vengomaleallospecchio
vengomaleallospecchio
vengomaleallospecchio
335 posts
Chissà, magari oggi è un venerdì felice.
Don't wanna be here? Send us removal request.
vengomaleallospecchio · 5 years ago
Text
radiofriday 01.05
buon venerdì da radiofriday, uno dei negozi che ho sotto casa è un centro della mozzarella. È molto apprezzato e spesso capita che ci sia coda. DI questi tempi la coda si sviluppa, in rigoroso rispetto del decreto, in una silenziosa fila indiana sul marciapiede. Dal balcone del mio bagno, che sta proprio sopra quel marciapiede, posso controllare quando si allunga e quando invece è un buon momento per scendere. Qualche giorno fa, guardando la coda, più per riposare l'occhio dal solito panorama casalingo che altro, mi sono accorto di alcune X segnate a mano sul marciapiede, a mò di segnaposto per le persone, a un metro abbondante di distanza l'una dall'altra. Per quanto sia una cosa piuttosto banale e stupida, credo sia una delle immagini che mi porterò dietro, di tutta questa lunga storia della quarantena. In primis perchè mi ha buttato sulle spalle un carico di sfiducia inaspettato. Sfiducia negli esseri umani, come se in questa situazione non fossimo capaci nemmeno di incamerare e rispettare una regola come "state in fila a un metro di distanza". E sfiducia anche che tutta la faccenda possa essere una questione transitoria. Non che non lo sappia, ma questo segno entrato in modo amatoriale nell'arredo urbano ha dato corpo e concretezza al concetto di persistenza che avrà nelle nostre vite la pandemia. Credo che mi abbia fatto lo stesso effetto che ti fa una cicatrice. Non che tu non lo sappia, ma quando vedi il segno realizzi pienamente. Curiosamente, dall'altra parte ci ho trovato un effetto anche comico. Lo stesso che trovo nei tappi delle birre incastonati nei marciapiedi lungo la darsena, lasciate da chissachi nell'asfalto fresco. Mi fa sorridere come questa cosa completamente inaspettata e imponderabile vada a definire in modo univoco qualcosa che altrimenti sarebbe indistinto. Per me, quei 50 metri sotto al balcone del bagno, saranno d'ora in poi "il marciapiede con le X". Che poi è quello che capita a noi tutti i giorni. Che ci affanniamo tanto a programmare le nostre mosse, ma sono poi le scelte che subiamo che finiscono per diventare chi siamo. Qualcuno più bravo di me direbbe che le cose succedono. È vero, le cose succedono. E le cose TI succedono. Succedono le X, succedono le cicatrici, quelle fuori e anche quelle che ci portiamo dentro. Figuratevi tutto il resto. Succede con le generazioni, che forse noi saremo quella della pandemia, così come ci sono stati i figli della guerra e quelli dei fiori. Succede coi lavori. Che ti capitano e che poi diventano te. Succede coi pensieri. È successo anche a questo radiofriday, che doveva parlare di altro, ma che alla fine ha parlato di questo. È tardi, giù non c'è nessuno. Oggi ha piovuto e le X si sono scolorite un po'. Non si riconoscono nemmeno più, eppure io che le ho viste lo so che ci sono. Sono là sotto. Domani è sabato e il centro riapre. Magari le ripassa, chissà. Chissà cosa succede.
SIDEWALKS OF THE CITY_LUCINDA WILLIAMS https://www.youtube.com/watch?v=ihuPM-xiCqY
2 notes · View notes
vengomaleallospecchio · 5 years ago
Text
radiofriday 13.03
Ti racconto una storia, stasera. È una storia vera, sai? Ti sembrerà assurda ora, lo so. Uno di quei film che passavano alla tv in seconda serata. Di quelli con un copione talmente abusato da non essere nemmeno più una trama, solo un luogo comune. 
Eppure è successo.  Un bel po’ di tempo fa, ma è successo. Io c’ero. E c’eri anche tu. Eri piccolo. Piccolo così, ma c’eri anche tu. Era il periodo in cui avevi deciso che volevi tirarti su in piedi, pur non essendo nemmeno capace di gattonare.  Che ci vuoi fare, sei sempre stato impaziente, come tua madre. 
È la storia della quarantena. Non guardarmi così, adesso ti sembra una parola difficile. E lo è, sai? Ma in quel periodo la conoscevano tutti. L’abbiamo dovuta insegnare ai bambini. Non a te, ma a quelli un po’ più grandi sì. Puoi chiederlo a chiunque, tra i grandi. E tutti ti sapranno dire dove si trovavano. E cosa hanno fatto. E con chi sono stati. Ci sono pochi, pochissimi eventi che hanno questo oscuro privilegio, nella storia. L’11 settembre. Le finali dei mondiali. Non me ne vengono altre in mente. Abbiamo avuto paura. All’inizio è cominciato tutto, non so, come un gioco. Un gioco di cattivo gusto. Prima era un paesino, poi una regione, poi una nazione, poi tutto. Sono arrivate le persone che scappavano e le prigioni in rivolta. E sembrava tutto così surreale che facevi fatica a realizzare. A crederci, che fosse vero. Perché per capire. Per realizzare, ti servono delle altre persone intorno, con cui discutere, con cui parlare. Invece noi dovevamo stare a casa, isolati. Erano le persone il pericolo. Loro per te. Tu per loro.
