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#terrore staliniano
attentionspoilers · 2 years
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Il biglietto stellato - Recensione
Il biglietto stellato – Recensione
La trama de Il biglietto stellato Nel clima euforico della società russa da poco uscita dal terrore staliniano, un giovane scrittore pubblicava a puntate, sul mensile “Junost'” (Giovinezza), un romanzo destinato a diventare il primo bestseller della storia editoriale sovietica, vero caso internazionale tradotto subito in decine di paesi. Era il 1961, il nome dello scrittore Vasilij Aksenov, il…
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iltrombadore · 3 years
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Nina Kosterina, testimone e martire del comunismo russo
 Su l’Unità del 22.05.1963, leggo un articolo di Vittorio Strada che richiama l’attenzione al diario di Nina Kosterina (1921-1941) la giovane komsomolskaja e partigiana che cadde ventenne in una imboscata quando i tedeschi erano a poca distanza da Mosca. Strada allora era ancora iscritto al PCI (se ne andò per avvicinarsi al PSI) come slavista metteva in luce gli aspetti più critici del mondo letterario russo (da Solzenitsin in poi). Il suo articolo, riferito ai traumatici eventi del 1937 -il "terrore" staliniano- passò inosservato nella mia testolina di ragazzo allora molto chiuso ideologicamente e indifferente ai problemi della libertà individuale e della democrazia politica. Non capivo ovviamente nulla.E rileggere oggi ciò che sfuggì ieri è motivo di riflessione sul centenario del PCI.
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La storia di Nina è emblema dell’entusiasmo, delle frustrazioni e dello spirito di sacrificio di quella gioventù cresciuta nel clima incandescente della rivoluzione bolscevica e dei traumatici passaggi della dittatura comunista fino all’esplosione del secondo conflitto mondiale. Nina aveva iniziato il suo diario nel 1936, l’anno di inaugurazione della nuova Costituzione sovietica, salutata con motivi di speranza dopo gli anni della guerra civile e della “dittatura del proletariato”. Ci si illudeva di un avvenire migliore, di maggiore benessere e partecipazione popolare alla “costruzione del socialismo”. Gli appunti di Nina Kosterina fissano un mondo di festosa adolescenza: letture, amicizie, piccole gioie, gite collettive, ansie di crescita, ci presentano lo scenario di una Russia giovane,  una comunità piena di ottimismo. Poi, d’un tratto,  ecco l’evento di “una cosa spaventosa e incomprensibile”, l’ arresto di un familiare dichiarato “nemico del popolo”.  Subito dopo, la ragazza nota il “secondo processo dei trotzkisti” e  si chiede: “come è potuto succedere che dei vecchi rivoluzionari siano diventati dei nemici del popolo?” …Nel  medesimo giorno il diario di Nina  resoconta:” a scuola  l’atmosfera è più animata, giochiamo a  pallavolo, andiamo a sciare”.  
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Il suo profondo desiderio è quello di poter essere e sentirsi una  ‘ ragazza normale’ nella sua epoca sovietica. Riflessiva e determinata, vuol essere giovane comunista dando il meglio di sé, per costruire il suo profilo morale, di studentessa e di persona socievole.  La vita di un’ adolescente è simile in ogni punto del tempo e dello spazio: Nina evita di porsi domande che possano rompere l’idillio tra l’idea che ha di sé e il mondo circostante, eppure sente che qualcosa non va…Anche suo padre Aleksej, militante bolscevico di lunga data, a un certo punto è arrestato come “pericoloso elemento antisociale”. 
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Lei però, per quanto colpita, si dice che comunque la vita deve continuare, andare avanti… E’ studentessa di geologia e nella primavera del 1941, mentre si trova in un campo estivo con altri studenti, la Germania invade la Russia. La famiglia va via da Mosca . Nina decide di arruolarsi tra i partigiani ed è paracadutata dietro le linee nemiche. Nel suo diario è scritto: “spero che con le mie azioni contribuirò a salvare il babbo”. Partecipa ad attacchi e sabotaggi dell’esercito tedesco, fin quando una bomba non la uccide assieme ad altri quindici compagni caduti in una trappola. Questo l’annuncio di morte giunto alla madre di Nina: ”vostra figlia Kosterina NinaAlekseievn, originaria di Mosca, combattente per la patria sovietica, fedele al giuramento militare, dopo avere dato prova di eroismo e di valore è caduta eseguendo una missione di guerra nel dicembre 1941”. Dopo la guerra, la madre e le sorelle di Nina Kostorina tornarono a Mosca, recuperarono il diario e lo tennero al sicuro fino a quando nel 1955 anche il padre Aleksej non tornò dalla prigionia. Il diario venne tenuto nascosto fino al 1962, quando venne pubblicato da una rivista sovietica. E fu quello uno dei segni della volontà di liberalizzare il sistema che animò Nikita Krusciov non solo con la denuncia dei crimini di Stalin, ma anche con la condanna del “gruppo antipartito” (Molotov, Bulganin, Malenkov, Kaganovic) che fu estromesso dal potere dopo il XXII congresso del PCUS.P.S.: Nina Kosterina nata nel 1921, avrebbe oggi 100 anni, come mia madre Fulvia Trozzi, anche lei partigiana nei Gap di Roma, pronta a sacrificare la vita nella lotta clandestina contro i tedeschi. Vite e storie diverse. Moralità,idealità, e illusioni comuni...
