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bpanofsky · 3 years ago
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Nuovo egoismo
Una premessa: “Dopo la pandemia” ha raggiunto lo stesso livello di insulsaggine di “Dopo la caduta del muro di Berlino” o di "Dopo la fine delle ideologie".
Ma è un fatto che il periodo post pandemico ha cambiato totalmente la percezione del lavoro in un’ampia fetta di popolazione occupata a svolgere lavoro dipendente. Tutte le potenzialità creative legate all’ecosistema dei social media sono state esplorate, emerge sempre di più la tendenza a dare un peso importante al privato delle persone e alla necessità di mantenerlo tale. Le persone vogliono rendere le cose di nuovo private. E rendere le cose di nuovo private significa concentrarsi sul privato personale, abbellirlo, renderlo vivibile al massimo delle sue potenzialità. Per fare questo serve una netta cesura tra privato personale e vita lavorativa. Quello che impropriamente viene chiamato smart working, è di fatto un’esperienza di cui il lavoratore dipendente va in cerca per poter rubare tempo al lavoro e destinarlo ad altro. Ancora è difficile individuare che cosa sia veramente questo Altro a cui si tende: tempo libero, famiglia, viaggi, esperienze artistica, coltivare la noia sul divano. Siamo in presenza di una frammentazione del mondo culturale: non sembra esserci per il momento una visione coerente, unica e dominante nella musica o della moda, nel cinema o nella letteratura. Si percepisce la voglia di immaginarsi alle porte di un’epoca nuova non ancora definita, non ancora distinguibile dalla coda del disastro e non ancora vincente sul baratro. Guerra, cambiamento climatico, costo dell’energia, inflazione e recessione sono spettri all’orizzonte pronti a fare ciao ciao con la manina. Forse il fenomeno “grandi dimissioni” è stato descritto con troni un filino sopra le righe, sia per gli entusiasti che per i terrorizzati, forse tutto è immaginato e non è altro che un lento percorso inverso che ci riporterà alla normalità. Ma non è difficile imbattersi in realtà che dicono altro.
Siamo stati costretti a fare i conti con l’emergenza, con la sanità a pezzi, con idee antiscientifiche sulla bocca di tutti, con una pausa dalla vita e con la morte, in un tempo brevissimo e senza poter progettare una via di fuga. Chiusi nelle nostre case molti noi hanno condotto un’analisi spietata sulla parte pratica della vita: perché non abbiamo due bagni? E il giardino? Perché devo fare 100 km per lavorare? Perché non mi pagano se non posso lavorare per cause di forza maggiore? Quanto mi costerà fare un figlio?
Negli anni questi (e altri, ci mancherebbe) temi sono stati talmente politicizzati che mi sembra sempre più evidente il desiderio della gente ad essere meno vincolata da considerazioni politiche o pubbliche. Questo non vuol dire far venir meno l’impegno politico (da chi ci si mette in prima persona, all’attivista e fino all’elettore che discute con i suoi amici durante una campagna elettorale), ma significa smettere di accettare acriticamente narrazioni confortanti perché vicine ai propri principi o alla parte politica alla quale ci si sente più vicini (o meno lontani…). Su questo valga ad esempio lo scempio della sanità lombarda dopo che per decenni in molti, anche di area politi diversa di chi lo ha inventato, ha lodato il “modello lombardo”.
Ma non sarà la politica e nemmeno l’attivismo (sì anche quello green) a vivere un nuovo rinascimento. Se un’epoca nuova è alle porte, e se riesce ad entrare, vedrà protagonista la persona. Ogni grande crisi mondiale (guerra, cambiamento climatico, costo dell’energia, inflazione e recessione e tutto quello possiamo immaginare sotto la parla “crisi”) sarà letta con una sola lente, non più come grandi comunità ma come singolo individuo legato ad altri (pochi) individui.
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