⇢ Дорян Павлов; 〈 he’s ex member of SoIntsevskaya Bratva (Organizacija) ⋅⋅⋅ 𝘧𝘰𝘳 𝘸𝘩𝘰 𝘤𝘰𝘶𝘭𝘥 𝘦𝘷𝘦𝘳 𝘭𝘰𝘷𝘦 𝘢 𝘣𝘦𝘢����𝘵? ❜ 〉
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┇𝖡𝗎𝗌𝗂𝗇𝖾𝗌𝗌 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟣𝟪.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟤𝟥:𝟤𝟪 ) Arrendersi non era una possibilità. Non lo era mai stata. Avrebbe continuato a provarci, a tentare; non importava quale sarebbe stato il prezzo a quella sua indomabile ostinazione, perché lo avrebbe pagato. Il viaggio nella meravigliosa località portuale di Busan s'era rivelato un colossale fallimento, eppure, Dorian non aveva ancora desistito. Osservava quel che si trovava oltre la finestra, dal secondo piano della sua abitazione; alle sue spalle la familiare chioma bionda ossigenata di ChangHyun. Egli sedeva su di una delle poltrone presenti all'interno dell'ampio salotto. Osservava, Dorian, senza realmente vedere e con la mente a viaggiare in luoghi dalle aride terre. Osservava, pur consapevole che nel suo giardino non avrebbe di certo scorto ciò che desiderava. Su quegli alberi non sarebbe germogliato, come per incanto, quel che voleva e Dorian ne era pienamente cosciente. Eppure, osservava perché, semplicemente, gli permetteva di ponderare. ‹‹ Sei sicuro non resti più nessuno? ››
‹‹ Nessuno. Non tra le mie conoscenze, almeno. ››
‹‹ Thailandesi, spagnoli, peruviani, boliviani.. persino i cazzi di messicani. I messicani, ti rendi conto? Quattro poveri coglioni che si credono di essere i sovrani del mondo. Delle teste di cazzo, che hanno ugualmente rifiutato. ››
‹‹ Queste persone.. seguono i soldi, lo sai anche tu. ›› Il denaro. Era convinto che con esso potesse comprare qualunque cosa desiderasse. Tutti sarebbero caduti ai suoi piedi, se soltanto avesse sventolato la giusta quantità di denaro. Era stato costretto a ricredersi, dinnanzi ad innumerevoli rifiuti. Dinnanzi all'istinto di far fuori, uno dopo l'altro, quelle teste di cazzo che, involontariamente, stavano affiancando Sergej in quella battaglia. Svariati narcotrafficanti, lo avevano privato di ciò che voleva, semplicemente perché il denaro poteva comprare molte cose, ma non il potere. Il potere lo si guadagnava. E Dorian non era ancora stato in grado di farlo. Fu l'ennesima amara consapevolezza che lo colpì, mentre il corpo tornava a volgersi in direzione di ChangHyun; lo fronteggiò, per poi accomodarsi contro la stoffa beige di quel sofà. Il tono con cui proferì parola fu pacato. Stranamente pacato. E probabilmente era merito dell'ingente quantità di alcolico ingerita e che, persino in quel momento, raccolta nel cristallo di un bicchiere, ebbe modo di ingurgitare. ‹‹ A Sergej non occorre sbandierare il suo denaro. Ha la Russia, per non parlare di tutti i suoi affari all'estero. La Bratva ha tra le mani persino l'America, di questi tempi. Io che cazzo ho? Un fottuto casinò. Ma il Seven Luck è la mia unica opportunità. Crolla lui, crollo io. Ed io non ho intenzione di crollare. ››
‹‹ .. Dorian. Forse qualcuno c'è. ››
‹‹ L'ultima volta che lo hai detto, ho rischiato di ammazzare un cazzo di messicano. ››
‹‹ Chi altro ha allungato le proprie grinfie su Seoul, oltre alla Bratva? ››
‹‹ Yakuza e Triade? Ci ho già provato. ››
‹‹ Il cartello di Medellìn. E per quanto ne so, la Bratva non è ancora arrivata in Colombia. ››
‹‹ Gli ultimi giocatori arrivati a Seoul. I fottuti colombiani. ››
‹‹ Tua sorella ne ha sposato il Patròn. E lui potrebbe accettare.. ››
‹‹ Potrebbe. Così come io potrei aprirgli il culo per aver ingravidato Halina. Ma le questioni private passano in secondo piano, quando si tratta di affari; no? Quindi posso attendere, per rendere vedova mia sorella. Prima comprerò la sua cocaina. ››
‹‹ ...Dorian. Per quanto io capisca delle donne, dubito che le possa far piacere restare vedova. ››
‹‹ Halina ha molti motivi per odiarmi, sopratutto di recente. Ma è deciso: conoscerò il padre di mio nipote. ›› Fu in seguito alle ultime parole pronunciate, che ulteriore Vodka contribuì al progressivo marcire del suo fegato. Scivolò rapidamente tra le ardenti pareti della sua gola e Dorian potè percepirla diramarsi in ogni altra molecola del suo corpo, in ogni bluastra vena ove fluiva all'unisono con il liquido scarlatto. Che disprezzasse Dominic, il marito di colei che reputava sua sorella, nonostante non vi fosse alcun legame di sangue ad unirli, era cosa assai nota. Eppure, a differenza di come avrebbe potuto agire soltanto un paio di anni addietro, aveva accolto la possibilità di entrare in affari con lui. Halina non era cosciente, che il russo sapesse ━ che sapesse cosa suo marito in realtà fosse. Ma era giunto il momento che Dominic ed Halina facessero i conti con quel che il russo era stato in grado di scoprire, senza che la giovane donna gli dicesse alcunché. Era giunto il momento di scoprire le carte e di rivelare spiacevoli verità. Perché Dorian era divenuto avido ed oltre al denaro, voleva anche il potere; lo stesso potere da Sergej esercitato.
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┇𝖠 𝖼𝗁𝖺𝗋𝗂𝗍𝗒 𝖾𝗏𝖾𝗇𝗍 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟣𝟣.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟫:𝟤𝟪 ) ‹‹ Mi 'spiace recarle disturbo.. volevo soltanto avvertirla di essermi personalmente assicurato tutti sappiano che ogni singolo guadagno andrà in beneficenza, stasera. Non tutti sembrava d'accordo a contribuire per i fondi del centro "Hope", però.. ›› Furono le parole a susseguire l'apertura di quella porta; una porta che sino a quel momento aveva come unico compito di non permettere ad alcun nuovo problema di palesarsi. Una porta che non adempì al suo compito, non appena la figura timorosa quanto preoccupata del segretario si palesò all'interno dell'ufficio. Lo sguardo tagliente di Dorian, con una lentezza calcolata ed inquietante, si volse nella sua direzione. Percepì l'impulso di alzarsi e riversare su quel corpo ogni sua singola frustrazione, eppure non lo fece. Le sue membra rimasero a giacere sulla comodità della sedia d'ufficio, limitandosi unicamente a premere i piedi sul pavimento affinché le ruote della medesima sedia si muovessero verso destra. Così facendo l'intero busto di Dorian, fasciato in una nera camicia, venne esposto e diede modo al segretario Kang di scrutare anche il bicchiere di cristallo tra le sue mani. ‹‹ Ai ricchi non fotte un cazzo dei senzatetto. Ma a JiSung, sì. E se qualcosa va storto, la tua cazzo di testa finirà appesa sulla parete come trofeo. Quindi ti conviene trovare una soluzione ed anche in fretta. ››
‹‹ ..Ci proverò, signore. ››
‹‹ Già che ci sei, l'ingresso a quel piano dev'essere limitato. Nessuno dei miei ospiti, deve andarci nemmeno per sbaglio. Siamo intesi, JongDae? ››
‹‹ Me lo aveva già riferito, questo. Metterò qualcuno del personale di guardia, affinché nulla del genere possa accadere. Ha la mia parola. ››
‹‹ Non me ne fotte un cazzo, della tua parola. Va' e fai ciò che ti ho detto. ›› Il prestigioso Seven Luck, casinò di cui Dorian s'era nuovamente impadronito di recente, dispensava molto più che il semplice gioco d'azzardo. Anche traffici illeciti, dapprima gestiti dalla Solncevskaja Bratva e adesso da Dorian stesso, avvenivano nel piano inferiore a quello principale. Ed il russo non sembrava minimamente intenzionato a rendere quel piccolo particolare di dominio pubblico, non se di mezzo v'erano i suoi pochi affetti. Quei affetti ch'erano anche il motivo per cui le sue mani continuavano a stringere il cristallo di quel bicchiere che, spesso e volentieri, nelle ultime ore, era stato riempito di liquido ambrato. Complice era anche la bottiglia ormai quasi totalmente vuota, che se ne stava indisturbata sulla superficie in vetro di quella scrivania. Lo sguardo del segretario si calò su di essa, prima di tornare a volgersi sulla figura di Dorian. Le iridi altrui traboccavano di preoccupazione malcelata. ‹‹ Non dovrebbe bere prima di un evento così importante.. ››
‹‹ Non dovresti rompere il cazzo quando potrei licenziarti. ›› Anche se controvoglia, JongDae si congedò con un parziale inchino per poi abbandonare l'ufficio. Il russo parve approfittarne per potersi versare altro scotch, nonostante avesse promesso di non berne ulteriormente. I pensieri tacevano, l'equilibrio mentale non pendeva eccessivamente dalla parte sbagliata. Eppure, non sembrava ancora bastare.