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Jurij Dombrovskij (1909-1978) continua la sua epopea narrativa ambientata ad Alma-Ata, nel Kazachstan, iniziata ne 'Il Conservatore del Museo' e che prosegue qui in 'La Facoltà di Cose Iutili', scritto fra il 1965 e il 1975. Protagonista è sempre il catalogatore del museo Zybin, che però a differenza del romanzo precedente non narra più in prima persona. Ritroviamo di nuovo i peculiari personaggi come l'archeologo Kornilov, il direttore del museo di Alma-Ata, l'assistente Klara, il capo Potapov e il "nonno" falegname, nel terribile anno 1937. Rispetto all'opera precedente si nota una certa libertà nello stile e soprattutto nei contenuti, non più soggetti alla censura sovietica poiché il romanzo fu pubblicato a Parigi nel 1978. Se la denuncia sociale del periodo del terrore staliniano nel primo romanzo era soltanto un'ombra che aleggiava, qui la minaccia si concretizza terribilmente, avendo effetto sui personaggi protagonisti e su chi gli sta intorno. L'opera è frutto della esperienze maturate durante la vita dallo stesso Dombrovskij, che ne passò la gran parte nei gulag o al confino.... #libridisecondamano #ravenna #bookstagram #booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #jurijdombrovskij (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/B5wql1AIb7R/?igshid=fh06xsv9938d
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foxpapa · 7 years
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Bolscevichi al potere, la Russia dal 1917 al 1940
Una mostra fotografica a Milano racconta la Russia rivoluzionaria, dalla caduta dello Zar ai moti d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky
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storiasparsarussia · 5 years
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X Il decreto sul terrore rosso del 5 settembre 1918. Il custode dei cortili dei caseggiati. Il futuro staliniano (tempo verbale). I geologi di Nikonov. Maria Popova che parla con Lenin pochi secondi prima dello sparo. Il pestaggio di Jurij Dombrovskij, nell’atrio della Casa Centrale degli Scrittori. Il libro della buona e sana cucina, di Mikojan. Il film proibito di Aleksandr Medvedkin. L’abrogazione delle tessere annonarie. La bandiera nera degli anarchici di Machno. La corda sul collo del maresciallo Achromeev. Brodskij processato per parassitismo. Lev Rubinstein che recita le schede della biblioteca. “Il regno dei cafoni”, la dittatura del proletariato ai suoi inizi, secondo Gor'kij. Il XIV Congresso, quello dell’industrializzazione. Il carattere nazionale della rivoluzione bolscevica, secondo Ustrjalov. L’Esposizione agricola panrussa del 1939. Molotov e Žemčužina a braccetto per strada. I mosaici sotterranei della stazione Majakovskaja. I dodici anni in cui gli ebrei abbandonano l’Unione Sovietica. Il blin, simbolo del sole, delle belle giornate, dei buoni raccolti, dei matrimoni felici e dei bambini in buona salute. L’appartamento ribattezzato spazio abitativo. La legge sulla riduzione delle pene del 1960. Quando il direttore dell’ufficio cultura, agitazione e propaganda era Aleksandr Jakovlev. Gli scioperi della fame. La mascolinizzazione del corpo femminile. L’accordo di Dybenko con i cosacchi. Il fumo delle fabbriche come “respiro della Russia sovietica”. Il poeta russo.
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paoloxl · 7 years
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Rousset: STATO DI CRISI NEL NORD-EST ASIATICO . LA QUESTIONE COREANA
La crisi coreana, dopo l'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, da cronica è diventata acuta. Su uno sfondo di instabilità generale, essa si gioca su tre livelli: i rapporti di forza tra le potenze mondiali; le forti tensioni all'opera in tutta l'Asia orientale; la rottura o il mantenimento dello status quo tra le due Coree. A questo, aggiungiamo anche la situazione negli Stati Uniti dove Trump è tentato di compensare i suoi fallimenti in politica interna con la creazione di un clima di mobilitazione nazionale contro una minaccia esterna - sia essa russa, cinese o nordcoreana.
I “giochi” della crisi coreana sono numerosi, grandi le incertezze e reali i pericoli di "disastro incontrollato".
Una pace mai siglata
La guerra di Corea (1950-1953) risale a 65 anni fa - ma nessun trattato di pace è stato firmato, bensì solo un armistizio. La penisola vive ancora ufficialmente in stato di guerra - una situazione che non è solo formale. Gli Stati Uniti, in particolare, sperano ancora di conquistare una vittoria che gli è sfuggita nel secolo scorso.
Spesso le Penisole occupano una posizione geostrategica controversa; è proprio il caso della penisola coreana. L'influenza giapponese si afferma alla fine del XIX secolo, a spese della Cina, militarmente sconfitta dal primo imperialismo asiatico. Nel 1910, il paese è puramente e semplicemente annesso a Tokyo. Esso non ritroverà la sua indipendenza prima del 1945, con la capitolazione del Giappone. Mosca e Washington hanno deciso di disarmare essi stessi l'esercito giapponese, creando due zone di occupazione a nord e a sud del 38 ° parallelo.
