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Sit-in per Gaza, 7 Giugno.

Ieri, abbiamo portato la nostra voce e la nostra indignazione a Bruxelles con un sit-in per dire a gran voce: Basta genocidio e apartheid e stop all'occupazione.
Abbiamo citato Francesca Albanese, Relatrice Speciale ONU per i diritti umani nei territori palestinesi occupati che ha affermato che: "Se la Palestina fosse una scena del crimine, avrebbe le impronte digitali di tutti e tutte noi".
Non possiamo più restare in silenzio. 🇵🇸
Il nostro governi sono doppiamente responsabili:
Anche da qui, possiamo e dobbiamo fare pressione sul governo italiano che mantiene una vicinanza politica con il governo israelianl.
Chiediamo dunque azioni concrete e urgenti:
✅ Riconoscimento dello Stato palestinese.
❌ Stop al commercio di armi e materiale militare con Israele.
🚫 Sospensione dell'accordo di associazione tra Israele e UE. ⚖️ Sanzioni adeguate per la violazione del diritto internazionale umanitario.
Noi crediamo che la Palestina ci riguardi tutte e tutti, perché in Palestina sta morendo l'umanità. Non possiamo girarci dall'altra parte.

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Proiezione del film-documentario “No Other Land”: Riflessioni, voci, resistenza.
4 Aprile 2025

La nostra serata dedicata alla proiezione del film-documentario “No Other Land” si è trasformata in molto più di una semplice visione cinematografica: è stata un momento collettivo di ascolto, confronto e consapevolezza politica. A seguire, abbiamo organizzato un dibattito che ha messo in luce alcune delle questioni più urgenti e complesse legate alla situazione in Palestina, affrontate da tre ospiti con punti di vista complementari: Amani Rizq, attivista e femminista Palestinese; Bajla Goldberg, esponente dell’Unione Progressista degli Ebrei del Belgio (UPJB); e Marc Botenga, europarlamentare del gruppo politico The Left.
Il confronto si è aperto con una critica ai limiti rappresentativi del documentario stesso. Tra gli interventi più significativi, è emersa l’osservazione che No Other Land, seppur toccante, non riesce a catturare appieno la rabbia e la quotidianità vissuta dai Palestinesi. “Quello che non è stato detto nel film è stato menzionato da Yuval durante la prima; alcune parole, che sarebbero dovute venire dalla gente – come la loro rabbia – sono state espresse da lui”, è stato sottolineato.
Un altro punto critico affrontato riguarda l’uso strumentale dell’accusa di antisemitismo per silenziare ogni forma di dissenso nei confronti delle politiche Israeliane. “Siamo Ebrei, non sionisti”, è stato affermato con forza, a ribadire che l’identificazione automatica tra Ebraismo e sionismo imposta da Israele è una distorsione dannosa. Ed è proprio in questa narrazione forzata che, molti Ebrei della diaspora, si ritrovano loro malgrado associati a un progetto politico che non li rappresenta.

Il dibattito si è poi spostato sul piano geopolitico, con una ferma denuncia della complicità dell’Europa e dell’Occidente nell’occupazione della Cisgiordania. “Il film mostra una realtà che le nostre istituzioni preferiscono ignorare. Nulla di questo sarebbe possibile senza il supporto attivo dei nostri governi.” È stata evidenziata una continuità inquietante con le vecchie logiche coloniali, tracciando un parallelo con il ruolo svolto dal Sudafrica durante l’apartheid.
Nel secondo giro di interventi, la conversazione si è allargata alle lezioni più ampie offerte dalla resistenza Palestinese. In particolare, è stato ricordato il ruolo delle donne nel costruire reti comunitarie e di sopravvivenza fin dagli anni ‘60 e ‘70. Amani Rizq ha infatti sottolineato che “non possiamo combattere la violenza di genere da sole; ogni lotta contro l’oppressione va condotta insieme”.
A queste parole si è aggiunta la testimonianza concreta dell’impegno portato avanti in Belgio da realtà come l’UPJB, che promuove la solidarietà tra comunità Ebraiche e Palestinesi attraverso la partecipazione alle manifestazioni, l’organizzazione di incontri pubblici e la creazione di spazi di dialogo aperto, “per mostrare che un’altra voce Ebraica è possibile”.
