#Marginalità sociale
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Il Movimento 5 Stelle di Alessandria interviene sul tema delle zone rosse, chiedendo strategie condivise e inclusive per la sicurezza urbana. Scopri di più su Alessandria today.
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Rimini ottava, nella triste classifica del numero di homeless deceduti nel 2023.
“La solita, invisibile, strage: 415 morti nel 2023 riporta il report curato dalla fio.PSD sui senza dimora che lo scorso anno hanno perso la vita a causa della condizione di grave emarginazione.
Aumenta il numero e si muore durante tutto l’anno, non soltanto d’inverno. Muoiono soprattutto uomini di nazionalità straniera.”
Servono risposte abitative nuove e strutturali adeguate a rispondere alla precarietà abitativa che colpisce sempre più persone.
Di precarietà abitativa si muore d’inverno come d’estate, e Rimini ancora una volta entra in una triste classifica.
Invece questa amministrazione, per volontà di un Sindaco indispettito che gestisce la cosa pubblica come un fatto personale, (non sopporta le critiche), deve fare fuori Casa Madiba Network... e quale miglior modo se non impiantare lì un progetto, quello del centro servizi a bassa soglia, che grazie all’aiuto della Lega, non sarà uno spazio di nuovi diritti per le persone senza casa, ma l’ennesimo palazzo del grigiore istituzionale, dove chi è senza casa deve sentirsi COLPEVOLE, non di certo incoraggiato a lottare per un diritto che dovrebbe essere universale come quello alla casa?
Intanto la gente muore nelle strade, mentre loro, sindaco e assessore ( e proni funzionari tecnici ) sono ancora lì a finire di scrivere il comunicato per il Piano freddo che non c’è, o peggio a strumentalizzare vicende umane e personali, come quella del signor Franco, alias Charlotte.
Intanto ci sono operator* della Marginalità adulta che lavorano con la partita iva, altr* che vengono minacciat* o screditat* se non si allineano, oppure volontar* su cui si scarica il peso opprimente di un lavoro sociale non riconosciuto e di un welfare sempre più frammentato.
Mentre la gente muore nelle strade, negli hotel abbandonati. E loro si occupano solo di scrivere comunicati stampa.
Non ci stupisce la loro ipocrisia e la loro strumentalizzazione, hanno persone pagate per scrivere e gestire la comunicazione del signor Sindaco, ci stupisce invece chi sostiene questo carrozzone, chi entra nei Cda di enti come ACER senza avere la capacità di muovere un millimetro, chi legittima un’azione istituzionale come quella del centro servizi, senza mai avere ascoltato le persone che da dieci anni a questa parte negli spazi di Casa madiba, tutti i giorni creano progetti, risposte, alleanze, relazioni contro la precarietà abitativa e per il benessere e la sicurezza di tutta la collettività con le persone in condizione homelessness.
E per favore non parlateci dei percorsi partecipati svuotati di ogni significato che la parola partecipazione porta con se. Come ridurre un oceano... agli interessi degli Enti amici, ops.... ad una vasca da bagno.
Per questo oggi più che mai, dobbiamo gridare e lottare ancora più forte:
UNA CASA PER TUTT*
Casa Madiba Network
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VENTUNESIMO SECOLO - di Gianpiero Menniti
MASCHILE E FEMMINILE: IL MUTAMENTO PROFONDO
Tra le fonti del romanzo "Le Streghe di Shakespeare" c'è un testo singolare.
Anni fa, parecchi anni fa (fine anni '80, primi '90 del secolo scorso) venni incuriosito da un titolo inconsueto, "Occidente misterioso - Baccanti, gnostici, streghe: i vinti della storia e la loro eredità".
A interrogarmi non era solo l'esordio del libro ma il nome dell'autore, Giorgio Galli, scomparso nel 2020, storico e politologo milanese di riconosciuto valore.
Inaspettatamente, l'insigne docente di storia delle dottrine politiche aveva dato alle stampe un volume per raccontare che i vinti nascosti della storia fossero spesso alcuni "modelli femminili di visione del mondo", relegati nell'impulsività mistica e quindi osteggiati per la loro forte carica emotiva, in apparenza contrari alla genesi razionalista delle società considerate progredite e naturalmente, cosa più importante, ai loro assetti.
Dal mondo antico fino all'età moderna.
