#Comunicazione criptica
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divulgatoriseriali · 11 months ago
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Monografie Seriali: Michele Profeta, l'assassino delle carte da gioco
Michele Profeta fu un serial killer dalla complessa classificazione: edonista per guadagno permeato da tratti missionari ma vendutosi per visionario. Stratega del crimine, organizzato e risoluto, pose scomposti tasselli d’ego intarsiando l’affilato mosaico dalla foggia disfatta d’un mito morente. “Serial killer delle carte da gioco”, aggredì lo Stato con messaggi e minacce, ricatti e rebus…
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risposte-e-reblog-randagi · 3 years ago
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Caro Parolerandagie, come ben sai apprezzo moltissimo il tuo scrivere, la tua poesia e il tuo sviscerare la realtà con fare affilato. Prendendo spunto perciò da una domanda che pochi giorni fa è stata rivolta a me, vorrei chiederti quando hai iniziato a scrivere e come è iniziata questa tua passione.
Buonasera mačka od planina (*),
e grazie per la domanda, interessante e divertente.
Mi piace sottolineare che, per quanto scrivere mi caratterizzi (non tanto nella qualità, ahimè, ma per certo nella quantità), io mi considero soprattutto un lettore, anzi un appassionato lettore, e forse, il primo impulso verso lo scribacchiare me lo diede proprio questa passione, nel tentativo comprensibile di imitazione, tipico dei bambini quando vengono a contatto con qualcosa che li entusiasma.
Leggere era doveroso, qui nella provincia torinese degli anni 70, lontano da tutto, in un Mondo che era gigantesco (Milano ed il secondo anello di Saturno li percepivo equidistanti da me, ed entrambi in ugual misura irraggiungibili), se si voleva trovare una via di fuga che non fosse arrendersi all'inedia: era un modo per sapere, viaggiare almeno con la fantasia, imparare, immaginare e mille altri verbi, tutti positivi.
E scrivere venne di conseguenza, per quanto poche ed umili fossero le cose che avevo io, da scribacchiare, rispetto ai colossi di cui leggevo le opere.
Venne poi la poesia: sintetica, espressa attraverso formule e codici, obbediente rispetto a regole metriche, precisa e scandita...pure un poco criptica e difficile..insomma perfetta versione letteraria dell'altra grande passione mia, ovvero la matematica.
Ed ora, passati i lustri, le mode, apparse e tramontate mille novità nell'ambito della comunicazione e dell'espressione, sono ancora qui a scribacchiare, goffo ed entusiasta.
(*) gatta delle montagne, in serbo
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grlbts · 4 years ago
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tempo fa ho letto un tweet che mi ha fatto ridere per un motivo stupido, era abbinato a uno screenshot di una classica blastata di Burioni e diceva più o meno ‘poi un giorno, con calma, a bocce ferme, discuteremo su che disastro abbia fatto questo personaggio e questo tipo di comunicazione nel nostro paese nell’attuale situazione e bla bla.
Ora togliendo di mezzo Burioni completamente mi ha fatto ridere come uno scemo l’idea di usare questa stessa identica formula con dei personaggi veramente a caso, così che resti una protesta forte e ferma ma un po’ criptica e chi vuole capire capisca perché qualche motivo per odiare si trova sicuro.
Tipo Topo Gigio, Alberto Angela, Valentino Rossi, Carmen Consoli, la lista è lunghissima di gente che ha devastato questo paese.
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forgottenbones · 5 years ago
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Rebus
1. Definizione
Il rebus è un gioco enigmistico (➔ enigmistica) che propone un insieme di lettere e figure in una successione ordinata oppure nel contesto di un’illustrazione. Se sono correttamente combinate e interpretate secondo le regole di genere del gioco, lettere e figure si risolvono in un’espressione linguistica preordinata dall’autore.
2. Tecnica del rebus
Il rebus italiano contemporaneo si presenta come una vignetta in cui alcuni soggetti sono contrassegnati da una, due o tre lettere. Il solutore ha anche a disposizione (nell’intestazione del gioco) un diagramma numerico che riporta il numero delle lettere che compongono le parole della cosiddetta frase risolutiva (o seconda lettura). A volte il rebus viene corredato da un doppio diagramma, in cui è indicato il numero delle lettere che compongono le parole della chiave (o prima lettura). Dalla prima alla seconda lettura si passa con il procedimento di risegmentazione tipico delle ➔ sciarade e delle frasi doppie.
