Libertade | giustìssia | sotzialismu |indipendèntzia de Sardigna | onni tantu fintzas mùsica metal.
Don't wanna be here? Send us removal request.
Text
Tambene!
Faghet male oe a suportare s'Inghilterra, ma non si podet tifare Itàlia.
Su de importu no est chi s'Inghilterra bincat, ma chi s'Itàlia perdat!

11 notes
·
View notes
Text
Parleremo quindi della cittadinanza onoraria a Mussolini tecnicamente ancora valida in svariati comuni italiani (fra cui Bologna).
Dici: no, perché parlarne, che fa anche caldo? Perché se ne discuteva via mail con alcuni amici e non avendo energie mentali per scrivere dei post sensati, economizzo copiaincollando le mail che mando agli amici. Reduce, Reuse & Recycle sempre, soprattutto cognitivamente.
Ma andiamo in ordine cronologico:
Nel 1923, pochi mesi dopo l’insediamento di Mussolini al governo, furono diversi i capoluoghi a riverirlo con tale onorificenza, come Bologna, Firenze, Ravenna e Napoli, seguiti l’anno successivo da altre città come Mantova, Bergamo e Brescia. (*)
Nel 1924 (anno frizzantino) dopo quelle elezioni lì, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani lanciò una bella iniziativa: facciamo Benito Mussolini cittadino onorario in tutti i comuni d’Italia. Sarebbe proprio un peccato non farlo.
A onor del vero metodologicamente non è stato un unicum: con tutte le dovute proporzioni e distinguo del caso, l’iniziativa nazionale per onorificenze comunali su tutto il territorio è una roba che sta avvenendo anche quest’anno per il “milite ignoto”. Ho sentimenti contrastanti ad avere un milite ignoto come concittadino. Cioè il concittadino è un’entità particolarmente concreta, il milite ignoto è, per definizione, ignoto. Questo renderebbe le onoreficenze comunali una sorta di linguaggio non tipizzato, e se c’è una cosa che ho imparato da javascript è che non è una buona idea. D’altro canto, l’apprezzamento per i concittadini ignoti è una buona palestra mentale, quindi magari avrebbero potuto tralasciare “milite” e proporre di dare la cittadinanza onoraria alle persone ignote. Sarebbe molto bello.
Sto divagando.
Torniamo al ventennio e alla quantità imprecisata di comuni italiani fra cui Bologna che cittadinizza onorificamente Mussolini.
Poi accade tutto quello che accade, e il problema di quella cittadinanza onoraria emerge a svariati anni di distanza in maniera isolata con esiti diversi di comune in comune.
A Bologna in particolare è una bega da aspetti amministrativi oltre che politici: da noialtri non basta un ordine del giorno di giunta (comunque dagli esiti non scontati): il regolamento comunale sul tema prevede che si possano rimuovere onorificenze solo se uno non è ancora schiattato. Per toglierla quindi devi prima modificare il regolamento comunale, ed è un terreno un poco minato per mille motivi, fra tutti che presti il fianco a critiche facili su perdite di tempo in giunta ed è una strada senza ritorno perché apri la strada ad ogni sorta di revisionismo rapido (un giorno che cambi colore la giunta con una maggioranza alta potrebbe togliere la cittadinanza onoraria ad altri schiattati che invece la meritavano).
E’ un tema perfetto per fare paglione mediatico (a quelli di repubblica in particolare, che avevano sollevato la questione con la giunta Del Bono e ora ad un passo dalle amministrative sono passati direttamente agli idranti caricati a benzina)
Quindi boh, in genere sulle questioni ideologiche la vedo molto bianco/nero, qui ho delle perplessità più legate al percorso tecnico che al risultato finale. Che mi rendo conto essere una posizione quasi democristiana quindi facciamolo fino in fondo ricorrendo all’arma finale di chi si vuole sottrarre ad una discussione, il benaltrismo spinto: a livello di priorità, mi dà molto più fastidio vivere in una città che nel 2019 ha dato una piazza in centro ai quattro gatti di Fiore o che nel 2021 ha autorizzato una manifestazione fascista ad altri due gatti per il primo maggio che avere benito come cittadino onorario per un atto amministrativo di reversibilità non immediata.