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┇𝖲𝖾𝗅𝖿 𝖼𝗈𝗇𝗍𝗋𝗈𝗅 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟢𝟫.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟢𝟤:𝟤𝟪 ) ‹‹ Non mi hai mai fatto venire al Seven Luck, prima d'ora. E' successo qualcosa? ›› Diede la sensazione di non aver atteso altro che l'arrivo altrui, Dorian. Dalla sua espressione non sembrava trasparire alcuna emozione, così come il suo sguardo risultava totalmente vacuo, distratto. I glutei erano adagiati contro il bordo della sottile superficie di quella scrivania, il busto parzialmente volto verso destra affinché le mani potessero trafficare con la pregiata bottiglia di scotch, il suo preferito. L'aroma dell'Ardbeg Blasda appariva elegante, con il fumo di torba ad avvolgere note di cereali, spezie e sentori erbosi. Il russo riusciva a percepirlo, mentre ne versava una quantità calcolata all'interno del primo bicchiere di cristallo. Poi passò al secondo, e lo porse all'uomo dai biondi capelli ossigenati. ‹‹ Bevi un paio di dita, poi parleremo. ››
‹‹ In realtà, non mi va granché di bere scotch.. ››
‹‹ Bevi, ho detto. ››
‹‹ ... Dorian, sicuro vada tutto bene? ›› Con le dita a stringere saldamente il cristallo di quel bicchiere, Dorian si scostò dalla scrivania e avanzò in direzione dell'imponente vetrata a far capolino sulla parete opposta alla porta d'ingresso. Diede le spalle a ChangHyun, di conseguenza, per poter scrutare silenziosamente il panorama. Un panorama che poteva risultare spettacolare, nonostante il suo ufficio fosse situato soltanto al quarto piano del casinò. Un panorama che possedeva il potere di rilassare le tempie martellanti del russo. Percepiva un fastidio sotto pelle, Dorian. Un fastidio che non sarebbe sparito, semplicemente, grattando. Non importava quanto le unghie avessero potuto lacerare l'epidermide, sino a giungere alla carne viva, pur di eliminarlo: quel fastidio avrebbe continuato a persistere. Probabilmente fu questo il motivo per cui Dorian non rispose alla domanda dell'amico. Non rispose perché continuava a convincersi di star bene, continuava a convincersi che il viaggio nelle terre di Kolyma non avesse sortito nessun effetto, sulla sua psiche già di per sé deviata. Continuava a convincersi che, semplicemente, quel fastidio non esistesse. ‹‹ Almeno una volta a settimana, arrivava un coglione che riusciva a portarsi a casa in media centomila bigliettoni, giocando semplicemente a Poker Texas Hold'em. Puntava fiches color lavanda da cinquecento dollari, con un solo problema: indovinava sempre. Se non fosse stato così avido lo avrei notato difficilmente. Ma alla fine sono tutti avidi. ›› Proferì parola con inquietante calma a colare su ogni singola sillaba, dando le spalle a ChangHyun che, nel mentre, lo osservava con sguardo perplesso. Proferì parola, lasciandosi guidare unicamente da quei pensieri che s'accalcavano nei meandri della sua mente. Falliva miseramente, nel tentativo di districarli. Non sapeva ancora, Dorian, o meglio, ignorava, che quei stessi pensieri lo stessero conducendo alla sua stessa rovina. Pensieri sconnessi, spesso illogici, privi di umanità e che trasudavano crudeltà da ogni singolo poro. Pensieri che, come in quel momento, non gli appartenevano nemmeno. ‹‹ ..Mi hai fatto venire per questo? ››
‹‹ Non ho finito. ›› Rispose nell'immediato, denotando che le parole altrui avessero innescato un nuovo quanto immotivato moto di rabbia ad esplodergli nel petto. Non faceva altro che alterarsi, Dorian. E la frequenza poteva risultare proporzionata alla violenza con cui esternava quel sentimento a lungo covato. Negava persino a sé stesso, lo aveva sempre fatto, che quell'ira avesse come unica motivazione un istinto represso. Un istinto ch'era convinto fosse stato impresso nella sua mente da terzi, ma che in realtà era sempre stato lì, nell'angolo più remoto della sua anima. Era sempre stato lì, assopito, fino a quando qualcuno non era riuscito a scorgerlo. Fino a quando qualcuno non aveva costretto Dorian ad accettarlo e a lasciarvisi avvolgere. ‹‹ Con molta gentilezza lo faccio portare nella stanza accanto. E vengo a sapere che fregasse Anton da un anno. Lo beccava e quella testa di cazzo entravano di nuovo con barbe, parrucche o nasi finti. Pensava di poter fregare anche me, capisci? Sarà da esempio a chiunque altro possa soltanto pensare di provarci. ›› Tornò a voltarsi, il minore, rivelando la mascella contratta e lo sguardo ch'era chiaro, fosse carico d'odio. Un'odio incontaminato, un'odio che per troppo tempo aveva tentato di incanalare totalmente nell'ira. Ma questa, come un vaso pieno sino all'orlo, si rifiutava di accogliere altre velenose stille di quel logorante sentimento. ‹‹ Dorian.. dov'è adesso? ››
‹‹ E' questo il motivo per cui ti ho fatto chiamare. E' ancora nella stanza accanto. Liberatene. ››
‹‹ ...Era il caso di ammazzarlo? ››
‹‹ Hai almeno capito un cazzo di ciò che ho appena detto? ››
‹‹ Sai essere una testa di cazzo, ma non ammazzi qualcuno soltanto perché crede di essere furbo. Sei strano sin da quando sei tornato, Dorian. ›› Lasciò che quelle parole giungessero a lui ovattate, affinché gli scivolassero sulla carne senza assimilarle. Lo sguardo tornò a volgersi verso quel che v'era oltre la vetrata, ignorando deliberatamente la sola presenza di ChangHyun. Bevve un sorso del suo amato scotch; permise al liquido ambrato di correre giù per la gola le cui pareti ardettero, al suo passaggio. Ricercò quella sensazione, ma non parve bastare. Non bastò affinché i pensieri tacessero. Non bastò affinché le parole di Novomir sparissero dai suoi ricordi. L'illusorio controllo che credeva di detenere si stava sgretolando sotto il consistente peso di quei stessi ricordi e Dorian, inerme, stava permettendo che ciò accadesse. ‵ ‵ Love, it will get you nowhere. You are on your own, lost in the wild. So come to me now, I could use someone like you. Someone who’ll kill on my command. ( . . . ) Your mind is just a program, and I’m the virus. I’m changing the station, I’Il improve your thresholds, I’ll turn you into a super drone. And you will kill on my command, And I won’t be responsible. ‵ ‵
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┇𝖢𝗈𝗁𝖺𝖻𝗂𝗍𝖺𝗍𝗂𝗈𝗇 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟢𝟩.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟨:𝟣𝟪 ) ‹‹ Dovresti essere a riposare. Non so cosa sia peggio tra le due costole incrinate e quella ferita che hai all'addome. ››
‹‹ E tu dovresti restare lontana dai coltelli. ››
‹‹ E' soltanto un piccolo taglio, Dorian. ››
‹‹ Non credi di averne già troppi? ›› Il silenzio che, imponente, calò nella stanza, adibita come cucina, denotò quanto il tatto di Dorian potesse essere praticamente nullo. La preoccupazione che percepiva nei confronti della diciottenne poteva risultare asfissiante, eppure, non riusciva a fare a meno di opprimerla con quell'atteggiamento, sin da quando avevano mosso i primi passi sul suolo sudcoreano. Difatti, liberò il polso altrui dalla molle presa soltanto quando ritenne che, dal leggero taglio, non colasse più alcuna stilla di liquido scarlatto. ‹‹ Vai. Sistemo io qui. E fai attenzione a non svegliarlo, s'è addormentato sul divano. ››
‹‹ Dovresti assumere una domestica, te lo hanno mai detto? ›› Fu del tutto inevitabile volgere lo sguardo verso quella medicazione situata all'altezza dell'orecchio destro di Suji. Un orecchio praticamente inesistente, dal momento che le era stato reciso. Gli avvenimenti antecedenti alla sua partenza per la Russia grattarono prepotentemente la superficie, sino a quando non poterono fluire all'esterno. La figura di ChoHee, la ferita ad usurparle il fianco, l'orecchio che gli era stato spedito e lo sguardo inorridito della sua cameriera furono qualcosa che non riuscì a scacciare, Dorian. E per quanto esteriormente non lasciasse trasparire alcuna di quelle sensazione a strisciargli sottopelle, non poté evitare che il tono di voce venisse fuori gelido. Gelido quanto le terre da cui lui e Suji erano evasi soltanto il giorno precedente. ‹‹ Le ho dato qualche giorno libero. ››
‹‹ Dovresti farla tornare, questa casa è un caos. Si ferma per molto? ›› Fin troppo chiaro, fu il riferimento della giovane a colui che s'era assopito sul divano. Ella parve comunque reputare divertente ricalcare maggiormente il concetto, facendo cenno alla camera adiacente, il salotto. ‹‹ Vive poco più avanti, quindi è spesso qui. ››
‹‹ Non deve piacergli molto casa sua, se dorme sul tuo divano. ››
‹‹ Suji. ››
‹‹ Cosa? Dico la verità. Almeno le uova erano buone. ››
‹‹ Ti ha preparato le uova? ››
‹‹ Dubito fossero per me. Però sappi che erano buone. ›› Non rispose, Dorian. Non rispose, sopratutto perché non ne ebbe modo. Sua cugina sgusciò fuori dalla cucina con una rapidità disarmante e che non permise alcuna replica. Ad ogni minuto che inesorabilmente scorreva, si rendeva maggiormente conto di cosa sarebbe significato avere Suji a vivere con lui. Non era in grado di concepire quella condizione, Dorian. Aver vissuto per così tanto tempo da solo non gli permetteva di godersi la presenza continua di qualcun altro, tra le mura di ciò che reputava casa. Inoltre, osservando la ragazza non sembrava minimamente che avesse potuto subire torture sia fisiche che psicologiche, nelle ultime settimane. Continuava a chiudersi in quel mondo che s'era creata intorno, come fortezza, affinché il dolore non potesse fluire all'interno delle mura impiegate come difesa. Dorian sapeva bene in quali condizioni Suji fosse, eppure continuava a restare inerme, senza realmente comprendere come affrontare la situazione. Per quanto potesse preoccuparsi per lei, aveva ugualmente un piano da portare avanti e, con esso, anche un casinò.
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┇𝖢𝖺𝗀𝖾 ( III ) ; ➘ ━ Magadanskaya, Russia ( 𝟢𝟨.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟧:𝟦𝟪 )
Il suono dell'alterato battito cardiaco tuonava tra le incorporee pareti della sua mente, oltre che nella gabbia toracica, divenendo tutto ciò che riusciva a percepire. Era come trovarsi in un'enorme bolla, con ogni singola vibrazione esterna che giungeva a lui in modo del tutto attutito. V'erano solo quei frenetici passi ad alternarsi con il colare fuori del respiro mozzo. Quest'ultimo fuggiva alla molle presa delle labbra che, ormai, avevano assunto una sfumatura violastra a causa dell'incessante gelo. Un gelo che aveva cullato i corpi dei due malcapitato per la lunga durata della notte, continuando a persistere per tutto il giorno seguente. Non aveva dato loro alcuna tregua, accompagnandoli anche in quella corsa contro il tempo, contro coloro che li perseguitavano affinché ricevessero la fine che, secondo il modesto parere di Sergej, meritavano entrambi. E, probabilmente, era questo il motivo per cui, le dita del russo a stringersi intorno all'esile e livido polso altrui, non parvero in alcun modo intenzionate ad allentare la stretta. Tentava in ogni modo possibile, di incitare la giovane donna alle sue spalle di proseguire con quell'andamento, ben conscio che ella fosse ormai allo stremo. A denotarlo maggiormente il pallore di quella pelle che aveva sopportato troppo, negli ultimi giorni. Non era minimamente abituata ad un clima così estremo, Suji ed il russo temeva che l'ipotermia potesse essere passata allo stadio successivo, seppur avesse indosso ancora il tulup che le aveva ceduto. ‹‹ Continua a correre. Non fermarti per nessuna porco cazzo di ragione. ››
‹‹ Non sai nemmeno dove stiamo andando.. e sono stanca, Dorian. ›› Nonostante le continue incitazioni del russo, l'agitata corsa di Suji volse al termine: evidenziando la poca voglia che ella avesse di proseguire, evidenziando che fosse sul punto di mollare. Costrinse anche Dorian ad arrestare i suoi passi, ma egli non si limitò soltanto a questo. Per lui era totalmente inconcepibile arrendersi; nessun motivo possedeva le adeguate basi, per poter condurre qualcuno ad una simile decisione. Lo sguardo che le dedicò dimostrava quanto quell'azione fosse riuscita a fomentare un moto di rabbia ad esplodergli nel petto. Non permise mai ad alcuna parola, però, di acquisire voce. Non le urlò contro, perché era consapevole che non sarebbe servito in alcun modo. Preferì utilizzare quella rabbia a loro favore e, semplicemente, Dorian annuì. Annuì e tornò a voltarsi di spalle, dando l'impressione di volerle permettere di abbandonarsi all'amarezza del momento. Eppure, non erano queste le sue intenzioni e lo denotò il modo in cui le sue ginocchia si piegarono, affinché la loro differenza d'altezza non potesse essere un problema. Le iridi di Suji si sgranarono a quel movimento, probabilmente per la sorpresa, probabilmente perché non s'era resa conto, sino a quel momento, che il maggiore potesse essere in grado di farsi carico d'ogni singola complicazione. Ma era così. Dorian non faceva altro, sin da quando l'aveva tirata fuori dal gulag di cui era stata prigioniera. ‹‹ Sali. ››
‹‹ Sei ferito.. ››
‹‹ Sali, ho detto. ›› Il tono di voce non ammetteva alcuna replica e fu in grado di convincere Suji a salirgli sulle spalle e a cingergli la vita con le gambe, ormai, fin troppo fiacche per poterla indurre a muoversi autonomamente. Tornò con la schiena ritta, il russo e in quel cambio repentino di posizione, una smorfia di fastidio si impadronì del suo volto, nella chiara dimostrazione che una scarica di dolore si fosse appena diramata in tutto il suo corpo. Non volle in alcun modo volgere la sua attenzione a ciò che l'aveva innescata, all'altezza dell'addome. Non era il caso o il momento, di farlo. Stava bene. Si auto-convinse di ciò, seppur il suo corpo urlasse a gran voce l'esatto contrario. Si auto-convinse di ciò e tornò a proseguire, lasciando che ogni difficoltà gravasse unicamente sulle sue spalle, all'unisono con il peso di Suji. __ _ ( 𝖥𝗅𝖺𝗌𝗁𝖻𝖺𝖼𝗄 ; 𝟢𝟦.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟢𝟢:𝟣𝟧 ) ; Il silenzio, calato subito dopo l'entrata in scena dell'uomo alle sue spalle, era interrotto unicamente dallo zampillare di quelle stille d'acqua. L'insistenza con cui fuoriuscivano dalle usurate tubature situate sul soffitto, era proporzionata alla lentezza con cui poi si schiantavano al suolo, in pozze prive di forma e senz'altro inquinate dal lerciume presente nell'intera struttura.
Tre secondi ad intervallarsi tra una goccia e l'altra. Tre secondi con cui Dorian scandiva lo scorrere del tempo.