Funzionava così, che dovevi stare lontano. E così la cortesia in quel periodo era fatto di distanze e di sorrisi di imbarazzo. Quasi a dire: “lo sai, fosse per me…ma dobbiamo stare lontani”. La paura ci ha accumunato tutti. Poveri, ricchi, famosi e signor nessuno. Gialli, bianchi, neri, giovani e vecchi. Calciatori e nonnine. Le città erano così vuote. Le sere così silenziose.  E so cosa stai pensando, che certi giorni quasi quasi… Lo pensavo anche io, sai? Ma fidati che non è così. Sono arrivate le restrizioni: gli aeroporti, gli uffici, i negozi, i parchi. C’era gente che faceva la fila fuori dai supermercati. Davvero. Tutti in fila, a un metro di distanza. Non potevamo sfiorarci, vederci, nemmeno in famiglia, nemmeno tra amici di sempre. Ecco perché adesso ad ogni occasione ci vedi abbracciarci un secondo più del necessario. Darci una pacca sulla spalla di troppo. Voler rimanere dieci minuti oltre il previsto.
Noi ci ricordiamo come ci si sente a non poter stringere la mano degli altri. È una cosa che quando la sperimenti poi ti rimane dentro, nei nervi. Che i muscoli hanno una memoria migliore della testa.
Quelle cose ti fanno fare click. E tutto cambia. Ci sono delle cose che ti fanno diventare adulto, tutto d’un colpo. Una volta era il militare, la leva obbligatoria. Oggi è qualcosa di più duro. La morte di un parente stretto, per esempio. La fine di un grande amore, non so. Un’emozione che segna un prima e un dopo, che metaforicamente ti spintona dall’anticamera dell’adolescenza e ti scaraventa nel salone della consapevolezza.
Ecco, per noi. Per tutti noi. Quello è stato come diventare adulti.  Di colpo, come comunità, non come individui singoli. Svegliarsi e dire: ok, può capitare anche a me, E diventare adulti non significa altro che prendere consapevolezza di una e una sola cosa: che non siamo eterni. Siamo effimeri, temporanei. Siamo piccoli.
Ed è così che ci siamo sentiti. Indifesi, piccoli. Soprattutto perché l’abbiamo dovuto fare a casa nostra, dove ci sentivamo al sicuro e in controllo.  Ci siamo sentiti fragili. Perché traiamo la nostra forza dalle persone che ci stanno intorno.  Divide et impera, recitava un vecchio proverbio d’epoca romana. Ecco, eravamo divisi. E deboli. È stata lunga. Non mi ricordo nemmeno più quanto. Ma tra i vari modi in cui ci siamo sentiti, non ci siamo mai sentiti soli. C’era una frase. Nel nostro quartiere era scritta sulle vetrine, su post-it appiccicati alle vetrine. A pennarello lo scrivevano persino sui cartoni della pizza che i delivery ti portavano rimanendoti a debita distanza. “Andrà tutto bene”. Se stiamo insieme, andrà tutto bene. È così. che ce l’abbiamo fatta. Con delle scritte sui cartoni delle pizze. Non so perché ti racconto questa storia: forse è per scusarmi del fatto che ti abbraccio troppo spesso. Mi andava di dirtelo, ora che sono tutti a dormire. Dammi un ultimo abbraccio, che è tardi. Poi fila a nanna, andrà tutto bene. Vedrai.