Dunque, sostiene Galli, nei «passaggi cruciali della costruzione dell'Occidente come civiltà, le tensioni e i conflitti tra "femminile" e "maschile" hanno avuto un ruolo superiore a quello sinora loro accreditato.».
Ancora più singolare fu l'accoglimento della robusta e davvero interessante tesi di Galli: il sistema accademico italiano lo sospinse in un limbo di marginalità.
Il suo libro venne in altri casi fortemente criticato come si fosse trattato di uno "scivolone" dell'illustre cattedratico.
Aveva toccato un nervo scoperto il buon Galli?
Nessuno, a mia memoria, entrò mai nel merito della sua proposta interpretativa, certamente molto avanzata in quel torno di fine millennio.
Lo studioso non si arrese e negli anni successivi coltivò il filone.
Galli aveva indirettamente chiarito, argomentando con dovizia, quanto fosse rimasto fervente, nel corso di un lunghissimo arco di tempo, il fiume carsico dei diritti in capo al genere femminile, la portata storicamente rilevante degli assetti sociali costituitisi anche sul contrasto verso rivendicazioni ritenute eversive e infine si basasse su quell'antica polarizzazione anche l'origine dei fermenti politico-sociali che attraversarono l'800 e il '900, secoli nei quali si è consumata la formula stantia della superiorità "maschile", ormai ampiamente decaduta e oggi in procinto di crollare definitivamente.
Si badi: non si tratta di ridurre la storia a una divisione di potere e contropotere tra i sessi (sarebbe una grossolana fandonia) ma di saper cogliere, come Galli riuscì a fare, l'importanza di questo dinamico confronto socio-culturale percorrendo l'arco del pensiero e dunque della civiltà occidentale.
Tutti i processi storici sono segnati da avvenimenti che fanno da detonatore, come recenti e tragici casi di cronaca nera insegnano da noi.
E che osserviamo in misura ancora più rilevante in scenari distanti dal nostro modello: gli accadimenti in Iran, con la "polizia morale" che massacra ragazze indifese, sono l'esempio lampante della discrasia tra un potere reazionario e una società che sul riconoscimento delle libertà individuali in capo al genere femminile e dell'habeas corpus in particolare, arriverà ad abbattere quelle obsolete forme di dominio e con esse l'intero assetto sociale, dello Stato e dei fondamenti religiosi sui quali si regge.
Quando accadrà - e accadrà anche se le martiri saranno ancora molte - quale corso prenderà la storia in Medio Oriente?
Dunque, in relazione causale, nel resto del globo?
Nessun cambiamento di status si è mai affermato pacificamente.
Ma il cambiamento è in atto, ormai segnato e inarrestabile.
Ed è, in non rare occasioni, coinciso, quando racchiuso in termini avanzati (poichè esiste anche un conservatorismo di stampo femminile non meno intransigente e detestabile) con il ruolo delle donne.

Questo sostengo facendomi breccia, implicitamente, attraverso il buon Galli, storico acuto e politologo lungimirante.
Gli idioti (nel significato originario greco) non se ne avvedono.
Gli imbecilli (nell'etimologia latina) tentano di contrastarlo.
Ne "Le Streghe di Shakespeare" l'argomento è scavato ancora più profondamente, in chiave antropologica.
Fino a contemplarne l'origine.
Sepolta in un abisso scabroso.
Nelle immagini: "Grande Dea Madre", periodo Paleolitico, collezione Mainetti, New York


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Sindacato Salp in aiuto dei senza fissa dimora
Aperto a Napoli presso le sedi del sindacato SALP lo “sportello sociale”, un progetto pilota innovativo in Campania dedicato alla tutela dei diritti delle persone senza fissa dimora e delle categorie più fragili, e disponibile al Numero Verde 081/2301089). Il servizio rappresenta una svolta epocale nell’accesso ai diritti fondamentali per chi vive situazioni di estrema marginalità: Il SALP, alla…
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Al Salone del Libro il volume "Destrezza e libertà – Circo e resistenza tra memoria e presente"

Al Salone del Libro il volume "Destrezza e libertà – Circo e resistenza tra memoria e presente" Giovedì 15 maggio alle ore 18 sarà presentato in anteprima al Lingotto di Torino, presso lo stand de La Stampa, in occasione del Salone Internazionale del Libro Destrezza e libertà – Circo e resistenza tra memoria e presente, a cura di Raffaele De Ritis, primo volume della nuova collana di ricerca scientifica Quaderni Accademia Cirko Vertigo edita da Edizioni SEB27. Il libro, in uscita entro la fine dell’anno, è realizzato grazie al sostegno di Città Metropolitana di Torino e si arricchisce degli interventi di Leo Bassi, Sergio Bustric, Giacomo Costantini, Anna Minini, Liana Orfei, Paolo Stratta e Livio Togni e della prefazione di Daniele Jalla. Saranno presenti alla presentazione Paolo Stratta, direttore di Fondazione Cirko Vertigo, Giacomo Costantini, artista e fondatore di Circo El Grito e Anna Menini, laureanda di Accademia Cirko Vertigo.