Seppur si trovasse accovacciato e lo sguardo fosse fisso sul volto di colei ch'era ancora priva di sensi, Dorian sapeva perfettamente chi vi fosse dietro di sé. Gli era bastato udire le parole da egli proferite, per comprenderlo. L'uomo alle sue spalle non era altro che Syergyej Mihajlov 'Mikhas, colui a detenere il comando della Bratva. Non aveva minimamente preso in considerazione l'eventualità ch'egli si potesse recare personalmente in quella topaia, Dorian. Nonostante la notevole prestanza fisica altrui, la chioma tendenzialmente bianca dell'uomo denotava che, ormai, avesse varcato la soglia dei sessant'anni. Eppure, alla spiacevole sorpresa che si trattasse proprio di lui, una sola domanda riusciva realmente ad assillare Dorian. Un'unica domanda che ebbe il potere di arrestare il movimento delle sue mani. ‹‹ Poetico, non trovi? Che il cerchio si chiuda proprio qui, in questo posto. ››
‹‹ A quanto pare, non hai imparato proprio nulla dai tuoi fallimenti. ›› Nonostante il tono di voce fosse carico di marcata ironia, la stessa utilizzata dallo stesso Sergej, continuò a non voltarsi. E non perché temesse di affrontare la causa di ogni suo male. Continuò a non voltarsi, Dorian, perché temeva sua cugina potesse sparire, se soltanto avesse rivolto lo sguardo altrove. Temeva di scostare le mani dal suo corpo privo di coscienza, come se fosse l'unico modo per trattenerla. Non era più disposto a voler vincere quella guerra, se ciò implicava dover fare i conti con così tante perdite. S'era ostinato, affinché nessun altro morisse a causa sua. Anche a costo di perdere la sua stessa vita, avrebbe vinto quella battaglia senza dover sacrificare più alcun affetto. ‹‹ I miei fallimenti si riducono unicamente a te. E questa situazione, oggi, volgerà al termine. ››
‹‹ A mia discolpa posso dire di essere duro a morire. ›› Temporeggiava, Dorian. Temporeggiava perché se Sergej si trovava nella regione di Kolyma, in quel gulag, poteva significare una cosa soltanto: non era solo. Non era solo, perché non si sarebbe mai premurato di giungere in quel luogo senza profanarlo con la presenza di un elicottero o con la presenza dei suoi uomini migliori. E comprese di avere maledettamente ragione, nell'esatto momento in cui udì molteplici passi che, rapidi e prepotenti, violarono la soglia di quella stanza sino a fiancheggiare Sergej. E seppur lo sguardo non gli avesse dedicato la minima attenzione, Dorian riusciva a percepire il ghigno di chi aveva la vittoria in pugno, increspare le labbra dell'uomo alle sue spalle. Ma non sembrava esserne preoccupato. Sul suo volto non vi fu il minimo accenno di preoccupazione, perché tutto sembrava essere ancora sotto il suo controllo. Esattamente venti stille d'acqua erano precipitate sulla fredda pietra del pavimento, da quando Sergej aveva mosso i primi passi in quella stanza. Sessanta secondi esatti ch'erano bastati, affinché il russo potesse liberare sua cugina da ogni singola catena che, fino a pochi attimi prima, le aveva trattenuto il corpo sulla gelidità della sedia. Una sedia che Dorian avrebbe senz'altro preferito rimuovere da ogni singolo ricordo. ‹‹ Sono proprio curioso di sapere come il tuo istinto di sopravvivenza possa salvarti, adesso. ›› Nell'esatto momento in cui quelle parole vennero proferite, le palpebre di sua cugina guizzarono, prima di issarsi lentamente su quell'opera che, ben presto, si sarebbe tinta di rosso cremisi. Totalmente disorientata, sembrò essere sul punto di proferire qualcosa considerato che le labbra si schiusero. Ma bastò che il russo portasse l'indice dinnanzi alle sue stesse labbra, affinché ella annuisse e restasse in silenzio. Affrontò quel timore di poter perdere anche l'ultimo membro della sua famiglia, Dorian. L'affrontò e lo sguardo finalmente si distolse dalla figura di Suji ormai più che sveglia. Le forze ancora mancavano, a quel corpo martoriato. Ma il semplice fatto che avesse riacquistato coscienza, sembrò bastare affinché suo cugino riuscisse ad allontanarsi da lei. ‹‹ Sai, Sergej.. ›› Lo sguardo finalmente si volse verso coloro che, non poteva sapere gli avrebbero dato filo da torcere, mentre il corpo tornava in una posizione eretta. L'espressione di Dorian fu a dir poco inquietante, considerato il sadico sorriso a dipingere le labbra carnose. L'unica che non poté scrutarlo era proprio Suji, che adesso il russo difendeva con la sua imponente stazza. Probabilmente si trattò di un gesto istintivo, affinché nessuno avesse la possibilità di toglierle la vita dinnanzi ai suoi occhi. Non sarebbe stata la prima volta, d'altronde. ‹‹ ..penso che assisterai davvero alla morte di qualcuno, oggi. E non mi riferisco di certo alla mia. ›› __ _ ( 𝖯𝗋𝖾𝗌𝖾𝗇𝗍 ; 𝟢𝟨.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟢𝟨:𝟢𝟨 ) ; La distanza a frapporsi tra loro e gli inseguitori sembrava essersi pericolosamente dimezzata, in seguito alla paura indotta da Suji. Riusciva ad udirli, Dorian. Riusciva ad udire la fretta dei loro passi, lo sfregare delle loro suole contro la candida neve a ricoprire il suolo. Riusciva ad udire le loro voci squarciare il silenzio funereo che aleggiava in quelle terre. Gli stessi uomini che non era stato in grado di assassinare, all'interno del gulag, continuavano ad inseguirli, sotto ordine di Sergej e non sapeva se sarebbe riuscito a seminarli ancora. Erano troppo vicini, adesso, per poterli raggirare e far perdere loro le tracce del suo passaggio. La orme lasciate sulla neve, senz'altro, lo stavano tradendo così come aveva fatto il freddo. Non poter fare nulla contro un'arma da fuoco rendeva realmente difficile, per Dorian, continuare a scappare. Odiava, farlo. Si era ripromesso che non sarebbe più accaduto. Eppure Sergej era stato maledettamente chiaro, qualche attimo prima che lui riuscisse ad evadere dal gulag portando con sé Suji. Lo voleva morto. Niente più torture fisiche o psicologiche. Una morte istantanea era la sorte che aveva scelto per lui.
Tutto ciò che riuscì a far continuare Dorian con quel ritmo, non fu la voglia di vivere, ma l'adrenalina, divenuta liquida, a scorrergli nelle vene bluastre all'unisono con quel liquido scarlatto. La percepiva diramarsi in ogni singolo centimetro del suo corpo, in ogni molecola. Un'adrenalina ch'era in grado di sopraffare il respiro ansante e i muscoli a dolere per lo sforzo. Poteva farcela. Gli avevano procurato un paio di costole incrinate ed alcune contusioni sul volto, maledettamente vero, ma gli arti inferiori erano ancora in grado di muoversi e questo bastava. Bastava, per poter proseguire. Perché sapeva, Dorian, che se si fosse fermato per un solo attimo, oppresso dalla stanchezza e dal dolore, non avrebbero più avuto alcuna possibilità di sopravvivere. Non importava se non vi fosse meta o destinazione; gli bastava sapere che fossero diretti a Sud della regione di Kolyma, gli bastava che quella corsa semplicemente continuasse. La mollea stretta delle braccia di Suji intorno al suo collo ne valeva la pena ed era tutto ciò che contava. ‹‹ Non dormire, Suji. ››
‹‹ Ci provo.. ›› Il corpo della donna non era più colto da brividi persistenti, ma in compenso ella sembrava non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Le palpebre erano divenute pesanti, il gelo s'era impossessato delle sue membra. Eppure, Dorian era in grado di infonderle abbastanza sicurezza affinché non si lasciasse annientare dall'ipotermia. Lo stadio successivo, il terzo, prevedeva una perdita di coscienza decisamente irreversibile, nelle loro attuali condizioni. Non poteva permetterle di smarrire la speranza. Nonostante lui non ne avesse mai posseduta alcuna, Suji non meritava la sua stessa sorte. ‹‹ Dorian.. ›› Come se girassero in tondo e tornassero perennemente al punto di partenza, si ritrovarono nuovamente in trappola. Così occupato a porre distanza tra loro e la Bratva, Dorian, non si rese conto di dove quella corsa li avesse realmente condotti. Un fottutissimo dirupo che, innevato come qualsiasi altra cosa nell'ambiente circostante, non poté scorgere prima di quel momento. Le voci alle sue spalle erano divenute troppo vivide, affinché potesse deviare il percorso ormai imboccato. Non poteva che avanzare di ancora pochi passi, prima di ritrovarsi a dover arrestare ogni singolo movimento attuato dagli arti inferiori. Suji volle tornare con i piedi avvolti nella neve, nonostante il maggiore non fosse propriamente d'accordo. La lasciò fare, però e ne approfittò per poter chinare il capo nel vuoto che gli si parava, ormai, dinnanzi. A distanziare il dirupo dal mare di Ochotsk v'era una notevole differenza, ma Dorian volle comunque prendere in considerazione di lanciarsi, nonostante le possibilità di sopravvivenza fossero realmente minime. ‹‹ Non possiamo tornare indietro, ma possiamo proseguire. ››
‹‹ Intendi.. buttarci.. da qui? Hai visto quanto è alto.. Dorian? ››
‹‹ Non abbiamo altra scelta. ››
‹‹ Deve esserci.. ››
‹‹ O ci buttiamo e abbiamo qualche possibilità di vivere o restiamo qui e aspettiamo che siano abbastanza vicini per spararci a vista. ›› Quelle parole sembrarono amareggiare ulteriormente Suji che, adesso, gli era dinnanzi. Attendeva una sorta di approvazione da quella giovane donna, Dorian. Era una scelta che non spettava soltanto a lui prendere. Lo avrebbero fatto insieme giunti, ormai, al punto di non ritorno. Ella si limitò ad annuire flebilmente, dopo essersi presa soltanto un paio di secondi, chiaramente non convinta di quella decisione ma, al tempo stesso, consapevole che non vi fosse nient'altro da poter fare. Ma qualcosa v'era. V'era e stava arrivando. V'era e li avrebbe salvati senza che rischiassero la vita. L'istante prima di attuare ciò che avrebbe potuto spazzare via le loro esistenze, un assordante frastuono riempì l'intera area, insieme ad impetuose folate di vento e fu in grado di catturare la totale attenzione di Dorian e Suji. Bastò issare il capo e volgere le iridi in direzione del punto in cui il sole stava sorgendo, affinché un elicottero - in totale stile militare, eccetto per la vernice rigorosamente beige - si palesasse in tutto il suo splendore. Lo sportello laterale era chiaramente aperto e a primo impatto, Dorian pensò che potesse trattarsi di Sergej. Erano spacciati, in tal caso, non v'erano dubbi. ‹‹ Ti conviene salire, Pavlov. Se non torni a casa entro poche ore, tua sorella potrebbe realmente strangolarti. ›› Quando quelle cazzo di parole giunsero a lui, amplificate da un megafono, Dorian comprese chi realmente si trovasse su quell'elicottero. Il suo sguardo non poté chiaramente catturare la chioma bionda quanto ossigenata di ChangHyun, ma quella voce l'avrebbe riconosciuta ovunque. E, considerato il chiaro riferimento ad Halina, fu anche in grado di spiegarsi come egli avesse potuto scoprire la sua locazione, seppur non l'avesse rivelata a nessuno. Per quanto disprezzasse ricevere aiuto, non poteva negare quanto stesse apprezzando quello appena ricevuto. ‹‹ Siamo salvi..? ››
‹‹ Siamo salvi. ›› Il tempo stringeva e per quanto l'intera situazione fosse stata in grado di sorprendere Dorian, non poteva permettere che gli uomini della Bratva potessero raggiungerli proprio in quel momento. Attese che la scala venisse calata, quindi, poi incitò Suji ad aggrapparsi a lui e avvolgendo le braccia intorno all'esile corpo altrui, si diede il giusto slancio affinché le mani si aggrappassero alle corde della medesima scala.
Molteplici furono i proiettili che lacerarono l'aria, proiettili che avevano come unico obiettivo di appropriarsi della vita del russo senza, però, realmente riuscire nell'intento. Le figure imponenti degli uomini di Sergej occuparono il vuoto appena lasciato da Suji e Dorian, mentre questi s'allontanavano gradualmente da quelle terre intrise di morte. Era lì, insieme a sua cugina e nonostante avessero patito notevoli difficoltà, erano salvi. Poteva ancora issare il capo ed essere in grado d'osservare la volta celeste, ove si riversava l'arancio dei primi raggi solari. Poteva ancora bearsi della meraviglia di quell'alba, ormai, iniziata. Non riusciva a capacitarsi, Dorian, di come evadere dal gulag si fosse rivelato soltanto la punta di un esteso iceberg. Strappare la vita ad un paio di quei maledetti bastardi era bastato affinché avesse il tempo pratico di afferrare Suji e portarla fuori da quell'edificio, eppure non era stato abbastanza. Non era stato abbastanza, perché le reali difficoltà s'erano presentate in seguito. Non era stato abbastanza perché il gulag non era stato altro che l'inizio di quell'inferno durato giorni. Un inferno glaciale, privo di ardenti fiamme o lingue di fuoco. Un inferno glaciale che Dorian s'illudeva soltanto d'aver appena abbandonato.
