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Il Polpo Paul
«OBERHAUSEN - È morto nella notte il polpo Paul, la piovra di Oberhausen divenuta una star planetaria durante i mondiali di calcio 2010 in Sudafrica. Lo ha reso noto l'acquario Sea Life che ospitava l'animale.»  [La Repubblica, ottobre 2010]
 Secondo la versione ufficiale, l'uovo da cui nacque Paul si schiuse presso il Sea Life Center di Weymouth, in Inghilterra, nel gennaio 2008, per poi essere trasferito in Germania presso l'attuale parco acquatico di Oberhausen. Tuttavia, secondo un articolo pubblicato dal Corriere della Sera (che cita un'intervista di Verena Bartsch, istruttrice di Paul, al tedesco Bild am Sonntag pubblicata l'11 luglio 2010), il polpo sarebbe stato dato a lei dopo esser stato pescato da Yuri Tiberto nelle acque dell'Isola d'Elba, in Italia. Proprio per questo motivo il 21 settembre 2010, tramite la sua addestratrice, gli è stato conferito un autentico certificato di nascita a dimostrazione delle sue origini italiane e del fatto che la vera età al momento del conferimento del certificato era di sei mesi di vita.
Il suo nome deriva dal titolo di un racconto per bambini scritto dall'autore tedesco Boy Lornsen: Der Tintenfisch Paul Oktopus. La sua carriera di "oracolo" ha avuto inizio nel corso del campionato europeo di calcio del 2008. Ma la fama mondiale dell'animale è giunta in occasione del Mondiale sudafricano del 2010 in cui ha indovinato l'esito di tutte le sette partite della nazionale tedesca. Infatti ha predetto le vittorie dei tedeschi contro Australia, Ghana, Inghilterra, Argentina e Uruguay, così come le sue sconfitte contro Serbia e Spagna. Per la prima volta è stato chiesto a Paul anche l'esito di una partita che non riguarda la nazionale tedesca, ovvero la finale del mondiale tra Paesi Bassi e Spagna: Paul si è espresso per la Spagna e anche in quest'ultimo caso ha avuto ragione, indovinando l'ottavo risultato su otto nel mondiale. Le previsioni del polpo si sono rivelate corrette al 100% per i mondiali del 2010. Le previsioni esatte del polpo Paul dei campionati europei (4/6) erano state del 67%. [Wikipedia]
È deceduto per cause naturali la notte del 26 ottobre 2010, all'acquario di Oberhausen dov'era custodito. Paul venne cremato, e l'urna con le ceneri esposta al pubblico dell'acquario.
A meno di 24 ore dalla sua morte, il 27 ottobre 2010, il Comune di Campo nell'Elba, località in cui il polpo Paul è stato pescato, ha deciso di intitolargli un sentiero panoramico.
 «Il Polpo Paul pescato all'Isola d'Elba e vissuto nell'acquario di Hoberhausen, diventato una celebrità per aver indovinato otto risultati dei Mondiali di calcio del 2010 sarà il protagonista di un libro: 'Parola di Paul' scritto dal famoso giornalista e scrittore Luciano Minerva. Il libro ripercorre la vita del polpo divenuto una star e promette di diventare un best seller grazie alla popolarità planetaria che ha conquistato la piovra elbana-tedesca. Minerva, l'autore del libro, spiega a cosa è dovuto tutto questo successo planetario: "L'octopus è sempre stato una figura potente per l'immaginario. Da 150 anni la Piovra, un'invenzione letteraria di Victor Hugo, è la metafora universale del potere subdolo e invincibile; Paul, da prigioniero in una vasca d'acquario, ha riscattato l'immagine della specie. Grazie a lui il polpo si presenta come un animale sempre misterioso, ma simpatico, innocuo e capace di vedere piu' lontano di noi".» [Turismo Elba]
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Ugo Cerletti, 1938
«125-135 volt, 0,3-0,6 ampere, per 1/10 di secondo.»
Ugo Cerletti, figlio un illustre enologo di Chiavenna, era il secondo di tre figli. La sua famiglia apparteneva all'alta borghesia. Nel 1886 la famiglia Cerletti si trasferì a Roma, dove Ugo dapprima frequentò l'istituto Massimo e poi si iscrisse al Liceo Classico Visconti. Nel 1895 dopo aver conseguito il diploma liceale decise di iscriversi a medicina. Terminato il primo anno di studi, poiché la famiglia si stabilì a Milano, si trasferì presso l'università di Torino. Nel 1898 fece poi ritorno a Roma dove studiò con Giovanni Mingazzini ed Ezio Sciamanna. Approfondì i suoi studi con i più eminenti neurologi del suo tempo, prima a Parigi e poi a Monaco, con Emil Kraepelin (il "padre" della psichiatria scientifica moderna) e Alois Alzheimer. Tornato dal soggiorno in Germania, Cerletti frequentò il suo ultimo anno di corso presso l'Università di Roma, dove si laureò il 16 luglio 1901 presentando la tesi “Sopra i processi di assorbimento consecutivi a lesioni della sostanza cerebrale”. Nel 1905 ottenne la libera docenza in psichiatria. Allo scoppio della Prima guerra mondiale Cerletti partì per il fronte, dove rivestì la carica di capitano medico. Dal 1916 iniziò a lavorare su un'arma speciale, la “spoletta a scoppio differito”, un ordigno programmato in modo tale da esplodere anche a distanza di parecchie ore dal momento del lancio.
 Pochi conoscono che fu un macello di Roma che ispirò la procedura cosiddetta scientifica dell’elettroshock (ECT) o terapia elettroconvulsivante (TEC). Negli anni ’30 Cerletti diede inizio ad una serie di trattamenti sperimentali d’elettroshock sugli animali dopo aver osservato in un macello romano come i maiali erano tramortiti con shock elettrico per renderli più docili prima di ucciderli. Condusse personalmente centinaia di applicazioni e alla fine scrisse: «Queste evidenti prove fecero svanire alla fine tutti i miei dubbi, e senza ulteriori indugi diedi istruzioni alla clinica di intraprendere l’esperimento sull’uomo. Molto probabilmente, se non ci fosse stata questa circostanza fortuita e fortunata del macello l’ECT non sarebbe nato.».
Cerletti usò per la prima volta la terapia elettroconvulsivante l'11 aprile del 1938, con un apparecchio messo a punto dal suo assistente Lucio Bini, su un paziente di quarant'anni affetto da schizofrenia con sintomi di delirio, allucinazione e confusione. Dopo due mesi di prove sui pazienti Cerletti decise di presentare il nuovo metodo di cura alla comunità scientifica tenendo una relazione, con tanto di dimostrazione su un malato, all'Accademia di Roma. Il successo fu immediato. Già nell'Ottobre del 1938 l'apparecchio per provocare lo shock iniziò ad essere prodotto. Il suo lavoro e le sue ricerche ebbero un'influenza notevole e l'uso della terapia si diffuse velocemente in tutto il mondo. La terapia costituì una novità radicale poiché permise di provocare la crisi epilettica senza alcuna operazione chirurgica sul cervello o somministrazione di tossici convulsionanti.
 Il dizionario medico Larousse riporta i valori utilizzati da Cerletti: 125-135 volt, 0,3-0,6 ampere, per 1/10 di secondo; specifica anche che una crisi si ottiene anche con soli 60 volt (assenza epilettica o infra-crisi neuroni.
 Nel 1950 ricevette la Laurea honoris causa dal Collège de Sorbonne dell'Università di Parigi. Massone, fece parte della Loggia Cristoforo Colombo di Roma e fu membro effettivo del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico e accettato. Morì a Roma il 25 luglio 1963 per trombosi cerebrale.