Nomade per vocazione, fluido per natura, il circo attraversa i secoli come corpo estraneo ai confini, alle patrie, alle ideologie. Eppure, proprio in quella marginalità apparente, si nasconde un cuore resistente: sotto il tendone, tra cavallerizzi e acrobati in perenne fuga, si è celata una patria invisibile senza confini, tentacolare attraverso i continenti. Il circo è stato capace di proteggere le minoranze, lanciare messaggi di libertà attraverso i suoi spettacoli, vivendo in un perenne equilibrio di quasi invisibilità sociale. Questo volume affronta la traiettoria di una forma di società e di arte capace di opporsi senza dichiararsi, di proteggere senza apparire, di assecondare il potere senza schierarsi. Dove l’equilibrismo non è solo disciplina fisica, ma gesto di sopravvivenza e inconsciamente politico. Un percorso tra piste e silenzi, dove la memoria non è retorica, ma esercizio di verità. Destrezza e libertà – Circo e resistenza tra memoria e presente Edizioni SEB27 / Linea Teatrale - 21 ISSN2785-6372 ISBN979-12-81940-06-2 Pagine: 200 Formato: 14x21 Anno: 2025 La pubblicazione del volume, del costo di copertina di 18 euro, è prevista per novembre/dicembre 2025. ISCRIVITI ALLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK CIRCUSFANS.EU Se questo articolo ti è piaciuto condividilo sui tuoi social utilizzando i bottoni che trovi qui sotto Read the full article
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Immigrazione, carcere e rieducazione: le sfide di un sistema in bilico
Immigrazione, carcere e rieducazione: le sfide di un sistema in bilico
La questione dei detenuti stranieri in Italia e in Europa rappresenta una criticità che mette in luce le fragilità di un sistema che deve bilanciare due esigenze fondamentali: da un lato, la necessità di rimpatriare i cittadini stranieri che hanno commesso reati; dall'altro, l’obbligo costituzionale di garantire la rieducazione del condannato, qualunque sia la sua origine. Recenti dati rivelano che la presenza di stranieri nelle carceri italiane ed europee è una realtà significativa, che solleva questioni di giustizia sociale, efficienza amministrativa e rispetto dei diritti fondamentali.
I numeri che parlano
Secondo quanto riportato, in Italia il 31% della popolazione carceraria è composta da stranieri, una percentuale ben superiore rispetto alla media europea. Questo dato, purtroppo, non può essere letto semplicemente come un riflesso della presenza straniera nella società, ma piuttosto come il risultato di una serie di fattori strutturali. Tra questi, la difficoltà per gli stranieri di accedere a percorsi alternativi al carcere, come i lavori socialmente utili, e la maggiore esposizione a situazioni di marginalità sociale che spesso conducono alla commissione di reati minori.
A livello europeo, la situazione non è diversa: in molti Paesi gli stranieri rappresentano una quota significativa dei detenuti. Tuttavia, in Italia, i reati connessi all'immigrazione irregolare, come il semplice ingresso o soggiorno irregolare, non comportano la reclusione ma sanzioni amministrative, a differenza di quanto avviene per altri tipi di reato che possono coinvolgere cittadini stranieri, come il piccolo spaccio o i furti.
Il dilemma del rimpatrio
Per molti, la soluzione al problema dei detenuti stranieri sembra essere il rimpatrio. Tuttavia, questa misura non è semplice da attuare. Rimpatriare un detenuto significa affrontare una serie di ostacoli burocratici, diplomatici e logistici. Spesso mancano accordi bilaterali efficaci con i Paesi d'origine, e non sempre le autorità straniere collaborano per il rientro dei loro cittadini.
