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The Dying Saint Sebastian (detail),1789 by François-Xavier Fabre
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Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1916-1918 by Giorgio de Chirico
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Pierre et Gilles è la firma usata dalla coppia di artisti francesi formata dal fotografo Pierre Commoy e dal pittore Gilles Blanchard. L’opera artistica di Pierre et Gilles è il kitsch elevato ad arte, la fotografia che diventa teatro della vita.
Una fotografia ricca di sensualità, una miscela di fascino, poesia e omoerotismo. P & G affrontano tematiche legate alla cultura pop, all’omosessualità e alla pornografia, senza tralasciare i topos religiosi che trovano nelle loro opere una vasta e barocca interpretazione. I due artisti francesi hanno realizzato pubblicità, servizi fotografici per riviste e portato avanti progetti personali in cui le individualità dei due autori si uniscono in un sola anima.
Il metodo con cui operano è un vero e proprio concerto. Pierre realizza le foto e poi Gilles le ritocca con strati successivi di pittura, finché l’opera inserita all’interno di un quadro, diventa reale lasciando il campo dell’immaginario. Le scenografie e la scelta degli oggetti da inserire all’interno delle immagini vengono studiate nei minimi dettagli. Ogni modello è oggetto di una composizione unica e meticolosamente preparata. Lustrini, pailletes, fiori di plastica, palle di natale, vestiti e numerose eccentricità particolari popolano i loro set. Espliciti sono i riferimenti all’iconografia mitica e religiosa che sprigiona nelle loro fotografie in una irrefrenabile sensualità.
Traspare con forza la sublimazione della bellezza, l’estetica del corpo, ma anche un alone di tristezza, sofferenza e disperazione. Immagini piene di colori e umori da fiaba, in cui le forme pompose e esagerate trovano una strana armonia nel tutto, sfumando i confini del quotidiano e dello straordinario, del comune e del sacro.
(https://fotografiaartistica.it/pierre-et-gilles-il-kitsch-fatto-fotografia/)
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Dante et Virgile, (1850)
William-Adolphe Bouguereau
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William-Adolphe Bouguereau (French, 1825-1905)
Jeune fille se défendant contre l’Amour
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William-Adolphe Bouguereau
La Pleiade perduta
La Primavera
Il crepuscolo
Amore e Psiche, bambini
Il rapimento di Psiche
Cupido bagnato
La nascita di Venere
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Sebastião Salgado è un famoso fotografo umanista, considerato uno tra i più grandi fotografi dei nostri tempi. Le immagini di Salgado hanno documentato gli aspetti più scomodi del mondo contemporaneo: il dolore umano derivante dallo sfruttamento, il terrore delle guerre e la distruzione ecologica.
“Sono prima di tutto un giornalista e un fotoreporter. Vorrei quindi che le persone guardassero alle mie foto non come oggetti d’arte, ma come una sorta di veicolo di realtà lontane che ho avuto modo di toccare con mano. Le mie fotografie hanno il compito di influenzare e provocare la discussione nella società in cui vivo, di stimolare il confronto delle idee. Le mie foto hanno un messaggio preciso, raccontano le storie della parte più nascosta della società.”
Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. A 16 anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce le scuole superiori e intraprende gli studi universitari in economia. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi. Qui inizia a intraprendere la carriera di fotografo: lavorando prima come freelance e poi per l’agenzia fotografica Sygma documentando la rivoluzione in Portogallo, la guerra in Angola e gli avvenimenti in Monzabico.
I suoi numerosi viaggi nei paesi dell’America Latina, più di quindici fino al ’83, danno luogo alla pubblicazione di Altre Americhe, un grande affresco sui modi di vita e le condizioni di lavoro dei contadini, quindi l’autore si interessa della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Queste immagini confluiscono nei suoi primi libri. Nel 1994 fonda, insieme a Lélia Wanick Salgado, l’agenzia Amazonas Images, che distribuisce il suo lavoro.
Tra il 1986 e il 2001 si dedica principalmente a due progetti. Prima documenta la fine della manodopera industriale su larga scala nel libro “La mano dell’uomo”. Quindi documenta l’umanità in movimento, non solo profughi e rifugiati, ma anche immigranti verso le immense megalopoli del Terzo Mondo, in due libri di grande successo: “In cammino” e “Ritratti di bambini in cammino”.