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La rivolta dei portaborse, 2017
portabórse s. m. e f. [comp. di portare e borsa1], invar., spreg. – Chi si presta, in genere allo scopo di ottenere in cambio favori o vantaggi, a lavorare per personaggi autorevoli o influenti, con un atteggiamento esageratamente ossequioso e servile (identificato comunem. dal gesto di portar loro la borsa). Nel linguaggio giornalistico, il termine è per lo più attribuito ai segretarî e assistenti parlamentari che dal 1986 sono stati assunti presso il Parlamento italiano per facilitare il lavoro dei deputati. [Treccani]
 La rivolta dei portaborse: Ieri fuori dal parlamento la protesta dei portaborse scatenata dallo scoop delle Iene. In piazza tanti assistenti che denunciano di lavorare senza stipendio, di essere costretti a svolgere mansioni da collaboratore domestico e soprattutto di non avere alcuna garanzia: possono essere lasciati a casa da un momento all’altro. La cosa più scandalosa è che, secondo qualcuno, il parlamentare registra il costo del proprio collaboratore ma invece di corrispondergli lo stipendio, se lo intasca. [La7, ottobre 2017]
Flashmob organizzato dall’Associazione collaboratori parlamentari (AICP) a Roma: «Siamo tutti professionisti, spesso con titoli oltre la laurea – spiega Valentina Tonti dell’AICP – e stiamo facendo una battaglia anche per contrastare la visione dell’assistente parlamentare come semplice portaborse». [Ansa, ottobre 2017]
 ROMA - Al parlamento europeo e in altri Paesi Ue i portaborse se la passano meglio che da noi. Sono assunti dalle istituzioni, hanno contratti regolari, contributi previdenziali, ferie, permessi, malattia maternità e tredicesima. Insomma, tutto quello che spetterebbe di diritto ai lavoratori. Ma l'Italia non è un paese normale e da noi gli assistenti dei parlamentari hanno vita difficile. Alla Camera sono in 628, circa la metà al Senato. Vanno avanti con contratti al ribasso, per lo più i vecchi Co.co.co, o sono costretti ad aprire partite Iva farlocche. Nei casi peggiori lavorano in nero. Quando sono fortunati riescono a strappare un contratto a tempo determinato e uno stipendio da 1.200 euro al mese. Ma la media delle retribuzioni è dai 500 agli 800 euro mensili. E i contratti a progetto non prevedono nessuna delle tutele garantite agli altri lavoratori: non viene riconosciuta la malattia, la maternità, le ferie. Gli scatti di anzianità sono una chimera come pure la tredicesima. E la pensione una meta irraggiungibile.
[…] Dopo il caso di Federica B., la collaboratrice parlamentare che ha lavorato per un anno e mezzo senza retribuzione per il deputato centrista Mario Caruso e per di più è stata vittima di molestie da parte dell'onorevole, la presidente della Camera Laura Boldrini ha ricevuto i rappresentanti dell'Aicp, l'Associazione italiana collaboratori parlamentari.
[…] Il nodo da sciogliere è solo una questione di soldi. Il budget mensile a disposizione dei parlamentari per pagare collaboratori e spese istituzionali di varia natura (segreteria, convegni, consulenze ecc.) ammonta a 3600 euro per i deputati e 4180 per i senatori. Di questa somma solo la metà va rendicontata ogni quattro mesi. È dunque il parlamentare che decide quanto dare al suo assistente. E spesso si tratta di stipendi da fame o addirittura di lavoro gratuito, come nel caso di Federica B. Per adeguare il meccanismo dell'assunzione dei collaboratori all'Europa, allora, bisogna trovare il modo di decurtare dagli stipendi dei parlamentari almeno la metà della somma che viene loro assegnata per le spese di segreteria (dette "di esercizio del mandato"). Una strada che di sicuro incontrerà molte resistenze. [La Repubblica, ottobre 2017]
«Lei crede che il parlamentare navighi nell'oro? Conosco colleghi che valutano se possono restare a Roma un giorno in più. Costretti a fare il conto della serva. 8000 euro di indennità più 4000 di portaborse. Fanno dodicimila. E vabbè. Uno che ti apre l'ufficio a Roma lo devi pagare. E devi fargli un contrattino, per quanto leggero. Un altro che ti apre l'ufficio nella città di residenza lo devi pagare. Un terzo che magari ti segue. Duemila euro per dormire a Roma. E poi devi mangiare: vanno via altri duemila euro. Per la famiglia ne restano quattromila. Da sempre faccio le vacanze al lido Miramare di Pineto degli Abruzzi. La casa di vacanza dei genitori. Né lussi, né cene, né vestiti. Ai tempi d'oro mettevo da parte anche la metà di quel che guadagnavo. Poi fidanzamento, matrimonio, figli e vattelapesca.» G. Rotondi
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«Sono Isabella Bossi Fedrigotti»
«Sono Isabella Bossi Fedrigotti, Presidente di PlanItalia, siamo la prima ONG al Mondo e lavoriamo in 72 paesi in difesa dei bambini. Il benessere sul pianeta è distribuito male e la solidarietà è la vera soluzione. Bombardare non lo è. Lo è l’adozione a distanza, aiutando bambini, e soprattutto bambine, ad andare a scuola nella loro terra contribuendo al progresso locale. Plan International Italia, w, w, w, plan, trattino, international, punto, it.» I. Bossi Fedrigotti
La Contessa Isabella Bossi Fedrigotti è nata a Rovereto il 3 marzo del 1948 e vive a Milano dove lavora, in qualità di articolista e inviata, al Corriere della Sera. Figlia del conte Federico Bossi Fedrigotti, dal quale ha ereditato coi fratelli una rinomata azienda vitivinicola. Vedova del cronista del Corriere della Sera Ettore Botti e madre di Vittorio ed Eduardo. Ha vinto il premio Campiello con “Di buona famiglia”. Nel 2019 le viene conferito inoltre il Premio della Fondazione Campiello alla carriera
«Quando sento lo spot con Isabella Bossi Fedrigotti mi viene voglia di iscrivermi all'Isis!» Anonimo, 2016
«Ovvio che devono farla la moschea, è ovvio che non vorrei vederla nel mio (quartiere), ma questa è una cosa brutta da dire… Però è ovvio che devono farla. Non so quanti milioni di musulmani, quante migliaia di musulmani ci sono…» I. Bossi Fedrigotti
«Quando sento lo spot con Isabella Bossi Fedrigotti mi aggrappo ai coglioni» Anonimo, 2017
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Raul Gardini e il Moro di Venezia
«[...] A poppa c’era lui, Raul Gardini, quello che le cronache ribattezzarono “17esimo uomo”. Una cosa impossibile fino al 1991, ma tanto era potente il ravennate che aveva fatto aggiungere una clausola ai regolamenti della Coppa per cui l’armatore poteva stare a bordo.»
Fu verso la fine degli anni ’80 che Raul Gardini si presentò a Giulio Donatelli, l’allora presidente della Compagnia della Vela di Venezia, per comunicargli l’intenzione di costruire uno scafo e partecipare alla Coppa America. Gli chiese di poter essere rappresentato dal suo Yacht Club e di issarne a dritta il suo guidone sociale. Donatelli in principio pensava fosse uno scherzo ma alla fine accettò la sfida, consapevole che da quel momento in poi la Compagnia della Vela si sarebbe affermata a livello mondiale. Fu così che il Moro di Venezia regatò con la bandiera del Leone di San Marco, un leone più agguerrito che mai.
Cinque gli scafi costruiti per il progetto Moro di Venezia, tutti usciti dai cantieri Tencara di Porto Marghera. L’ambizioso progetto di Gardini poteva godere di un budget astronomico (qualcuno parla di oltre 100 miliardi delle vecchie lire ma c’è chi sostiene siano stati molti di più) e del supporto del team di ricerca e sviluppo messo a disposizione dalla “sua” Montedison.
Il “battesimo” del Moro di Venezia I
Quella mattina faceva freddo e c’era parecchia nebbia. Gardini aveva scelto di varare il Moro di Venezia I domenica 11 marzo 1990 e, come gli si addiceva, organizzò l’evento in grande stile. Davanti a Punta della Dogana venne allestito un pontile lungo quaranta metri per i circa cinquemila ospiti. Ennio Morricone scrisse la musica mentre la regia fu affidata a Franco Zeffirelli. Quel varo lasciò tutti a bocca aperta e ancora oggi molti lo ricordano come il più spettacolare della storia della vela. Quando l’enorme gru posò sulle acque della laguna lo scafo rosso in kevlar e carbonio lungo circa 23 metri, numero velico ITA-01, ci fu un’ovazione.
 Il ruggito del Moro
Per sfidare il Defender, vale a dire il detentore dell’America’s Cup, bisognava prima vincere le regate di selezione della Louis Vuitton Cup. Nel 1992 il Moro di Venezia dà battaglia e giunge in finale con la fortissima NewZealand. Gli italiani seguivano l’evento da casa, le telecronache si aprivano con la voce di Pavarotti che incitava il nostro Leone sulle note della Turandot e della celebre aria “all’alba vincerò”. I Kiwi infilano tre vittorie ad uno e sono ad un passo dalla vittoria, si gareggia al meglio delle nove regate. Gardini vede la fine di una grande avventura e di tanti soldi spesi inutilmente. Quando la battaglia volge al peggio un vero corsaro tira fuori un colpo a sorpresa e rilancia la sfida, come ad esempio una bagarre legale per dimostrare l'illegalità del bompresso e mettere in crisi l'avversario che aveva tentato di barare. Da quel momento i neozelandesi vanno veramente in crisi, colpiti sull'orgoglio, le sicurezze dei freddi uomini di mare cadono ed è buio pesto. Non vincono più una regata!