BELOVED ONE_BEN HARPER AND THE INNOCENT CRIMINALS youtube.com/watch?v=nr57MbB9FtA
1 note · View note
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 06.12
Buon venerdì da radiofriday, non avendo tanto tempo, ho pensato a una nuova modalità per scrivere. Mi metto davanti al computer, punto il timer del telefono sui 15 minuti. E scrivo. Scrivo senza rileggere. Benissimo, non essendomi preparato nulla, credo che mi lancerò in un soliloquio di joyciana memoria sulla banale, banalissima cosa su cui mi ritrovo a riflettere di questi tempi, ovvero l’essere padre. Lo so, sono monotematico, ma non fatemene una colpa. Essendo un flusso di coscienza incontrollato, probabilmente saranno una serie di pensieri alla rinfusa. E di questo chiedo perdono in partenza. Se non ci sarà una struttura parabolica o circolare. Scuse presentate, possiamo passare oltre. Non si può iniziare nessun discorso sulla genitorialità senza ribadire come il bene che uno prova per quella nuova creatura che si è affacciata nella tua vita sia davvero immenso, a tratti sorprendente. Se state già alzando gli occhi al cielo, urtati dal pensiero dell’ennesimo pezzo di romanticismo parentale, vi prego di aspettare. Perché la verità è che questo amore nuovo, incontrollato e incontrollabile, è anche una disposizione d’animo capace di farti sentire molto solo. Sì, è così. Ti fa sentire solo. So che è ossimorico, ma come tutte le cose più grandi della vita, nasconde un paradosso irrisolvibile e non descrivibile a parole. Ti fa sentire solo perché tutto quello che prima era tuo, ora non lo è più. Il tuo telefono non è più tuo. E lo capisci perchè la galleria foto è monopolizzata da pupi in plaid e carrozzine. Che non vedi l’ora di mostrare a tutti. Il tuo letto non è più tuo. E le tue notti di conseguenza, che passi per buona parte su quello che è diventato il tuo nuovo migliore amico: il divano mattutino. La tua compagna non è più tua. È sua, e al massimo te la concede in prestito per qualche mezz’ora sparsa. Nemmeno i tuoi - che si chiamano così perché sono tuoi - sono più tuoi. Ma il punto di tutta la faccenda, è che tu su tutto questo sei pienamente d’accordo. Perché nemmeno tu sei più tuo interamente. Per la prima volta nella tua vita smetti di essere l’epicentro del tuo mondo, il sole intorno al quale ruota tutto l’universo. Prendi coscienza di essere semplicemente una persona, come tutte le altre. Ed è una cosa nuova, perché non ti sei mai guardato così. In modo così onesto e crudele. È una cosa nuova perché non conoscevi amore capace di farti sentire così. Che non raccontatevi palle che l’amore è pensare prima alle altre persone: l’amore è la cosa più egoista che esista sulla Terra. Quando ami una persona la fai stare bene perché questo fa stare bene te. Invece qui no. Vuoi solo che stia bene lui. Non te. È una cosa nuova perché smette di farti sentire speciale. È un destro in pieno volto a quell’ego che hai pazientemente cullato per tutta la vita, arrivando a convincerti di essere una persona insostituibile. Bene, non lo sei. Ed è immediato. È un interruttore che click. Ed è tutto cambiato. O almeno, per me è stato così. Sin dal suo arrivo scomposto nel mondo. Come svegliarsi. Mi ricorda la scena finale di Rockstar, un film che ho visto tanto tempo fa. In cui il frontman di una band rock si accorge che nel pubblico c’è un ragazzo più giovane, più bravo a cantare e con una voce di gran lunga migliore. E semplicemente gli cede il posto. Scende dal palco e se ne va. Ecco, per quanto il riferimento cinematografico non renda giustizia, credo che più o meno la sensazione sia quella: il desiderio di andare tra il pubblico e mettersi ad ascoltare. Sono a 13 minuti, quindi devo andare alla conclusione. Per quanto questo non sia stato un ragionamento lineare, c’è una cosa che voglio dire e che non ho ancora detto. Mi piacerebbe poter dire che questa cosa l’ho scritta per me. Per voi. Per nessuno. Ma la verità è che ci ho messo così tanto a scriverla perché volevo scrivere qualcosa per lui. E solo scrivendo sono riuscito a mettere a fuoco l’unica cosa che vorrei che leggesse. Che qualunque cosa succeda, non sarà mai solo. Ecco, adesso, se volete alzare gli occhi al cielo per il penoso romanticismo parentale. Ora vi è concesso farlo.
YOUNG AND ABLE_CURRENT SWELL https://www.youtube.com/watch?v=_5AtkOF8wTQ
1 note · View note
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 25.10
buon venerdì da radiofriday, è tantissimo che non scrivo. forse il tempo più lungo di sempre. ma ci sono. non sono andato via. di solito quando non scrivo per un po’ è sempre per mancanza di qualcosa. troppo poco tempo, niente di cui valga la pena parlare, assenza di voglia. in questo caso invece è l’esatto contrario. avrei un sacco di cose di cui parlare. e raramente ho pensato tanto come in questo periodo. un sacco di emozioni e di pensieri. un sacco. forse è questo. è essere troppo pieno che lo rende un po’ più difficile. come quando hai troppe cose in testa e non riesci a concentrarti su nessuna di queste. come quei serpenti giganti che ingoiano le loro prede intere e poi stanno fermi, immobili, per qualche giorno.  ho solo bisogno di digerire.
SNAKE SONG_ISOBEL CAMPBELL & MARK LANEGAN https://www.youtube.com/watch?v=pHQUfgq1seM
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 13.09
buon venerdì da radiofriday,
è passato un po’ dall’ultima volta che ho scritto.
Da quando è nato Tommaso.
Sono quasi due mesi, e quando l’ho realizzato ho pensato: “come? già due mesi?”. E contemporaneamente: “ah, dai pensavo di più”.