A sud, un influente comitato nazionalista di sinistra e comunista proclama la creazione di una Repubblica popolare, opponendosi al governo provvisorio di Syngman Rhee che gli Stati Uniti sostenevano. Questa lotta è endogena; non è esportata né da Mosca né da Pechino né da Kim Il Sung.
Washington reagì instaurando un regime militare a Seul. L'armata statunitense soppresse i comitati d'indipendenza nazionale appoggiandosi sulla polizia nipponica, su funzionari giapponesi e sui loro collaboratori coreani. Nel 1948, Syngman Rhee fu eletto presidente della Repubblica di Corea (Corea del Sud). Dei guerriglieri comunisti resistettero all'instaurazione del suo potere dittatoriale. La Corea del Nord è a sua volta proclamata Repubblica popolare – con delle elezioni clandestine organizzate al sud.
E' in questo contesto di guerra civile a Sud che scoppia il conflitto coreano nel 1950. Esso assume rapidamente una dimensione internazionale. Sotto l'egida dell'Onu, gli Stati Uniti impegnano un potente corpo di spedizione. L'esercito del Nord è sospinto fino ai margini della frontiera cinese. Pechino (che desiderava impegnarsi nella ricostruzione del paese) entra in guerra, respingendo a loro volta le forze americane fino al 38° parallelo. Il fronte si stabilizza e, nel 1953, una zona smilitarizzata di 4 km di larghezza è costruita tra i due Stati – divenendo di fatto una delle più ricche riserve naturali del pianeta.
Quella che Philippe Pons chiama la “nebulosa comunista” coreana comprendeva quattro componenti: la resistenza interna, gli esiliati in Unione Sovietica, il gruppo di Ya'nan vicino al Partito Comunista Cinese e una unità di partigiani operanti in Cina senza aver fatto parte del PCC. Kim Il Sung dirigeva questa ultima unità. Egli è ritornato in Corea del nord solo un mese dopo l'esercito russo. Mosca ha favorito la sua ascesa alla testa del nuovo regime nel momento in cui la sua frazione era molto minoritaria nella direzione del partito comunista coreano. Ciò non ha impedito che divenisse il loro servo. Nel corso degli anni '50 e '60, egli ha consolidato a colpi di purghe il mantenimento del suo potere. I primi sacrificati furono i comunisti interni, eliminati mediante processi truccati. I “filosovietici” e i “filocinesi” subirono più tardi una sorte simile. Il regime è divenuto dispotico e poi dinastico.
Una regione in armi
Malgrado il ravvicinamento cino-americano che inizia con l'entrata della Repubblica Popolare cinese nel consiglio di sicurezza dell'Onu (1971) e il viaggio di Nixon a Pechino (1972), non ci sono mai state le condizioni per mettere definitivamente termine allo stato di guerra nella penisola coreana. Gli Stati Uniti hanno mantenuto il dispositivo militare che avevano rafforzato durante la guerra del Vietnam, particolarmente potente nel Nord-Est asiatico. La Cina non voleva ad alcun prezzo correre il rischio, in caso di riunificazione della Corea, di vedere le forze USA accampate alla sua frontiera. Nessuna soluzione alla tedesca, dunque, soltanto un congelamento prolungato della situazione.
Peraltro, il regime nordcoreano non è affondato, come probabilmente speravano i dirigenti americani; e ciò, malgrado crisi sociali interne (carestia nella seconda metà degli anni '90, penurie, ecc…), l'implosione dell'URSS, il riallineamento di Pechino al Capitalismo e lo sviluppo dei suoi legami con la Corea del Sud, la morte del “grande leader” (Kim Il Sung), poi dei suoi figli, le sanzioni internazionali, le pressioni esercitate e gli attacchi molto concreti condotti da Washington (guerra elettronica)… Come nota Philippe Pons, “se fosse stato semplicemente uno staliniano, non sarebbe sopravvissuto”, malgrado il suo ricorso al terrore. La mentalità di fortezza assediata gli ha soprattutto permesso di mobilitare un nazionalismo/patriottismo etnico più che politico, forgiato sotto l'occupazione giapponese e di costruire una “recita nazionale” legando il passato recente alla resilienza di uno “Stato-guerrigliero”.
L'interesse a questa questione è che permette di comprendere perché la politica statunitense ha fallito, rinforzando, con la minaccia permanente, i meccanismi ideologici di sopravvivenza del regime. Pyongyang ha peraltro tratto una lezione dall'attualità internazionale: solo il possesso dell'arma nucleare protegge efficacemente un paese “nemico” da un intervento occidentale.
L'ingranaggio seguito all'annuncio del programma nucleare nordcoreano avrebbe forse potuto essere fermato sulla base di accordi negoziati da Washington, a partire dal 1994, sotto la presidenza di Bill Clinton; ma questi accordi sono stati unilateralmente rotti da George Bush che ha, inoltre, piazzato la Corea del Nord nell'”asse del male”. L'amministrazione Obama ha fondamentalmente mantenuto la medesima posizione. Le grandi manovre aereo-navali congiunte USA- Corea del Sud hanno per obiettivo uno sbarco o delle infiltrazioni al nord. Un intero sistema di guerra elettronica è stato messo in campo per sabotare a distanza i programmi nord-coreani.