«[...] Chi non era grande esperto di vela imparò una nuova parola, anzi LA parola: bompresso. Di questo si parlava nella primavera del 1992, del bompresso montato sulla prua di New Zealand, degli elicotteri che sorvolavano i campi di regata e delle fotografie grazie alle quali si scoprì “l’anomalia” dello scafo dei kiwi.»
Il Moro di Venezia, clamorosamente recupera la situazione 3-3. Furono match race estenuanti, guerra di carte bollate, stress, qualche strategia sbagliata, ma il Moro di Venezia allungò gli artigli, mostrò i denti e vinse 5 a 3. Il mito era nato. È il trionfo di Gardini. Il Moro di Venezia poteva sfidare il defender dell’America’s Cup.
«Anche Occhetto mi fa gli auguri? Che vi devo dire, mi fa piacere. In giro succede di tutto, è il mondo che sta cambiando. [R. Gardini]»
 America’s Cup 1992
Da una parte Gardini con il Moro di Venezia V, dall’altra il magnate Bill Koch con America 3. Nella baia di San Diego si sfidarono due uomini potenti e pronti a tutto pur di portare a casa la vittoria. Entrò in scena addirittura lo spionaggio. Si dice che durante la Luis Vuitton Cup gli americani costruirono mini sommergibili, assoldarono sommozzatori, noleggiarono elicotteri, e tutto per “passare ai raggi x” Il Moro di Venezia e trovarne i punti di debolezza e batterlo. Ma si capì subito che la lotta era impari, lo scafo bianco era più veloce. e infatti alla fine vinse con un secco 4 a 1. Era il 16 maggio del 1992. Per Venezia, il Moro aveva comunque vinto.
Le immagini delle sfide nelle acque di San Diego per molti sono ancora nitide, come pure le emozioni vissute in quelle notti magiche. Nell’avveniristico pozzetto del Moro di Venezia V, numero velico ITA – 25, spiccava un giovane riccioluto dagli inconfondibili baffi scuri. Era il timoniere Paul Cayard, il ventinovenne californiano campione mondiale della classe Star, che per poter regatare sul Moro prese la residenza italiana. Dopo selezioni durissime le 16 persone dell’equipaggio erano il meglio di cui la vela italiana potesse disporre all’epoca; un gruppo preparatissimo e molto affiatato tra cui Tommaso ed Enrico Chieffi, Cico Rapetti, Max Procopio, Andrea Mura, Dudi Coletti, Marco Schiavuta, Alberto Fantini, Lorenzo Mazza e Sergio Mauro.
Epilogo
Gardini avrà lo stesso un trionfo di pubblicità ed una grande visibilità. La sua foto mentre timona la grande barca rossa sarà sulle prime pagine di tutti i media del mondo. Ma tutta questa visibilità sarà altamente controproducente. Infatti, all'orizzonte del manager si stagliano le ombre cupe delle inchieste di "mani pulite" e Il suo impero finanziario crollerà sotto i colpi delle inchieste della magistratura. Un gesto terribile, impulsivo, ma onesto come il personaggio, porrà fine alla sua vita. Verrà trovato morto nella sua casa di Milano, il settecentesco palazzo Belgioioso, il 23 luglio 1993. [Metropolitano.it & NauticaReport.it]
«La morte di Gardini è il vero, grande rammarico che conservo della stagione di Mani pulite. Per due ragioni. La prima: quel 23 luglio Gardini avrebbe dovuto raccontarmi tutto: a chi aveva consegnato il miliardo di lire che aveva portato a Botteghe Oscure, sede del Pci; chi erano i giornalisti economici corrotti, oltre a quelli già rivelati da Sama; e chi erano i beneficiari del grosso della tangente Enimont, messo al sicuro nello Ior. La seconda ragione: io Gardini lo potevo salvare. La sera del 22, poco prima di mezzanotte, i carabinieri mi chiamarono a casa a Curno, per avvertirmi che Gardini era arrivato nella sua casa di piazza Belgioioso a Milano e mi dissero: "Dottore che facciamo, lo prendiamo?". Ma io avevo dato la mia parola agli avvocati che lui sarebbe arrivato in Procura con le sue gambe, il mattino dopo. E dissi di lasciar perdere. Se l'avessi fatto arrestare subito, sarebbe ancora qui con noi.» [A. Di Pietro]
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L’ipotesi Amato
«Ogniqualvolta c'è una carica istituzionale vacante o in procinto di esserlo, spunta l'ipotesi Amato. Dal 1992.» [@ipotesiamato]
«Crisi, maggioranza unita sull'ipotesi Amato» [Aprile 2000]
«Ipotesi Amato per la presidenza della Rai» [Febbraio 2009]
«Napolitano bis, oggi il giuramento. Per il governo ipotesi Amato» [Aprile 2013]
«Totoquirinale, cresce l'ipotesi Amato» [Gennaio 2015]
«If experience is required in the next Italian prime minister, they do not come more experienced than Giuliano Amato» [Dicembre 2015]
«L'ipotesi Amato per le larghe intese» [Novembre 2017]
«Un premier per gestire lo stallo. Gentiloni in pole, ma spunta Amato» [Dicembre 2019]
«Cassa di Risparmio di Torino spunta l’ipotesi Amato» [Aprile 2019] 
«Il piano Di Maio: l’ipotesi Amato per far fuori Tria» [Aprile 2019]
«UE: nuovo round sulle nomine, spunta l’ipotesi Amato per la Commissione» [Luglio 2019]
«Cartabia scade, per la presidenza il nome di Amato» [Agosto 2020]
«Pirlo è in discussione. Spunta l’ipotesi Amato per la panchina della Juventus» [Novembre 2020]
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Alessandro Orlando
«Sono ancora giovane, io andrò via di qui. Non mi brucio a 40 anni. E avrò una tv tutta mia» A. Orlando
«Non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori.» K. Stanislavskij dopo la visione de “La leggenda del Royal King Keyshon imperiale del Sultano Fershid”
[…] Il 1959 fu l’anno del cambiamento: Calzoleria Orlando lasciò definitivamente spazio a Galleria Orlando. Ma passò ancora molto prima che l’odore del cuoio svanisse dal locale. I visitatori ora passeggiavano tra le opere, circondati dalle stesse pareti che fino a poco tempo prima avvolgevano le rumorose macchine per la lucidatura
La galleria diventò luogo di frequentazione stabile dei collezionisti fiorentini, il successo permise dopo soli 10 anni l’apertura della prestigiosa sede estiva di Forte dei Marmi, la Galleria Cavour Orlando. Collezionisti di tutta Italia ogni estate non mancavano all’inaugurazione della nuova stagione, nella quale venivano offerte opere straordinarie e di altissimo livello raccolte durante l’intero inverno. La sera, dopo le 21… la magia dell’asta: fino a notte fonda collezionisti e semplici curiosi affollavano la galleria, seduti su comode poltrone, fuori, in piedi, tutti ascoltando le parole del fascinoso banditore di turno.
Sono cresciuto respirando queste serate e ascoltando i banditori, mio padre, il grande pubblico. Durante il giorno, talvolta, Mino Maccari, Ernesto Treccani, Giuseppe Migneco o Remo Brindisi venivano a trovare papa’ e io ero lì, con loro. Nel 1975 alla grande Galleria Cavour Orlando si affiancò la piccola ma prestigiosa Galleria Orlando di via Carducci a Forte Dei Marmi direttamente gestita ancor oggi da Susanna Orlando, la mia grande sorella.