Un’illustrazione che riporti, da destra verso sinistra, un palmipede contrassegnato dalle lettere GI e un’insenatura contrassegnata dalle lettere MA (Rebus, 6, 1, 4) può essere risolta come segue:
(1) (prima lettura) GI oca, rada MA = (seconda lettura) Giocar a dama
Ogni elemento contrassegnato dalla vignetta deve comparire nella prima lettura del rebus, o per quel che è (un’oca, una rada) o per quello che fa. In un rebus che si risolvesse come segue:
(2) (prima lettura) G alle sei RL a N dà = (seconda lettura) Galles e Irlanda
è indifferente chi sia G, chi sia N e cosa sia RL: G può essere un postino che consegna alla casalinga N il plico RL; G può essere uno staffettista che passa al suo compagno N il testimone RL; G può essere Dio che consegna a Mosè N le Tavole della Legge RL. In ognuna di queste realizzazioni, o delle innumerevoli alternative possibili, il rebus è valido.
Fino agli anni Cinquanta del Novecento alcune oscillazioni terminologiche assegnavano a volte al rebus detto di relazione il nome di rebus crittografico o crittografia (ingenerando ambiguità con un’omonima famiglia di giochi enigmistici non illustrati). Oggi la tendenza dominante denomina come rebus ogni gioco enigmistico illustrato, in cui cioè una sequenza linguistica interpreta una scena rappresentata figurativamente (per denominazione, per relazione o nelle due modalità combinate).
3. Archeologia del rebus
Il gioco del rebus ha radici nelle antiche forme di scrittura pittografica e ideografica in cui la notazione di un concetto prevedeva la sua rappresentazione figurativa: forme che a volte sono state designate dagli storici della materia come scritture-rebus (cfr. Diringer 1969). Già in epoca antica era possibile che elementi linguistici privi di una propria raffigurazione univoca, come per es. i nomi propri, venissero scomposti in segmenti invece raffigurabili. Così la tavoletta che raffigura il faraone Narmer (III millennio a.C.) lo nomina attraverso i disegni di un pesce (nar) e di uno scalpello (mer).
Il passaggio alla scrittura alfabetica decretò l’abbandono dell’iconismo diretto della rappresentazione, ma d’altro lato rese ancora più evidenti le possibilità di scomposizione delle sequenze alfabetiche; quando Cicerone saluta un corrispondente in questo modo:
(3) Mitto tibi navem prora puppique carentem («Ti mando una nave priva di prua e di poppa»: n-ave-m)
costruisce una sorta di rebus tutto linguistico, in cui il lato figurativo è lasciato all’evocazione del tropo analogico (la prima e l’ultima lettera di navem come la prua e la poppa di una nave).
L’aspetto linguistico e l’aspetto figurativo si congiungono sulla scena del sogno. Il primo trattato sull’interpretazione dei sogni, l’Onirocritica di Artemidoro di Daldi (II sec.) riferisce il responso che Aristandro diede a un sogno di Alessandro Magno. Impegnato nell’assedio della città persiana di Tiro, Alessandro aveva sognato un satiro danzante sopra uno scudo. Aristandro ne aveva tratto un auspicio favorevole: Satyros = sa Tyros «Tiro è tua»: una perfetta sciarada, o frase doppia. L’Interpretazione dei sogni (1901) di Sigmund Freud riprenderà e approfondirà questo tema, distinguendo fra contenuto manifesto e contenuto latente, e definendo il sogno come un «indovinello figurato» (Freud 1899). Come ha poi dimostrato François Lyotard (1971), Freud stava facendo diretto riferimento al gioco delle rätselhafte Inschriften («iscrizioni enigmatiche»), una sorta di rebus epigrafico che all’epoca di Freud compariva sulla pubblicazione viennese «Fliegende Blätter». Un analogo raccostamento è stato poi operato da Jacques Lacan, che ha assimilato il sogno al gioco salottiero della sciarada, chiamata charade en action.