Non so se esiste una parola per descrivere questo paradosso, ovvero la sensazione simultanea che sia passato tantissimo tempo e nel contempo che ne sia passato pochissimo, in un lampo.
Probabilmente in qualche lingua c’è un termine apposito.
Punterei sul Giappone. Quelli hanno una parola per descrivere la luce che passa tra le foglie degli alberi, quindi voglio dire. Ci starebbe.
Comunque.
Ultimamente mi capita più di frequente, forse per i ricordi di Facebook.
Vedi una foto e dici: “madonna sembra una vita fa.”. E poi “ah, beh però sono solo 5 anni. ma ero così solo cinque anni fa?”
Non so, è difficile da spiegare.
È una specie di corto circuito nella cognizione del tempo, come quando ti dicono un peso in libbre o in miglia.
E c’è sempre quel momento in più in cui fai mente locale per decidere se è poco o tanto perché la conversione a memoria non ti riuscirà mai.
Tipo quando pensi che il mondiale l’abbiamo vinto nel 2006.
Ok, è un dato.
Ma se ti dicono tredici anni fa, ti sembra l’altra notte e nel contempo un’altra vita.
Ecco, se devo dire una cosa che mi ha insegnato finora, è che loro, i neonati intendo, ti portano in una diversa cognizione del tempo.
Penso: “dio, ha già due mesi” e in coro la mia testa fa “come solo due mesi? mi sembra qui da sempre”.
Credo che sia una cosa che i genitori si portano dietro tutta la vita.
Questa compresenza di “mi sembra ieri” e “mi sembra una vita fa”.
Forse perché il tempo te lo stravolgono loro in prima persona.
Perché ci mettono ore ad addormentarsi, e in un secondo fanno il loro primo sorriso. E basta, è passato. Andato.
Perché assomigliano alla notte di San Lorenzo, quella delle stelle cadenti. In cui ti piazzavi sulla spiaggia a guardare il cielo nero e per due, tre ore aspettavi il niente. E poi in un minuto ne vedevi due, tre, cinque, dieci.
E alla fine, al mattino, tra mille sbadigli e occhi stropicciati, non riuscivi più a decidere se quella notte era stata lunghissima, o se era durata un attimo.
HEY CHILD_X AMBASSADORS
https://www.youtube.com/watch?v=jFpxB6vqzgs
1 note · View note
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 24.07
Anche se è mercoledì, per me oggi è il miglior venerdì di sempre.
È nato Tommaso. E io sono felice.
CAN YOU FEEL THE LOVE TONIGHT_ELTON JOHN
https://youtu.be/KjgWWjkNbhU
1 note · View note
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 05.07
buon venerdì da radiofriday, mi piacerebbe fare una bella cena. Con il me stesso di 5 anni fa e il me stesso di 10 anni fa. L’ultimo porterebbe il vino e arriverebbe in ritardo, sicuramente. Non di molto, quel tanto che basta per farmi incazzare. Non mi avviserebbe, perché non avrebbe whatsapp sul telefono. E ovviamente non avrebbe credito per chiamarmi. Arriverebbe da fuori Milano e userebbe quello come alibi, anche se so benissimo che la verità sarebbe che prima è passato da un’altra parte ed è stato troppo ottimista sui tempi.
La cena sarebbe a Milano. Perché il me di mezzo non avrebbe sbatti di prendere la macchina o i mezzi. Il BikeMi sarebbe l’unica opzione valida da prendere in considerazione. Lui mi prenderebbe per il culo, per la barba imbiancata. Starebbe attento a non mangiare troppo, perché l’indomani avrebbe la partita. E io lo sfotterei dicendo: “finiscila mì, ma dove vuoi andare?”.
Sarebbe una bella cena, penso. Con poco cibo e con molte chiacchiere. Probabilmente bisognerebbe fare a gara a prendere parola. Parleremmo di quelle cose di cui si parla tra maschi. Parleremmo del Milan. E lì starei a sentire il più giovane cos’ha da dire. Parleremmo di donne. E lì starei a sentire cos’ha da dire il mediano. Tutt’e tre parleremmo di lavoro. E a quel punto porterei i digestivi a tavola.
Penso sarebbe un misto tra una riunione dell’università e un Santo Stefano tra amici. Quello di mezzo mi sgriderebbe perché non sono più puntuale nello scrivere, tutti i venerdì. Mi farebbe un pippone che mamma mia che pesantezza, mamma mia. Gli direi che ha ragione, ma che sono stato un po’ impegnato a cucinare. Ad aspettare. Che non ho avuto la testa. Il più piccolo chiederebbe lumi, cercando disperatamente di attaccarsi al wi-fi di casa. Gli spiegheremmo, lui direbbe “bell’idea”, con quel tono che avrebbe su tutto, come se tutto fosse una grande idea. Gli chiederei se non vuole rimanere a dormire. Lui direbbe di sì. E poi direbbe che no, meglio di no. Preferisce tornare a casa.