Sebastião Salgado è Rappresentante Speciale dell’UNICEF e membro onorario dell’Accademia delle Arti e delle Scienze negli Stati Uniti. Le sue immagini di una popolazione di derelitti colpiscono profondamente l’opinione pubblica e ben presto viene considerato, a giusto titolo, come uno dei più grandi “fotografi umanisti”. Si è meritato i piu’ grandi riconoscimenti della comunita’ internazionale, inoltre vari prestigiosi premi come: Eugene Smith Award for Humanitarian Photography nel 1982, Erna and Victor Hasselblad Award nel 1989, Grand Prix de la Ville de Paris nel 1991, l’Award Publication dell’International Center of Photography e il World press photo.
Genesi
Nel 2013 ha completato il progetto a lungo termine Genesi, un viaggio fotografico nei cinque continenti che documenta la bellezza del nostro pianeta. Genesi segna un profondo cambiamento nell’opera fotografica di Salgado. Per la prima volta, il fotografo brasiliano mette al centro della sua documentazione non più l’uomo, ma immagini di animali e di paesaggi naturali. Il fotografo associa questa sua decisione alla profonda disperazione che consegui il genocidio in Ruanda nel 1994, durante il quale furono uccise almeno 800.000 persone. L’altro grande cambio è tecnico. Nonostante, Salgado abbia iniziato Genesis usando una macchina fotografica analogica, si è visto costretto a cambiare in corsa al digitale, a causa della maggiore facilita di trasporto e dei problemi con gli scanner dopo gli attentati dell’11 Settembre.
Salgado non si concentra più sul problema come in passato, ma attuando un giro teorico, non fotografa ciò che viene distrutto, ma ciò che è ancora incontaminato, per mostrare ciò che dobbiamo proteggere. Nonostante Genesi cavalchi la bellezza estetica tanto cara a Salgado, perde la forza che altri progetti avevano dal punto di vista politico. Le immagini del fotografo brasiliano sembrano diventare neutrali: bellissime e preziose immagini della biodiversità del pianeta che finiscono, tuttavia, solo nell’essere contemplate.
Lo stile delle foto di Sebastiao Salgado
Il bianco e nero delle fotografie di Sebastiao Salgado è doloroso, sconcertante, condito della parte più cruda dell’esistere: la sofferenza. Le stampe raffigurano una fuga senza sosta, un calvario continuo, dalle nuove schiavitù al martirio di interi paesi sconvolti dalla guerra. Le opere sono ispirate a quelle dei maestri europei, con un pizzico di cultura sudamericana. Parlano di realtà calpestate, del non rispetto per i diritti dei lavoratori, della povertà e degli effetti distruttivi dell’economia di mercato nei paesi più deboli.
Salgado è stato spesso criticato a causa del suo stile altamente estetizzante, che risulta, spesso, opposto all’argomento trattato. Durante la registrazione di eventi tragici e dolorosi, il fotografo brasiliano crea opere che sono l’incarnazione dell’idea di bellezza. Il critico Ingrid Sichy afferma a tal proposito che: “abbellire la tragedia umana produce immagini che alla fine rafforzano la nostra passività verso l’esperienza che rivelano“. Credo, tuttavia, che attraverso questa bellezza formale, le immagini di Salgado diventino simboliche e universali. Nonostante, infatti, le fotografie di Salgado siano frutto di singole registrazioni di eventi specifici nel tempo e nei luoghi, hanno il potere di trascendere la loro unicità, per ergersi a contenuto universale.
La vera forza di Salgado è la straordinaria unione tra il contenuto dei suoi reportage e la perfezione formale e compositiva del suo lavoro. Il linguaggio fotografico è legato all’estetica, un linguaggio scritto con la luce, da ammirare in silenzio. L’indubbio valore plastico che lo contraddistingue, tuttavia, esula dall’essere fine a se stesso e diventa mezzo per informare, per provocare discussioni, dibattiti e sentimenti. La forza delle immagini restituisce un’ idea forte, un racconto che arriva «dentro» alle cose per «parlare» meglio a tutti.