Affascinato dal mondo delle aste, cominciai inconsapevolmente ad innamorarmene, fin quando una sera d’estate di ventisette anni fa, il banditore impiegato da mio padre non si presentò al lavoro. L’occasione per farmi valere, papa’ mi mise il microfono in mano e disse:
“Vai Ale! Adesso sta a te’”
Fù un trionfo, il panico iniziale lasciò presto spazio alla grande convinzione che fin da piccolo mi caratterizzava. Partii come un treno ottenendo un risultato incredibile per quei tempi. Naturalmente da quel giorno diventai il banditore ufficiale della galleria. [OrlandoArte.it]
 «Nel dicembre 1996 ricevetti una telefonata dal dirigente di Telemarket, rete televisiva nazionale. Mi chiese se fossi disponibile ad un provino, perchè no? Il 7 gennaio 1997 si accesero le telecamere e per ben 15 anni sono rimasto sul palcoscenico.» A. Orlando
[...] ll gran maestro di queste operazioni fu senza dubbio il toscano Alessandro Orlando, impiegato nelle più disparate liquidazioni: quadri, sculture, argenterie, tappeti, mobili antichi. Egli, molto più aggressivo dei colleghi, impazziva letteralmente, avvicinando il volto butterato alla telecamera ben più del consentito. Una comunicazione certamente studiata, in grado di alternare enigmatici silenzi, soliloqui meditabondi dinnanzi alla scarsità di chiamate al centralino, ad un crescendo gesticolante di pathos fino alle reprimende più folleggianti dirette al distratto pubblico. Cazziatoni dispensati anche dall’esotico principe Bijan, venditore di tappeti iraniano, nostalgico dello scià di Persia; buffo personaggio da mille e una notte, in rapporto simbiotico con quelle montagne di stuoie, egli accarezzava i vari Tabriz, Isfahan, Herat e Bukhara, con la speranza spesso frustrata di generare empatia e di propiziare l’atteso annuncio di là dal vetro: “confermato”. [Barbadillo.it, Maggio 2016]
«Quest'uomo poteva fare il doppiatore ed essere tra i migliori in assoluto, ma ha deciso di fare televendita ed è entrato nella leggenda.»  Anonimo
 Della fine di Telemarket si era già scritto, ormai qualche anno fa: da allora ne sono successe di cose. La notizia di queste ore, invece, è che il suo storico patron, l'imprenditore Giorgio Corbelli, è stato trasferito in carcere. La Cassazione di Milano ha infatti emesso sentenza definitiva sul fallimento di Finarte, la società di cui Corbelli fino al 2011 era presidente del Consiglio d'amministrazione. [Bresciatoday.it, Gennaio 2020]
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Il Vampiro della Bergamasca
«Un'altra vampira! No guardi signorina io ho una qualità di sangue assolutamente insucchiabile! Pieno di colesterolo e di trigliceridi, e poi la cosa più importante: non sono vergine eh! Io sono un mandrillone, mi son fatto donne di ogni tipo sa? Non ha idea! ...eh chi è? E son stato anche con la portinaia, una vecchia con la barba. E mi son fatto di tutto! Sono stato anche... con un marinaio... di colore... un nano... un nano... non mi crede?» Fracchia
Vincenzo Verzeni nasce a Bottanuco nel 1849 in una famiglia di contadini. La sua infanzia è segnata dalle condizioni economiche disagiate della famiglia: il padre è alcolizzato e violento, mentre la madre, remissiva e bigotta, soffre di epilessia.
Verzeni manifesta i primi segni di aggressività all'età di 18 anni. Nel 1867 aggredisce nel sonno la cugina Marianna e tenta di morderle il collo, ma fugge spaventato dalle sue grida. Non risultano denunce in seguito all'aggressione.
Nel 1869 Barbara Bravi, viene aggredita da uno sconosciuto che fugge appena la donna oppone resistenza. La Bravi non è in grado di identificare l'aggressore ma anni dopo, in seguito all'arresto di Verzeni per due omicidi, non escluderà che potesse trattarsi di lui. Nello stesso anno, Verzeni aggredisce un’altra contadina, Margherita Esposito: nella colluttazione l'uomo viene ferito al volto e successivamente identificato dalla polizia. Anche in questo caso non risultano provvedimenti penali in seguito all'aggressione. Sempre nel 1869 un'altra donna, Angela Previtali, denuncia alla polizia di essere stata aggredita, stordita e condotta in una zona disabitata da Verzeni, poi liberata dall'uomo stesso per compassione.
Il primo omicidio risale all'8 dicembre 1870 quando la quattordicenne Giovanna Motta, che si stava recando nel vicino comune di Suisio per visitare alcuni parenti, scompare nel nulla. Quattro giorni dopo la giovane viene rinvenuta: nuda e squartata, le sono stati asportati gli organi genitali e le interiora, quest’ultime rinvenute in un cavo di gelso. Sul suo collo evidenti segni di morsi e una parte del polpaccio strappata. Su una pietra vicino al cadavere, vengono rinvenuti degli spilloni disposti a raggiera. La scoperta degli spilloni, fece pensare che Verzeni potesse essere affetto da piquirismo, (un particolare tipo di parafilia consistente nel ricercare il piacere pugnalando e tagliuzzando un corpo con oggetti affilati.) ma non riusci a concludere l’atto, forse perché interrotto da qualcuno o qualcosa o perché tornato in se.
Il 10 aprile del 1871 Verzeni importuna Maria Galli, un'altra contadina, che lo segnala alla polizia. Il 26 agosto dello stesso anno aggredisce Maria Previtali (non legata ad Angela) spintonandola violentemente e cercando di morderla al collo.
Nel 1872 Verzeni uccide Elisabetta Pagnoncelli, il cui cadavere viene ritrovato in condizioni simili a quello di Giovanna Motta: segni di morsi sul collo, organi asportati e lembi di carne strappati.
Vincenzo Verzeni è arrestato solo nel 1873. Cesare Lombroso è incaricato di stendere la perizia psichiatrica: pur non ritenendo Verzeni infermo mentale, Lombroso lo definisce "un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana" e, basandosi anche sulla conformazione del suo e sulle caratteristiche del volto (mandibole e zigomi pronunciati, occhi piccoli), diagnostica gravi forme di cretinismo e necrofilia, oltre che di pellagra in fase avanzata. Nella famiglia dell’omicida vi erano diversi casi di alterazioni mentali: il padre, oltre che alcolizzato e violento, soffriva di ipocondria, mentre uno zio era affetto da iperemia cerebrale.
Durante il processo Verzeni descrive gli omicidi:
«Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell'atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con cui godei moltissimo.»
Giudicato colpevole di duplice omicidio, Verzeni scampa alla condanna a morte grazie al voto di un giurato e viene condannato all'ergastolo nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano e ai lavori forzati a vita. Non riuscendo a reggere la fatica, il 13 aprile del 1874, viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano. Verzeni viveva in isolamento, riceveva getti d’acqua fredda, seguiti da bagni bollenti e scosse elettriche. Il 23 Luglio del 1874, gli inservienti del manicomio dichiarano di averlo trovato morto, nudo, solo con le calze e pantofole, impiccato a un’inferriata.
Secondo i produttori televisivi Mirko Cocco e Michele Pinna, che si sono occupati del caso per un servizio televisivo regionale nel 2010, Verzeni sarebbe sopravvissuto al tentativo di suicidio e sarebbe stato trasferito nel carcere di Civitavecchia. Un articolo pubblicato sull'Eco di Bergamo il 3 dicembre 1902 lo conferma: «La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finito l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti.»
L'atto di morte n. 87 del comune di Bottanuco certifica che Verzeni è morto nel suo paese natale il 31 dicembre 1918, per cause naturali. La mummia di Vincenzo Verzeni è conservata al Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella.
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Johnny lo Zingaro
Giuseppe Andrea Mastini, conosciuto con il nome di Johnny lo Zingaro, nasce a Ponte San Pietro il 6 febbraio 1960. Analfabeta, figlio di giostrai lombardi di etnia sinti, Mastini si trasferì a Roma con i genitori all'età di dieci anni, risiedendo in una roulotte e occupandosi della gestione delle giostre. Iniziò a frequentare la criminalità giovanile del Tiburtino distinguendosi già a 11 anni per un furto e una sparatoria con la Polizia che lo lascerà claudicante.
Nella sera del 28 dicembre 1975, insieme al coetaneo Mauro Giorgio, cercò di rapinare Vittorio Bigi, autista di tram, rubandogli diecimila lire e un orologio; qualcosa però va storto e i due ragazzi sparano due colpi di pistola, uccidendo l'autista e occultandone il cadavere che verrà trovato una settimana più tardi, il 6 gennaio 1976. La testimonianza di un tassista portò, nel giro di pochi giorni, all'arresto dei due minorenni con le accuse di omicidio volontario, rapina aggravata e porto abusivo di pistola. Tradotto nel carcere minorile di Casal del Marmo, secondo le affermazioni di Mastini, conoscerà per la prima volta Giuseppe Pelosi. Dopo una serie di evasioni e catture, nel 1987 esce in permesso premio e non rientra più.