Il tempo volerebbe a furia di parlare. Si farebbe tardi in un amen. Poi ci saluteremmo. Ci daremmo dei grandi abbracci. Come faccio da sempre. Ci diremmo nuovamente “ti trovo bene” e “fa’l bravo”. Direi “grazie di tutto ragazzi”. “Vediamoci, non facciamo passare gli anni, ok?” Chiuderei la porta e mi metterei a sparecchiare. E penserei  -Bel lavoro. È stata proprio una bella serata.-
TRIO LESCANO_TULIPAN https://www.youtube.com/watch?v=1YktS9LsGAA
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 21.06
buon venerdì da radiofriday, jamais vu. è il contrario di déjà vu. In pratica succede quando non riconosci posti, persone o situazioni che hai già vissuto in passato. ogni volta è come se fosse la prima, nonostante sia la seconda. la decima. la centesima. c'è da perderci la testa. a volte penso sarebbe bello. ritornare indietro a rivivere tutte le nostre prime volte. il primo incontro con un amico. il primo giro in una città. la prima visione del nostro film preferito. che bello sarebbe vederlo ogni volta per la prima volta. senza sapere il finale. il primo giorno d'estate. ogni volta primo, ogni volta nuovo. Forse ci toglierebbe quell'ansia connaturata alla consapevolezza, un pochino amara, di poter vivere una prima volta una sola volta. sarebbe bello, o forse no. penso sia meglio avere una seconda volta, una terza. penso sia bello fare l'abitudine a qualcosa e provarci gusto comunque. penso che a volte sia giusto avere un termine di paragone e poter dire: certo, la prima volta non si scorda mai. Altrimenti si comincia sempre daccapo. Come in quelle ninne nanna senza fine. Jamais vu. è il contrario di déjà vu. In pratica succede quando non riconosci posti, persone o situazioni che hai già vissuto in passato. ogni volta è come se fosse la prima, nonostante sia la seconda. la decima. la centesima. c'è da perderci la testa.
FIRST TIME_MACY GRAY https://www.youtube.com/watch?v=taeKFDch2Yo
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 24.05
buon venerdì da radiofriday, avevo promesso a me stesso che non ne avrei parlato anch'io. E invece eccomi qui. A parlare del Trono di Spade. Avevo promesso, ma è tutta la settimana che, a intermittenza, penso a come mi sono sentito. Non per il finale. O per la qualità della stagione. O per quantosonostatigeni versus lascrivevameglioilmioferramentaconventieuro. La cosa strana è che per tutta la settimana ho pensato solo a una cosa. Ai capitoli che si chiudono. La sensazione è stata viva e pungente nel momento della sigla: qualunque cosa succeda, ho pensato, è l'ultima volta che la ascolto senza sapere cosa sto per vedere. Credo che sia questo il suo più grande successo. Almeno per me. Aver rappresentato un pezzo di vita. Come una macchina. Un amore giovanile. Il liceo. I Queen sulle musicassette di papà. Negli anni scorsi, mentre una parte di me gioiva per il successo planetario che andava via via affermandosi, un'altra parte rosicava in un angolo. Addolorata dal fatto che una cosa che la appassionava così tanto fosse diventata merce di dibattito dell'intero globo terracqueo. Questa volta non è andata così. Mi sono goduto la porta che si chiudeva. Ho avuto la stessa sensazione che si prova al dichiarato ultimo concerto della tua band preferita. Quel misto di gratitudine, intimità, rabbia. In cui apprezzi le canzoni, quasi più per l'eco di ricordi che generano dentro di te che non per le note e gli accordi Quel misto di sensazioni che si provano a quello che sai essere un addio. Probabilmente succederà lo stesso anche con San Siro, se davvero decideranno di buttarlo giù. So che già che l'ultima partita il risultato mi interesserà relativamente. Guarderò lo stadio da lontano. Da Sud a Nord. Poi salirò le pedane con passo lento, con la maglia arrotolata alla cintura. Canticchiando nella testa. Un inno invece che una sigla. Invece che una canzone. Pensando: che brutto che deve finire. Pensando: che bello esserci stato.
GOODBYE_CAGE THE ELEPHANT https://www.youtube.com/watch?v=2RkRjDvrmzo
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 03.05
buon venerdì da radiofriday, “Sono diventato un musicista a sedici anni. Sapete, a sedici anni facevo cose stupide, cose sbagliate. Tutti i sedicenni le fanno, lo so. Ma le mie erano un po’ più stupide e sbagliate di quelle degli altri.
Quindi venne mio padre, insieme a mio zio. Mi dissero di andare a lavorare con loro, alla stazione di rifornimento. Dissero che il lavoro ti tiene occupato e che ti tiene lontano da quelle cose stupide.