Inoltre, il rimpatrio solleva questioni etiche e giuridiche. È giusto privare un detenuto straniero della possibilità di completare un percorso rieducativo in Italia? È compatibile con i valori del nostro ordinamento espellere una persona che potrebbe reinserirsi nella società e cambiare la propria vita?
Il principio costituzionale della rieducazione
L’articolo 27 della Costituzione italiana stabilisce che "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Questo principio, fondamentale per il nostro ordinamento, non fa distinzione tra cittadini italiani e stranieri. Garantire la rieducazione significa offrire a ogni detenuto, indipendentemente dalla sua nazionalità, una seconda possibilità. È un principio che tutela non solo i diritti del singolo, ma anche l’interesse collettivo a una società più sicura e inclusiva.
Tuttavia, per gli stranieri, questo percorso è spesso ostacolato da barriere linguistiche, culturali e sociali. Molti detenuti stranieri non hanno accesso ai programmi di formazione e reinserimento, spesso per mancanza di risorse o per una percezione discriminatoria che li considera "non meritevoli" di tali opportunità.
Le sfide del sistema penitenziario italiano
Il sovraffollamento delle carceri è un problema cronico in Italia e incide negativamente sulla possibilità di garantire percorsi rieducativi efficaci. Per i detenuti stranieri, questa condizione è spesso aggravata dalla mancanza di interpreti, mediatori culturali e programmi specifici di supporto.
D’altro canto, la presenza di stranieri nelle carceri italiane evidenzia la necessità di politiche più inclusive e mirate. Offrire opportunità di rieducazione ai detenuti stranieri non significa solo rispettare i loro diritti, ma anche contribuire a ridurre i tassi di recidiva e a costruire una società più sicura.
Verso una soluzione bilanciata
Affrontare il problema dei detenuti stranieri richiede un approccio integrato, che tenga conto sia delle esigenze di sicurezza dello Stato sia dei principi di umanità e rieducazione sanciti dalla nostra Costituzione. Ecco alcune proposte per un sistema più equilibrato:
Accordi di rimpatrio strutturati e responsabili Stringere accordi con i Paesi di origine per il rimpatrio dei detenuti, garantendo al contempo che questi possano accedere a percorsi di reintegrazione nei loro territori.
Accesso paritario ai percorsi rieducativi Promuovere programmi di formazione e reinserimento specifici per i detenuti stranieri, con il supporto di mediatori culturali e linguistici.
Riforma del sistema penitenziario Affrontare il sovraffollamento e migliorare le condizioni di detenzione, creando strutture adeguate a percorsi rieducativi personalizzati.
Conclusioni
Il sistema penitenziario italiano si trova di fronte a una sfida complessa: garantire sicurezza e rispetto delle regole senza tradire i principi di umanità e giustizia che sono alla base del nostro ordinamento. La presenza di detenuti stranieri rappresenta un banco di prova per la capacità dello Stato di coniugare fermezza e inclusione.
Investire in percorsi di rieducazione per tutti, italiani e stranieri, non è solo un dovere morale, ma anche una scelta strategica per costruire una società più giusta e sicura. Rimpatrio e rieducazione non devono essere viste come alternative inconciliabili, ma come strumenti complementari di un sistema che sappia essere al servizio di tutti.
Avv. Fabio Loscerbo
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Ecco, io vorrei chiedere a Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, quale fosse esattamente il merito del suo discorso di ieri durante un evento assai importante: la dimostrazione pratica e operativa di come si possa trarre forza dal dolore, fare del lutto privato una grande occasione collettiva di crescita, di consapevolezza, come abbiamo sempre visto con la famiglia Cecchettin.
Oggi io vorrei un’interpretazione autentica, una nota a margine, una spiegazione qualunque, perché, sinceramente, non arrivo a comprendere. Non comprendo perché evocare il patriarcato sia “un’operazione ideologica”, mentre mettere l’accento - contro ogni dato disponibile - sull’immigrazione illegale a proposito dell’incremento delle violenze sessuali e dei femminicidi invece non lo sia (effetto Albania? Ce lo hanno per contratto, di dare sempre la colpa ai migranti?).