Salgado e la fotografia analogica e digitale
Salgado ha scattato sempre nel modo tradizionale, usando pellicola fotografica in bianco e nero e tre fotocamere: una Leica reflex con obiettivo 28mm, una Leica M con obiettivo 35mm e una reflex Leica con obiettivo 60 mm. Negli ultimi anni ha utilizzato una fotocamera medio formato, la Pentax 645, per ingrandire maggiormente le sue stampe. Tuttavia dopo gli attentati dell’11 Settembre, i maggiori controlli negli aeroporti e la difficoltà di trasporto delle numerose pellicole durante la realizzazione del progetto Genesi (dal 2003 al 2013), hanno spinto Salgado ad un cambio, in corsa, verso la tecnologia digitale.
Fonte: Sebastiao Salgado – Maestri della fotografia di Giuseppe Santagata
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Tracey Emin, from the “Angel without You” exhibition.
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Alighiero Boetti (1940-1994) – o Alighiero e Boetti come si firma a partire dal 1971 – nasce a Torino dove esordisce nell’ambito dell’Arte Povera nel gennaio del 1967.
Nel 1972 si trasferisce a Roma, contesto più affine alla sua predilezione per il Sud del mondo. Già l’anno precedente ha scoperto l’Afghanistan e avviato il lavoro artistico che affida alle ricamatrici afghane, tra cui le Mappe, i planisferi colorati che riproporrà lungo gli anni, come registro dei mutamenti politici del mondo.
Artista concettuale, versatile e caleidoscopico, moltiplica le tipologie di opere la cui esecuzione – in certi casi – viene delegata con regole ben precise ad altri soggetti e altre mani, assecondando il principio del ‘la necessità e il caso’: così le biro (blu, neri, rossi, verdi) in cui la campitura tratteggiata mette in scena il linguaggio; così i ricami di lettere, piccoli o grandi, e multicolori; o i Tutto, fitti puzzle in cui si ritrovano silhouette eterogenee tra cui sagome di oggetti e di animali, immagini tratte da riviste e carta stampate, e molto altro, davvero ‘tutto’.
Ci sono inoltre i lavori postali giocati sulla permutazione matematica dei francobolli, l’aleatoria avventura del viaggio postale e la segreta bellezza dei fogli contenuti nelle buste.
Un altro settore dell’opera di Boetti, di mano inconfondibilmente sua, offre nei primi anni 70 tanti ‘esercizi’ su carta quadrettata, basati su ritmi musicali o matematici; successivamente su carta, composizioni leggere in cui scorrono schiere di animali memori della decorazione etrusca e pompeiana. Il tempo, il suo scorrere affascinante e ineluttabile, è forse il tema unificante della pluralità tipologica e iconografica di Boetti.
Alighiero Boetti ha esposto nelle mostre più emblematiche della sua generazione, da When attitudes become form (1969) a Contemporanea (1973), da Identité italienne (1981) a The italian metamorphosis 1943-1968 (1994).
E’ più volte presente alla Biennale di Venezia, con sala personale nell’edizione del 1990, un omaggio postumo nel 2001 e con un’ampia mostra alla Fondazione Cini nella recente edizione del 2017.
Tra le mostre più significative degli ultimi anni è stata realizzata la grande retrospettiva Game Plan in tre prestigiose sedi (il MOMA di New York, la Tate di Londra, il Reina Sofia di Madrid).
Dell’ampio corpus di opere molte sono conservate in diverse sedi museali italiane ed internazionali, tra cui il Centre Pompidou di Parigi, Stedelijk Museum, il MOCA di Los Angeles, ecc. (vedi Boetti nei musei)
La sua opera nonché la sua figura d’artista hanno fortemente influenzato la generazione successiva e gli artisti di oggi, in Italia e nel mondo.
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The following pieces of morbid art are by Nicola Samori, a 35 year old Italian artist. He says “My work stems from fear: fear of the body, of death, of men. I think my nature as an artist is something like feeling hopeless. Works are just temporary shelters and painting is a leisure place where you can conceal yourself.”
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Emilio Vedova
https://www.finestresullarte.info/arte-base/emilio-vedova-vita-opere-pittura-informale
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”Io non faccio foto, faccio parte dell’evento, in questo senso non mi considero un fotografo”.
E’ in questo modo che il grande Robert Mapplethorpe amava definirsi: non un fotografo ma un artista, un vero e proprio reporter ed interprete del corpo umano. Si tratta infatti del suo soggetto preferito, non visto e trasposto in modo meccanico e sterile, bensì in modo sensuale e vitale. Nei suoi scatti il corpo umano torna ad incarnare la vera bellezza, quella propria delle sculture dei grandi artisti classici.