22 notes
·
View notes
Text
Finché l'Italia sarà il colonizzatore per la Sardegna, ci è impossibile affermare che una Sardegna senza l'Italia sarebbe un posto peggiore di quello che è già.
Comprensibile che si tratti di un'incognita per i più, tuttavia l'ingerenza italiana rende quest'incognita sia un pregiudizio che una certezza.
Prima gli strumenti per l'indipendenza, poi l'indipendenza seguirà. Stare in Italia, attualmente, significa negare proprio quegli strumenti e lo stato di disfunzionalità in cui ci troviamo ne è la dimostrazione.
1 note
·
View note
Text
If you’re a leftist who doesn’t prioritise the liberation of oppressed and minority groups, then you shouldn’t be calling yourself a leftist at all.
88 notes
·
View notes
Photo

💗 Si va in Sardegna?
#ilrocknonèmortoèmirto #sardegna #sardinia #mirto #mirtorock #agitoriu #lemagliettecazzute (at Le Magliette Cazzute) https://www.instagram.com/p/CN7_I1HFIBG/?igshid=1qmfypt9p786n
2 notes
·
View notes
Quote
Yes, Marcos is gay. Marcos is gay in San Francisco, black in South Africa, an Asian in Europe, a Chicano in San Ysidro, an anarchist in Spain, a Palestinian in Israel, a Mayan Indian in the streets of San Cristobal, a Jew in Germany, a Gypsy in Poland, a Mohawk in Quebec, a pacifist in Bosnia, a single woman on the Metro at 10pm, a peasant without land, a gang member in the slums, an unemployed worker, an unhappy student and, of course, a Zapatista in the mountains. Marcos is all the exploited, marginalised, oppressed minorities resisting and saying ‘Enough’. He is every minority who is now beginning to speak and every majority that must shut up and listen. He is every untolerated group searching for a way to speak. Everything that makes power and the good consciences of those in power uncomfortable – this is Marcos.
Subcommandante Marcos, EZLN (via commievoltie)
243 notes
·
View notes
Photo
Ma io ho l’impressione che la solidarietà non sia diffusa nemmeno così tanto fra quelli che non leggono in proposito.
Alzi la mano chi è stato lasciato nella merda da lettori e non lettori. I primi compiono atti di ipocrisia, i secondi nemmeno se ne capacitano. Non è una gara a chi è peggio.
Ripartiamo dalla concretezza: la solidarietà è soprattutto un atto pratico.

231 notes
·
View notes
Text
Ambasciatori culinari della sardità
Mi chiedo come non facciano a vergognarsi i ristoratori che si pongono come "ambasciatori" della sardità all'estero.
Mi capita di guardare Food Network e sto notando che ogni tanto viene riscoperto il patrimonio culinario sardo. Apparentemente.
La cosa che accomuna ristoratori sardi in Sardegna con quelli che sono all’estero è la volontà di rappresentare l’isola, però in maniera stereotipata. I primi la vorrebbero rappresentare ai turisti nella maniera in cui i turisti se la immaginano, mentre all’estero, inconsapevoli del fatto che gli autoctoni avranno un’idea della Sardegna costruita anche a partire da ciò che il ristoratore propone, rappresentano la Sardegna come se gli autoctoni fossero a loro volta dei turisti. In ogni caso, parliamo della barbarie del piegare il patrimonio culinario sardo alle esigenze di un occhio esterno, che nella pratica non è esigente, ma che viene accontentato nelle esigenze che il ristoratore si è figurato. Non è il cliente che chiede dei cibi particolari, ma è il ristoratore che glie li propone secondo la congettura che si è fatto riguardo le potenziali richieste.