Poi vennero i miei insegnanti. Di parole ne dissero tante. Sul potenziale. Sul non sprecare la propria vita. Sulla felicità. Sul futuro.
Poi fu il turno di mio nonno. Lui mi portò un depliant dell’esercito. E disse che con lui aveva funzionato.  Disse che era così che, da ragazzino, si era trasformato in un uomo.  Disse che era come me, prima. Ma poi la marina l’aveva aggiustato. <Vai>, disse.
Poi, poi arrivò mia mamma. Mi diede una chitarra che era andata a comprare per me giù in paese. Entrò in stanza, me la diede. E non mi disse niente.”
NOBODY KNOWS MY TROUBLE_RYAN BINGHAM https://www.youtube.com/watch?v=3bqRn0OmaHs
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 19.04
buon venerdì da radiofriday, C’è un modo buffo di indovinare la personalità di qualcuno. Guardare cosa porta sottobraccio. È una cosa che noi maschi facciamo dai tempi delle elementari, al parco. Arrivare col pallone sottobraccio era una dichiarazione. Il pallone è mio, decido io.
È bello farlo passeggiando per il mercato, il sabato mattina. È bello perché sottobraccio puoi portare un po’ di tutto. 
Sottobraccio un quotidiano, La Repubblica o Il Giornale, a seconda di quello che vuoi vedere e far vedere agli altri. Sei uno cui piace il rumore della carta vecchia. Che prende il caffè seduto, con la tazzina impaginata in alto a destra rispetto alle pagine del giornale. Guardi la tv, guardi anche il tiggì, ma soprattutto per pensare che le notizie le conoscevi già dalla mattina.
Sottobraccio una baguette, uscita dalla casa del pane.Mangi tutti insieme, almeno il sabato e la domenica. E il pane non lo mangi mai. Hai il terzo cassetto del freezer pieno di filoncini surgelati, tanto che ci camperesti un mese. Ma è un rito. Non lo mangi, ma è bello averlo lì, sulla tavola.  È la prova che oggi hai potuto prenderti del tempo.
Sottobraccio la propria mamma, oramai un po’ vecchietta. Devi fare la spesa. E ci metteresti due ore in meno se ci andassi da sola. Ma a mamma piace vedere le mutande impacchettate in confezione da tre. I fazzoletti tempo in formato famiglia. Le piace prendere il pollo allo spiedo come fanno da sempre, da quando era lei a comprarlo concedendo la porzione maxi di patatine. Le piace persino fare la fila. Perché così può stare più tempo con sua figlia e intanto vedere un po’ di gente,
Sottobraccio un regalo, impacchettato con la carta marroncina. Mi piace pensare che sia un regalo fuori stagione, senza motivo. Che ti fa sorridere perché immagini la faccia stupita di chi lo scarta e non ne capisce il perché.Uno di quei regali che fanno stare quasi più bene chi li fa, piuttosto che chi lo riceve. Il regalo che fa fare: “Questo cos’è?” “Un regalo” “Perché?” “Così, mica deve esserci un perché” “Ok, allora grazie.” “E di che, l’ho visto lì. Ho pensato a te. Non avevo nemmeno una borsa. Me lo sono portato sottobraccio"
SLOW GIRL_AUDIODUB https://www.youtube.com/watch?v=clwUfvnHNZk
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 05.04
buon venerdì da radiofriday, a tavola sono sempre stato un po' pigro. Sia nel cucinare che nel mangiare, devo dire.
Ammettete però che molte delle grandi invenzioni che ci hanno migliorato la vita sono da imputare alla pigrizia.
Pensate al telecomando. Se non ci fosse stato un tizio maledettamente pigro che non aveva voglia di alzarsi a cambiare canale ogni volta, oggi fare zapping sarebbe da considerare un'attività cardio.
Comunque ho divagato, non era il punto della questione.
Tornando a noi, essendo pigro, nella mia personale griglia di valutazione di un alimento non includo solo il "è buono" o il "fa bene", ma anche una sorta di indicatore che misura il costo-beneficio tra le prime due cose e l'effort necessario per mangiare l'alimento stesso.
Lo chiamo "indice di sbattimento".
Per capirci, vi faccio degli esempi con la frutta. Le ciliegie per me hanno un indice di sbattimento molto alto. Poca polpa per ogni singolo frutto, semini da sputare. Non mi fanno impazzire. Quindi non ne vale la pena. L'albicocca ha un indice bassissimo. La lavi (se ne hai voglia) la dividi in due senza bisogno di coltello, la mangi senza sporcarti. Ti sazia. L'anguria ha un indice di sbattimento discendente: grande sbatti all'inizio per il trasporto, il fatto che devi liberare mezzo frigo per tenerla al fresco, la devi tagliare col machete. Poi però fetta grande, gustosa, la mangi senza problemi, con le mani. Certo, questo perchè io mangio i semini. Altrimenti l'indice schizza alle stelle. Banana indice basso, uva indice altissimo. Pera indice alto: va pelata. Pesca da pelare: indice altissimo. Noce pesca: bassissimo perchè la puoi mangiare con la buccia. Arancia alto, mandarino basso. Alcuni frutti sono buoni, magari fanno anche un po' bene, ma non ne valgono la pena.