Non comprendo come si possa seriamente pensare che citare Massimo Cacciari - quindi una fonte “di sinistra”, per zittirci tutte e tutti, noi ideologici impenitenti - sia sufficiente a liquidare il patriarcato come tema cruciale del nostro mondo (anzi, letteralmente il ministro ha parlato di “risolvere la questione femminile”. Cosa sarebbe, la “questione femminile”? È tipo una questione meridionale ma più grande? La violenza sulle donne e i femminicidi sono la “questione femminile”? Non è una questione sociale in cui le donne sono le vittime?). Con l’aggiunta che, ormai ha detto il ministro - come “fenomeno giuridico” la famiglia patriarcale non esiste più, quindi di cosa parliamo quando parliamo di patriarcato?
Per esempio, parliamo di mansplaining, guarda un po’. Parliamo di squilibri di potere tra uomini e donne, della “storica asimmetria di potere fra uomini e donne” (una cosa che persino la ministra Roccella ha sottolineato, nella stessa circostanza). Parliamo di squilibri di salario, di ruolo, di riconoscimento. Parliamo di strutture economiche manifeste e di strutture culturali profonde. Parliamo di quel “machismo” che Valditara ha menzionato come “residuo” trascurabile, preferendo sottolineare la “grave immaturità narcisista del maschio, che non sa sopportare i no”. Ma guarda, un maschio che non sa sopportare la parità, la possibilità che una donna gli dica no o si rifiuti di essere controllata: che strano, non sono queste su cui si edifica il narcisismo “le braci del patriarcato” (come le ha chiamate Massimo Recalcati)?
Non comprendo lo spazio che il ministro ha dato “alla diffusione di pratiche che offendono la dignità delle donne”, a opera dei “nuovi venuti”: sappiamo perfettamente come in tante parti del mondo le donne siano marginalizzate e sottomesse da regimi e teocrazie infami, e siamo molto sensibili a questo (ahinoi, anche lì c’entra il patriarcato, dietro il paravento della religione: possiamo dirlo o sarà ideologia? E il ministro lo sa che a volte i profughi e i “nuovi venuti” fuggono proprio da quello?). Tutte abbiamo chiesto giustizia per Saman Abbas, sorella la cui morte ancora ci offende. Peccato che il massacratore di Giulia Cecchettin fosse immigrato dal Padovano, tutt’al più.
Poi, con doppio salto mortale, il ministro, dopo avere evocato i “nuovi venuti” (regolari? Irregolari? Non importa: sono “altro da noi”, portatori di cose brutte per definizione), dice che l’ “incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Ignorando che la stragrande maggioranza di violenze avviene in famiglia e nelle relazioni, e ha come autori e protagonisti gli italiani. E lasciamo perdere l’altro salto mortale: l’immigrazione illegale provoca marginalità e devianza. Che strano, pensavamo che relegare le persone ai margini, privarle della possibilità di vita civile producesse devianza, di cui più facilmente sono preda gli ultimi degli ultimi (ricordatemi chi ha smantellato l’”accoglienza diffusa”, l’unica dal volto umano…). Bello, il rovesciamento logico (uno dei tanti): sono gli emarginati a produrre marginalità, non il mondo che hanno attorno a spingerli ai margini. Un po’ come pensano ancora in troppi - lo leggiamo ancora troppe volte in certi resoconti, in certi articoli, in certi interrogatori: non saranno le femmine, a causare i femminicidi?
Bello anche il momento edificante finale, roba da pubblicità del pandoro: proteggiamo i buoni, i deboli, i miti. Le donne saranno buone, deboli o miti, e quindi bisognose “per natura” di protezione (e se non è patriarcato questo, non so proprio cosa possa esserlo)?
E sì, l’unica cosa giusta che il ministro ha detto (statisticamente doveva pur accadere) è quella: la violenza è un fatto culturale. Esattamente. E la sua eliminazione passa per l’educazione sentimentale e sessuale, passa per l’uguaglianza, per le pari opportunità, per l’azione su quei “residui di machismo”, su quel narcisismo patologico. Il suo ministero cosa ha fatto, quindi, in questi due anni? Ah già, un progetto sperimentale, facoltativo ed extracurricolare. Non sia mai che lo prendano per ideologico.