E quindi andiamo con una piccola lista di minchiate che il ristoratore potrebbe evitare per non risultare ridicolo agli occhi del cliente, sia esso turista in Sardegna, sia esso autoctono sardo in Sardegna, sia esso autoctono laddove il ristorante è all’estero:
menù scritto in sardo (ottimo) ma con errori ortografici (male, malissimo);
nel menù, quando si scrive in sardo, non ci vogliono le vocali paragogiche: malloreddus, non malloreddusu, macarrones, non macarronese, culurgiones, non culurgionese;
non ci vuole lenizione: si màndigat / si papat, non si màndigada / si pàpada, sa cariasa, non sa gariasa, sa purpuza, non sa burpuza, su crabitu, non su grabitu, su pische, non su bische;
non ci vuole doppia Z ma si usa il nesso TZ sulle parole sarde in cui il suono della /Z/ è sordo: arantzu, non aranzu, petza, non pezza, sartitza, non sartizza;
le consonanti si scrivono anche se saltano nella pronuncia: su binu, non su ‘inu, porcheddu, non por’eddu, su casu, non su ‘asu;
portare il porcheddu ma tradurlo con porcetto;
se scrivi “seadas”, vuol dire che ne servirai più di una; se invece è previsto che il cliente riceva solo una seada quando ordina, allora non si scrive la S finale;
affermare che il menù sia scritto in dialetto o che una determinata cosa si dica in una certa maniera nel nostro dialetto: il sardo è una lingua, e nascondere questo elemento contribuisce alla mancanza di tale riconoscimento a livello complessivo;
proporre pietanze stereotipate parlandone alla prima persona plurale, ad esempio "noi facciamo", "noi mangiamo", perché in Sardegna certi cibi non sono cibi quotidiani ma sono cibi della festa, o cibi paraliturgici, o di determinati periodi dell’anno;
avere una scelta limitatissima di formaggi: esiste un mondo oltre il pecorino stagionato, ed è bene fare una selezione ricercata da portare al ristorante;
vedere la carne di pecora come cibo da sagra di paese;
dipingere come ancestrale e misterioso il menù: siccome la modernità è sempre arrivata in Sardegna, benché con tempistiche leggermente diverse, spesso si mangiano cose comuni a tutto l’Occidente e bisogna ricordare che avere un ristorante non implica che si stia rappresentando la quotidianità della dieta sarda, e alle volte nemmeno la tipicità benché così la si voglia spacciare, dell’alimentazione sarda;
far leva sullo stereotipico: bisogna contare invece sul tipico, sul prodotto genuino, e restituire originalità attraverso l’estro dei cuochi;
riferirsi ad una cucina popolare diffusa ed uniforme, come se invece non si dovesse tener conto del fatto che, molto più frequentemente, le ricette sono definite in base alla tradizione di famiglia o al massimo condivise dal proprio paese di provenienza, e che in ogni caso nessun ristoratore deve millantare di proporre la ricetta originale come se fosse titolare di una patente;
portare solamente cibi grassi e a base di carne: c’è cibo oltre la carne, la Sardegna ha tantissime ricette vegetariane ed è una cosa normale perché la carne è stata un lusso fino a tempi relativamente recenti, e ci sono anche tante ricette di pesce, basta non pescare solamente dal ricettario simil-montagnino (basti vedere la cucina di Carloforte, o di Alghero, o di Cabras);
i malloreddus alla campidanese hanno rotto il cazzo;
il porcheddu ha rotto il cazzo;
esporre bandiere tricolore: vanno tolte dal locale, sia perché Sardigna no est Itàlia e quindi non si capisce perché il tricolore debba essere esposto in luoghi particolarmente visibili come se fosse indizio di qualcosa di qualitativo, e sia perché si suppone che la clientela sia venuta a mangiare sardo e non italiano, altrimenti sarebbe andata in un locale di cucina italiana e non nella sua brutta copia aperta da un ascaro sardo ma anche italiano™ all’estero;
murta, non mirto;
limoneddu, non limoncello;
portare l’Ichnusa, quando invece è pieno di birre sarde che vale la pena portare in un ristorante, e si suppone che chi vada al ristorante non ci tenga a rovinarsi l’esperienza del sorseggiare la birra con l’Ichnusa venduta a caro prezzo;
appiattire il menù sulle presunte esigenze di una clientela che invece non sa esattamente cosa aspettarsi il più delle volte: infatti il ristoratore, che spesso si nasconde dietro la volontà di vendere il più possibile attraverso un menù stereotipato, non si accorge o non vuole rendersi conto che ha una pesante influenza sulle aspettative del cliente e che abbia quindi un ruolo attivo nell’educare al gusto e nel costruire quell’immaginario che il cliente avrà nello sperimentare una delle possibili cucine sarde, insomma diremmo che il cliente non viene al ristorante con desideri definiti ma è il ristoratore che definisce l’immaginario di quel desiderio;
parlare come se si fosse ambasciatori della sardità: ricordate che nessuno vi ha dato questo titolo, e anche se ve l’arrogaste, stareste ricoprendo male tale incarico se vi riconoscete i molti punti precedenti.