Ecco ora, se avete capito il concetto, togliete la frutta. Metteteci le persone. È lo stesso.
FRUITS OF MY LABOR_LUCINDA WILLIAMS
https://www.youtube.com/watch?v=L8wfdjTgIQk
0 notes
vengomaleallospecchio · 6 years ago
Text
radiofriday 08.03
buon venerdì da radiofrifay, essere felici è una situazione complicata. bella, intendiamoci. però è un po' difficile. è che abbiamo questa tendenza a cercare di non celebrarlo con gli altri al 100%, perchè va bene essere felici, ma non è mica tanto giusto farlo pesare agli altri. allora succede che se sei felice per merito - non so, per aver finalmente raggiunto un traguardo difficile che inseguivi da tempo per esempio - buona norma vuole che tu non stia a sottolineare quanto sei stato bravo. "È stata dura, ma sono contento dai. Certo, ho avuto anche fortuna eh." mica che gli altri possano pensare che dicendo quanto sei stato in gamba tu stia sottilmente insinuando che tu in effetti un po' più bravo di loro, dai, lo sei stato. anzi lo sei sempre stato. diciamolo. ah, e a proposito di fortuna, se sei felice a causa di una sana botta di culo che ti è capitata tra capo e collo, allora ancora di più a mettere condizionali e distinguo. che in questo caso non hai manco fatto nulla e non vorrai mica che gli altri diventino invidiosi. che sempre a te e agli altri mai.
purtroppo funziona così. la felicità è come l'erba del vicino. per quanto tu possa sforzarti, non riuscirai mai a non dare una fugace occhiata al tuo prato per fare un breve confronto di tonalità di verde.
proprio per questo, quando ti capita di essere felice per qualcun altro, non so, è bellissimo. è bellissimo. è bellissimo, e liberatorio. non devi fare nessun distinguo. nessuna postilla in calce. non devi stare attento a cosa come perchè. non devi pensare a nient'altro se non al fatto che sei felice per lui, per lei, o per loro. puoi pensare che se lo sono meritati, che sono stati bravi. anzi che dai -magari in questa cosa- ammettiamolo, sono stati più bravi di tutti. o che sì, hanno avuto fortuna, ma meno male. che tanto non è che l'hanno tolta a qualcun altro. è una felicità più leggera. perchè è senza responsabilità. e quando mi capita, mi chiedo perchè non ci proviamo tutti i giorni. perchè non andiamo in giro a cercarla. perchè invece facciamo il contrario, sempre in gara. non so, forse questo venerdì la faccio troppo facile. ma essere felici per gli altri ci farebbe stare bene. così bene che saremmo i più bravi di tutti. 
FREE FALLIN'_JOHN MAYER https://www.youtube.com/watch?v=20Ov0cDPZy8
0 notes
vengomaleallospecchio · 7 years ago
Text
radiofriday 22.02
buon venerdì da radiofriday, molte volte ho pensato che le persone usino le stesse espressioni per descrivere alcuni momenti specifici. Sapete no? Quelle frasi un po’ abusate, trite e ritrite, fatte e poi svuotate. Ho capito invece che le persone usano quelle espressioni semplicemente perché sono le più giuste. Ne esistono altre, magari meno banali certo, ma che non sono così perfette e così adatte. Ecco perché le persone le usano. Non perché non sanno trovare altre parole.  Ma perché vogliono dire proprio quelle lì.
THINGS HAPPEN_DAWES https://www.youtube.com/watch?v=PNpSpMMfQis
0 notes
vengomaleallospecchio · 7 years ago
Text
radiofriday 01.02
buon venerdì da radiofriday,
quando ero piccolo facevo questa cosa stupida.
mi auto-sfidavo a fare delle prove, di solito cose fisiche tipo la corsa o robe così, pensando scaramanticamente che se fossi riuscito sarebbe capitato un determinato fatto. 
O peggio se non ce l’avessi fatta sarebbe successo qualcosa di brutto.
Vi faccio un esempio: al mare mettevo la testa sott’acqua e dicevo che dovevo resistere più di tot, altrimenti qualcosa sarebbe andata storta. qualcuno sarebbe stato male.
Oppure andavo un po’ al largo e con lo stessa dinamica mi dicevo: “ora torna a riva sott’acqua. senza mai prendere fiato”.
Ero cattivo con me stesso a volte, davvero. perchè più era difficile, più la posta era alta.
Mi ricordo che una volta sono riemerso a riva con i polmoni che mi bruciavano tutti in mezzo al petto. Gli ultimi tre metri li feci spingendo dal fondo con i piedi, con la schiena emersa ma con la testa ancora sotto.