Uno spazio di possibilità si è richiuso con il lievitare delle tensioni tra Cina e Usa in Asia orientale. Tutta la Regione è ora sul piede di guerra. Nel mar cinese meridionale, Pechino ha preso l'iniziativa. Sette isole artificiali sono state create e su esse delle installazioni militari, piste di aeroporto e basi missilistiche sono state costruite. Il programma di armamento cinese si sviluppa e una seconda portaerei sta per essere varata, di fabbricazione interamente nazionale (lo scafo della prima era stato acquistato dalla Russia).
In queste condizioni, gli Stati Uniti mirano a mantenere il loro controllo sugli stretti marittimi, grazie alla VII flotta, così come alla loro predominanza militare nell'Asia del Nord-Est. Essi beneficiano di una rete formidabile di basi in Corea del Sud, in Giappone, soprattutto ad Okinawa e di eserciti alleati (sud-coreani e giapponesi).
L'escalation continua. Washington ha appena installato in Corea del Sud una base di missili antimissile THAAD, allo scopo, ufficialmente, di distruggere gli armamenti nord-coreani. Tuttavia, vista la loro portata, le THAAD possono operare su una gran parte del territorio cinese. Neutralizzano così la forza di dissuasione nucleare della Cina – che prevede in conseguenza, per metterla al riparo, di modernizzare e sviluppare negli oceani i suoi sottomarini strategici.
Il Giappone, benché ufficialmente abbia forze armate esclusivamente di autodifesa, possiede già la sesta flotta militare al mondo, che comprende in particolare quattro portaelicotteri. Il Governo e il complesso militare industriale tentano di far saltare gli ultimi ostacoli politici ad un riarmo completo – compreso il nucleare – del Paese, malgrado una Costituzione esplicitamente pacifista e malgrado la forza del sentimento antimilitarismo della popolazione.
Programma nordcoreano, scudo missilistico USA in Corea del Sud, espansione e modernizzazione della capacità di attacco cinese, progetti della destra militare nipponica… Il ciclo infernale delle provocazioni e contro provocazioni ha rilanciato la corsa agli armamenti in estremo oriente.
Tutti i regimi coinvolti ne sono responsabili e sapere chi ha tirato il primo colpo di guerra in Corea non ha più alcuna importanza di fronte ad un tale disastro.
La volontà di potenza
Il “fattore” Donald Trump aggiunge una incertezza in più a una situazione già molto pericolosa. Egli ha dirottato una portaerei USA e la sua flotta per posizionarli al largo della Corea; soffia sul filo delle sue dichiarazioni il calore militarista e il freddo della diplomazia.
Due dati tuttavia sono particolarmente inquietanti. Nel corso dei primi cento giorni della sua presidenza, Trump ha accumulato alcune battute di arresto sul piano interno, costretto dai giudici, dagli Stati, dal Congresso nonostante la maggioranza Repubblicana. Egli si scontra con una serie di cortei e mobilitazioni di massa in difesa delle donne, degli immigrati e delle immigrate, della Terra, della ricerca scientifica, contro il suo programma fiscale… Egli cerca quindi di riprendere le redini della situazione invocando le minacce esterne, invertendo a suo piacimento la politica russa o siriana, affermando la potenza di fuoco ineguale degli Stati Uniti, ordinando degli attacchi spettacolari in Siria o in Afghanistan per dimostrare che gli USA possono agire senza preavviso e senza consultare i propri alleati.
Trump peraltro ha composto un governo di uomini d'affari e di generali. Ha promesso un programma di armamenti massiccio, ma il suo finanziamento rischia a sua volta di essere rimesso in discussione dal Congresso. Lo stato maggiore e il complesso militare-industriale ne sono preoccupati. Invocare incessantemente il pericolo nord-coreano è un modo di fare pressione sui parlamentari.
Il bombardamento effettuato in Afghanistan non aveva alcun senso su questo scenario di operazioni. Una rete di rifugi sotterranei di Al Qaida è stato distrutto, ma questa organizzazione non è che una componente minore del conflitto. Il vero nemico sono i talebani, che sono stati probabilmente rafforzati politicamente dalla violenza distruttiva dell'attacco. Un “segnale” internazionale, anche verso la Cina e la Corea del Nord, è stato certamente lanciato dalla determinazione USA, ma c'è di più. La “madre delle bombe”, la più potente bomba al mondo, non era mai stata utilizzata. Ogni armamento deve comunque essere testato nelle sue dimensioni reali.
Era proprio per questo che in agosto 1945, Hiroshima e Nagasaky sono state bombardate dal nucleare: bisognava affrettarsi nel comparare gli effetti della bomba A e della bomba H prima che la capitolazione del Giappone fosse annunciata ufficialmente – e tanto peggio per la moltitudine di cavie umane, per una popolazione civile annientata e irradiata nell'olocausto nucleare.
Le armi devono essere prodotte e dunque usate. Questa è la logica di guerra del complesso militare e industriale.