Altri suggerimenti?
26 notes
·
View notes
Text
Cumenti s’intendi la Gaddhura in statiali
0 notes
Text
Avete mai sentito parlare dell’Assemblea Natzionale Sarda?
Da alcuni mesi è nata l’Assemblea Natzionale Sarda (ANS), un’associazione apartitica, ma chiaramente non apolitica, che lavora alla crescita della coscienza nazionale per l'autodeterminazione del popolo sardo.
La propaganda è plurilingue per scelta politica, e bi diat mancare (!). Esistono dei nuclei territoriali sardi ma esiste anche un nucleo extraterritoriale chiamato disterru, che aggrega gli emigrati sardi che vogliono far parte dell’ANS.
Al momento si può seguire su Facebook, su Twitter e su Instagram.
0 notes
Text
Ripensare la Sardegna dopo la pandemia
Sarebbe il caso di iniziare a pensare cosa si vuol fare dopo la pandemia, che si presuppone che non durerà in perpetuo. Tempo alcuni mesi, massimo un anno, e il ritmo della vita in Sardegna sarà più o meno simile a quello precedente a inizio marzo 2020.
Un tempo qualunque soggetto politico rivoluzionario avrebbe atteso con ansia un momento di crisi per far saltare le contraddizioni in seno allo status quo e creare le condizioni per una redistribuzione delle ricchezze, e le occasioni sarebbero state cose come le rivolte per il prezzo di beni di prima necessità, le rivolte per il prezzo dei trasporti pubblici, le epidemie.
Vorrei che uscissimo collettivamente dall’ottica secondo cui bisogna sempre e solo obbedire alle indicazioni governative a prescindere da quali esse siano. La Sardegna ha uno Statuto d’Autonomia che si può sfruttare, benché l’attuale giunta regionale, coerentemente con la storia dell’autonomia regionale fino ad ora, non ne stia usufruendo. Oltre a questo, dovremmo iniziare ad esercitare il nostro diritto all’autodeterminazione, a partire dalle contraddizioni isolane calate nella situazione materiale attuale. Non si tratta di mettere in dubbio la profilassi contro l’espansione della pandemia, perché quello è un dato tecnico, ma di mettere in luce quali siano le misure adottate in maniera goffa sia dalla Regione che dallo Stato, e quali siano i problemi relativi ad un blocco parziale del tessuto economico, che ancora una volta non sta danneggiando seriamente capitalisti, caporali, ed oligopoli vari presenti in Sardegna ma che penalizza seriamente lavoratori in nero, braccianti agricoli, disoccupati, partite IVA, piccole aziende che non producono (né vendono) alimentari o non vendono carburanti.
La parola a te che leggi.
1 note
·
View note
Text
Svendita Italia o propaganda fascista?
Riporto un intervento che ho scritto altrove alcuni mesi fa, su una falsità sparsa in rete circa delle aziende italiane. L’intento non è difendere delle aziende italiane, e ci mancherebbe per un blog indipendentista, quanto invece quella di smontare una retorica fascista sovranista, che addosserebbe ad una certa “sinistra” la causa di una svendita di alcuni ambasciatori del made in Italy.
La propaganda sovranista, o per meglio dire fascista, si accompagna sempre ad una serie di falsità che pervadono il discorso politico, inquinandolo con una retorica vittimista. Le manie di persecuzione sono all'ordine del giorno e viene incolpato il nemico del momento di cose che sono accadute anni prima che quel nemico esistesse, o gli vengono attribuite responsabilità laddove il nemico non ne ha mai avute.