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┇𝖢𝖺𝗀𝖾 ( II ) ; ➘ ━ Magadanskaya, Russia ( 𝟢𝟧.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟢𝟤:𝟧𝟢 ) ‹‹ Adesso cerca di riposare, non resteremo molto tempo qui. ››
‹‹ ..E tu? ››
‹‹ Qualcuno dovrà pur assicurarsi che resti acceso. ›› Fece cenno col capo al fuoco improvvisato con dei rami secchi, Dorian; ma quella fonte di calore non sembrava bastare affinché i loro corpi non patissero l'intemperia, palesemente, alle porte. Così maledettamente esilarante e al tempo stesso amaro, ricercare un riparo dal gelo. Lo stesso gelo ad impregnare la sua carne, ma che in quel momento lo stava tradendo nel peggior modo possibile. Lo stesso gelo che minacciava di portargli via tutto ciò che restava della sua famiglia. L'unica protezione era il tulup cedutole dallo stesso Dorian che, di conseguenza, indossava unicamente un maglione, al momento. Decisamente adatto alle irragionevoli temperature siberiane, Suji non sarebbe sopravvissuta ad una gelida notte all'aperto, senza quell'ampio e tradizionale giaccone russo, in cui continuava a stringersi. Seppur non lo avesse esternato in alcun modo, era grata al maggiore per averglielo ceduto; Le molteplici ferite che le avevano inferto la rendevano particolarmente debole e quel gelo ne approfittava, pur di insinuarsi sotto l'epidermide lesa. ‹‹ Non saresti dovuto venire.. ››
‹‹ Non mi pento di averlo fatto, Suji. Nonostante la situazione in cui ci troviamo, non mi pento di essere tornato qui per salvarti. ›› Le iridi scure del russo si calarono sulle varie sfumature che quelle fiamme mostravano. Soltanto in un'occasione, prima di allora, aveva desiderato abbandonare la sua Madre Patria. Ed in entrambi i casi la causa era quel suolo che per ore avevano calpestato. L'intera regione era in grado di tediare l'anima e far sì che si desiderasse disperatamente d'abbandonare quel luogo maledetto. Nonostante l'amarezza a corrodergli le viscere, però, l'espressione rimase priva di alcuna emozione; soltanto la stanchezza a marcare i lineamenti duri del suo volto. Riusciva a percepire ogni singolo muscolo dolere, Dorian, a causa dello sforzo a cui li aveva sottoposti nelle ultime ore. E per quanto tentasse di lasciare Suji all'oscuro di ciò che affliggeva le sue membra ━ come il lancinante dolore ad infastidirgli l'intero addome ━, non era in grado di comprendere per quanto ancora sarebbe stato in grado di farlo. L'unica consapevolezza era quella di non poter mollare; non in quel modo, non per il mancato nutrimento o a causa delle basse temperature a caratterizzare Magadan. Dopo ogni singola tortura fisica e psicologica subita, non accettava minimamente di poter morire così. La tenacia era tutto ciò che gli restava e vi si aggrappò saldamente, pur di restare lucido. ‹‹ Riusciremo a lasciare questo posto dimenticato da Dio, vero? ›› Non fece altro che accrescere i suoi dubbi, quella disperata necessità di ricevere conferma ch'era colata su ogni singola parola proferita dalla giovane donna al suo fianco, sulla destra. Ella era rannicchiata su sé stessa, alla ricerca di un calore praticamente impossibile da conquistare. Sembrava attendere impaziente una risposta da parte dell'uomo per cui aveva rischiato di morire e che, al tempo stesso, le aveva salvato la vita. Ma quella risposta non arrivò. E se ne fece una ragione, utilizzando il bavero del tulup come cuscino, affinché il capo non entrasse in contatto con la fredda neve. Assunse una posizione fetale, Suji; il corpo era preda di brividi incessanti e che palesavano i sintomi del primo grado di ipotermia. Totalmente all'opposto di Dorian che restò seduto ad osservare l'arancio acceso di quelle fiamme, assorto tra i pensieri a dimorare nella sua spossata mente. La stessa mente che viaggiò, sino a giungere nel luogo in cui sarebbe voluto tornare il prima possibile.
Era consapevole, Dorian, di ogni singola promessa a cui non aveva tenuto fede o di ogni affetto che avrebbe potuto lasciare, se non fosse riuscito a salvarsi e ciò sembrava turbarlo profondamente. Cercò una qualche soluzione in ciò che le sue iridi scure catturavano insistentemente, ma così come non era giunta alcuna risposta per sua cugina, non ve ne furono nemmeno per lui. Evadere dal gulag s'era rivelato maledettamente semplice, eppure, stava comprendendo soltanto in quel momento di quanto critica fosse la loro situazione. Intrappolati in quelle terre ove regnava desolazione e rovina, sembravano esser destinati a morire così come chiunque altro, prima di loro, avesse messo piede sulla ‘strada delle ossa’.
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┇𝖢𝖺𝗀𝖾 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟢𝟦.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟢𝟢:𝟣𝟧 ) Regione di Kolyma, ormai rinomata ‘Magadanskaya oblast’. Situata nell'estremo oriente russo, sorgeva in posizione isolata, fin troppo lontana da Mosca e più vicina all'Alaska che alla capitale russa ━ dalla quale la separavano otto ore di differenza. Otto lunghe ore che Dorian trascorse su di un ennesimo aereo, senza che nessuno ne fosse a conoscenza. Nessuna prima classe, questa volta, ad aver reso quel viaggio quantomeno sopportabile. Nessun denaro sperperato, esattamente come quando abbandonò quella zona fantasma della Federazione russa per potersi dirigere a Seoul. Non poteva permettere che qualcuno sapesse. Non poteva permettere che qualcuno conoscesse quel particolare periodo appartenente al suo passato quanto al presente.
Chiunque era totalmente all'oscuro, persino ChangHyun, dei suoi passi ad aver calpestato la vasta distesa di neve a ricoprire il terreno. Non v'era estate, lì. Non v'era gioia. L'area era intrisa di ogni singola morte che quella terra aveva accolto nei suoi meandri, rendendola per Dorian del tutto irrespirabile, deleteria. E come se le vite strappate non fossero state abbastanza, in quei Gulag di cui poche informazioni erano state rilasciate, la Solncevskaja Bratva aveva approfittato del totale abbandono del luogo per poterne usufruire in modi ancor peggiori. Tutti reputavano Magadan la porta dell'inferno, senza porsi alcuna domanda a riguardo. Nessuno osava calpestarne il suolo, ben noto come ‘la strada delle ossa’. Nessuno con un minimo di buon senso.
L'intenso freddo a caratterizzare il luogo entrava sin dentro le ossa e ricordò a Dorian per quale motivo non tollerasse minimamente l'estenuante calore estivo. Quel gelo gli aveva impregnato la carne e, ormai, se lo portava dietro ovunque andasse. Le impossibili temperature s'erano insinuate persino tra le fredde mura in pietra a delimitare la decadente struttura, una delle tante presenti nella regione di Kolyma, ma che Dorian sapeva celasse molto più di quanto desse a vedere.
I ratti erano gli unici esseri viventi che sembravano gradire la permanenza in quell'edificio. Indisturbati s'aggiravano tra le pareti, per poi sparire in una qualche fessura. Non sembrava occorrere una maggiore fonte di illuminazione, a Dorian, per sapere esattamente dove dirigersi. Impressa tra le incorporee pareti della sua mente, v'era una cartina tracciata unicamente dalla sua immaginazione, mista a vividi ricordi. Aveva già percorso quei corridoi, studiato quelle stanze, vissuto nella prigione ch'era quell'edificio apparentemente in disuso. Chiunque con un minimo di cultura era in grado di conoscere la locazione di quei campi di lavoro forzato, ma soltanto una stretta cerchia di persone era consapevole della presenza di un seminterrato, in ognuna di quelle strutture. Dorian scese al piano inferiore, una volta raggiunte le ripide scale di cui i detenuti, dell'epoca staliniana, erano totalmente all'oscuro se non quando vi venivano condotti. L'incessante stillare delle gocce d'acqua, accompagnò le suole delle scarpe a percorrere il familiare quanto stretto corridoio. L'entrata di servizio del suo Inferno. ‹‹ Un uomo non può essere allo stesso tempo salvatore e oppressore, luce e ombra. L'una richiede il sacrificio dell'altra. Scegli.. e scegli saggiamente. O io sceglierò per te. ›› Riusciva ancora udire la voce persuasiva quanto penetrante di Novomir, risuonare tra quelle pareti impregnate di umidità. Riusciva a percepirla colare fuori dalle tubature usurate dal tempo. Era nella sua testa, nei suoi pensieri, nelle sue convinzioni, nell'ambiente circostante. Tutto, di quel luogo, gli ricordava colui che lo aveva strappato ad una vita serena, per poterlo plagiare e rendere l'uomo che ormai era. Un uomo che non aveva ancora scelto chi essere, perennemente in bilico tra il ruolo di salvatore e oppressore. Aveva sacrificato così tanto, ma mai l'una o l'altra. L'ossessione che Novomir aveva nutrito nei suoi confronti era senz'altro dovuta a quella scelta mai fatta, nonché alla notevole forza di volontà che Dorian aveva dimostrato dal primo momento trascorso in quella struttura, lontano da Casa.
La suola di ambe le scarpe premeva, in modo alternato, sulla fredda pietra a costituire persino la pavimentazione, mentre lo sguardo scrutava l'interno di ogni singola cella, attraverso le sbarre consunte. Iniziò a setacciare ogni singolo centimetro di quel seminterrato adibito come luogo di tortura, ma di sua cugina ━ motivo per cui s'era recato nuovamente in Russia ━, non v'era traccia. Non riusciva a comprendere dove Sergej potesse averla nascosta. Non riusciva a comprendere perché nessun membro della Bratva avesse tentato di ostacolarlo. Ciò che quel viaggio gli riservava, Dorian non poteva ancora saperlo. Il gulag sembrava realmente abbandonato. Vi albergavano unicamente spiacevoli ricordi. Gli stessi che si ritrovò costretto a rivivere.
Per l'appunto, i passi si arrestarono, dinnanzi ad una di quelle celle in cui v'erano unicamente delle superficie rialzate, connesse alla parete destra. Quella sorta di letti, anch'essi di pietra, Dorian li rimembrava perfettamente. Eppure, non erano di certo il motivo per cui lo sguardo parve incupirsi, all'unisono con una smorfia di disgusto a deturpare l'espressione; bensì fu per l'immagine di un uomo a giacere sul sudicio pavimento, proiettata unicamente dalla sua mente. Il corpo presentava molteplici ferite, ma soltanto una di esse era stata inferta da un aguzzino, quella che l'aveva condotto alla morte; il resto, erano state causate dai ratti. Innumerevoli erano i morsi, ben proporzionati alla profondità con cui quelle ferite venivano esibite. Eppure, per quanto il volto fosse stato sfigurato, Dorian sarebbe sempre stato in grado di riconoscerlo. Dopotutto, si trattava del motivo per cui tutto ciò aveva avuto inizio. Dopotutto, quell'uomo non era altro che suo padre. ‹‹ Goditi gli ultimi giorni con paparino. ›› Le parole derisorie di Novomir tornarono a tuonare nell'ambiente circostante, accompagnando quel ricordo sino a renderlo ancor più vivido di quanto non fosse già. Dovette ricorrere a tutta la forza di volontà di cui era munito, affinché i passi tornassero a muoversi. L'espressione nuovamente piatta, da cui non lasciò trasparire alcuna delle emozioni ad albergare nella sua tetra anima. Perché era consapevole, Dorian che non fosse soltanto la ripugnanza provata nei confronti di suo padre, ad averlo portato, anni addietro, a non allontanare nessuno di quei ratti. Riteneva che lo meritasse, per un motivo più che valido. E avrebbe ben presto rammentato anche quest'ultimo.
L'ispezione del gulag volse al termine, quando ambe le mani si chinarono sulla maniglia arrugginita di quelle doppie porte. Tentennò, prima di spingerle affinché si aprissero. Tentennò, perché sapeva perfettamente cosa vi si celasse oltre. Ma non appena fu in grado di eliminare quell'ultimo ostacolo, Dorian comprese sin da subito di non essere solo, in quell'ampia stanza ove era presente unicamente una sedia ed un tavolino. Null'altro. Pozze d'acqua erano sparpagliate sulla pavimentazione, causate senz'altro dalle perdite di quelle tubature rotte. Lo stillare di quel liquido trasparente continuava a persistere, ma il russo non parve badarvi minimamente.
Lo sguardo era stato catturato da qualcosa in particolare. O meglio, da qualcuno. Suji era lì. Sua cugina era lì, bloccata sulla sedia da innumerevoli catene. La stessa sedia che aveva visto Dorian sia vittima, sia aguzzino. Provò così tanto, Dorian, a non lasciarsi trasportare nuovamente da spiacevoli ricordi. Ci provò incessantemente a non rammentare il corpo privo di vita della madre, lì, esattamente ai piedi di quella sedia. Fu maledettamente arduo, non degnare d'attenzione quell'immagine, il motivo che lo aveva portato a non muovere un dito, mentre i ratti banchettavano sui resti di suo padre. E vi riuscì soltanto grazie alla giovane donna palesemente priva di sensi, il cui capo era chino. Il corpo presentava numerose abrasioni, per non parlare di lesioni di vario tipo da cui, probabilmente, erano sgorgate eccessive quantità di liquido scarlatto. Lo stesso sangue che ricopriva l'epidermide, oltre ad imbrattare i brandelli degli indumenti.