Mamma mia non ce la facevo più. Ma ho resistito.
Non so perché facessi così. Era una cosa così, tipo la superstizione.
Che è quella roba che sai che non è vera, ma a cui credi lo stesso.
Anni dopo ho letto che la superstizione è una sorta di processo di razionalizzazione mentale, che ci permette di concentrarci su cose che possiamo governare di fronte all’immensità delle variabili della vita che sfuggono al nostro controllo.
Forse è così. Io semplicemente forse so che non è vero, ma ci credo lo stesso.
Quindi nelle ultime settimane non ho scritto. 
Oggi invece sì.
Gli ultimi tre metri li ho fatti spingendo dal fondo con i piedi. Con la testa ancora sotto.
Non ce la facevo più, ma ho resistito.
E l’aria ha un sapore buonissimo.
HEAD UNDERWATER_WJM
https://www.youtube.com/watch?v=wv5E66Zy8e0
0 notes
vengomaleallospecchio · 7 years ago
Text
radiofriday 11.01
buon venerdì da radiofriday, ho provato a scrivere questo radiofriday su un pezzo di carta. Con la penna Bic blu su un foglio a quadrettoni. Ci ho fatto caso, che era come se non mi ricordassi più bene come si fa. E arrivato a metà mi ha cominciato a far male la mano. Ci ho voluto provare, anche se già lo sapevo che andava a finire così. Lo so che è una cosa da nulla. Ma non trovi che sia incredibile come siamo capaci di abituarci a tutto? Con una velocità impressionante, spesso. E come con la stessa velocità ci disabituiamo. Ci dimentichiamo. Alle medie scrivevamo tutti interi fogli protocollo fitti fitti di parole. Senza problemi. È una cosa che abbiamo nei muscoli, forse. Nei nervi. Da qualche parte, due dita sotto la pelle. Non so dove. Tipo il memory foam dei materassi del centro del Mobile. Pensa alle cose pazzesche cui ti eri abituato in vita tua e che adesso non ricordi nemmeno più. Addormentarti alle 2. Svegliarti alle 6. Masticare sempre la cicca. Correre per prendere il treno. Quel destinatario delle mail. Sapere la sequenza delle canzoni in una compilation. Ecco vedi, quella è un’altra cosa. Quella specie di sesto senso che collegava le tracce una con l’altra. Era una cosa che avevamo nelle orecchie, forse. Funziona anche con le persone mi sa. Pensa alle abitudini che hai ora, che magari se te le fossi raccontate qualche tempo fa avresti detto: “ma va, ma come si fa?”. E invece. Invece è così. Ed è uno dei motivi per cui siamo meravigliosi. Perché tutto può diventare normale. tutto ci può entrare nella pelle. E poi svanire pian piano. ci  pensi? ci sono abitudini che ancora non conosci. Che ti aspettano lì, dietro l’angolo. cose che adesso ti sembrano follie. Eppure, ti faranno dire, fra qualche tempo: “ma sì, ma sì. si fa. ci sono abituato.”
BY MY SIDE_SEBASTIAN BACH https://www.youtube.com/watch?v=3j7BwcWlPKY
1 note · View note
vengomaleallospecchio · 7 years ago
Text
radiofriday 28.12
Buon venerdì da radiofriday, ultimo venerdì dell’anno e rieccoci qua, a fare i conti con quella cosa di fare i bilanci e fare i pronostici. Dicembre è quel periodo dell’anno in cui più devi avere la risposta pronta alla domanda “cosa vuoi?”Cosa vuoi come regalo? Cosa vuoi da mangiare? Cosa vuoi dal nuovo anno? Cosa vuoi lasciarti alle spalle e cosa invece portarti dietro. Bestnine, year in review. Bilanci e previsioni, per forza. Questi sono giorni in cui fare le pagelle e i buoni propositi. In cui porre gli obiettivi per i prossimi dodici mesi. Per essere preparati. Per puntare dritti alla meta. Gli oroscopi rappresentano bene il nostro modo di approcciarci al futuro in questo momento dell’anno. Quando c’è una fine, abbiamo bisogno di chiarire bene quale sarà il nuovo inizio. Con le stelle a benedirci e ad allinearsi per la nostra benevolenza. Oggi ho ascoltato una bellissima storia, ispirata dal comportamento dell'acqua. Che non sa dove andare, eppure va. Che non ha vergogna di prendere forme sempre diverse: di un piccolo vaso di fiori come di un grande acquario squadrato. Non è un dramma non sapere cosa ci aspetterà il futuro. Non è una vergogna non aver chiaro lo scenario. Non sapere dove andare. Abbiamo un anno intero per scoprirlo. Intanto, andiamo.
DEEP WATER_AMERICAN AUTHORS https://www.youtube.com/watch?v=EYo6iAQ2pqk
0 notes