In questo post non ho intenzione di difendere il Partito Democratico, del quale non sono mai stato elettore, e non ho intenzione nemmeno di glorificare il made in Italy. L'intento è invece quello di confutare un argomento che i fascisti tirano fuori di tanto in tanto: la vendita di colossi aziendali storici a compagnie estere sarebbe colpa di questo o quel governo che di volta in volta individuano come bersaglio. Oggi tocca al PD e domani magari no, ma sempre con questo stesso argomento infondato.
Andiamo con ordine:
Wind: non è mai stata completamente italiana, infatti Wind Telecomunicazioni nasce alla fine del 1997 grazie all'investimento di Enel, France Télécom e Deutsche Telekom; nel 2010 Veon Ltd. (precedentemente VimpelCom Ltd.) rileva Wind; Veon Ltd. è una multinazionale delle telecomunicazioni fondata a Mosca, registrata a Bermuda e con sede ad Amsterdam ed è controllata per il 47,9% dall'olandese LetterOne del magnate russo Mikhail Fridman e per il 19,7% dalla norvegese Telenor; Wind, attraverso la Veon Ltd., entra a far parte della joint venture di Hong Kong CK Hutchison nel 2015.
Telecom: nata pubblica col nome di SIP nel 1964, viene privatizzata nel 1997 sotto il Governo Prodi, e passa nel 1997 alla famiglia Agnelli; viene acquistata poi da Olivetti nel 1999 ma Bell, società con sede in Lussemburgo, il 22% delle azioni di Olivetti; nel 2001 Telecom passa a Olimpia Spa, società con partecipazione di Pirelli (al 60%), Edizione Holding dei Benetton, Banca Intesa e Unicredito Italiano; nel 2007 passa a Telco S.p.A., patto di controllo composto da Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo, Sintonia e Telefónica (Spagna); nel 2016 il maggiore azionista di Telecom è Vivendi, società francese di telecomunicazioni; nel 2018 il ai vertici dell'azienda c'è l'Elliott Management Corporation, società statunitense di gestione degli investimenti, ma Vivendi (Francia) è ancora il maggio azionista con quasi il 24% delle azioni; Telecom ha ancora sede in Italia.
Stock: viene acquisita nel maggio del 1995 dalla Eckes A.G., società tedesca che produce e distribuisce alcolici e succhi di frutta; nel 2007 diventa proprietà del fondo americano "Oaktree Capital Management" e dal 2012 la produzione viene completamente delocalizzata nella Repubblica Ceca.
Sasso: nasce nel 1860 in Liguria; passa alla società spagnola Deoleo nel 2005, che acquisisce la Minerva Oli S.p.a., che possedeva il marchio Sasso.
Sanpellegrino: nasce nel 1899 e viene acquisita dalla Nestlé (Svizzera) nel 1997; la produzione è ancora in Italia.
Riso Scotti: nasce nel 1860 ed è ancora italiana, ma i capitali sono per il 40% della società Ebro Food (Spagna) dal 2016.
Benelli: nasce nel 1911 e viene comprata nel 2005 dalla Qianjiang Group (Cina); la produzione Benelli è ancora in Italia.
Parmalat: nasce nel 1961 ma dal 2011 è controllata dalla multinazionale francese Lactalis.
Star: nasce nel 1948; nel 2006, il 50% dell'azienda viene acquisita dal gruppo alimentare spagnolo Gallina Blanca del Gruppo Agrolimen (Catalogna).
Pomellato: nasce nel 1967 e nell'aprile 2013 l'azienda diventa della holding Kering (Francia).
Pernigotti: nasce nel 1868 e viene acquisita nel 2013 da Toksöz, società turca, che dal 2018 ha deciso di interrompere le attività dello storico stabilimento di Novi Ligure ma di non dismettere il marchio.
Consorzio del Vino Chianti Classico: nasce nel 1987, ma non è un'azienda ed il suo compito è disciplinare e tutelare il vino prodotto nella regione del Chianti Classico; è in Toscana.