La raggiunse senza alcuna esitazione, Dorian, senza rendersi conto di aver appena evitato il punto esatto in cui era convinto si trovasse sua madre. Fu come se temesse di calpestarla, ignorando deliberatamente la realtà. Una realtà in cui né il corpo di suo padre, né quello di sua madre, si trovavano ancora in quella struttura. Così legato al passato, da non riuscire a scindere esso dal presente, sin da quando aveva messo piede nella regione di Kolyma. ‹‹ Suji? Suji mi senti? Devi svegliati. Dobbiamo andarcene. ›› L'agitazione dei suoi gesti, denotava l'inquietudine si fosse nuovamente impadronita della sua mente. Non riusciva a credere che tutto ciò potesse essersi rivelato così semplice. Non era lontanamente concepibile che Sergej gli lasciasse salvare sua cugina senza provare ad eliminarlo. E fu mentre tentò di liberare le braccia livide della giovane donna da quelle strette catene, che si rese conto di avere ragione. I movimenti frenetici delle mani di Dorian s'arrestarono, non appena udì il suono di passi alle sue spalle, ma queste continuarono a restare ferme sulle braccia altrui. Così come il suo intero corpo continuò a restare accovacciato dinnanzi alla figura di sua cugina, senza alcuna intenzione di issarsi e affrontare le conseguenze della trappola appena scattata e in cui, stupidamente, era rimasto bloccato. ‹‹ Dobró požálovat’, Pavlov. ›› Si era lasciato trarre in inganno dalla semplicità con cui avrebbe potuto ottenere ciò che desiderava, ignorando la consapevolezza che l'esca si trovasse proprio dinnanzi a lui, che l'esca fosse Suji. Ma a ricordarglielo, vi pensò la voce alle sue spalle a dilaniare quell'apparente calma a dimorare nella struttura. Una calma che si rivelò essere soltanto una mera illusione. Una calma destinata unicamente a celare quell'incorporea gabbia da cui Dorian non sarebbe, chiaramente, evaso indenne.
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┇𝖳𝗋𝖺𝗏𝖾𝗅 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟢𝟤.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟨:𝟣𝟧 )
‹‹ Ci entrano tutti quei vestiti in una valigia? ››
‹‹ Sei arrivato, ChangHyun. Hai fatto ciò che ti ho chiesto? ››
‹‹ Biglietto aereo per la Russia sotto falsa identità, sì.. spero possa fare la differenza. ››
‹‹ Dubito possa farlo, ma mi darà un vantaggio. ››
‹‹ Mi spieghi perché porti tutti qui vestiti, adesso?.. ››
‹‹ Non si sa mai. Ho imparato a prendere in considerazione ogni possibilità. ››
‹‹ Inutile dirti di non partire, vero? ››
‹‹ Conosco perfettamente il luogo in cui l'hanno portata. Non c'è pericolo che qualcosa vada storto. ››
‹‹ Un gulag all'apparenza abbandonato, non promette comunque niente di buono.. ›› Era stato meticoloso, Sergej. Ogni minimo tassello si incastrava perfettamente, affinché l'immagine potesse palesarsi in tutta la sua splendida immoralità. Ogni dettaglio, ogni azione.. erano state studiate nei minimi dettagli. L'intenzione di Sergej era di rammentargli tutto ciò ch'era andato perduto, di come ogni membro della sua famiglia fosse stato brutalmente assassinato. Di come ne fosse rimasto uno soltanto e godesse delle qualità per averlo scovato anche dall'altra parte del mondo. Voleva che nella vita di Dorian non restasse altro che desolazione e vi stava riuscendo piuttosto bene. Il modo in cui s'erano introdotti nella sua abitazione, dimostrava che anche quel sistema possedesse una falla. E Sergej vi si era aggrappato, facendo leva sull'ingenuità di ChoHee. Era sempre dieci passi avanti e raggiungerlo appariva un'impresa così maledettamente ardua. ‹‹ In mia assenza assicurati di raccogliere più informazioni possibili sul Moremall. Sarà la mia prossima tappa. ››
‹‹ Dopo tutto questo.. hai ancora intenzione di continuare? ››
‹‹ Sergej avrà anche il potere dalla sua parte, ma la sua crudeltà non sarà mai paragonabile a quella di Novomir. Non è niente che io non abbia già visto o provato. Non gli darò pace, fino a quando sarò in vita. ››
‹‹ Il problema è che potresti morirci, in questo viaggio.. e lo sai anche tu. E' una colossale trappola e tu ti ci stai gettando a capofitto, soltanto perché sei totalmente pazzo e avventato. ›› Aveva acquisito la consapevolezza che ogni essere umano su questa Terra fosse nato con una tragedia incombente, e non si trattava del peccato originale. Egli era nato con la tragedia incombente che sarebbe dovuto crescere. Che avrebbe dovuto lasciare il nido, la sicurezza ed uscire a combattere nel mondo. Avrebbe dovuto perdere ogni cosa che gli era piacevole e combattere per una nuova esistenza da lui costruita, mattone dopo mattone. Ed era una tragedia. Una gran quantità di persone non aveva il coraggio di farlo. Ma tra queste, non v'era Dorian. Nonostante lui fosse stato costretto a quella vita, non si sarebbe mai voltato indietro per rimpiangere ciò che aveva perso. L'avrebbe fatto soltanto per ricordare quanto alto fosse il prezzo della libertà e di quanto ne valesse comunque la pena.
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┇𝖦𝗂𝖿𝗍 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟢𝟣.𝟢𝟫.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟫:𝟥𝟩 ) Un silenzio assordante, susseguì lo scattare della serratura. Un silenzio funereo che impregnava le bianche pareti dell'androne e che, non appena la porta d'ingresso venne chiusa alle sue spalle, percepì insinuarsi sin dentro le ossa. Un silenzio che indusse i suoi passi ad essere pericolosamente pesanti, scanditi da lunghe falcate. Nonostante tentasse di restare totalmente calmo, non riuscì a domare la sua mente in cui svariati scenari si susseguirono senza lasciare presagire nulla di positivo. Era da tutto il pomeriggio che l'impellente sensazione di angoscia gli attanagliava le viscere ed il non comprendere a cosa fosse dovuto, lo turbava profondamente. ‹‹ ChoHee? ›› Inevitabile fu ricercare l'attenzione della donna che da mesi si occupava delle faccende domestiche ed il non ricevere alcuna risposta, nonostante ella scattasse non appena la voce di Dorian la richiamava, non fece altro che accrescere il senso di nervosismo a dimorare tra le immateriali pareti della sua mente deviata. Soltanto il graffiare incessantemente contro il legno si palesò, sollecitando i passi di Dorian a dirigersi rapidamente verso il corridoio alla sua sinistra. Seguì la fonte di quel suono recepito in modo del tutto fastidioso e che comprese, provenisse dalla stanza adibita affinché la cucciola di pantera avesse ogni comfort possibile e di cui necessitava. Le dita di quella mano, adagiata sull'acciaio della maniglia, tremarono impercettibilmente, nel momento in cui l'abbassò e spinse la lastra di legno battuto ad aprirsi. Eppure, tutto ciò che gli si parò dinnanzi fu Eris, palesemente terrorizzata da qualcosa che la indusse a ricercare le attenzioni del suo padrone. Iniziò disperatamente a strofinare il corto pelo contro il tessuto pece dei pantaloni di Dorian, dando la possibilità a quest'ultimo di notare difficoltà nel muovere la zampa posteriore, quella destra. Eris continuava ad issarla dal pavimento, nella chiara manifestazione che fosse stata ferita.
I sensi in allerta, l'inquietudine ad incrementare il progressivo decomporsi della sua anima e la sensazione che fosse accaduto qualcosa, resero Dorian particolarmente suscettibile. La cucciola di pantera, però, parve destarsi da quel bisogno di ricevere attenzioni, quando, di punto in bianco, abbandonò il corridoio e percorse l'intero ingresso, fino a sparire poi oltre l'angolo che conduceva al salotto. Il pensiero che potesse essere accaduto qualcosa a ChoHee era un tarlo che non abbandonava la sua mente; un tarlo che lo spinse a seguire Eris. I piedi si arrestarono, soltanto quando giunse all'arcata che delimitava l'inizio di quella stanza. Ogni singolo muscolo del suo corpo sembrava rifiutarsi di muoversi anche solo di mezzo millimetro, a causa di ciò che le sue iridi catturarono tra le pareti di quel salotto.
Adagiato sul sofà dal morbido rivestimento in tessuto beige, si trovava il corpo fiacco della cameriera il cui sguardo si puntò sin da subito in direzione di Dorian. Uno sguardo che quest'ultimo ricambiò, almeno fino a quando non calò sul fianco destro, ove, era chiaro, si trovasse una ferita da cui rivoli di sangue erano colati, irrimediabilmente, sino a amalgamarsi col grigio cenere del tappeto. Qualcuno s'era introdotto in casa sua. Qualcuno aveva osato fare irruzione e distruggere ogni briciolo di sicurezza che s'era convinto potesse albergare tra quelle mura. E quel qualcuno, aveva ferito ChoHee soltanto per lasciare un messaggio. Messaggio che, in quel momento, giaceva indisturbato sulla superficie laccata del basso tavolino. Messaggio di cui Dorian ignorava la sola esistenza.
La disperata ricerca di attenzioni che la cucciola di pantera aveva dimostrato, venne appagata soltanto quando la debole mano della cameriera le si adagiò sul capo. Eris parve trovare conforto in quel tocco che mai, prima di allora, s'era dimostrato possibile. ChoHee aveva sempre esternato un certo timore nei confronti della piccola pantera. Timore che s'era totalmente annullato, considerato il modo in cui l'accarezzò. Era stato quel leggero movimento che aveva permesso le gambe del russo tornassero a muoversi, affinché si ritrovasse dinnanzi al divano. Il flettersi delle ginocchia rese, poi, possibile che il capo di Dorian s'abbassasse all'altezza della donna, la cui spalle erano poggiate contro lo schienale mentre una mano premeva con insistenza sulla ferita al fianco destro. ‹‹ Ho bisogno che tu mi dica esattamente ciò che è accaduto, adesso. ›› Fu così difficile, per Dorian, mantenere quel contegno, quella calma ormai fin troppo stretta per poterla indossare ancora. La percepiva sull'orlo di lacerarsi e esibire squarci irreparabili. E sapeva che la rabbia ne avrebbe approfittato senz'altro, pur di colare fuori da quelle fenditure. Era pienamente consapevole che se avesse perso di nuovo il controllo, i danni sarebbero stati devastanti. La sensazione che i problemi ad averlo condotto al Seven Luck, quel pomeriggio, non erano stata una mera coincidenza, si insinuò nella sua mente fino a possederla. Errori di calcolo nella contabilità del casinò s'erano palesati del tutto improvvisamente, richiedendo l'immediata presenza di Dorian nell'edificio. Ma lui non credeva alle coincidenze, non vi aveva mai creduto. Non era stato il destino a volerlo fuori dalla sua abitazione, ma Sergej. E lo comprese soltanto in quel momento. ‹‹ C'era quest'uomo.. aveva detto di lavorare con te. Aveva persino fatto alcune battutine sul tuo atteggiamento.. aveva l'aria di essere affabile.. era passato semplicemente per lasciarti una cosa.. ›› Il capo della cameriera fece cenno al pacco sul basso tavolino, oltre le spalle di Dorian. Si prese qualche istante, poi inspirò profondamente e tornò a proferire parola, in evidente difficoltà. ‹‹ Ti giuro, Dorian.. che sembrava davvero non essere in grado di fare questo.. l'ho lasciato entrare, perché ChangHyun è passato molte volte di qui, ultimamente.. viene abitualmente anche Halina.. per non parlare di YoungHae.. semplicemente, pensavo che dovesse lasciarti qualcosa di importante.. ma non appena l'ho lasciato entrare.. non appena io ho chiuso la porta e l'ho condotto qui in salotto.. ha tirato fuori il coltello e.. è soltanto grazie ad Eris se sono viva.. dopo che mi ha ferita, ho temuto che potesse farle qualcosa.. ma non avevo la forza di alzarmi.. ›› Non riuscì ad incolpare ChoHee. Non riuscì a sbraitarle contro come di consuetudine. Come avrebbe potuto colpevolizzarla, per aver semplicemente fatto entrare qualcuno in casa. No, non era colpa sua. La colpa gravava unicamente sulle spalle di Dorian, per aver abbassato la guardia e aver avuto la presunzione di credere quell'abitazione una fortezza invalicabile. ‹‹ Dirò a Jonah di portarti in ospedale, ma preferirei tu non facessi parola riguardo l'accaduto. ›› Ella parve sul punto di voler aggiungere altro, ma le bastò scrutare lo sguardo profondo del russo, affinché le sue labbra tornassero a chiudersi, senza che nessun suono venisse fuori. Dal canto suo, Dorian non poté fare a meno di pensare a cosa contenesse quel pacco. Sicuramente nulla di buono considerato l'ultimo regalo che gli era stato spedito, nel momento in cui YoungHae venne rapito. Avrebbe dovuto senz'altro immaginarlo, il russo, che con la morte di Aleksandr nessuno dei suoi problemi fosse stato risolto. Si issò, quindi, per tornare in una posizione eretta. I suoi movimenti vennero attentamente seguiti dallo sguardo di ChoHee, che sembrava sul punto di assopirsi. Aveva bisogno di cure immediate, eppure, Dorian ritenne di maggiore importanza liberare la scatola dalla carta che le faceva da involucro. Non riuscì a frenare le mani che l'aprirono, affinché le iridi pece potessero riversarsi all'interno e comprendere cosa celasse. Le dita, frenetiche e curiose, si premurarono di tirarne fuori un piccolo sacchetto dalla stoffa in velluto, considerato fosse tutto ciò che quella scatola era stata destinata a custodire. L'aprì, Dorian, senza esitazione, senza il minimo indugio. E avrebbe decisamente preferito non impiegare così tanta fretta, nel scoprire ciò che Sergej s'era preoccupato di spedirgli. ‹‹ E'.. un orecchio? ›› La voce titubante di ChoHee, rese maggiormente palese l'organo che Dorian si ritrovò tra le mani. L'orecchio, chirurgicamente reciso, poteva appartenere soltanto al membro della sua famiglia a cui Sergej aveva fatto riferimento, nella loro ultima conversazione telefonica. Non sembrò minimamente turbato per il padiglione auricolare in sé o per il modo in cui lo stato di decomposizione stesse iniziando a corrodere l'epidermide morta di quell'organo, piuttosto non tollerò il modo in cui era giunto a lui. In allegato v'era un telefono cellulare, inoltre, che sostituì l'orecchio abbandonato sulla superficie del tavolino. E mentre lo sguardo inorridito di ChoHee non venne mai distolto da esso, le dita di Dorian si affrettarono a trafficare tra i file che quel telefono conteneva, ma sembrò non esservi altro oltre ad un filmato dalla durata di cinquanta secondi.