Segnalato per una serie di rapine, viene riconosciuto in una foto segnaletica dalla moglie di Paolo Buratti, console italiano in Belgio, ucciso nella sua villa a Sacrofano da un colpo di pistola, nel tentativo di resistere a una rapina. Nel frattempo Mastini conosce Zaira Pochetti, 20 anni, di umilissima famiglia, figlia di un pescatore di Passoscuro, residente a Roma in un collegio di suore in quanto studentessa presso la facoltà di scienze politiche dell'Università La Sapienza.
«Non ricordo un gran che (di quella sera). Mi si è stato raccontato dopo. Ero completamente fatto di whisky, tavor e cocaina. Dicevo tra me: "qui stasera mi sparano tutti addosso!"» G.A.M.
La sera del 23 marzo 1987, Mastini e la giovane Pochetti, a bordo di una vettura da lui condotta, vengono fermati da due agenti della polizia di pattuglia in Via Quintilio Varo, presso l'incrocio con la Circonvallazione Tuscolana: ne scaturisce un conflitto a fuoco in cui viene ucciso l'agente Michele Giraldi e ferito gravemente Mauro Petrangeli. Mastini, illeso, si dirige con la ragazza verso Viale Palmiro Togliatti dove i due vengono intercettati da un carabiniere in borghese che intima loro l'alt. Pur investito da una raffica di proiettili che danneggiano l'auto di servizio, inclusa la radio, il milite rimane illeso e riesce a dare l'allarme da una cabina telefonica poco distante.
L'automobile di Mastini si ferma in panne sulla via Nomentana. Con la minaccia della pistola, sottrae un'auto Lancia Gamma a una coppia. La ragazza, Silvia Leonardi, terrorizzata, non riuscendo a scendere dall'auto del fidanzato, viene sequestrata e condotta fino alla zona della Bufalotta, e quindi rilasciata. L'arresto è il risultato di una serie di battute condotte senza tregua a Roma e in varie zone della provincia per le quali furono mobilitati 700 poliziotti in una caccia all'uomo che si protrasse per un giorno intero. Alla fine Mastini capì che non aveva più scampo e decise di arrendersi.
Mastini scompare dalle cronache per riapparire nel febbraio 1989 con un'intervista per il programma televisivo Posto pubblico nel verde nel quale racconterà come, in seguito all'arresto, Zaira Pochetti sia caduta in uno stato di catatonia e di anoressia che l'avrebbero condotta alla morte nel dicembre del 1988. Rivelerà inoltre che la donna, al momento della morte, era in attesa di un figlio.
Nel processo celebratosi nel 1989, Mastini sarà condannato alla pena dell'ergastolo per tutti i reati a lui ascritti, ad eccezione dell'omicidio di Sacrofano, per insufficienza di prove. Per Zaira Pochetti, indicata come suo complice, il dibattimento si concluderà con un non luogo a procedere in quanto deceduta. In un'interrogazione del Presidente della Corte, Mastini negava (e continuerà a negare) ogni responsabilità nell'omicidio di Vittorio Bigi nel 1975, per cui stava scontando la pena.
Il 12 marzo 2014 Mastini ha usufruito di un permesso premio di alcune ore al fine di partecipare al concerto del gruppo britannico The Prodigy presso l'evento Rock in Roma. La concessione è stata ottenuta grazie all'impegno del detenuto in un programma di reinserimento sociale, percorso studiato dai volontari dell'associazione Nessuno tocchi Caino. L'autorizzazione inizialmente concessa per scopi di apprendimento giornalistico del Mastini, deciso a intraprendere la carriera di critico musicale in carcere, è stata ampiamente contestata all'interno delle istituzioni giudiziarie per piccole irregolarità compiute dal detenuto durante il concerto. In seguito alla concessione di un periodo di lavoro all'esterno del carcere, il 30 giugno 2017 Mastini non ha fatto ritorno al penitenziario di Fossano e si è reso latitante. Il 25 luglio viene catturato a Taverne d'Arbia in provincia di Siena.
Zuari, settembre 2020: Giuseppe Mastini, detto Johnny lo zingaro, è stato arrestato a Sassari. Gli uomini del Servizio centrale operativo della Polizia e delle squadre mobili di Sassari e Cagliari hanno compiuto l’operazione nella mattinata di martedì, dopo aver individuato, nelle ore scorse, il latitante. Mastini era in una villetta isolata in località Zuari, nelle campagne di Sassari. «La fuga è sempre per amore», ha detto Mastini agli agenti subito dopo la cattura
E qual è la sua verità, Giovanna? «Che Johnny non è più l’uomo spietato di un tempo, ha passato 46 anni in galera ed è cambiato. Ha sbagliato ancora, non doveva evadere, ma l’ha fatto per amore». [Corriere.it, settembre 2020]
 Il nome di Johnny lo Zingaro compare anche nelle carte del processo sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini. Mastini, che aveva conosciuto Pino Pelosi - unico condannato per la morte del poeta - nel carcere minorile di Casal del Marmo, è sospettato, secondo diverse piste investigative, di aver partecipato al delitto dello scrittore. A portare a lui, che ha sempre negato ogni accusa, è un plantare di scarpa numero 41 ritrovato nell’Alfa Romeo di Pasolini che non apparteneva né allo scrittore né a Pelosi e che invece Mastini usava abitualmente in seguito alle conseguenze di una sparatoria.
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Orso Teobaldo Felice Orsini, 1819-1858
«Sino a che l’Italia non sarà indipendente, la tranquillità dell’Europa e quella Vostra non saranno che una chimera. Vostra Maestà non respinga il voto supremo d’un patriota sulla via del patibolo: liberi la mia patria e le benedizioni di 25 milioni di cittadini la seguiranno dovunque e per sempre.» O.T.F. Orsini
Orsini nacque nel 1819 a Meldola, figlio di Giacomo Andrea Orsini e Francesca Ricci in giovane età venne affidato alle cure dello zio paterno Orso Orsini, a Imola; all'età di sedici anni Felice si rese responsabile dell’uccisione del cuoco di famiglia a cui era stata affidata la sua sorveglianza, fuggì immediatamente dopo il fatto e venne accusato di omicidio. Grazie all'amicizia dello zio con il vescovo di Imola Mastai Ferretti (futuro Papa Pio IX) i giudici che inizialmente lo accusarono di aver sparato volontariamente al cuoco, credettero alla versione di un colpo di pistola partito accidentalmente, fu così che il reato venne derubricato in omicidio colposo con una condanna a sei mesi di carcere. Riuscì a evitare la detenzione entrando in seminario, presso il convento degli Agostiniani di Ravenna ma Felice Orsini poco incline alla vita in seminario abbandonò il convento per trasferirsi temporaneamente dal padre a Bologna.
Nell'agosto del 1843 si trovò coinvolto nei moti di Romagna, la scoperta della sua società segreta “Congiura Italiana dei Figli della Morte” gli costò l’ergastolo presso la fortezza pontificia di Civita Castellana, da cui uscì nel 1846 grazie all'amnistia concessa da Pio IX. Nuovamente in libertà Felice Orsini si stabilì a Firenze, città d’origine della madre dove continuò a dedicarsi alla cospirazione, nel 1848 partecipò alla Prima Guerra di Indipendenza e una volta tornato a Firenze si sposò con Assunta Laurenzi. Orsini, convinto seguace di Mazzini continuò la sua attività rivoluzionaria nei territori dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana, nel 1849 prese parte all'esperienza della Repubblica Romana come deputato dell’Assemblea Costituente nel collegio della provincia di Forlì ma l’intervento dell’esercito francese a supporto del Papa costrinse Orsini a fuggire nuovamente.
Nel 1850 si stabilì a Nizza, qui fondò la ditta “Monti & Orsini”, impegnata nella vendita della canapa prodotta dallo zio Orso. Orsini pur avendo la possibilità di vivere una vita tranquilla, nel settembre del 1853 decise di guidare un tentativo insurrezionale tra Sarzana e Massa ma l’azione fallì sul nascere. Dopo l’ultimo disfatta decise di trasferirsi a Londra, nel 1854 organizzò altre due insurrezioni rispettivamente in Lunigiana e in Valtellina anch'esse fallite, ma fu durante un viaggio clandestino nell'Impero Asburgico che Orsini venne notato dalle autorità e arrestato il 17 dicembre del 1854, rinchiuso nelle prigioni del Castello di San Giorgio a Mantova, tra la notte del 29 e 30 marzo del 1856, grazie all'aiuto dell’amica Emma Siegmund, conosciuta anni prima a Nizza riuscì a corrompere le guardie e fuggire a Genova dove poté imbarcarsi verso l’Inghilterra.