Trump ha delle ragioni che la ragione diplomatica ignora. Egli non conosce nulla del mondo (salvo gli affari) e non domanda il parere agli ambasciatori e alla burocrazia dell'amministrazione. La sua azione politica è intermittente; dalla sua elezione, egli ha più volte cambiato brutalmente orientamento sul piano internazionale. E' un fattore di instabilità, d'imprevedibilità, e gli alleati degli Stati Uniti ne sono coscienti, in Giappone come in Corea del Sud o in Australia.
L'unilateralismo degli USA li inquieta. Sanno che la Casa Bianca può prendere delle decisioni per loro conto, gravide di conseguenze, senza nemmeno consultarli.
La parola ai popoli
Le ragioni di speranza, tuttavia, non mancano. La popolazione sud-coreana ha rovesciato dopo mesi di mobilitazioni giganti una presidenza corrotta e un partito militarista. Essa opta, in maggioranza, per una politica di negoziazione più che di provocazione nei confronti del Nord.
Delle azioni simboliche sono state lanciate, come quelle delle quaranta militanti femministe che hanno varcato insieme la frontiera. Delle manifestazioni si sono svolte nei pressi di Seongiu, la dove gli armamenti antimissile THAAD sono installati e si sono contrapposte alle forze di polizia. Una coalizione di movimenti si oppone anche alla presenza di una base navale nell'isola meridionale di Jeju.
In Giappone, la resistenza civile alla rimilitarizzazione del paese resta molto profonda. Malgrado il lancio di missili nord-coreani che sono precipitati al largo dell'arcipelago e malgrado la stessa propaganda costante della destra radicale, a Okinawa, l'opposizione alle basi militari USA non si indebolisce.
In tutta la regione, avanza l'idea che solo la smilitarizzazione dello spazio marittimo permetterà di evitare la guerra.
Il gioco dei conflitti in Asia orientale ha valenza mondiale. I movimenti contro la guerra dovranno sostenere le resistenze asiatiche – in Europa e, ancor più importante, negli Stati Uniti.
Pierre Rousset
CRONOLOGIA
1894-1895 : Prima guerra cino-giapponese (vittoria del Giappone).
1904-1905 : Guerra russo-giapponese (vittoria del Giappone).
1910 : Annessione della Corea al Giappone.
1931 : Conquista della Manciuria da parte del Giappone.
1937-1945 : Seconda guerra cino-giapponese e Seconda Guerra mondiale.
1945 : Liberazione della Corea. Creazione di due zone di occupazione al nord (Russia) e al Sud (Stati Uniti). Guerra civile al Sud.
1948 : Proclamazione della Repubblica di Corea del Sud (Syngman Rhee) e della Repubblica popolare di Corea del nord (Kim Il Sung).
1950-1953 : Guerra di Corea.
1994 : Morte di Kim Il Sung. Suo figlio Kim Jong Il gli succede.
1994-2001 : Accordi miranti a congelare il programma nucleare nord-coreano sono siglati con l'amministrazione di Bill Clinton negli Stati Uniti
2001 : Elezione di George W. Bush alla presidenza degli Stati Uniti. Rottura unilaterale degli accordi.
2006 : Primo test nucleare sotterraneo in Corea del Nord.
2009-2017 : Sviluppo da parte di Pechino di una rete di basi militari nel mar cinese meridionale. Nel 2017 essa diventa operativa.
2009-2017 : Presidenza di Barak Obama negli Stati Uniti
2009 : Test nucleari nord-coreani.
2011 : Morte di Kim Jong Il. Suo figlio Kim Jong Un gli succede.
2012 : Abe Shinzö, Primo ministro giapponese.
2013 : Crisi dei missili. Test nucleare nord-coreano.
2016 : Elezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti (entrata in carica nel gennaio 2017). Destituzione della Presidente Park Geun-hye in Corea del Sud.
2017 : Lancio di missili nord-coreani. Installazione del sistema di missili antimissile THAAD in Corea del Sud dove le elezioni sono previste a maggio. Continua la corsa agli armamenti nella regione. Stato di crisi.
P.-S.
* Dossier preparato per il settimanale l'Anticapitaliste, datato 4 maggio 2017.
Traduzione di Enio Minervini per Sinistra Anticapitalista
Vedi anche sul sito il mio articolo su La guerra di Corea
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2793:rousset-stato-di-crisi-nel-nord-est-asiatico--la-questione-coreana&catid=57:imperialismi&Itemid=73
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pangeanews · 5 years
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“Quello che chiamiamo amore è un contagio, una risonanza di traumi. La scrittura è il mio casco da astronauta”: Veronica Tomassini dialoga con Viola Di Grado
Viola Di Grado, catanese, classe 1987, pluritradotta, è tornata in libreria con un nuovo romanzo, “Fuoco al cielo” (La nave di Teseo), la considero una delle più belle voci della narrativa contemporanea. Di lei dice Michael Cunningham: “è una scrittrice potentissima”. E difatti, leggendola, visionaria e antichissima, chirurgica e lacerante, si staglia la sua poetica, lei stessa, aliena, fuori da qui, creatura che restituisce, in questo suo “Fuoco al cielo”, l’amore straniero e mostruoso, come solo può esserlo l’amore. Tamara e Vladimir, un villaggio nei perimetri non collocabili della Siberia, nel non luogo della “città segreta”, di quel terrore sovietico post staliniano, in un domani terrorifico di minaccia nucleare: Viola racconta la tenerezza violenta (perdonate l’ossimoro) di un amore, lo straniero, capace di ingenerare l’orrore e il raccapriccio, dentro possiamo notare ogni folgorante simbolismo della condizione umana. L’ho intervistata.