Robert Mapplethorpe è stato un fotografo americano espressione d’avanguardia.
Tra i fotografi famosi Mapplethorpe racconta tra le sue opere la sua vita, in un mix di fotografia e scultura. E’ il più auto-biografico tra i fotografi contemporanei. Muore di HIV lasciando un patrimonio fonografico di grandissimo valore.
Robert Mapplethorpe è nato nel 1946 a Floral Park, nel Queens. Della sua infanzia ha detto: “Vengo dalla periferia americana. Era un ambiente molto sicuro ed era un buon posto da cui venire in quanto era un buon posto da cui partire”.
Nel 1963 Mapplethorpe si iscrisse al Pratt Institute nella vicina Brooklyn, dove studiò disegno, pittura e scultura. Influenzato da artisti come Joseph Cornell e Marcel Duchamp, ha anche sperimentato vari materiali in collage a tecnica mista, comprese immagini ritagliate da libri e riviste. Nel 1969, lui e Patti Smith, che aveva conosciuto tre anni prima, si trasferirono al Chelsea Hotel. Mapplethorpe ha acquistato una fotocamera Polaroid nel 1970 dall’artista e regista Sandy Daley e ha iniziato a produrre le proprie fotografie da incorporare nei collage, dicendo che si sentiva “più onesto”.
Muore nel 1989 di HiV.
Mapplethorpe ha trovato rapidamente soddisfazione scattando fotografie Polaroid a pieno titolo e in effetti poche Polaroid compaiono effettivamente nei suoi lavori a tecnica mista. Nel 1973, la Light Gallery di New York City ha allestito la sua prima mostra personale in galleria, “Polaroids”. Due anni dopo ha acquistato una fotocamera Hasselblad di medio formato e ha iniziato a fotografare la sua cerchia di amici e conoscenti: artisti, musicisti, socialite, star del cinema e membri dell’underground S & M. Ha anche lavorato a progetti commerciali, creando copertine di album, comprese copertine per Patti Smith e Television e una serie di ritratti e foto di feste per Interview Magazine.
Alla fine degli anni ’70, Mapplethorpe divenne sempre più interessato a documentare la scena S & M di New York. Le fotografie risultanti sono scioccanti per il loro contenuto e notevoli per la loro maestria tecnica e formale. Mapplethorpe disse ad ARTnews alla fine del 1988: “Non mi piace quella parola in particolare” scioccante “. Cerco l’inaspettato. Cerco cose che non ho mai visto prima … Ero in grado di fare quelle foto. Mi sentivo in obbligo di farle “. La sua carriera ha continuato a fiorire. Nel 1977, ha partecipato a Documenta 6 a Kassel, nella Germania occidentale e nel 1978 la Robert Miller Gallery di New York City è diventata il suo rivenditore esclusivo.
Mapplethorpe ha incontrato Lisa Lyon, la prima campionessa mondiale di bodybuilding femminile, nel 1980. Negli anni successivi hanno collaborato a una serie di ritratti e studi sulla figura, un film e il libro Lady, Lisa Lyon. Per tutti gli anni ’80, Mapplethorpe ha prodotto immagini che sfidano e allo stesso tempo aderiscono agli standard estetici classici: composizioni stilizzate di nudi maschili e femminili, delicate nature morte di fiori e ritratti in studio di artisti e celebrità, per citare alcuni dei suoi generi preferiti. Ha introdotto e perfezionato diverse tecniche e formati, tra cui Polaroid a colori 20 “x 24”, fotoincisioni, stampe al platino su carta e lino, cibachrome e stampe a colori transfer dye. Nel 1986, ha progettato le scenografie per la performance di danza di Lucinda Childs, Portraits in Reflection, ha creato una serie di fotoincisioni per A Season in Hell di Arthur Rimbaud ed è stato incaricato dal curatore Richard Marshall di scattare ritratti di artisti di New York per il libro 50 New York Artisti.
Quello stesso anno, nel 1986, gli fu diagnosticato l’AIDS. Nonostante la sua malattia, ha accelerato i suoi sforzi creativi, ha ampliato la portata della sua ricerca fotografica e ha accettato commissioni sempre più impegnative. Il Whitney Museum of American Art ha allestito la sua prima grande retrospettiva in un museo americano nel 1988, un anno prima della sua morte nel 1989.
fonte: Robert Mapplethorpe tra fotografia e scultura Vincitori Fineart
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