L’evasione di Felice Orsini fece molto scalpore e la notizia della sua rocambolesca fuga trovò ampio spazio sui giornali di mezza Europa, tornato in Inghilterra accettò l’offerta di un editore per scrivere le sue memorie.
Nel 1857 conobbe il chirurgo francese Simon François Bernard, cospiratore e fanatico, fuggito dalla Francia per evitare l’arresto, riuscì ad affascinare con le sue idee Orsini, il quale si convinse della necessità di eliminare Napoleone III, la sua morte avrebbe fatto venir meno la protezione della Francia allo Stato Pontificio, facilitando così il processo di unificazione nazionale.
Felice Orsini dopo aver per anni supportato Mazzini giudicando la sua strategia “fallimentare” decise che l’attentato a Napoleone III fosse un atto giusto e indispensabile, l’assassinio di Napoleone III avrebbe provocato un’insurrezione in Francia che secondo i piani di Orsini avrebbe dovuto estendersi fino all’Italia. Fu così che Orsini ideò e realizzò cinque bombe a mano con innesco a fulminato di mercurio, riempite di chiodi e frammenti di ferro per aumentarne il potere distruttivo, ordigni rudimentali ma incredibilmente efficaci tanto da essere riutilizzati in altri attentati e passati alla storia come “Bombe all’Orsini”. Giunto a Parigi, Orsini reclutò altri tre congiurati: Giovanni Andrea Pieri, Carlo di Rudio e Antonio Gomez, giunse la sera del 14 gennaio del 1858 e intorno alle 20.30 il gruppo guidato da Felici Orsini scaglia le bombe contro la carrozza dell’Imperatore in procinto di raggiungere l’ Opéra lirica di rue Le Peletier per assistere alla rappresentazione del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini.
Il primo ordigno venne scagliato da Gomez, seguirono quello Di Rudio e il terzo di Felici Orsini, Carlo di Pieri non riuscì a partecipare all'attentato in quanto venne riconosciuto durante un controllo di Polizia come clandestino. La deflagrazione delle bombe fu devastante, l’attentato provocò letteralmente una carneficina tra la folla in attesa dell’arrivo di Napoleone III, la blindatura della carrozza riuscì a proteggere la vita dell’Imperatore che ne uscì illeso. Felici Orsini e gli altri congiurati si diedero alla fuga riuscendo a scappare dal luogo dell’attentato ma vennero fermati dalla polizia poche ore dopo. Antonio Gomez fu il primo ad essere arrestato, il suo comportamento nervoso e agitato non passò inosservato e una volta sottoposto a interrogatorio cedette quasi subito confessando i nomi degli altri attentatori, Orsini ferito ad una guancia si liberò della bomba rimanente e della pistola, dopo aver ricevuto una medicazione in una farmacia non molto distante dal luogo dell’attentato si recò nella sua abitazione dove venne arrestato poco dopo dalla polizia.
Orsini fallì l’attentato contro Napoleone III, il suo atto provocò la morte di 12 persone e il ferimento di altre 156, l’orrore della carneficina suscitò sgomento e rabbia nell'opinione pubblica francese.
Orsini e gli altri vennero portati difronte ai giudici, il processo fu breve e nulla valse la difesa dell’avvocato Jules Favre che cercò di non fa passare Orsini come criminale e assassino ma piuttosto un patriota che combatteva per liberare il suo paese dall'oppressione e dalla tirannide. Felice Orsini e Giovanni Andrea Pieri vennero condannati a morte, gli altri due cospiratori vennero condannati all'ergastolo, da scontare attraverso i lavori forzati nell'infernale prigione della Caienna nella Guyana francese.
Fallito l’attentato, Orsini affrontò coraggiosamente il processo e la morte avvenuta il 13 marzo del 1858. Le sue ultime parole prima di essere ghigliottinato gridate con fierezza e decisione furono: “Viva l’Italia! Viva la Francia!”
«Poo po po po po pooo po!» Anonimo, 2006
Prima che fosse condannato a morte, dalla prigione scrisse una lettera a Napoleone III […] che lesse la lettera a lui indirizzata, le parole di Orsini lo colpirono e inaspettatamente acconsentì alla pubblicazione sui giornali.
L’attentato di Felice Orsini e la sua condanna a morte indirettamente, accelerarono il processo di avvicinamento fra la Francia e il Piemonte culminato con gli accordi di Plombières siglati da Camillo Benso Conte di Cavour, il 21 luglio del 1858.  [Living History]
 Di Rudio fu anche al centro di un mistero che non è ancora stato completamente svelato e riguarda i nomi di tutti i componenti dell’attentato. Difatti allo storico Paolo Mastri, che gli scrisse nel 1908 poco prima della morte chiedendogli precisazioni, Di Rudio rispose di aver visto personalmente Felice Orsini consegnare una delle sue bombe nientemeno che a Francesco Crispi. Inoltre Di Rudio sostenne che sarebbe stato proprio Crispi e non Orsini a lanciare la terza ed ultima bomba contro il corteo imperiale. L'esplosiva rivelazione scatenò una furiosa polemica internazionale, che dall'Italia fu ripresa anche dai giornali francesi.
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Dichiarazioni d’amore a se stesso
«B. ti vorrei mio, ti amo»
«Sei l’unico che voglio»
«B. sei bello»
«B. sei carino»
«B. ti amo»
In un primo momento ha negato il suo coinvolgimento, ha anzi avanzato l’ipotesi secondo cui quelle frasi gli sarebbero state dedicate da ragazze innamorate di lui, per la sua professione di “modello su Instagram”; “saranno stati i miei fans”, ha risposto. Una volta resa nota la notizia da parte della Polizia Municipale è crollato ammettendo le sue colpe.
Aveva deturpato alcuni edifici storici della città con vistose dichiarazioni d’amore che si era autodedicato. Per questo il writer narciso  – un ventisettenne – è stato denunciato per il reato di imbrattamento e dovrà ora farsi carico del ripristino dei luoghi.
«Le donne ci ispirano il desiderio di creare capolavori e ci impediscono sempre di realizzarli.» O. Wilde
A identificare il giovane sono stati gli agenti della Polizia municipale grazie alle telecamere di videosorveglianza, che lo avevano ripreso all’opera armato di bombolette. A tradire il giovane è stata tuttavia l’estrema vanità e il suo uso di tag sui social network.
Un controllo incrociato su Instagram, Youtube e altre piattaforme ha permesso agli agenti di risalire a un nome e cognome. Le prove raccolte durante le indagini, coordinate dal Pubblico Ministero Giulia Stignani, hanno fatto scattare il blitz a casa del giovane, dove è stata ritrovata la giacca utilizzata durante le incursioni. Il giovane interrogato all’interno degli uffici del Comando ha ammesso le proprie responsabilità ed è stato quindi denunciato. [Gazzetta di Reggio]
«Il più grande Artista degli anni Dieci» Anonimo
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Valeria Rossi, Tre Parole
«Dammi tre parole Sole, cuore, amore Dammi un bacio che non fa parlare È l'amore che ti vuole Prendere o lasciare Stavolta non farlo scappare Solo le istruzioni Per muovere le mani Non siamo mai così vicini, ah»
Nata a Tripoli ma cresciuta a Mentana, provincia di Roma, ha esordito discograficamente nell'estate del 2001 con il singolo Tre parole, canzone scritta da Liliana Richter, Francesco Cabras e la stessa Valeria Rossi. Il brano, scartato  ça va sans dire dalla partecipazione al Festival di Sanremo 2001 nella categoria "Giovani", è stato pubblicato a metà giugno riscuotendo un successo clamoroso.
Fu il tormentone dell’estate, vendette 10mila copie in tre settimane, vinse il Festivalbar, un triplo Disco d’Oro (200mila copie vendute), un Italian Music Award, rimase in vetta alla classifica per sette settimane, diventando il secondo disco più venduto dell’anno. Una canzone leggera e ottimista facilmente cantabile anche da qualunque “signora” Rossi d’Italia.
«In realtà avevo scritto un testo più intimista, più crudo e crepuscolare, che nel ritornello faceva: “Sono il traditore, sono il tuo dolore, sono la notte che deve passare. Era l’iperbole della speranza che persiste e porta alla rinascita. Il mio discografico ebbe l’intuizione di rendere più gioiosa la frase su quella melodia. Così la frase diventò “dammi tre parole, sole, cuore, amore”» 
[…] Io sono nata a Tripoli, ma da quando avevo un anno ho vissuto in Italia. Ho visto il trauma della mia famiglia attraverso i loro occhi, una famiglia libica da generazioni, costretta a fuggire perdendo tutto. Mio padre aveva un’azienda di import-export. Da parte di mia madre la nostra famiglia era lì dalla prima metà del- l’Ottocento, dai tempi delle Reggenza di Tripoli del Granducato di Toscana. Vivevamo un’anomalia italiana storicamente controversa. Ho studiato Antropologia e, come dovere morale, ho fatto una tesi sulle espressioni artistiche degli italiani d’Africa.