Il principio linguistico della sciarada (scomposizione di un’espressione in sillabe o altre unità che si scoprono dotate di senso proprio) e il principio verbo-visivo del rebus (rappresentazione iconica di unità linguistiche) si trovano combinati anche nell’immediato antecedente del rebus: l’impresa rinascimentale (per la quale si rinvia a Praz 1946). Del rebus l’impresa ha innanzitutto l’intento criptico: a differenza degli emblemi manieristi e barocchi, rivolti a un pubblico anche analfabeta (e per questo intento ripresi anche dalla catechesi gesuitica), le imprese realizzavano una comunicazione criptica. Il loro carattere non era universale, ma particolare: intendevano rappresentare in modo incomprensibile ai non adepti l’intenzione segreta, il movente intimo delle azioni di un cavaliere, il suo motto personale o familiare. Vicino al ritratto dell’amata, Orazio Capete Galeota conservava un’impresa in cui una tigre si specchia in una sfera di vetro, con il motto fallimur imagine «siamo ingannati dall’immagine»: l’impresa si spiega grazie a un racconto di sant’Ambrogio in cui i cacciatori ghermiscono un cucciolo di tigre e gettano una sfera di vetro alla madre, che scambierà la propria immagine riflessa e rimpicciolita con quella del figlio, consentendo ai cacciatori di allontanarsi. Solo l’erudizione e la conoscenza diretta dell’interessato consentiva di cogliere il contenuto criptico dell’impresa.
Oltre al meccanismo perfettamente concettuale dell’impresa era disponibile una rappresentazione per segmenti linguistici. Una prima forma, moderata, segmentava le sequenze conservando l’omofonia: è il caso dello stemma della famiglia Anguissola, realizzato con l’immagine di «un solo serpente» (anguis sola). Trattatisti come Paolo Giovio non consideravano questo caso diverso da quello della colonna che campeggia nello stemma della famiglia romana Colonna: la semplice scomposizione che mantiene l’omofonia veniva avvertita come una variante dell’omonimia. Diverso invece, e spesso censurato dai trattatisti, il genere dell’impresa-rebus o impresa cifrata, in cui la sequenza viene scomposta in segmenti che comprendono lettere isolate e in cui l’omofonia è perduta, o faticosa (una perla, una lettera T, una suola di cuoio o coramo: «Margherita, Te, sôla di coramo = Margherita, te sola di cor amo»). È questo il caso dei cosiddetti rebus di cui ➔ Leonardo da Vinci costellò il codice Windsor: la figura di due quaglie e quella di due ossa erano intervallate dalle lettere C, H, I, P. Soluzione: «qua gli è chi possa» (quaglie, C,H,I,P, ossa). È anche il caso dei Rébus de Picardie (fine XV - inizio XVI sec.), ove la figura di una monaca che sculaccia un abate (nonne abbé bat au cul), seguita dalla figura di un osso (os), va risegmentata e reinterpretata come motto latino: Nonne habebat oculos? «ma non aveva occhi?». È questa la prima apparizione del nome rebus, la cui etimologia viene comunemente ricondotta al plurale dell’ablativo strumentale di res «cosa», dunque «con le cose».
4. Il rebus enigmistico
Già dal Rinascimento la produzione italiana di rebus si è differenziata da quella in altre lingue, pur fiorente, per il fatto di accogliere solo esempi rigorosamente omografici. Nella tradizione anglosassone (come nella francese), il soggetto raffigurato può stare per una parola o per un segmento di parola anche solo in virtù dell’omofonia; così in una famosa lettera-rebus di Lewis Carroll il pronome I è rappresentato dal disegno di un occhio (eye).
Nel corso dell’Ottocento il genere del rebus era impreziosito ma anche limitato nelle sue possibilità di sviluppo dal costo della riproduzione tipografica. Rispetto alle sciarade, ai logogrifi, agli acrostici, agli anagrammi, agli enigmi e agli altri generi puramente linguistici dell’incipiente enigmistica, il rebus richiedeva procedimenti di stampa peculiari, che ne limitavano la presenza sulle riviste.
Il rebus enigmistico ottocentesco e del primo Novecento si rivolgeva a estese frasi di tipo proverbiale e gnomico, come sopravvivenza delle radici concettistiche ed emblematiche: «è vano ad amor ardente opporsi», «latte sopra vino è veleno», «senza danari non si àn rosari». Lo sviluppo decisivo del rebus italiano si è prodotto nella seconda metà del Novecento, sulle pagine della «Settimana enigmistica», dove si sono assestati i canoni di accettabilità della frase risolutiva, di chiarezza espositiva della vignetta, di innovazione e correttezza sintattica della prima lettura.
La frase risolutiva si è liberata dai vincoli della proverbialità, adottando come criterio la maggiore prossimità possibile alla dimensione semantica del paralessema e del modo di dire (famosi rebus hanno avuto frasi risolutive come: «bagarre tra vari spettatori»; «fare sberleffi giocosi»; «Sodoma e Gomorra»; «leghe superleggere»; «audace scenetta»; «melodia d’amore medioevale»; Bosio 1993).