Algida: nasce nel 1945 ed è stata comprata da Unilever (Regno Unito, Paesi Bassi) nel 1974.
Galbani: nasce nel 1882 e nel 1974 gli Invernizzi cedettero l'azienda a quattro finanziarie con sede nel Lussemburgo e nel Liechtenstein, con proprietari ignoti; nel 1989 fu acquisita da IFIL e BSN-Danone (Francia), che nel corso degli anni rilevò progressivamente l'intera azienda e infine viene acquisita da Lactalis (Francia) nel 2006.
FIAT Avio: fondata dalla FIAT nel 1916, è venduta nel 2003 a un consorzio formato per il 70% dal fondo americano The Carlyle Group e per il 30% da Finmeccanica S.p.A.
Ducati: nasce nel 1926, viene acquistata da Cagiva (Italia) nel 1985 e nel 1996 il Texas Pacific Group (USA) compra il 51% delle azioni e ne completa l'acquisto del restante 49% della Ducati nel 1998; nel 2006 il marchio Ducati è ritornato in mani italiane con l'acquisto da parte di Investindustrial Holdings e nel 2012 viene annunciata l'acquisizione di Ducati Motor Holding S.p.A. da parte della Lamborghini Automobili S.p.A.
Bertolli: nasce nel 1865 ma viene acquisita nel 1993 dalla Fisvi (Società finanziaria lucana) per 310 miliardi di lire per conto del gruppo Unilever; nel 2008 Bertolli passa da Unilever a Deoleo (Spagna).
Carapelli: nasce nel 1893 ed entra a far parte di Sos Corporaciòn Alimentaria S.A. (Spagna), oggi Deoleo, nel 2006.
Perugina: nasce nel 1907; nel 1988 entra a far parte del gruppo svizzero Nestlé (Svizzera) assieme a Buitoni.
FIAT Ferroviaria: nata a Torino nel 1917 come "FIAT Sezione Materiale Ferroviario", cambia ragione sociale in "FIAT Ferroviaria Savigliano" nel 1975 e in "Fiat Ferroviaria" nel 1988; è infine venduta nel 2000 alla società francese Alstom, assumendo il nome "Alstom Ferroviaria".
Fendi: nasce nel 1925, è ancora un marchio italiano.
Eridania: nasce nel 1899; nel 2011 Cristal CO, società del gruppo cooperativo francese Cristal Union, secondo produttore di zucchero francese, entra in Eridania Italia con una quota del 49% nel capitale sociale.
Buitoni: l'attività inizia nel 1827 e nel 1988 il marchio viene acquisito, assieme a Perugina, da Nestlé.
Bottega Veneta: fondata nel 1966 a Vicenza, la società viene acquisita nel 2001 dal Gruppo Gucci, oggi parte della multinazionale francese Kering.
Antica Gelateria del Corso: inizia ad essere commercializzato come marchio dell'azienda Italgel nel 1980 e passa a Nestlé quando quest'ultima acquisisce Italgel nel 1993.
Locatelli: attiva dal 1860, è acquistata dalla Nestlé nel 1961 e infine da Lactalis nel 2008.
Gruppo Ferretti: nasce nel 1968 e produce la prima imbarcazione nel 1971; nel 2012 lo Shandong Heavy Industry Group-Weichai Group rileva il 58% delle azioni; nel 2016 Piero Ferrari, figlio di Enzo Ferrari, entra a far parte del gruppo Ferretti acquistando il 13,2% del capitale attraverso la holding di famiglia F Investments, risultando così l'unico azionista oltre ai cinesi del gruppo Weichai Power, detentori della maggioranza con l'86,8%.
Edison S.p.A.: attiva dal 1884, nel 2012 Électricité de France (EDF) ne ha acquisito il controllo esclusivo.
Fastweb: nasce nel 1999 e nel 2011 è acquistata dalla compagnia svizzera Swisscom.
Bulgari: società italiana fondata nel 1884, dal 2012 fa parte del gruppo francese LVMH.
Peroni: in attività dal 1846, il suo marchio è stato comprato dalla giapponese Asahi nel 2016, ma la produzione è ancora in Italia.