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Music for Change 2024: vince Acquachiara
Acquachiara vince le quindicesima edizione di Music For Change, il premio a sfondo civile organizzato dall’Associazione Musica contro le mafie. La giovane cantautrice romana ha trionfato con il brano Piacere, Sofia sul tema “Disuguaglianze e Marginalità Sociale” superando un lungo cammino di selezioni in un’edizione record che ha visto ben 917 iscritti di cui soltanto 8 in finale. Un programma…
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Nikki Giovanni

Nikki Giovanni, poeta, scrittrice, attivista e accademica, tra le principali autrici del Black Arts Movement è una colonna miliare della cultura nera contemporanea.
Ha pubblicato raccolte di poesie, saggi, curato antologie e scritto diversi libri illustrati per l’infanzia, tra cui Rosa, la pluripremiata biografia di Rosa Parks.
Ha insegnato in molte università, tra cui la Virginia Tech, Rutgers, Ohio State, la City University di New York e il Queens College.
Insignita con 27 lauree honoris causa, le hanno consegnato le chiavi di molte importanti città tra cui New York, Los Angeles, Miami, Dallas. È stata premiata col NAACP Image Award ben sette volte. Ha ricevuto la Medaglia Langston Hughes ed è stata nominata per un Grammy Award.
Fa parte del Wintergreen Women Writers Collective ed è stata elencata tra le 25 “leggende viventi” di Oprah Winfrey.
Addirittura una specie di pipistrello del Sud America, il Micronycteris giovanniae, porta il suo nome.
Nata col nome di Yolande Cornelia Giovanni il 7 giugno 1943 a Knoxville, nel Tennessee, è fiera delle sue origini Appalachiane. Cresciuta a Cincinnati, si è laureata con lode in storia alla Fisk University di Nashville per poi specializzarsi all’Università della Pennsylvania e alla Columbia.
Attiva nel movimento per i diritti civili e il black power dalla fine degli anni Sessanta, i suoi primi lavori, Black Feeling, Black Talk (1967), Black Judgement (1968) e Re:Creation (1970) forniscono una prospettiva forte e militante, tanto che è stata definita la poeta della rivoluzione nera.
Dopo la nascita del suo unico figlio, nel 1969, destando scandalo perché era una madre single e comprendendo l’importanza di usare un linguaggio diverso, ha iniziato a scrivere letteratura per l’infanzia.
Le sue opere trattano temi sociali, identità, disparità di genere, relazioni umane e cultura contemporanea.
Parte integrante del Black Arts Movement, ha favorito la conoscenza della letteratura nera e contribuito a fondare la casa editrice, NikTom Ltd, per sostenere le scrittrici afroamericane.
Dopo aver superato il cancro ai polmoni, nel 2005 ha scritto l’introduzione al libro Breaking the Silence: Inspirational Stories of Black Cancer Survivors.
Gira gli Stati Uniti per tenere discorsi contro la discriminazione sessuale e la violenza motivata dall’odio razziale. Attiva in programmi di contrasto alla dispersione scolastica e alla marginalità sociale, ha sostenuto campagne per il voto alle persone in carcere. È sempre in prima linea contro ogni forma di ingiustizia sociale e dalla parte delle ultime e ultimi.
I suoi poemi sono spesso stati musicati, tanto, che, nel 2004 è stata candidata al Grammy Award nella categoria Best Spoken Word Album per il suo album The Nikki Giovanni Poetry Collection.
È stata la prima persona a ricevere il Rosa L. Parks Women of Courage Award e, nel 2010, le è stata conferita la medaglia presidenziale dalla Dillard University.
Nel 2015 è stata nominata nelle Virginia Women in History per i suoi contributi alla poesia, all’istruzione e alla società.
Nel 2022 ha pubblicato l’album, Il Vangelo secondo Nikki Giovanni.
È la protagonista di un film documentario intitolato Going to Mars: The Nikki Giovanni Project, presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2023.