Infine, è stata denunciata l’impunità di cui gode Israele persino di fronte alle istituzioni Europee. Il recente rifiuto di ingresso a una delegazione del Parlamento europeo ha sollevato indignazione: “Le parole non bastano. Serve una pressione pubblica organizzata per fermare l’annientamento di un popolo.”
Nel momento finale dedicato al Q&A, il dibattito ha toccato il tema della disillusione verso le istituzioni internazionali. Nonostante il contesto, non è mancata una nota di determinazione. “Non dobbiamo temere di avere nemici. Restiamo saldi nelle nostre convinzioni”, è stato detto con convinzione. E in chiusura, un invito chiaro e inequivocabile: “Decolonizziamo menti, cuori e spazi. Solo così potremo costruire una vera solidarietà.”
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Mascolinità da ripensare
L’educazione sessuo affettiva non è un lusso. È una necessità.
Senza di questa, le conseguenze ricadono su partner, famiglie, figli e sull’intera società. Le difficoltà emotive ed affettive maschili sono una questione che affonda le sue radici nella cultura patriarcale e nel modo in cui i bambini maschi vengono educati. A causa del contesto, molti uomini vivono difficoltà relazionali che si riflettono nei rapporti con le donne, con le proprie famiglie e con i partner. I femminicidi in Italia non sono casi isolati—solo nel 2025 ne contiamo già 11— e non sono nemmeno fenomeni sociali ma si tratta di strutturale e sistemica violenza di genere. Una realtà, questa, troppo spesso sminuita nel dibattito pubblico, nonostante gli impressionanti livelli di brutalità e disumanizzazione che la caratterizzano.
Per affrontare questa crisi, è fondamentale introdurre, accanto all’educazione civica, moduli di educazione sessuo affettiva nelle scuole. Senza un intervento strutturato, il divario generazionale—già marcato da age e digital gap—rischia di amplificarsi, andando a nutrire il profondo gap politico tra uomini e donne, che ha contribuito a importanti fenomeni di radicalizzazione. Ignorare questi elementi rischia di alimentare la pericolosa e tossica narrazione che negli ultimi anni ha contribuito alla creazione di categorie e concetti, come quello degli incel, senza affrontarne le cause profonde.
Assumendo un ruolo chiave in questo contesto, il femminismo intersezionale e’ definito da un approccio includente, che riguarda anche gli uomini e può offrire loro spazi di emancipazione da modelli di mascolinità che ingabbiano l'emotività degli uomini stessi Uno spazio che permetterebbe a molti giovani uomini, alienati da queste conversazioni e in cerca di conforto di non trovarlo in contesti di radicalizzazione machista dominati dall'estrema destra. L’obiettivo cardine di tale movimento e’ quello di permettere un loro coinvolgimento e dimostrare che il femminismo è per e di tutti e tutte, e che solo un cambiamento culturale condiviso può portare a una società più equa e consapevole.
I risultati e gli effetti di questa dinamica in Italia si riflettono in casi di cronaca, come i femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula - per citare due tra i casi più recenti, nelle campagne pubblicitarie—come quella per la Festa del Papà di quest’anno a Bologna—e nei media. Ne è esempio la serie inglese Netflix Adolescence, che esplora il tema della mascolinità e delle sue contraddizioni, toccando anche gli effetti del bullismo, del cyberbullismo e dell'assimilazione della sottocultura degli incel sui più giovani.
In occasione di questo nostro primo blog, abbiamo deciso di parlare con chi fa parte del nostro gruppo, con i nostri compagne e compagni di Sinistra Italiana Belgio.
L’idea è quella di rendere questo format ricorrente. Vogliamo far conoscere non solo cosa pensiamo, ma anche chi siamo: dare volto e voce a chi anima il nostro progetto politico, raccontando come vediamo il mondo e perché lo vogliamo cambiare.
Per questo argomento abbiamo parlato con Laura De Bonfils, femminista attivista per i diritti LGBTI , segretaria generale del network europeo Social Platform e membro dell’assemblea nazionale di Sinistra Italiana.
Quali sono oggi i principali ostacoli all’introduzione di un’educazione sentimentale, sessuale e affettiva nelle scuole italiane? E in che modo possiamo contrastare le resistenze culturali e le politiche che la ostacolano?