L’amore è il grande protagonista stavolta, l’amore che è lo straniero, l’inaudito. Qual è stata la genesi di “Fuoco al cielo”?
Un giorno mi sono imbattuta in un articolo di cronaca: una donna, nel luogo più radioattivo del pianeta, aveva trovato un bambino di venticinque centimetri senza genitali e aveva deciso di adottarlo. Questa storia mi ha rapita e ho deciso di raccontarla, e documentandomi ho scoperto le atrocità delle città segrete, questi luoghi invisibili costruiti sulla morte e responsabili di catastrofi nucleari. Un luogo del genere era ideale per ambientare un’idea, un’atmosfera che avevo in testa da anni: da tempo volevo raccontare l’amore come un contagio, una malsana comunanza o risonanza di traumi e di narrazioni irrisolte di sé. La coppia è un organismo, un mostro a due teste che accorpa in sé ogni mancanza (vuoti affettivi e tutto il resto) e la ripropone in modo più feroce in cerca di una riscrittura, di una salvezza. Coppia è mettere in gioco sia il bene che il male e “amore” è il modo univoco con cui per forza di cose, per sciatta approssimazione linguistica, siamo costretti a chiamare qualcosa di molto personale, che si fa e si disfa con i nostri strumenti psichici irripetibili e difettosi. Ogni amore è diverso, ogni amore mette in campo tutte i sé e ogni sé reclama spazio, tenta con le unghie e con i denti di essere rimesso in ballo, restaurato. […]
Cosa ti ha lasciato la storia di questo amore, mostruoso, come tutti gli amori?
Mi ha lasciato completamente vuota. Finire il libro è terribile, soprattutto per me, perché da sempre, già da quando ero una bambina, mi sento una serva della mia scrittura. Come se ogni esperienza, dolore, pensiero, esistesse in me solo per divenire materiale trasfigurato dei miei romanzi. Benzina della mia scrittura. È un vizio difficile da eliminare, ma probabilmente non ho intenzione di farlo, probabilmente è questo il senso e la forma della mia esistenza. Così quando non scrivo è come se non vivessi, è come se attendessi.
Lo stato della letteratura oggi, secondo te, tu sei l’aliena, è vero?
Sempre stata aliena. Da piccola non lo sopportavo, perché naturalmente avevo bisogno di confrontarmi con i miei coetanei, ma sentivo sempre una differenza enorme, eravamo due specie diverse che non riuscivano a incontrarsi. Crescendo sono diventata orgogliosa della mia diversità. Anche perché la scrittura era il mio casco da astronauta: mi permetteva di vivere qui, in questo pianeta che non mi somiglia, senza che fosse irrespirabile. Lo stato della letteratura? Penso che la letteratura sia viva, come sempre, ma che purtroppo abbia perso del tutto il peso socio-culturale che aveva in passato. Ai libri, adesso, si chiede l’intrattenimento e non l’abisso del pensiero. Adesso, anziché l’ascia che rompe i nostri mari ghiacciati interiori di cui parlava Kafka, il romanzo è la stecca per fare i selfie. Per fortuna esistono molti scrittori bravi, con voci forti che non si fanno corrompere dalla leggerezza tele-sedativa di quest’epoca (tu sei una di loro).
Veronica Tomassini
*L’intervista è pubblicata per gentile concessione di Veronica Tomassini: nella sua versione estesa e completa potete leggerla qui.
**In copertina: Viola Di Grado vista da Nerina Toci
L'articolo “Quello che chiamiamo amore è un contagio, una risonanza di traumi. La scrittura è il mio casco da astronauta”: Veronica Tomassini dialoga con Viola Di Grado proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2MHjRFM
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foxpapa · 7 years
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Bolscevichi al potere, la Russia dal 1917 al 1940
Una mostra fotografica a Milano racconta la Russia rivoluzionaria, dalla caduta dello Zar ai moti d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky
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foxpapa · 7 years
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Bolscevichi al potere, la Russia dal 1917 al 1940
Una mostra fotografica a Milano racconta la Russia rivoluzionaria, dalla caduta dello Zar ai moti d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky
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foxpapa · 7 years
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Bolscevichi al potere, la Russia dal 1917 al 1940
Una mostra fotografica a Milano racconta la Russia rivoluzionaria, dalla caduta dello Zar ai moti d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky
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paoloxl · 5 years
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Lettera aperta a Giorgio Cremaschi
Caro Cremaschi,
il tono con cui affermi che sul Venezuela si debba “dichiarare da che parte si sta” dando per scontato che chi non accetta di stare con chi pretende di incarnare la rivoluzione bolivariana starebbe “coi golpisti reazionari sostenuti da Usa e UE”, senza sfumature (“O di qua o di là – dici - e chi sta di là è un nemico”), ricorda quello con cui Breznev e i suoi vassalli europei pretendevano di rappresentare “l’unico socialismo possibile” e respingevano nel “campo nemico” chiunque avesse dubbi o si richiamasse al progetto originario.