 - Ma non le sembra riduttivo essere ricordata solo per un brano leggero come “Tre parole”?
«A quella canzone devo comunque molto. Perché ho potuto acquistare casa ai miei genitori che erano in affitto, perché ho trasmesso dei sentimenti ed emozioni positive in tante persone». [L’Avvenire]
 Opere Recenti:
Nel 2014 Valeria Rossi ritorna (sotto lo pseudonimo Mammastar) con "La canzone di Peppa" ispirata a Peppa Pig, eroina di un cartone animato amato dai bambini.
Nell'ottobre del 2014 Valeria Rossi pubblica il libro di ricette per bambini intitolato Bimbincucina, con allegato un cd contenente 21 brani-ricetta, Bimbincucina con Valeria Rossi e Carotino.
Nel maggio del 2015 pubblica il libro Tre parole dopo. Riflessioni intorno al successo.
Nel 2018 è tra i concorrenti del talent show di Rai 1, condotto da Amadeus, Ora o mai più, sotto la guida della Maestra Orietta Berti.
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Maciste «Cataratte, Mocassini assassini, Stivaloni fannulloni. Ma Maciste contro Freud è il mio preferito» G.Moretti detto Nanni maciste s. m. – Propr., nome (Maciste) di un personaggio cinematografico dei tempi del film muto, notevole per la sua forza fisica, interpretato dall’attore ligure Bartolomeo Pagano; per antonomasia, uomo di forza eccezionale e di corporatura gigantesca: è un vero m.; spesso iron. o scherz.: si crede un m. (al plur., si credono dei maciste o, più spesso, dei macisti). Maciste è un personaggio cinematografico nato nel film storico Cabiria del 1914, la cui vita è ambientata nel III secolo a.C.; interpretato da Bartolomeo Pagano e diretto da Giovanni Pastrone. Rappresenta un uomo mitologico di straordinaria forza e bontà. Divenne un'icona italiana tanto da essere usato nel linguaggio comune per indicare un uomo dal fisico possente e dotato di forza eccezionale. Negli anni sessanta fu protagonista di molti film del genere cosiddetto peplum. Molte le parodie presentate nel corso degli anni, con Maciste coprotagonista delle disavventure di personaggi quali Totò, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. L'origine del nome Maciste, deriva da un antichissimo soprannome del semidio Ercole, ed è stata attribuita a Gabriele d'Annunzio. La parola deriva dal greco mékistos superlativo di makròs (grande). «Costanzo Show! Italia olé! Mozzill'o Re! Ué!» G.L. Ferretti
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L’ Aperitivo ar Maxxi
«La cultura dell’aperitivo va al museo.» Artibune
«[...] Miliardi agli architetti! [...] neanche Bramante, Palladio, Michelangelo hanno preso tanto. In galera! [...] Architetti ladri! Distruttori! [...] Sai quanto è costato il cesso di Zaha Hadid? 160 milioni di euro! Per un monumento a una troia irachena! [...] Tu non vieni da noi, a distruggere l'Italia, per farti un monumento! Che non serve a niente! E a spendere 50 milioni di euro di opere di merda! Di opere di merda! Perché se non hai i soldi per il Colosseo, è perché hai comprato Andy Warhol, Gilbert & George, dei cacatori di merda! [...] In galera! In galera! Ci sono i soldi, vengono buttati! [...]Roma ha bisogno di un museo d'arte contemporanea, 160 milioni di euro, e non ha bisogno del Colosseo? Il problema della spesa pubblica è capire che cosa è importante fare e non buttare i soldi. Lì, tra gli acquisti e il museo, hanno speso 220 milioni di euro per la merda d'artista.» V. Sgarbi
[...] con l’arrivo dell’estate, le bancarelle sugli argini del Tevere e il brulicare di folle per le strade della Capitale, si affaccia una nuova moda, un’ultima tendenza di dissacrazione: Roma e i romani scoprono, improvvisamente, gli spazi museali. E, sia chiaro, non per gli scopi connaturati a queste strutture: i romani, la gente della notte, i bons vivants dei locali capitolini, nei musei vogliono andare a prenderci l’aperitivo. [...] Che ne sarà di quei musei che hanno la fama di aver reso Roma una città alla stregua delle sue concorrenti internazionali? Luoghi progettati da archistar come Odile Decq e Zaha Hadid, costati al Comune diversi milioni di euro, sembrano non volersi adeguare al trend del resto del mondo, dimostrando ancora una volta un leggero provincialismo, preferendo le organizzazioni di realtà notturne romane a performer della scena globale. Luoghi che dovrebbero appartenere alla Roma culturale, alla Roma dell’arte, alla Roma di respiro (quantomeno europeo) non riescono a trovare una collocazione culturale vera e propria. Ancora una volta sarà la critica a implorare la loro redenzione. [Artibune]
«Uno spazio polifunzionale tra aperitivo caffetteria e bookshop per offrirti una serata di relax con i tuoi amici. Questo è l’aperitivo al Maxxi di Roma nord in zona Flaminio. All’interno del locale Maxxi puoi trovare vari gadget di alto livello che vogliono offrire a tutti gli ospiti idee per regali davvero uniche e particolari. Design, arte moderna e fotografia. Penso non manchi davvero nulla per l’aperitivo di Roma nord, assolutamente non convenzionale.» Eventi Globo
 «Opening Party ore 22.00 ---------------------------------- • Lounge Aperitif // Cocktail Bar • Cena Menù alla Carta Area Privè • Cena Menù Fisso Platea • Ore 23.00 Enter Line senza Obbligo di Consumazione
CONCETTO: ──────── - L'Atmosfera contemporanea di un Museo. - L'impatto archittetonico della stuttura nello sfondo. - La cucina di alta classe del nostro Chef. - Il coinvolgimento e l'entusiasmo dei nostri artisti. - Il piacere inconfondibile di un Giovedi fuori dagli schemi.
Questo Party molto esclusivo ed originale si chiama #IMMATURI ed è stato fondato grazie all'esperienza sul campo di 5 uomini della Notte Romana. All'interno del Ristorante Linea XXI nella magica atmosfera del Museo Nazionale dell'Arte contemporanea del XXI Secolo, nasce il primo format "Cena Spettacolo" interamente dedicato ali Amici Over Age. Il menu' rigorosamente alla Carta da ampia possibiità di scelta. Il format elastico e intuitivo mette a prorpio agio tutti i nostri clienti.
Line Up: ├ Dj Stefano Vitullo ( Mixology Italian Sound ) ├ Dj Andrea Bruzzese (Intro Deep // Dance) ├ Voice ( Damiano Centos)
♣ Via Guido Reni 4/a - Ampio Parcheggio ♣» [LINEA e TYPO al Museo MAXXI, 17 Aprile 2018]
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Lo zio di Christian De Sica e l’omicidio di Trotsky
«Era zio di mia madre, non proprio il tipo che inviti al pranzo di Natale. Era un aristocratico che ad un certo punto è diventato comunista. Poi l'hanno mandato in Messico ad ammazzare Trotsky. Ci hanno fatto anche un film: con Richard Burton che faceva Trotsky e Alain Delon nella parte di mio zio» C.De Sica
Jaime Ramón Mercader del Río Hernández è stato un agente segreto spagnolo naturalizzato sovietico. Nato in Spagna nel 1913, trascorse gran parte della sua gioventù in Francia con la madre Eustacia María Caridad del Río Hernández. Fin da giovane abbracciò le ideologie comuniste, cooperando con organizzazioni di sinistra spagnole verso la metà degli anni trenta. Venne anche imprigionato per attività politica e fu scarcerato nel 1936, quando in Spagna salì al potere un governo di sinistra. Nel frattempo, sua madre divenne agente segreto sovietico e lui la seguì a Mosca dove venne soprannominato dai suoi superiori "Gnome".
Iniziò dunque ad operare per il NKVD - Narodnyi kimissariat vnutrennich del, organo di polizia segreta dell'URSS, ramificato all'estero – dal quale venne incaricato di assassinare Lev Trockij (Trotsky), che diversi anni prima era stato esiliato dall'Unione Sovietica, ma continuava a fare propaganda contro il leader sovietico Stalin attraverso i suoi scritti in Messico.