E fu quel filmato a catturare realmente l'attenzione di Dorian.
Le urla di disperazione che esplosero, non appena pigiò il tasto 'play', furono davvero raccapriccianti. Urla miste a disperate suppliche, che cercavano di arrestare quelle incessanti torture. Per quanto Dorian tentasse di soffermarsi sulla figura sofferenza della giovane donna avente poco più di diciotto anni, non riuscì a fare a meno di perdersi nei ricordi più dolorosi che custodiva. Ricordi che, quel luogo raffigurato nel video fece, inevitabilmente, affiorare. Apparì così maledettamente familiare, considerato vi avesse trascorso tre lunghi anni senza aver la possibilità di vedere la luce del giorno. Un gioco sadico e privo di regole, era quello che Dorian s'era ritrovato a fare. Un gioco che aveva portato l'ennesimo innocente ad essere stato condotto in quel luogo infernale. Un luogo che, probabilmente, era stato reso molto chiaro, con quel filmato, affinché Dorian sapesse esattamente dove recarsi. ‹‹ Quel casinò vale davvero la mia vita, Dorian?! ›› Quelle parole urlate con disprezzo e risentimento, sembrarono non essere altro che un nuovo tassello a favore di Sergej. Non osò nemmeno chiedersi cosa le avessero detto, cosa le avessero raccontato. Inizialmente non aveva nemmeno compreso chi realmente fosse. Soltanto dopo maggiore attenzione nel scrutarla, rivide la figlia di suo zio Daehyun, in quelle immagini. L'aveva vista l'ultima volta da bambino e nonostante non facesse parte del suo presente, era stata ugualmente coinvolta. Nonostante gli avessero portato via suo zio, adesso, avevano anche lei. Totalmente rimosso il ricordo della sua esistenza, considerato che fossero anni, ormai, da quand'era partita per l'America a causa degli studi, non avrebbe mai creduto Sergej si riferire proprio a Suji. Non si capacitò di come l'uomo a capo della Bratva fosse giunto a lei, ma in quel preciso istante, v'era ben altro ad albergare nella mente di Dorian. V'era qualcosa che andava oltre i quesiti a cui avrebbe voluto risposta. V'era rabbia, odio, rancore. Ma sopratutto, v'era rimorso.
Dorian prese quella scoperta come un errore. Un errore a cui avrebbe posto rimedio, nell'unico modo possibile.
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┇𝖱𝖾𝗌𝖼𝗎𝖾 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟫.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟪:𝟣𝟩 ) Una linea sottilissima a dividere ciò ch'era giusto o sbagliato. Un linea, che Dorian, non riusciva più a definire da molto tempo. Tutto ciò che riusciva a scorgere era il fine, nient'altro. Nessun mezzo risultava sbagliato, se significava poter ottenere ciò che desiderava. Non importava nemmeno se a rischio v'era la sua anima, la sua umanità. Era conscio che mettere in pratica tutto ciò che gli era stato insegnato, irrimediabilmente, significasse accogliere quel destino ch'era stato scelto per lui. Eppure, nonostante odiasse il pensiero che Novomir avrebbe potuto sorridere compiaciuto, a quella decisione, Dorian non aveva altra scelta che continuare a percorrere quella strada cosparsa di cocci. Riusciva, passo dopo passo, a percepirli conficcarsi nella carne dei suoi piedi nudi. Riusciva a percepire quelle alte fiamme ad avvolgere il suo corpo divenire sempre più ardenti, man mano che avanzava. Era disposto a pagare persino un simile prezzo, pur di proteggere i suoi pochi affetti. Era disposto a farlo, anche se significava dover scendere a patti col Diavolo. E quella chiamata ne fu la prova. ‹‹ Mi è stato riferito che avesse qualcosa da propormi, Pavlov. ››
‹‹ Questo perché a me è giunta voce che la sua attività sia la più interessante, in Vietnam. Oltre che la più importante, ad Hanoi. ››
‹‹ Dunque i miei dubbi erano fondati. ››
‹‹ Sono di recente tornato in affari e non posso negare che le vietnamite rientrino tra le donne più belle dell'Asia. Non potrebbero che rendere il mio Casinò ancor più prestigioso di quanto non lo sia già. ››
‹‹ Le voci girano, Pavlov. Sopratutto in questo ambiente. ››
‹‹ Quindi sono sicuro che non potrà rifiutare la mia proposta, Hoàng Nguyễn. ››
‹‹ Sono ancora molto titubante a riguardo. ››
‹‹ Probabilmente non sono stato abbastanza chiaro. ››
‹‹ Non occorre alterarsi, Pavlov. Il suo segretario mi ha già accennato qualcosa riguardo l'accordo e devo ammettere che l'equo scambio tra vietnamite e russe, sono più che propenso ad accettarlo. E' il motivo per cui sia compreso anche mio figlio nel pacchetto, che non comprendo. ››
‹‹ Come ha detto lei stesso, le voci girano. Khoa, per quanto mi è stato concesso sapere, è una personalità interessante. E frutta molti soldi. Se accetterà e sono sicuro che sarà così, in cambio riceverà una somma pari a 100.000 dollari. ››
‹‹ Non nego che si tratti di molti soldi. ››
‹‹ E saranno tutti suoi, se soltanto accetterà. ››
‹‹ Mi ha convinto, Pavlov. Sarò lieto di accettare la sua proposta. ››
‹‹ Questo Venerdì manderò un mio sottoposto ad Hanoi, affinché lo scambio avvenga. ››
‹‹ E' stato un piacere fare affari con lei. ›› Il palmo ad avvolgere il cellulare minacciò più volte di intensificare ulteriormente la stretta intorno ad esso. Per quanto all'esterno non si evincesse spesso, negli ultimi giorni, Dorian si ritrovava costantemente a dover affrontare una lotta interiore, pur di sovrastare l'incontaminata rabbia ad albergare nel suo corpo. Necessitava di controllo e lasciare che l'ira trionfasse in quella battaglia, non era più concesso. In caso contrario, accordi come quello con Sơn Hoàng Nguyễn, non sarebbe stato possibile portarli a termine. Pose fine a quella chiamata, quindi, alla ricerca di quell'apparente calma che continuava a ricucirsi addosso, ignorando deliberatamente che non gli calzasse affatto. Tentò di focalizzare la sua attenzione sulla seconda parte del piano, perché giunti a quel punto, non restava altro che spedire Minkyung in Vietnam e lasciare che fosse lui a concludere ciò che Dorian aveva soltanto iniziato.
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┇𝖬𝖾𝖾𝗍𝗂𝗇𝗀 ; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟪.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟦:𝟥𝟤 ) La notizia della morte di Anton Pavlovich Cechov aveva fatto impazzire i media locali, a tal punto che non parlavano d'altro. I notiziari sudcoreani gli avevano dedicato un'intero servizio, la sera precedente, considerandolo un “povero cinquantenne deceduto per cause naturali, la sera del ventisette Agosto, nel suo ufficio”. Un semplice infarto, improvviso quanto fatale, aveva strappato la vita al precedente direttore del più prestigioso casinò di Seoul. Divertì oltremodo Dorian, il modo in cui si riferivano ad Anton, considerando quanto tutti fossero ignari del destino che attendeva la loro città, se soltanto la Bratva fosse riuscita ad impadronirsene. Si beò della lettura di quell'articolo, l'ennesimo, che gli avevano dedicato, consapevole che avrebbe fatto in modo ve ne potesse essere, un giorno, anche uno sul Presidente. L'uomo a capo del paese che stava permettendo la criminalità russa si insediasse nel suo territorio, per puro e semplice tornaconto personale. ‹‹ Comprendo che lei sia euforico per essere tornato a gestire il casinò, Signor Pavlov, ma credo anche dovremmo iniziare a parlarne. Non crede? ›› La fastidiosa voce del suo nuovo segretario, meticolosamente scelto da ChangHyun, lacerò quell'apparente calma che il russo s'era ricucito addosso. Indusse Dorian a richiudere il quotidiano, sfilarsi gli occhiali e volgere tutta la sua tagliente attenzione nei confronti dell'altro. Il povero malcapitato non aveva alcuna consapevolezza di quanto, ogni suo precedente segretario, fosse stato costretto all'esasperazione. ‹‹ Hai impacchettato l'orribile dipinto ch'era nel mio ufficio? ››
‹‹ .. Avrei dovuto? ››
‹‹ Ti avevo detto di farlo. E di iniziare a cambiare l'arredamento con quello scelto da me. ››
‹‹ Rimedierò non appena la riunione sarà terminata. ››
‹‹ Licenzia anche tutto il personale. ››
‹‹ ... Tutto? ››
‹‹ Dal primo all'ultimo. ››
‹‹ Mi permetta di dire che trovo la cosa leggermente estrema.. ››
‹‹ Non ho chiesto nessuna tua opinione, infatti. La gestione è nelle mie mani, adesso, e farò tutto ciò che riterrò necessario affinché il Seven Luck ritorni alle sue origini. ››
‹‹ Perdoni le mie parole. Non erano intenzionate a screditare le sue decisioni. ››
‹‹ La riunione è finita. ›› Fu con quella frase che Dorian si congedò, abbandonando i presenti la cui espressione comunicava tutto il loro sgomento. Compresero, nell'esatto momento in cui s'alzò dalla sedia, quanto realmente le cose sarebbero mutate sotto le mani, decise ed inflessibili, del russo. Eliminare ogni possibile talpa della Bratva, all'interno del casinò, aveva la priorità. Perché il messaggio inviato la sera precedente, ormai, era senz'altro giunto all'udito di Sergej e ben presto, Dorian sapeva, si sarebbe ritrovato a fare i conti con la mossa successiva del suo avversario. Una mossa che, impaziente, attendeva.
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┇𝖲𝖾𝗏𝖾𝗇 𝖫𝗎𝖼𝗄; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟩.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟤𝟤:𝟥𝟤 ) L'intera planimetria del casinò era ben impressa nella mente, sin nei minimi dettagli, quasi se la fosse marchiata a fuoco tra le incorporee pareti cerebrali. Fu soltanto per merito di questo se riuscì ad aggirarsi, indisturbato, tra i vari corridoi del quarto piano ove erano situati i vari uffici. Giungerci s'era rivelato non essere affatto semplice, considerate tutte le deviazioni a cui era dovuto ricorrere. Molti più membri della Bratva si aggiravano tra le mura del Seven Luck. Membri che non aveva di certo preso in considerazione, nello sviluppo del piano da dover attuare. Non era ricorso nemmeno ad alcun travestimento, il russo, così come era stato fatto dalla giovane donna ad accompagnarlo in quell'impresa. I suoi pensieri, irrimediabilmente, corsero ad Halina che in quel momento era senz'altro in compagnia del loro obiettivo, qualche piano più in basso. Il Tempo, irrimediabilmente, scorreva e sfuggiva alla presa di Dorian; per quanto potesse risultare ferrea, non lo sarebbe mai stata abbastanza da poter contenere qualcosa di simile. Tutto gli remava contro, ogni minimo dettaglio, ogni minimo imprevisto, eppure sembrava totalmente avere il controllo della situazione. Giunse all'ennesimo angolo, l'ultimo a frapporsi tra lui e la sua destinazione, con la consapevolezza che il Seven Luck fosse praticamente nelle sue mani. Nessuno sarebbe riuscito ad evitare che ciò accadesse.