In Italia esiste già una proposta di legge sull’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, bloccata da tre anni e mancante della volontà politica di renderla obbligatoria. Questo perché l’educazione affettiva e sessuale sono ancora considerate da molti un tabù e associazioni anti-diritti fanno pressione contro la loro introduzione, come la lobby anti diritti Pro-Vita & Famiglia. Organizzazioni di questo tipo si oppongono a questo importante curriculum nascondendosi dietro la scusa della paura dell’introduzione della non esistente “teoria del gender” nelle scuole, e a motivazioni che nascono da ideologie religiose, che sono chiaramente un pretesto per limitare i diritti e l’informazione dei ragazzi.
L’assenza di una legge lascia quindi margini di discrezionalità alle singole scuole con gli istituti del centro-nord e delle grandi città più attivi.
Attualmente gli argomenti di contrasto alla violenza contro le donne, educazione a relazioni corrette e rispettose e la promozione della parità sono inseriti nell’insegnamento di educazione civica. Questa è stata introdotta come materia trasversale dall’anno scolastico 2020-21 nel primo e secondo ciclo d’istruzione per almeno 33 ore di formazione e, in sede di programmazione, i consigli di classe possono adottare soluzioni organizzative differenti.
L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) afferma che un’educazione sessuale e affettiva di alta qualità può aiutare nella prevenzione delle violenze di genere fin dall’età adolescenziale.
Il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, dopo il caso Cecchetin, aveva presentato un piano per le scuole intitolato “Educare alle relazioni”. Un percorso facoltativo, extracurriculare, che è stato giudicato insufficiente da numerose organizzazioni che si occupano di prevenzione della violenza. Mentre cinquecentomila euro stanziati all’inizio per l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole sono stati alla fine destinati a formare gli insegnanti sulla prevenzione dell’infertilità. Insegnamento molto diverso da quello che prevede l’educazione sentimentale e sessuale.
Che ruolo ha il femminismo intersezionale nel combattere le forme di mascolinità tossica? Come possiamo rendere il femminismo intersezionale più accessibile e realmente inclusivo, soprattutto per chi oggi si sente escluso da queste conversazioni?
La nostra società si basa su gerarchie di potere e ogni persona ha caratteristiche diverse - alcune che convivono allo stesso tempo. Ognuna delle gerachie divide le persone in base a una caratteristica: il sesso, la razza, l’identità di genere, l’abilità, la sessualità, per citarne alcune. Queste sono assi di oppressione con, da un lato le persone privilegiiate e dall’ altro quelle oppresse, che contano meno e subiscono discriminazione. Ogni persona può essere attraversata da più di un asse di oppressione e quindi trovarsi in un punto di intersezione.
Il femminismo intersezionale è un femminismo che rivendica la lotta comune, che rivendica il prendere in considerazione le intersezioni tra assi di oppressione, rendendo l’analisi politica e sociale più complessa e rivendicando che per la liberazione dal patriarcato dobbiamo considerare tutti gli assi di rivendicazione e che nessunə è liberə se non siamo tuttə liberə!
L’approccio del femminismo intersezionale è una prospettiva politica che contiene molteplici lotte contro tutte le oppressioni possibili, senza imporre una gerarchia fra loro ma rivendicando le specificità di ciascuna.
Come per esempio la lotta per la rivendicazione dei diritti civili, che non ha maggior valore della lotta per i diritti sociali e allo stesso modo le rivendicazioni delle persone razionalizzate.
La lotta comune dovrebbe essere contro il sistema capitalista, patriarcale e colonialista, votato all’accumulazione di profitto attraverso lo sfruttamento delle persone delle risorse naturali e umane dei paesi del sud globale del mondo.
La mascolinità tossica è un prodotto del patriarcato che insegna agli uomini la loro posizione di dominio. Per questo motivo, un approccio che riconosce la diversità e le diverse oppressioni dovrebbe combattere alla radice la diffusione della mascolinità tossica. Serve un insegnamento alle differenze e alla comune lotta contro le oppressioni.
Questa è solo una delle tante voci che vogliamo raccogliere. Continueremo a ospitare approfondimenti e testimonianze per dare spazio a un dibattito collettivo e necessario.
Seguiteci su IG @sinistraitalianabelgio per novita e per sapere cosa facciamo!
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