«Che c'è ‘a rumba? Io sò frocio pa rumba!»
Mercader si trasferì quindi in Messico nell'ottobre del 1939, con un falso passaporto intestato al nome di Jacques Mornard e con la falsa occupazione di uomo d'affari, nato a Teheran da un inesistente diplomatico belga. Attraverso una segretaria statunitense di Trockij, Sylvia Ageloff, che aveva appositamente corteggiato a Parigi e che aveva poi seguito negli USA e in Messico, riuscì a venire a contatto con Trockij, spacciandosi per un seguace canadese delle sue idee politiche. Il politico russo era appena sfuggito, nel maggio del 1940, all'assalto armato organizzato dal celebre pittore David Alfaro Siqueiros, di tendenza staliniana.
Il 20 agosto 1940, Mercader ferì a morte Trockij, sfondandogli il cranio con una piccozza da ghiaccio dal manico tagliato, nella sua residenza a Coyoacán. Mercader fu ferito e quindi arrestato dalle autorità messicane, alle quali non rivelò mai la sua vera identità: tuttavia, venne condannato per omicidio a 20 anni di carcere.
«Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi.» L.Trotsky
«Un discorso molto poetico... Non c'ho capito un cazzo!»
Nel 1953 la sua vera identità venne scoperta ma i suoi legami con NKVD rimasero segreti fino allo scioglimento dell'Unione Sovietica. Il 6 maggio 1960 venne rilasciato dal carcere dopo diverse richieste di grazia. Si trasferì così a L'Avana dove fu accolto da Fidel Castro, che si era appena avvicinato all'URSS. Nel 1961 si recò in Unione Sovietica dove in precedenza il governo staliniano lo aveva insignito con la medaglia d'Eroe dell'Unione Sovietica, una delle più alte onorificenze della nazione: l'onorificenza gli fu successivamente revocata nel 1963 per ordine di Chruščëv.
Trascorse il resto della vita tra Cuba, la Cecoslovacchia e l'URSS. Morì a L'Avana nel 1978 a causa di un sarcoma e venne sepolto a Mosca nel cimitero di Kuncevo, dove tuttora si trova la sua tomba. Il fratello raccontò che Ramón presumibilmente morì a causa delle radiazioni emanate da un orologio da polso donatogli a Mosca dai vecchi compagni. Nell'orologio era stata nascosta una pastiglia di un radionuclide di tallio.
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 Minolity Report: Gianni Minoli, i Bitcoin e un pensionato dell’Esercito
 «L’ho comprato su indernèt. L’ho pagato 120 euro. Mi serviva per fare trading con i bitcoin» F.M.
Roma, 27 Marzo Anno Domini MMXIX.
Si è presentato allo sportello delle poste con l'intenzione di richiedere una carta di credito prepagata ma non volendo ricorrere al suo vero nome e cognome ha presentato un documento fasullo: una carta d'identità in cui risultava avere un nome diverso, Enrico Ferri, ed essere più giovane di 20 anni, ma soprattutto con una fotografia che ritraeva il noto volto del giornalista televisivo Giovanni Minoli. 
[…] È stato proprio questo particolare a far scattare la molla dello sportellista, un dipendente delle poste di via di Torrevecchia, che ha chiamato subito le forze dell'ordine. Quando sono arrivati gli agenti del commissariato Aurelio l'uomo, un 54enne di origine sarda, è stato tratto in arresto. Dopo aver trascorso una notte in una cella di sicurezza l'indomani è stato portato in tribunale. Processato per direttissima, ha patteggiato una pena a 11 mesi di reclusione per falso.
"Sono un pensionato delle forze armate. Volevo fare delle operazioni con i bitcoin. Non avevo in mente nessuna truffa", si è giustificato davanti al giudice, che gli ha fatto notare la somiglianza tra lui e Minoli. "Non so chi sia Minoli, non lo conosco. Ho comprato il documento su internet". Incalzato dalle domande del pubblico ministero Cinzia Dall'Aglio ha spiegato: "L'anonimato nel mercato dei bitcoin serve perché così non vieni derubato dei tuoi veri dati dagli hacker. Non corri il rischio se hai un'identità fasulla - quindi ha concluso - sono in pensione ma ora insieme a un amico, in internet, posso guadagnare anche 700 euro a settimana". [La Repubblica]
«A proposito di criptovalute, in generale, posso dire con quasi certezza che finiranno male: quando o in che modo succederà, non lo so. Se potessi sottoscrivere un contratto put a cinque anni su ognuna di loro sarei felice di farlo, ma non investo neanche un centesimo su di loro. Non ne possediamo nessuna, non siamo short su niente, non le prenderemo mai in considerazione.» W. Buffett
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Rocco Casalino, “La Sfinge dell’Alto Salento”
«Il compito più difficile nella vita è quello di cambiare se stessi.» N. Mandela
«Sono ingegnere elettronico e giornalista professionista, parlo 4 lingue. Ho diretto per 4 anni l'ufficio comunicazione M5S del Senato e sono stato il capo comunicazione di una campagna elettorale al termine della quale il Movimento ha preso quasi il 33%. Se parliamo di merito e lo confrontiamo con lo stipendio dei miei predecessori non ho nulla di cui vergognarmi... anzi.»  R. Casalino
«Rocco, classe '72, era un allampanato ingegnere elettronico nato in Germania ma cresciuto a Ceglie Messapica (provincia di Brindisi), che parlava già sei lingue. Era diventato famoso, anzi famigerato, dal 2000: aveva sfidato a colpi di congiuntivo Marina La Rosa e Piero Taricone; incrociato le telecamere con Platinette e Vittorio Sgarbi; bazzicato l' agenzia di Lele Mora; urticato gli spettatori come polemista nei talk Mediaset più disparati. Allora si guadagnava la pagnotta con televendite da 20mila euro al mese.  Rocco si scelse la sua personale via di Damasco. Mi ricordo i suoi anni di gavetta negli studi di Telelombardia, dove si materializzava all' alba nella trasmissione Buongiorno Lombardia, preparandosi puntigliosamente per il terrore di sbagliare la rassegna stampa e di non poter rispondere alle domande in diretta degli spettatori lombardi, gente che s' incazzava in dialetto e dalla tigna leggendaria. Fu, quel periodo, una sorta di lavacro penitenziale. Rocco rivendicava il suo diritto all' oblio. Voleva far dimenticare le risse in diretta tv, l' accusa di eccesso di botulino e di volgarità.
Nel gennaio 2008 Lamberto Sposini lo chiamò a fare l' inviato di Versus, programma d' attualità sulla barese Telenorba. Per ringraziarlo, Casalino gli scrisse una lettera sul settimanale Dipiù: «Da un anno ero disperato, senza lavoro. Ho studiato giornalismo, ma nessuno mi ingaggiava. Tu mi hai teso la mano e ora sono il tuo inviato speciale».  A Telenorba Rocco lavorò di servizio pubblico, taccuino e suola da scarpe fino al 2012. Fino a quando, cioè, il Movimento 5 Stelle in esplosione cercava candidati dal basso. Rocco, per la prima volta senza un filo di paraculismo, registrò su Youtube un videomessaggio per Grillo e Casaleggio, che era un' autocandidatura per le elezioni regionali: «Sono Rocco Casalino, ingegnere elettronico e giornalista professionista. Penso di essere utile al movimento avendo molte capacità nel parlare con la gente e nel convincere le persone a passare dalla nostra parte. Vi chiedo solo di giudicarmi per quello che sono e di evitare i pregiudizi che ingiustificatamente mi accompagnano da molto tempo…». Venne crocifisso dalla Rete, impiccato ai social come un San Sebastiano qualsiasi: candidatura ritirata. Ma Casaleggio[…] aveva intravisto […] un certo talento per le parole. La comunicazione del Movimento era stata, sino a quel momento, livida e controproducente, come quella della Berlino Est negli anni '70; quindi si poteva riallocare la risorsa.» [Francesco Specchia, Libero Quotidiano]
Dal giugno del 2018 è nominato portavoce e capo dell’ufficio stampa del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte.
«Nei miei confronti ci sono sempre stati attacchi eccessivi. Dopo vent'anni ancora si parla di me come di quello che ha partecipato a un reality, come se nella mia vita non avessi fatto altro. E invece per arrivare dove sono ho sempre studiato e lavorato tanto e onestamente.» R. Casalino
«Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.» C. R. Darwin 
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