Con le spalle adagiate contro la parete dietro-stante, d'un favoloso rosso pompeiano, Dorian si limitò a piegare unicamente il capo, affinché lo sguardo si riversasse su tutta la lunghezza di quel corridoio, nel tentativo di catturare qualsiasi presenza nei paraggi. I sensi erano allerta, così come ogni singolo muscolo a presiedere nel suo corpo era teso tanto quasi delle corde di violino. Non appena poté appurare di non essere l'unico i cui passi, sicuri quanto silenziosi, si muovevano in quella zona della struttura, Dorian ritenne opportuno tornare ad avanzare e fu esattamente ciò che fece. Le iridi color terra bruciata, dallo sguardo intenso e profondo, osservarono la figura qualche metro più avanti; gli angoli delle labbra di Dorian si piegarono in un raccapricciante ghigno, al pensiero che gli balenò nella mente. L'uomo dalla corporatura notevole era rivolto di spalle, per cui non fu affatto difficile avvicinarglisi furtivamente. A Dorian bastò avvolgere il suo collo mediante il braccio destro, in un gesto repentino e che non permetteva alcuna replica, per poter cogliere di sorpresa il malcapitato membro della Bratva, posto di guardia all'ufficio dell'attuale possessore di quel casinò. ‹‹ Manda i miei saluti a Sergej. E digli che il Seven Luck è soltanto la prima tappa. ›› Quella frase, rigorosamente proferita nella sua lingua madre e le cui parole erano marcate da una sadica inflessibilità, palesò le reali intenzioni di Dorian che non prevedevano affatto l'uccisione di quell'uomo. Si scostò dal padiglione auricolare dell'altro, soltanto quando fu certo che quelle parole fossero state recepite nel modo giusto. Egli, dal canto suo, tentò di divincolarsi, ma per quanto vi tentasse non vi riuscì in alcun modo. La ferrea presa al suo collo negava al necessario ossigeno di giungere ai polmoni e bastarono pochi attimi affinché il corpo altrui presentasse i primi sintomi di asfissia. Dorian fu costretto a reggerlo, negli ultimi secondi di coscienza, per poi permettere che l'uomo cadesse sulla moquette, privo di sensi. Lasciarlo lì era senz'altro fuori discussione, per cui dovette necessariamente trascinarlo in una delle stanze presenti in quel corridoio.
Non appena si assicurò che il membro della Bratva non venisse rinvenuto prima del consentito, poté ritornare all'esterno della stanza il cui unico arredamento prevedeva una scrivania, delle poltrone e poco altro. Si sistemò la giacca dal taglio classico, Dorian, mentre la mano destra si premurò di far scattare la serratura e che, la porta, ritornasse ad essere chiusa esattamente come pochi attimi prima. A quel punto, poteva realmente dedicarsi alla riuscita del suo piano. Ormai, era questione di minuti, prima che Anton tornasse nel suo ufficio. A denotarlo vi fu la voce di Halina che, riversata nel suo orecchio mediante l'auricolare a tenerli in contatto, fece presente che il veleno avesse iniziato a fare effetto prima del previsto e che, quindi, Anton stesse tornando nell'ufficio in questione.
Il Tempo, ancora una volta, si stava facendo beffe di lui.
La mascella si irrigì percettibilmente e, probabilmente, fu a causa del moto di fastidio ad esplodergli nel petto se Dorian non rispose sin da subito alla giovane donna chiaramente preoccupata per l'assenza di contatto. L'indice destro andò a pigiare un microscopico pulsante, affinché potesse rassicurarla con un semplice “ottimo lavoro, Hal” con un tono di voce a dir poco falsamente pacato, prima di interrompere totalmente quel collegamento. Il russo, in seguito, si affrettò ad entrare in quello che un tempo era il suo ufficio. Bastò una rapida occhiata ad osservare meticolosamente l'ambiente, per indurre una smorfia contrariata ad appropriarsi del suo volto. ‹‹ Gusti del cazzo. ›› Quella breve quanto concisa frase colò fuori dalle labbra di Dorian in un riflesso istintivo e che non riuscì in alcun modo a controllare. L'aver scoperto di quanto quell'ufficio fosse diverso rispetto a quand'era suo, per quanto riguardava l'arredamento, lo infastidì più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. La consapevolezza che qualcuno si fosse appropriato di ciò che gli apparteneva, per poi cambiarlo a suo piacimento, era realmente qualcosa che non poteva tollerare. Eppure, era cosciente che quella non fosse una priorità. Non poteva più indugiare. Il Tempo, suo acerrimo nemico, non era dalla sua parte e si stava dilettando a rendere tutto molto più difficile di quanto non fosse già e Dorian non avrebbe mai permesso che esso lo conducesse alla morte. S'affrettò, quindi, a dirigersi verso la scrivania. Vi si posizionò dietro, affinché le mani potessero iniziare a trafficare nei vari cassetti di cui era fornita. Le dita si muovevano agili, smaniose ed il rumore di oggetti sballottati all'interno di quelle cassette a base rettangolare e senza coperchio, riempì l'intero vano nel giro di pochi istanti. Interi minuti, scivolarono via, senza che i documenti che attestavano la proprietà del Seven luck venissero trovati. Chiaramente non erano in nessuno di quei cassetti. ‹‹ Dove cazzo li hai nascosti, Anton? ›› Ringhiare quelle parole rivolte a qualcuno che non era nemmeno presente, risultò essere un'ottima valvola di sfogo, ma non gli avrebbe di certo fatto rivenire i bramati documenti. Distolse l'attenzione dalla scrivania, quindi, tentando di focalizzare al meglio tutto ciò che l'arredamento racchiudeva. Lo sguardo saettò di oggetto in oggetto, osservandoli minuziosamente. Un mobile contenete degli alcolici. Delle inutili piante in vaso. Delle poltrone in pelle. Ed un quadro. Niente pareva poter celare ciò che disperatamente cercava. E lasciarsi sopraffare dalla rabbia non era concesso; doveva calmarsi. Doveva restare concentrato, permettere alla mente di poter ponderare lucidamente. Fu in quel momento che lo sguardo di Dorian, irrimediabilmente, venne attratto dall'inestimabile dipinto raffigurante il "Ballo al Moulin de la Galette", la cui cornice in legno era intarsiata totalmente di ghirigori. Per quanto ritenesse del tutto scontata la possibilità che dietro vi si celasse una cassaforte, volle comunque tentare. Fu per questo motivo che si ritrovò a scostarlo dalla parete, per poi dover fare i conti con l'ennesimo, colossale, buco nell'acqua.
Non v'era nessuna cassaforte. Niente di niente. Soltanto un fottutissimo dipinto che Dorian lasciò cadere sul parquet, come se si trattasse d'un oggetto dal misero valore. Per lui, quel dipinto, era semplicemente un quadro. Ma fu anche l'unico motivo che lo condusse alla realizzazione del suo obiettivo: nel momento in cui esso cadde rovinosamente sul pavimento, ribaltandosi, mostrò qualcosa di realmente interessante. Infatti, celato nella parte posteriore alla pregiata tela, in un angolo, una chiazza di bianco catturò tutta l'attenzione di Dorian che, senza esitare, si catapultò su di esso e afferrò il foglio di carta con una rapidità disarmante. Lo aprì, per assicurarsi che fosse esattamente ciò che cercava, confermando la sua ipotesi leggendo semplicemente il titolo di quel documento così tanto ricercato negli ultimi minuti trascorsi nell'ufficio.
A quel punto, Dorian, pienamente soddisfatto, poté riportare il dipinto al suo posto prestabilito, ponderando già su i molteplici modi in cui l'avrebbe venduto, non appena il Seven Luck sarebbe tornato ad essere una sua proprietà. Con alcun motivo per restare ancora in quella stanza, la consapevolezza di non aver più tempo a disposizione e il documento su cui ben presto vi sarebbe stata la falsificata firma di Anton ad attestare il passaggio di proprietà, il russo abbandonò l'ufficio, riversando i suoi passi, ancora una volta, nel corridoio. Desiderò ardentemente prendersi la vita dell'uomo che gli passò accanto, Dorian, non appena voltato l'angolo, consapevole che si trattasse del segretario di Anton. Eppure, aveva fretta di lasciare l'edificio e di assicurarsi che anche Halina lo facesse. Le aveva promesso protezione. Lo aveva promesso a tutte le persone a lui care. Per cui, accortocciò quel primordiale desiderio di vendetta e lasciò che fosse egli, qualche istante più tardi a trovare lo stesso Anton Pavlovich Cechov, nel ufficio appena abbandonato, privo di vita. Ritenne opportuno pigiare, giunto a quel punto, il minuscolo pulsante sull'auricolare praticamente invisibile, nel padiglione destro, per poter ritornare in contatto con la donna con cui avrebbe dovuto, rapidamente, abbandonare quella struttura. ‹‹ Ho preso ciò che volevo, Hal. Ti aspetto nel parcheggio. Ma fa' attenzione. ›› Fu tutto ciò che venne proferito, mentre, con un mezzo sorriso beffardo ad increspargli le labbra, tornò ad avanzare con disinvoltura, ma altrettanta fretta, tra quelle pareti dall'intonaco così simile al colore del sangue. Sangue che sarebbe stato versato in molteplici occasioni, a causa di quel gioco malato, di quella battaglia durata troppo a lungo e la cui fine, ormai, appariva maledettamente vicina.
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┇𝖣𝖺𝗆𝗇𝖺𝗍𝗂𝗈𝗇; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟧.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟤𝟤:𝟢𝟧 ) ‵ ‵ 𝘚𝘩𝘦 𝘩𝘪𝘥𝘦𝘴 𝘢𝘸𝘢𝘺, 𝘭𝘪𝘬𝘦 𝘢 𝘨𝘩𝘰𝘴𝘵. 𝘋𝘰𝘦𝘴 𝘴𝘩𝘦 𝘬𝘯𝘰𝘸 𝘵𝘩𝘢𝘵 𝘸𝘦 𝘣𝘭𝘦𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘦 𝘴𝘢𝘮𝘦? ‵ ‵ Il suo si stava rivelando essere un cambiamento progressivo. Un cambiamento che a piccoli passi, senza nemmeno rendersene conto, lo stava conducendo esattamente ove, soltanto poco tempo addietro, non avrebbe mai voluto addentrarsi. Del tutto ignaro, Dorian, che dietro l'angolo, poco dopo il potere, si celasse l'oscurità da cui, per tanti anni, aveva tentato di proteggersi, di proteggere quel piccolo barlume di luce ancora rimasto intatto. Una piccola fiamma, nelle profondità della sua anima, così flebile da rischiare di spegnersi alla minima folata di vento. Una piccola fiamma, ormai allo stremo per aver tentato così a lungo di restare viva. ‹‹ Domenica, mi riprenderò il Seven Luck. Ed Halina mi aiuterà a farlo. ››
‹‹ .. Ne sei davvero sicuro, Dorian? ››
‹‹ .. Mai stato più sicuro di così. ›› Non sembrava minimamente importargli che ogni singola azione, ogni singola vita strappata, lo rendesse sempre più il mostro da cui tanto aveva cercato di dissociarsi. La speranza era l'ultima a morire, gli avevano spesso rammentato. Ma, ormai, era seppellita dalle macerie di quella vita perduta. Una vita che avrebbe preferito dimenticare ma che, a causa di quella maledetta chiamata con Sergej, era ritornata in superficie. E, con essa, avevano fatto lo stesso anche moltitudini di emozioni negative. Avrebbe così tanto preferito non sottomettersi, ancora una volta, alle regole di quel gioco realizzato dalla più pura malvagità umana. Sapeva, Sergej, che il punto debole di Dorian fosse la famiglia. Ma quella che aveva perso. Quella che lui stesso gli aveva portato via. ‹‹ Dorian.. c'è una cosa che non capisco. ››
‹‹ Cosa. ››
‹‹ Tu avresti rinunciato a tutto, figuriamoci al Seven Luck, per trovare la persona di cui ha parlato Sergej.. quindi, perché, non è ciò che stai facendo? Insomma.. non sei preoccupato che possa averla già in suo possesso? ››
‹‹ Perché ho smesso di rinunciare a tutto, al minimo problema. Ed è molto più semplice attendere la sua mossa, anziché disperarsi in una ricerca che, so perfettamente, non porterebbe comunque a nessun risultato. ›› Se, adesso, le sue iridi scure si voltavano indietro, non vedevano altro se non quella macabra opera in cui sua madre faceva da protagonista. La osservava giacere sul freddo pavimento, i lunghi capelli pece ad incorniciarle il volto ed il sangue a cullare un corpo, ormai, privato della vita e della dignità. Ogni volta che si guardava indietro, Dorian, non vedeva altro che distruzione. Non vedeva altro che le fiamme dell'Inferno, giunte sulla Terra con l'unico obiettivo di radere al suolo ogni possibilità di redenzione. Fu nell'esatto momento in cui vide la sua vecchia residenza bruciare, che si rese conto di non essere altro che un risarcimento, per quel patto col Diavolo fatto da suo padre. Un patto, il cui peso, del tutto ingiustamente, aveva gravato sulle sue spalle. ‹‹ Potrebbe essere in pericolo, Dorian.. o peggio. Ed è la tua famiglia. ››
