Costituzioni del 1573, pubblicato dal Bascapè. Cfr. ivi, tav. XXXII, n. 7.
[12] V. supra, nota 11.
[13] Si noti la presenza, attorno allo scudo, di una bordura composta, formata da triangoli alternati di nero e di bianco (d’argento), ripetizione degli smalti del cappato. Questo tipo di bordura è simile a quella che compare nello stemma domenicano, del tipo con la croce gigliata.
[14] La provincia di Sicilia poneva, invece, un altro tipo di croce, quella gerosolimitana, potenziata e accantonata da quattro crocette, il cui uso è attestato anche per i Carmelitani di Malta. G. Zamagni, Il valore del simbolo: stemmi, simboli, insegne e imprese degli Ordini religiosi, delle Congregazioni e degli altri Istituti di perfezione, Cesena 2003, p. 9.
[15] Bascapè, Sigillografia cit., p. 185; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, X, Venezia 1841, p. 59.
[16] La brisura, stricto sensu, è una variante introdotta in uno stemma rispetto all’originale, per distinguere i diversi rami di una stessa famiglia. I procedimenti più impiegati per brisare un’arma sono tre: la modificazione degli smalti, la modificazione delle figure e l’aggiunta di altre figure.
[17] Figura stilizzata, costituita da un insieme di cilindri coperti da calotte sferiche, detti colli o cime, disposti, generalmente, a piramide.
[18] Zamagni, Il valore del simbolo cit., p. 10.
[19] Ibid.; Bascapè, Sigillografia cit., p. 186.
[20] Lo stemma del cardinale Joaquín Lluch y Garriga è riprodotto sul sito Araldica vaticana, al seguente indirizzo: <http://www.araldicavaticana.com/luch_y_garriga_fra_gioacchino_1.htm>. Altri esempi di stemmi prelatizi con lo scudetto dell’Ordine si trovano in G.C. Bascapè, M. Del Piazzo, con la cooperazione di L. Borgia, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma 1999, pp. 404, 409.
[21] Ivi, p. 363.
[22] Utilizzo volutamente il termine monte e non montagna (che sarebbe araldicamente più corretto) perché più allusivo alle origini dell’Ordine.
[23] Il termine vexillum si trova documentato per la prima volta sulla xilografia raffigurata sul frontespizio della Vita di Sant’Alberto, pubblicata nel 1499, dove compare una mandorla ogivale, raggiante e sostenuta da due angeli, che contiene nel campo superiore la Vergine assisa in trono, incoronata e nimbata, sul cui grembo sta il Bambino, mentre i piedi poggiano su una mezzaluna su cui è inciso il motto “luna sub pedibus eius”; nel campo inferiore, invece, si trova il cappato carmelitano. Secondo il Bascapè, si tratta della riproduzione del gonfalone dell’Ordine, della fine del Trecento o degli inizi del secolo successivo. Bascapè, Sigillografia cit., pp. 181-182.
[24] Di questa variante dello stemma carmelitano sono documentate versioni con una o con tre stelle. Cfr. <http://ocarm.org/pre09/alberto/images/alberto034.jpg>; <http://ocarm.org/pre09/alberto/images/alberto033.jpg>.
[25] Si dice della corona composta da un cerchio rialzato da punte aguzze. In araldica è detta anche corona radiata.
[26] V. supra, nota 6. Si noti anche la differenza rispetto agli smalti convenzionalmente usati nel blasone dei Carmelitani.
[27] Marcello Gaballo, che ringrazio, mi ha riferito che il drappo era applicato dietro la croce processionale della Confraternita dell’Annunziata e del Carmine.
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allaboutilvolo · 7 years
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