Non si direbbe una frase infelice sfuggita, dato che la ripeti con una lieve variante in un altro punto della tua intervista a Geraldina Colotti: “O i governi progressisti e rivoluzionari di Venezuela, Bolivia, Cuba o il fascioliberismo di Bolsonaro, in mezzo o altrove non c’è nulla. Questo è centrale per come schierarsi, ma anche per capire che o si sceglie la via del socialismo, ovviamente adeguato al mondo del ventunesimo secolo, o c’è la reazione”. Si capisce che pensi ai governi, ma ci sono anche i movimenti e i singoli militanti, che hanno il diritto di non essere catalogati come seguaci di Bolsonaro o assimilati alla trogloditica destra venezuelana solo perché criticano la catastrofica politica economica di Nicolás Maduro, o i criteri con cui fissa arbitrariamente e unilateralmente le scadenze elettorali e chi può accedervi.  
Ma non è solo la valutazione di Maduro a dividerci: mi stupisce che tu possa sostenere che “l’esperienza di ALBA segna una prospettiva utile anche ad affrontare la crisi della UE, dei cui trattati diseguali Potere al Popolo vuole la rottura. In quella rottura i paesi dell’Europa Meridionale e del Mediterraneo (?!) potrebbero trovare in ALBA un esempio e un modello di nuovi rapporti”. Mi sembra incredibile che tu proponga quello che è stato un cartello di paesi e di governi e che per giunta è in crisi evidente, addirittura come modello utile per “paesi del Mediterraneo” di cui non ce ne è uno che abbia un governo blandamente di sinistra, a parte il Portogallo. Perché non rifletti su cosa è rimasto dell’ALBA e non ti poni domande sulle ragioni? Come è possibile che uno strumento che consideri esemplare sia stato del tutto inefficace di fronte alla sconfitta di gran parte dei suoi governi?
Tu insisti nel vedere dovunque un golpe, ma non ti domandi perché la mobilitazione in difesa di Lula è stata così insufficiente a contrastare l’ondata di rigetto nei confronti del PT, che era stato al governo per tanti anni? È vero che in Brasile la corruzione invadeva e invade tutti o quasi i partiti, ma verificare che “così fan tutti” non è stato indolore per chi aveva sognato una svolta in direzione del socialismo e si è trovato a vedere le prove dell’enorme giro di tangenti fornite dai corrotti e corruttori rei confessi. E ovviamente non penso tanto all’appartamentino che sarebbe stato (forse) fornito a Lula, quanto alle somme spese per costruire maggioranze eterogenee e ambigue per “governare ad ogni costo” comprandosi parlamentari e interi partiti di destra, in collaborazione con multinazionali come la Odebrecht o Petrobras con cui Lula manteneva strettissimi rapporti. I cosiddetti golpisti come Temer e molti dei sostenitori di Bolsonaro facevano parte delle maggioranze con cui Lula e Dilma governavano, finché non hanno intravisto la possibilità di approfittare della crisi di consenso del governo per prendersi tutto il potere.
Oltre al Brasile anche l’Argentina è perduta per l’ALBA; l’Ecuador non ha avuto neppure bisogno di un golpe o di un risultato elettorale per cambiare “campo”. Resterebbe la Bolivia, ma che garanzia dà per una controffensiva continentale se il suo presidente chiama hermano il presidente Bolsonaro, e si presta anche al gioco sporco del governo italiano sul “caso Battisti”? Non apro qui il caso Nicaragua perché nell’intervista non la nomini, e d’altra parte c’è già materia per riflettere negli altri casi portati ad esempio.
Invece di influire su una Colombia che oltre a due e più formazioni guerrigliere ha avuto una sinistra che ha governato le maggiori città, l’immagine negativa del Venezuela, non frutto di fantasia e di fake news ma misurabile dall’inversione delle correnti migratorie, ha rafforzato in modo inquietante la peggiore destra. La gente giudica dalla dimensione del fenomeno dei migranti, che fuggono da una penuria senza confronti con qualsiasi altro paese del continente, e inspiegabile se non con l’enorme corruzione dovuta alle facilitazioni offerte a capitalisti di ogni taglia e di ogni paese con i sistemi multipli di cambio.
Caro Cremaschi, mi sembra che tu consideri le critiche alla politica di Maduro e dei vertici del burocratizzatissimo PSUV come il venir meno del dovere di sostenere il Venezuela di fronte all’attacco imperialista: in realtà è il comportamento di Maduro che favorisce la crescita di un sentimento di rabbia e riduce la partecipazione che caratterizzava l’esperienza di Chávez, e che quindi renderà più facile l’attacco che si prepara e che ci preoccupa. Se rifletti sull’esperienza del Brasile, capisci perché la critica è necessaria: da dove veniva Temer, se non da una vicepresidenza concordata? Perché durante i quattro mandati presidenziali del PT non erano stati riformati la polizia, l’esercito, la magistratura ultrareazionaria che poi si è prestata a quello che chiami golpe? Queste sono le forze che hanno preparato il voto massiccio per Bolsonaro, approfittando della delusione e dello sbandamento della sinistra.