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ActionAid, a Bagnoli lo sport inclusivo si gioca in strada
Come si costruisce una alternativa a esclusione e marginalità? La risposta la danno Saša, Carlo, Mattia, Hafiza, Christian, Luigi, Fatima, Praeedip, Claudia, Mario... alcuni dei ragazzi e delle ragazze che muovendosi da Fuorigrotta, Bagnoli, Pozzuoli, dal Centro storico e dal Rione Sanità raggiungono il Metro Park Stadium di Bagnoli, un campo da calcio autocostruito dai giovani del quartiere. Al Metropark, il sabato mattina, si gioca a Football3, una metodologia che prevede tre tempi e che promuove un modo diverso di fare sport, gestendo rabbia e conflitti, scoprendo cosa significa fair play, lotta alla discriminazione e rispetto di ogni diversità. È la ricetta che da oltre 3 anni ActionAid porta avanti a Napoli con Dialect, progetto europeo sviluppato in Italia, Grecia, Ungheria e Serbia e che coinvolge 450 tra ragazze e ragazzi dai 10 ai 25 anni. Cosa succede a Bagnoli con Dialect Sono sessanta tra maschi e femmine, i ragazzi nati a Napoli e in altre parti del mondo che hanno partecipato attivamente. Storie ed esperienze molti differenti tra loro. Sono napoletani, provenienti da diversi contesti sociali e familiari, con background migratori eterogenei ed età differenti. Si sono ritrovati grazie alla rete costruita da ActionAid con associazioni educative territoriali e gruppi informali in giro per la città, oltre che con l’Asd Sant’Anastasia-Peluso Academy, scuola calcio con un bacino d’utenza assai consistente nella zona vesuviana. A coordinare il torneo quattro giovani mediatori: Mattia, Bruno, Hafiza e Fatima, poco più che maggiorenni, i ragazzi italiani e le ragazze afgane. Sono loro ad accompagnare giocatori e giocatrici nella scelta delle regole del gioco, e a supportarli nel processo di riflessione sulla gara, che comprende anche l’assegnazione di punti fair play, in base ai comportamenti di ogni calciatore, al rispetto delle regole, al contributo dato al mantenimento di un’atmosfera di gioco serena, mai troppo competitiva. È qui che i mediatori hanno un ruolo fondamentale per spiegare, dare sostegno, analizzare e, se ancora necessario, ricomporre i conflitti tra i partecipanti che hanno imparato a riconoscere queste figure “ibride”, a metà tra le loro giovani adolescenze e l’età adulta. Perché i ragazzi e le ragazze coinvolte nel progetto difficilmente riconoscono negli adulti figure di cui fidarsi. Sapersi costruire un mondo digitale Con un gruppo più ristretto di ragazze e ragazzi più grandi è stato costruito un laboratorio per la comprensione sull’utilizzo degli strumenti e dei media digitali, ancora una volta per combattere i discorsi d’odio, far crescere la consapevolezza delle potenzialità e dei rischi dei social media nel riprodurre atteggiamenti e linguaggi stereotipati, sessismo, esclusione. Una alfabetizzazione digitale che ha portato a creare dei video i cui protagonisti sono gli stessi giovani del progetto. Riprese dal vivo e poi elaborazioni di script, come i due piccoli film a tema calcio con una giovanissima calciatrice e un calciatore adolescente alle prese con un ���procuratore” a caccia di talenti ma pieno di stereotipi sui due giovani sportivi. “Portare gli strumenti digitali sul campo è stato molto utile perché i ragazzi si sentivano osservati, comprendevano di poter essere al centro dell’attenzione anche nei loro comportamenti positivi, e non solo in quelli negativi come avviene di solito. È stato molto efficace, ci è sembrato che quei comportamenti positivi poi venissero assorbiti anche in assenza delle telecamere” spiega Hafiza Mahdiyar, mediatrice di DIALECT2. Foto di copertina: Actionaid Read the full article
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Una poesia intensa di Domenico Falduto sulla povertà e la forza del silenzio. L’eloquenza dei gesti vale più delle parole perdute. Scopri di più su Alessandria today.