Gancia: nasce nel 1850 e l'azienda diventa proprietà della Russian Standard al 95% alla fine del luglio 2013.
Valentino: casa di alta moda fondata nel 1957, la casa di moda viene venduta nel 2012, insieme al marchio M Missoni, alla società Mayhoola for Investments del Qatar.
Miss Sixty / Energie: marchi creati nel 1991, cedono la branca asiatica del gruppo alla Trendy International nel 2000 ed il restante ad un fondo di investimento panasiatico, di nome Crescent HydePark, nel 2012.
Richard-Ginori: nasce nel 1735 ed è ufficialmente fallita nel gennaio 2013, ma è stata acquistata nel maggio 2013 dal gruppo Gucci, a sua volta controllato dalla società francese Kering.
Fiorucci: fondata nel 1967, è stata rilevata nel 1990 dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento con 8 marchi di proprietà e 6 in licenza (tra cui Lee, Wrangler e Avirex); nel 2014 i giapponesi della Edwin International cedono il marchio Fiorucci ad un'altra società giapponese, la Itochu Corporation.
Conclusioni Le manie di persecuzione della retorica fascista vorrebbero fare in modo che l'italiano medio corra ai ripari e possa armarsi contro questo o quel nemico esterno, che è identificato con un invisibile complotto internazionale ai danni dell'Italia e del “popolo italiano”, complotto che di volta in volta si manifesterebbe, ai loro occhi, con immigrati mandati da forze oscure che vorrebbero una sostituzione etnica, oppure con oppositori politici a cui si attribuisce un finanziamento estero o con acquisizione di aziende e di marchi italiani da parte di società estere, cosa che invece è normalissima nel gioco del capitalismo. Poi possiamo anche parlare di quali siano le contraddizioni in seno al capitalismo. In quest'ultimo caso della vendita delle aziende italiane, si vorrebbero addossare le colpe della dinamica capitalista (senza però definirla come tale) ad una qualche forza politica (in questo caso il PD) che, nella maggior parte dei casi menzionati, nemmeno era nata, e fa di questo falso argomento un classico delle argomentazioni in salsa fascista in difesa del Made in Italy e, per estensione, dell'Italia come categoria trascendentale, che colpiscono alla pancia del popolino lasciato senza strumenti per smascherare questa retorica. Il messaggio che i fascisti vogliono lanciare è chiaro: siamo sotto attacco, e l'acquisto di marchi italiani d'eccellenza sarebbe una dimostrazione, e la colpa di questo è dei comunisti. A cosa servirà dire che il Partito Democratico non è un emblema del comunismo? A cosa servirà dire che il comunismo intende scardinare i rapporti sociali creati dal capitalismo? A cosa servirà dire che, in ogni caso, il PD non fosse nemmeno nato quando molte aziende italiane menzionate sono state rilevate da società estere? A niente: quella è la versione che fa loro comodo per odiare, e se tu la smonti, i fascisti si gireranno dall'altra parte ed odieranno pure te. E facciamoci odiare, se questo implica aver ragione! Non erano loro che dicevano “molti nemici, molto onore”? Avendo avuto ragione, sarà un onore avere nemici.
24 notes
·
View notes
Text
Sassari che legge in tempo di pandemia
Il sito Indielibri offre una piccola lista di librerie ed edicole aperte in zona di Sassari che facciano consegne in questo periodo.
Credo che sia un servizio niente male, dato che l’isolamento come misura contro la pandemia offre una discreta quantità di tempo libero. Si spera che i pretesti per non leggere libri, a queste condizioni, tendano allo zero. Chi legge, difficilmente sa cosa sia la noia e, sinceramente, vedere continuamente sui social esternazioni di noia, è irritante. Ordiniate un libro e leggetelo. Se non per crescita personale, almeno approfittatene per fare bella figura davanti agli altri.
Dopo le tante battute di troppa gente che afferma di aver perfino letto le etichette dello shampoo, si può approfittare questo servizio che sfugge alle maglie della grande distribuzione organizzata in àmbito editoriale e permette di evadere mentalmente dalle mura di casa.
0 notes