L’illustrazione, la cui tecnica è stata codificata da Maria Ghezzi Brighenti, si è caratterizzata per nitore e neutralità del tratto e per l’estensione delle peculiari tecniche di composizione che sottolineano la pertinenza degli elementi utili per la risoluzione.
La prima lettura si è giovata innanzitutto dell’invenzione del «rebus stereoscopico», da parte di Gian Carlo Brighenti (1924-2001): distribuendo la rappresentazione del rebus su più di una vignetta è possibile raffigurare sequenze temporali o meramente logiche (un’aquila C che discende a più riprese dalle stesse montagne: «C a valle rialeggerà = Cavalleria leggera»).
Più recentemente il relativo esaurimento delle chiavi utili alla composizione di rebus si è combinato con l’elevato virtuosismo degli autori e degli illustratori, portando alla pubblicazione di difficili rebus in cui la prima lettura consiste in un’interpretazione particolarmente raffinata (e a volte al limite dell’aleatorio) della vignetta. Per es., un rebus in cui gli sposi G sembrano quasi tardare a scambiarsi gli anelli F si risolve tramite un congiuntivo esortativo e una postilla esplicativa: «G abbiano F: è rito! = Gabbiano ferito».
fonte: Treccani
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mario-fresa73 · 5 years ago
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Addentrarsi nella poesia di Mario Fresa è un’esperienza non semplice, ci impone di confrontarci in un rapporto dialettico serratissimo con il linguaggio che, abbandonando l’uso comune e referenziale che lo caratterizza nella comunicazione quotidiana o formale, si libera da qualunque costrizione e ritorna libero di esprimersi in associazioni imprevedibili, costruire nessi inattesi dove il riferimento al senso comune risulta inevitabilmente fuorviante. Ne deriva una poesia ardua, a tratti criptica se non enigmatica, tanto che lo stesso autore provocatoriamente sceglie di inserire come coda finale del libro una sezione di “soluzioni” che anziché sbrogliare l’intrico poetico introduce ulteriori livelli interpretativi che si stratificano a quelli supposti dal lettore, aggiungendo un ulteriore strato semantico al quadro polisemico fitto e di complessa decodificazione, se ci si affida al solo piano razionale. Quanto ci chiede di fare Mario Fresa pare proprio essere la messa in ἐποχή del classico pregiudizio causale che ci porta a giudicare e catalogare il mondo, l’idea che a ogni evento consegua con regole preordinate una sequenza di altri eventi a esso connessi e giustificabili a partire dal suo presupposto.
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tmnotizie · 6 years ago
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GROTTAMMARE  – Fabio Agostini, il papà della bimba che quest’estate è stata investita sul lungomare di Grottammare da una bici pirata scrive al sindaco Enrico Piergallini. La piccola, di appena quattro anni, era stata travolta da una bicicletta condotta da una ragazza che non si fermò a prestare soccorso e che, alcuni giorni dopo, fu identificata.
“Mia figlia – si legge nella missiva di Fabio Agostini – ha riportato una frattura scomposta tibio-peronale che ha comportato l’ingessamento totale dell’arto a partire dal piede fino ad arrivare a livello pelvico, con conseguente sua forzata immobilizzazione per 60 giorni e successiva deambulazione anserina per i successi 30 giorni che ha richiesto un intervento riabilitativo messo poi in pratica dalla madre che ha seguito la bambina direttamente in piscina in vasca”.
Nei giorni successivi all’incidente Agostini presentò all’ufficio protocollo del Comune una richiesta di accesso agli atti (la legge Madia lo consente). “Cercavo documenti – spiega – che attestassero l’eventuale esclusiva pedonalità o promiscuità ciclo pedonale dell’area in cui mia figlia era stata investita. Nel frattempo, per schermare il Comune, mi sono anche preso la bega di avere animate discussioni al fine di evitare che l’accaduto venisse strumentalizzato politicamente in quanto lo ritenevo ingiusto visto che il mio scopo era quello di avere giustizia e non certo l’eventuale politicizzazione di un evento che mi ha profondamente scosso”.
Ma le cose non sono andate come Agostini si aspettava ed in queste ore ecco la mail inviata direttamente al sindaco di Grottamma Enrico Piergallini per chiedere delucidazione in merito ai ritardi che non riesce a spiegarsi. “Nonostante la mia richiesta di accesso agli atti avesse un fine nobile – aggiunge Fabio Agostini – in quanto volta ad avere documenti che mi avrebbero permesso di sedermi e discutere con Lei, mi passi il termine, ad armi pari, con la possibilità di avere un colloquio che non si basasse su asimmetrie informative tra me e Lei in virtù del ruolo istituzionale da Lei ricoperto, (né tantomeno basato sul sentito dire o fondato su chiacchiere da bar) con il fine ultimo di evitare che incidenti come quello accaduto a mia figlia, o anche più gravi, si potessero ripetere nel futuro specie visto il fatto che se mia figlia fosse stata colpita sul fianco anziché sulla gamba, molto probabilmente mi sarei trovato a piangerla morta”.