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Rogo Venere degli Stracci, appello mons. Battaglia al giudice
“La prego di non considerare questa mia lettera come un’intromissione indebita volta a influenzare il suo giudizio poiché il mio scopo, come cittadino e vescovo, è unicamente quello di sottolineare come il giovane in questione sia anzitutto una persona in difficoltà, fortemente fragile, vissuto per diverso tempo in condizioni di marginalità sociale”. Prima delle festività pasquali…
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Accompagnare storie di marginalità sociale. Per un salto di qualità nell’organizzazione dei servizi, di Giacomo Invernizzi, in Animazione sociale n. 366, 2023
Animazione sociale n. 366, 2023. Indice della rivista – MAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità Animazione sociale n. 366, 2023. Indice della rivista
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L'odiocrazia
I primi vagiti della nuova normalità riguardavano l’inclusione sia pure limitata a marginalità gender e una sorta di guerriglia contro l’odio condotta principalmente sui social, salvo scoprire che per incitamento all’odio si intendeva qualsiasi critica allo status quo globalista. In realtà ci troviamo nella società storicamente più intollerante e più incline all’odio di cui si abbia notizia nei…

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Si è conclusa lo scorso 27 ottobre l’Assemblea Organizzativa nazionale della Fai Cisl a Roma, presso l’auditorium Seraphicum, che ha visto la partecipazione di 400 delegati, operatori e dirigenti e durante la quale la Federazione ha rilanciato i suoi obiettivi che puntano sulla centralità della persona, su più protagonismo dei lavoratori nelle imprese e su un attento radicamento del sindacato sul territorio. «Con le nostre scelte – ha affermato Onofrio Rota, Segretario Generale della Fai Cisl – stiamo organizzando una Federazione con una visione ampia, pragmatica, in sinergia con la Cisl e con tutto il sistema confederale dei servizi. Per noi vale quella che chiamiamo “sinergia militante”, una pratica concreta, quotidiana, della condivisione di valori, competenze, obiettivi, che si lega anche al mondo dell’associazionismo ispirato come noi ad un nuovo Umanesimo del Lavoro, ai principi del Manifesto di Assisi, a quella transizione ecologica che, come ha scritto Papa Francesco nella recente Laudate Deum, se ben gestita è in grado di generare innumerevoli posti di lavoro». Inoltre, tra gli obiettivi organizzativi della Fai, sono stati sottolineati nel dibattito: il rafforzamento della formazione e della politica dei quadri; della comunicazione e del proselitismo radicato nel territorio, al fine di condurre battaglie per la buona contrattazione e per la qualità del lavoro contro il caporalato e le tante sacche di marginalità e precarietà diffuse nel lavoro agroalimentare e che colpiscono soprattutto immigrati, giovani e donne. La sfida è quella di guidare il cambiamento che sta avvenendo nel mondo del lavoro e della società. Una società che, come ha spiegato il sondaggista Pagnoncelli durante la tavola rotonda conclusiva, dal titolo “Il mondo di domani: lavoro, sostenibilità, partecipazione”, il sindacato trova più povera e con maggiori timori per il futuro, soprattutto per l’economia e l’occupazione. In questo scenario di policrisi che si è venuto a creare, a causa del mix di pandemia e guerre, è significativo che il 58% del totale del campione ritiene che la propria posizione economica e sociale sia scesa o afferma di avere difficoltà o, addirittura, versa in condizione di povertà. Anche le guerre sono un motivo di allarme, soprattutto per le ripercussioni sul sistema produttivo. Per il 15% degli intervistati il covid rimane motivo di ansia. Infine, solo un italiano su due si fida ancora delle istituzioni, mentre solo 1 su 4 ha fiducia nell’azione del sindacato. Proprio per questo motivo, come ha ricordato il Segretario Generale della Cisl Luigi Sbarra durante il suo intervento conclusivo, la Federazione, assieme a tutte le categorie, sta portando avanti la raccolta di firme per una legge sulla partecipazione dei lavoratori nelle scelte aziendali, per dare piena attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Da quanto è emerso durante il dibattito, la legge sulla partecipazione indica un preciso cammino, è una condizione win to win per imprese e lavoratori, capace di accrescere il valore aggiunto. «La nostra campagna in questi mesi ci ha dato tante occasioni di incontro e dialogo nei luoghi di lavoro e nelle principali piazze d’Italia. Una spinta in più – ha dichiarato Luigi Sbarra – per portare al traguardo a dicembre la nostra proposta tutta la squadra della Fai Cisl, che ha ben individuato nella correlazione tra lavoro, sostenibilità e partecipazione, la chiave per reinterpretare la modernità del “Sindacato Nuovo” così come lo aveva concepito Giulio Pastore».
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Luis Firpo, il cui soprannome non a caso richiama al gaucho della pampa, il francesito Carlos Gardel, e l’anarchico italiano Severino Di Giovanni, sono personaggi che si muovono sul crinale di una modernità imperfetta. In questo scenario contrastante, la boxe, una volta di più, cerca di uscire da una certa marginalità sociale per elevarsi a evento di costume su scala mondiale.
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