‹‹ Non puoi saperlo. Magari, Sergej bluffava. ››
‹‹ Tu non correresti comunque il rischio.. ››
‹‹ Le cose cambiano. ››
‹‹ .. No. Stavolta, sei tu a star cambiando. ›› Fino a quel preciso istante, però, non s'era mai realmente reso conto di quanto potesse trovarsi a suo agio, tra le fiamme dell'Inferno. Fino a quel momento, non era riuscito ad accettare di non poterne fare più a meno. L'unico motivo per cui s'era tenuto stretto quella speranza, quel barlume di luce, quella piccola fiamma.. era stata sua madre. Quella madre che, con tutte le sue forze, aveva cercato di vendicare. Ma nemmeno la vendetta bastava più. Avrebbe senz'altro salvato quell'ipotetico membro della sua famiglia in pericolo, non avrebbe mai permesso che qualcun altro morisse a causa sua; ma, semplicemente, non aveva la priorità. Così avido, Dorian, non desiderava altro se non di vedere l'intera Bratva prostrarsi ai suoi piedi e chiedere pietà. Voleva guardare negli occhi il Diavolo e spodestarlo, come se essere a capo dell'Inferno potesse far sparire quel profondo vuoto. Un vuoto che, involontariamente, colmava con la stessa crudeltà di cui, ormai, si nutriva anche il suo animo. ‵ ‵ 𝘚𝘩𝘦 𝘸𝘢𝘴 𝘤𝘢𝘳𝘳𝘪𝘦𝘥 𝘶𝘱 𝘪𝘯𝘵𝘰 𝘵𝘩𝘦 𝘤𝘭𝘰𝘶𝘥𝘴, 𝘩𝘪𝘨𝘩 𝘢𝘣𝘰𝘷𝘦. 𝘐𝘧 𝘺𝘰𝘶’𝘳𝘦 𝘣𝘭𝘦𝘥, 𝘐 𝘣𝘭𝘦𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘦 𝘴𝘢𝘮𝘦. ‵ ‵
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┇𝖢𝗈𝗇𝗍𝗋𝗈𝗅; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟦.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟤𝟣:𝟤𝟢 )
‵ ‵ Undo these chains, my friend. I’ll show you the rage I’ve hidden. Perish the Sacrament. Swallow, but nothing’s forgiven. You and I can’t decide which of us was taken for granted. Make amends.. some of us are destined to be outlived. ‵ ‵ ��� ‹‹ Non mi inviti spesso a casa tua.. va tutto bene? ››
‹‹ Questa conversazione richiedeva una certa discrezione. E non c'è luogo più sicuro di casa mia. ››
‹‹ Effettivamente.. a proposito, dov'è la pantera? ››
‹‹ A sbranare il peluche di turno nella sua stanza, suppongo. ››
‹‹ ..Nella sua stanza. ››
‹‹ Quella che condividerà con Hel, dalla prossima settimana. ››
‹‹ .. Hel? ››
‹‹ La tigre siberiana. Dovrebbe avere quasi due anni, adesso. ››
‹‹ .. Dorian, non credi che casa tua sia abbastanza sicura senza dover necessariamente avere dei felini così pericolosi? ››
‹‹ Sergej mi ha chiamato, ieri. Quindi ogni forma di sicurezza è più che accetta. ››
‹‹ ..COSA? E QUANDO CREDEVI DI DIRMELO?! ››
‹‹ E' stata una conversazione piuttosto tranquilla, in realtà. Io che minacciavo di ucciderlo e lui che minacciava di eliminare definitivamente la mia famiglia. Le solite cose. ››
‹‹ Strana percezione della tranquillità.. è per questo che sono qui? ››
‹‹ Devi procurarmi il mio albero genealogico. Starò al suo gioco, farò un bel tuffo nel mio passato e sguazzerò tra le innumerevoli persone che hanno ucciso a causa mia. Troverò la persona a cui si riferiva e farò in modo che essa non faccia la stessa fine. Ma per farlo.. ho bisogno di quell'albero genealogico. ››
‹‹ Credevi seriamente che avessero sterminato tutta la tua famiglia.. ››
‹‹ Mio zio era l'ultimo, sì. ››
‹‹ Possibile che si riferisse ad Halina? ››
‹‹ La considero mia sorella ed a conti fatti è proprio questo. Ma Sergej non sa nemmeno della sua esistenza, quindi è da escluderla. ››
‹‹ Farò in modo che tu abbia una copia dell'albero genealogico. ››
‹‹ C'è anche qualcos'altro, che devi fare per me. Questo, però, puoi farlo con calma. Non ho fretta e, sopratutto, voglio che tu sia maledettamente meticoloso nell'ottenere ogni singola informazione su di lei. ››
‹‹ .. A chi ti riferisci? ››
‹‹ Cho MiYon. Voglio sapere tutto, ChangHyun. Anche quante volte al giorno va al cesso. E a quanto ammonta il suo conto in banca. Tutto, ogni minima cosa che la rende appetibile per un matrimonio combinato. ››
‹‹ ... Ti sei dato ai matrimoni combinati e cerchi una donna con una cospicua eredità? ››
‹‹ Oh, ma lei è già promessa.. peccato che alla persona sbagliata. ›› ‵ ‵ Under the words of men, something is tempting the father. Where is your will, my friend? Insatiates never even bother. You and I, wrong or right, traded a lie for the leverage. In between the lens in light, you’re not what you seem. ‵ ‵
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┇𝖥𝖺𝗆𝗂𝗅𝗒; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟥.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟧:𝟥𝟤 ) La rabbia, quella notte, s'era palesata nelle sue più pure sembianze. Una rabbia dapprima muta a strisciargli sotto l'epidermide, come un predatore silenzioso che non aveva atteso altro se non il momento giusto per attaccare. E le nocche fasciate denotavano che alla fine, ancora una volta, avesse avuto il sopravvento. Ore trascorse rinchiuso nella sua stanza adibita a mo' di palestra. Ore in cui la battaglia contro quell'ira incontaminata ebbe luogo. Una battaglia che perse, Dorian. Per una volta perse, perché quando le forze avevano abbandonato il suo corpo, nel tardo mattino, s'era ritrovato costretto a ricercare finalmente quel necessario riposo che s'era negato sino a quel momento. Senza alcuna possibilità di ribattere, cadde tra le braccia di Hypnos; braccia che Morfeo riusciva a tramutare nel suo Inferno personale con gli incubi a cui dava vita nella mente di Dorian. Alcuna difesa, quand'era dormiente; alcun muro riusciva a difendere il suo animo tormentato. E sembrava che il suo passato, le sue colpe, i suoi rimpianti, ne approfittassero per poter colare all'interno, mediante quella piccola fenditura.
Ma quando pensava che i problemi fossero già abbastanza, il telefono di fianco al letto squillò e Dorian dovette ricredersi.
Con i sensi perennemente in allerta, persino nello stato di dormiveglia in cui si trovava, la mano si ritrovò costretta ad andare alla ricerca della fonte di quel suono ritenuto fin troppo fastidioso. Vi impiegò qualche istante per comprendere quante ore avesse dormito ed era chiaro, che considerati gli ultimi avvenimenti, non fossero abbastanza. Per quanto tentasse di ignorare deliberatamente la scoperta di quel matrimonio di troppo, sapeva che la causa di tanto astio fosse ancora lì, tra le mura di quell'abitazione e non faceva altro che incitare la rabbia ad un secondo round. Il telefono finì per scontrarsi con il padiglione destro, in ogni caso, per volere di Dorian. ‹‹ Ho sempre ammirato il tuo istinto di sopravvivenza, Dorian. Ma adesso inizi a stancarmi. ›› Nell'istante in cui la voce all'altro capo ricercò la sua l'attenzione, non poté che scattare e mettersi a sedere, Dorian, sulla morbidezza di quel materasso. Il Diavolo era tornato a palesarsi. Diavolo la cui voce era pressoché impossibile da non identificare per il russo che non attendeva minimamente di ricevere tale chiamata. Eppure quella spiacevole sorpresa non trasparì in alcun modo, quando, dalle labbra del russo colò fuori una risata densa di soddisfazione. Gli vibrò nel petto qualche istante, prima di essere soppressa dalle parole che susseguirono. ‹‹ Noto con piacere che la perdita di Aleksandr non sia stata molto gradita. Dovresti ringraziare Novomir, comunque. Oh, aspetta, ho ucciso anche lui. ››
‹‹ Novomir. Per quanto io non abbia mai tollerato il suo essere così rozzo, riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva. Era un buon braccio destro e tu sei il suo lavoro più riuscito. ››
‹‹ Ti darò modo di riferirglielo personalmente, quando ti avrò spedito all'inferno. ››
‹‹ Dev'essere difficile non avere più nessuno con cui divertirti. ››
‹‹ Credo di poter fare a meno di psicopatici che uccidono chiunque mi sia intorno. La sua ossessione mi è sempre andata stretta. ››
‹‹ Ma non era l'unico ad essere ossessionato, dico bene? C'è così tanto di lui, in te. E' un vero peccato doverti eliminare, possedevi tutte le qualità per poter far parte di questa famiglia. Ma l'hai tradita, nonostante io ti avessi dato una possibilità di redimerti dagli errori del passato. ››
‹‹ Il grande e misericordioso Vor è stanco di fallire? Ma.. temo tu dovrai dar conto ancora ad una lunga serie di fallimenti. ››
‹‹ Aleksandr non sapeva quale fosse realmente la tua unica debolezza. Ma io sì. Ed è la famiglia. ››
‹‹ Sei arrivato tardi, Sergej. Non ci sono più membri che voi possiate uccidere. Mio zio era l'ultimo. ››
‹‹ Non ne sarei così sicuro, fossi in te. ›› Fu così che quell'uomo si congedò, ponendo fine ad una chiamata che riuscì a scatenare unicamente rabbia in Dorian. Il solo udire quella voce, era in grado di risvegliare ricordi che avrebbe ben preferito rimanessero nell'angolo più tetro della sua mente. Il telefono fu la prima vittima dell'ennesima ondata d'ira: venne scagliato contro la parete e finì, rovinosamente, per scontrarsi con il freddo pavimento, in seguito all'esser ridotto in molteplici pezzi. Tentò di calmarsi, Dorian; vi provò disperatamente, ma quella fu la goccia a far traboccare un vaso pieno fino all'orlo. L'esplosione fu inevitabile e se non fosse stata contenuta, sarebbe stata in grado di spazzare via tutto ciò che di buono ancora albergava in quell'esistenza in cui desolazione e perdite regnavano sovrane.
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┇𝖤𝗑𝖼𝖾𝗉𝗍𝗂𝗈𝗇; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟤𝟤.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟦:𝟤𝟢 ) ‹‹ Dove stai andando? ››
‹‹ A pulire la tua stanza, Dorian; non l'ho ancora fatto.. ››
‹‹ Sta ancora dormendo, abbiamo fatto tardi. Pulirai quando si sarà svegliato. ››
‹‹ Oh. Si è fermato qui anche stanotte, quindi. Ultimamente lo fa spesso. ››
‹‹ Non sono cose che ti riguardano, mi pare. ››
‹‹ Preparerò il pranzo anche a lui, avrà fame. Ieri ha apprezzato particolarmente ciò che gli ho preparato. A differenza tua non ha molte pretese. ››
‹‹ Preparalo soltanto per lui, io devo uscire. ››
‹‹ Tornerai tardi? Per organizzarmi con la cena.. ››
‹‹ Probabilmente. Passerò il pomeriggio con ChangHyun. ››
‹‹ Dorian? ››
‹‹ Cosa. ››
‹‹ Mi hai sempre detto che non lasci dormire nessuno qui. Nemmeno quando tornavi a casa ubriaco, non eri mai in compagnia. Eccetto rarissimi casi in cui alzavi il gomito.. ››
‹‹ So dove vuoi andare a parare. ››
‹‹ ..E lui è di sopra. Che dorme nel tuo letto. Mentre tu esci di casa. ››
‹‹ Dovresti prendere esempio da Jonah e parlare di meno. ››
‹‹ L'importante è che tu abbia capito. ››
‹‹ Oh, sì. L'unica cosa che ho capito è che dovrò trovarmi una cameriera meno pettegola. ››
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┇𝖫𝗈𝗒𝖺𝗅𝗍𝗒; ➘ ━ Seoul, South Korea ( 𝟣𝟫.𝟢𝟪.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟣𝟫:𝟤𝟧 ) ‹‹ Ecco tutte le informazioni che sono riuscito a ricavare sul Seven Luck. Profitti dell'ultimo anno, dati personali del nuovo gestore, dei soci, i cambiamenti che sono avvenuti all'interno. Tutto quello che desideravi sapere.. è qui dentro. ››
‹‹ Molto bene. Più tardi gli darò un occhiata. ››
‹‹ Hai seriamente intenzione di riprendertelo, adesso che hai eliminato Aleksandr? ››
‹‹ I miei conti in banca si prosciugeranno ad un certo punto. Devo ritornare ai miei affari ed evitare che accada. ››
‹‹ Ma è una follia, Dorian. Il Seven Luck continuerà ad essere sotto l'influenza della Bratva. ››
‹‹ Ultimamente metti troppo la bocca nelle mie decisioni. E abbiamo appurato come finisce, quando accade. ››
‹‹ Sai bene che mi dispiace per quanto avvenuto con Aleksandr. ››
‹‹ E tu sai bene che non sono un uomo che perdona facilmente. ››
‹‹ E' un errore che non verrà più fatto, il mio. ››
‹‹ Conquistarsi la lealtà di un uomo è facile. Ma altrettanto lo è perderla, se ci sono di mezzo dei soldi o la vita. Fidarti di loro ti si ritorcerà contro, ogni volta che ne avranno la possibilità. Ricordatelo, ChangHyun. ››
‹‹ La punizione di JungSu è stata esemplare, per aver aiutato Alek a scappare. Sarà da lezione a tutti gli altri. ››
‹‹ Ci credo, l'ho tolto di mezzo davanti a tutti loro. ››
‹‹ Avrei fatto lo stesso. ››
‹‹ Almeno, siamo d'accordo su qualcosa. ››
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