Perché è stata così evidentemente insufficiente (almeno a giudicare dai voti) l’azione per far crescere la coscienza politica del popolo, assistito per anni con bonos o borse di alimenti che avevano una funzione di tranquillante sociale ma lasciavano intatti i capitali grandi e piccoli?
La scelta di contrapporre la politica di questi governi “progressisti” al più becero revanscismo dell’imperialismo impersonato da Trump è un escamotage che non ha respiro, e si regge solo nascondendo le voci critiche che non sono state ascoltate e sono state emarginate proprio grazie a questo fideismo. Ma questa non è una novità: negli anni del peggior terrore staliniano c’era chi faceva i pellegrinaggi alla nuova Mecca di Mosca e scopriva che in URSS c’era una “nuova civiltà”, e chi, più semplicemente, non sospettava neppure che nei Gulag c’erano militanti che discutevano appassionatamente su come difendere l’URSS...
Eppure queste voci critiche nei confronti del governo e al tempo stesso impegnate nella denuncia dei tentativi imperialisti, c’erano in Brasile, in Ecuador, in Nicaragua, ci sono in Venezuela, anche se indebolite e amareggiate per le calunnie e le sopraffazioni burocratiche e senza nessun sostegno esterno. Tra loro ci sono compagni che hanno collaborato strettamente con Chávez. Sono contro Maduro anche per la sua disponibilità a eccessive concessioni alle grandi  multinazionali petrolifere, nell’illusione di ottenerne la gratitudine, ma sono allarmate per i concreti tentativi di intervento militare dei pessimi governi vicini (Brasile, Colombia e Guyana) che potrebbero anche utilizzare i contenziosi territoriali aperti dagli ultimi due paesi.
È assurdo che un compagno come te che ha una lunga storia di battaglie di minoranza, non ascolti queste voci solo in base alla loro dimensione, e non si curi del contenuto delle loro denunce e dei loro allarmi, come è avvenuto per decenni nei confronti delle inascoltate minoranze critiche che invano denunciavano che il sistema staliniano si avviava verso il suo ignominioso sgretolamento.
Se ci sarà un attacco esterno al Venezuela sono sicuro che ci troveremo di nuovo insieme, e forse sarà più facile discutere sulle ragioni dell’indebolimento di quel progetto generoso di costruire una nuova America Latina che avevamo sostenuto con convinzione.
Antonio Moscato
P.S. Avevo scritto a caldo questa lettera subito dopo aver letto la tua intervista, ma avevo rinviato la sua pubblicazione sia per riflettere meglio su ogni parola per non correre il rischio di rendere più profonde le divergenze, sia perché intanto ero concentrato sulle ultime vicende venezuelane. Ero ovviamente in ansia per la giornata di ieri, che tuttavia non ha cambiato molto: la destra trogloditica e litigiosa ha trovato per il momento ancora un volto nuovo, che le permette di mobilitare le piazze, anche se il paese rimane spaccato in due. Ma il governo deve appoggiarsi sempre più su un esercito abituato a mettere in vendita la sua lealtà. Non è questo che può diminuire la preoccupazione per il futuro del Venezuela... (a.m.24/1/19)
http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3042:lettera-aperta-a-giorgio-cremaschi&catid=6:il-dibattito-sul-qsocialismo-realeq&Itemid=15
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Jurij Dombrovskij (1909-1978) continua la sua epopea narrativa ambientata ad Alma-Ata, nel Kazachstan, iniziata ne 'Il Conservatore del Museo' e che prosegue qui in 'La Facoltà di Cose Iutili', scritto fra il 1965 e il 1975. Protagonista è sempre il catalogatore del museo Zybin, che però a differenza del romanzo precedente non narra più in prima persona. Ritroviamo di nuovo i peculiari personaggi come l'archeologo Kornilov, il direttore del museo di Alma-Ata, l'assistente Klara, il capo Potapov e il "nonno" falegname, nel terribile anno 1937. Rispetto all'opera precedente si nota una certa libertà nello stile e soprattutto nei contenuti, non più soggetti alla censura sovietica poiché il romanzo fu pubblicato a Parigi nel 1978. Se la denuncia sociale del periodo del terrore staliniano nel primo romanzo era soltanto un'ombra che aleggiava, qui la minaccia si concretizza terribilmente, avendo effetto sui personaggi protagonisti e su chi gli sta intorno. L'opera è frutto della esperienze maturate durante la vita dallo stesso Dombrovskij, che ne passò la gran parte nei gulag o al confino. ... #libridisecondamano #ravenna #einaudi#booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #libriusati #juridombrovskij (presso Libreria Scattisparsi) https://www.instagram.com/p/Bq_nwl4npS5/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=ja13njobprra
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foxpapa · 7 years
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Bolscevichi al potere, la Russia dal 1917 al 1940
Una mostra fotografica a Milano racconta la Russia rivoluzionaria, dalla caduta dello Zar ai moti d’Ottobre, dalla guerra civile alla nascita dell’Unione Sovietica, dalla morte di Lenin al terrore staliniano e all’assassinio di Trotsky
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foxpapa · 7 years
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foxpapa · 7 years
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foxpapa · 7 years
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