“La mia intenzione nella richiesta degli atti – continua il papà della bambina – ed un eventuale successivo incontro con Lei era proprio legata al fatto che pensavo che Grottammare, paese mio natale che ho ormai “abbandonato” da anni per motivi di lavoro (vive in Inghilterra ndr), essendo divenuta famosa per la sua democrazia partecipativa, fosse aperta ai cittadini non in virtù dell’applicazione della Legge Madia, ma per via di un progetto politico ormai quasi trentennale. Con immenso rammarico, mi sono scontrato con una realtà che, a mio modestissimo parere, è ben diversa di quella che immaginavo, che avevo letto, e che pensavo fosse”.
Agostini, poi, entra nel merito di quanto accaduto in seguito alla sua richiesta di accesso agli atti: “E’ stata “parzialmente” evasa in data 20 Settembre 2018 via email da parte dell’URP. Dico “parzialmente evasa” in quanto nella stessa mail recapitatami dall’URP si fa testualmente riferimento a ulteriori e più approfondite indagini, per individuare eventuali atti successivi a quello trovato ed inviatomi. Ora, l’originale risposta (pervenutami entro i termini previsti dalla Legge Madia), che cita “l’ulteriore ricerca di atti”, credo dia luogo alla sospensiva o proroga concessa dalla stessa legge, proroga che comunque non può superare i 10 giorni dalla richiesta”.
Ma ad oggi Agostini afferma di non aver ricevuto ulteriori comunicazioni “né da parte dell’URP, né tantomeno da parte dei Vigili Urbani, ne’ da Lei (e non essendomene curato visto che il mio scopo non era, come detto, l’accertamento di colpe, ma altro), dopo 5 mesi dalla richiesta ho, nella speranza di ricevere quegli ulteriori atti oggetto di accertamento, inviato una mail all’URP”.
“Dopo numerosi solleciti (5 email in 2 settimane – dal 14 al 28 gennaio) -aggiunge Agostini- sono riuscito ad ottenere una risposta solo dopo 2 settimane, ricevendo una replica dalla quale riesco ad evincere che la ricerca è ancora in corso e spero di non aver interpretato male la risposta in quanto l’ho trovata, per così dire, criptica o di difficile comprensione. Adesso, come già sottolineato, mi meraviglio dei tempi necessari alla ricerca di tali atti in virtù del fatto che, siano trascorsi 4 mesi e una settimana dai termini previsti per legge e che non me ne sia stata data comunicazione spontanea se non dietro mie insistenti e, forse noiose, sollecitazioni”.
“Credo – continua così la lettera di Fabio Agostini – nel mio piccolo, di essere stato sufficientemente paziente e aver dato tempi sufficienti affinché la mia legittima richiesta venisse esaudita, ma la sensazione che ho è quella di trovarmi di fronte ad una sorta di “muro di gomma” e, visto che Lei è il primo cittadino, le chiedo pubblicamente (non rimanendomi che questa via o una via legale che ripeto, non è mia intenzione perseguire) e con molta umiltà: che cosa avrebbe fatto se si fosse trattato di sua figlia? Ho visto che la situazione relativamente alla segnaletica orizzontale (inesistente) e verticale non è cambiata su quel tratto di lungomare. Non essendo a conoscenza della tipologia di strada non sono tantomeno nella posizione (asimmetrie informative) di poterLe chiedere di far presidiare o controllare quel tratto di lungomare almeno durante il periodo estivo onde evitare si trasformi in un velodromo anziché in un’area ciclo pedonale, né chiederLe di apporre segnaletica che eviti il transito alle biciclette, né che, nel caso in cui si tratti di area a solo uso pedonale, la Polizia Municipale possa intervenire, come viene fatto ad esempio a Treviso o altre città, multando chi non porta le bici a mano. L’unica cosa che posso dirLe  -conclude Agostini – è che, spero, che quanto accaduto a mia figlia non si ripeta in futuro ad altri bambini, anche se sembra che la mia speranza sia piu’ affidata al caso e al buon Dio piuttosto che ad un intervento dell’amministrazione”.
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