Siamo noi che pensiamo a divertirvi ed interessarvi, per ora in tre con tre scritti che periodicamente aggiorneremo. Partiamo con...
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Letfassoil, seconda parte
Qualche mese dopo mi veniva a trovare un mio amico iraniano un certo Ibrahim claudicante per una malattia contratta durante l’infanzia, la poliomelite. E diceva “Andiamo a trovare degli amici”, allora ci ritrovammo in casa di chissà chi con chissà chi e uno mi diceva “Ho della roba buona, si tratta dell’erba del diavolo, un alcaloide potente”. Miscelò questa erba nel latte e me la fece bere, prima mi sentii un po’ stordito, ma eravamo già usciti per prendere il tram, cercavo di fare pipì nel cespuglio ma non ci riuscivo. Salii sul tram insieme a questo Ibrahim e persi conoscenza. Mi risvegliai davanti a uno che era seguace degli hare krishna, il suo appartamento era a pian terreno di una casetta degli hare krishna, così veniva chiamato. Poi di nuovo un buco, nero assoluto, ripresi coscienza che eravamo in un bar che lì venivano chiamati kneip, si beveva birra e “sniappera”. Una signora seduta alla tavola rotonda dove ero seduto anch’io duceva “Ma cos’hai? Sei strano?” e siccome non volevo spiegare niente mi alzai e me ne andai. Ibrahim disse “Dammi i 10 marchi che hai in tasca” e insistette e alla fine glieli diedi. Valore di tale somma in marchi est era 70 marchi, una cifra considerevole. Passai per il check point Charlie, e stavo camminando per arrivare a casa mia e ad un certo momento sentii un galoppo e un cavallo bianco galoppava sull’erba di notte, da solo. E mi dissi “Sarà un’allucinazione? Buono questo alcaloide!”
Storia dell’alcaloide: quando le truppe di chissà chi, greci o romani che fossero, erano nel deserto dei tartari e non avevano più niente da mangiare cercavano di mangiare l’erba e trovavano questa erba del diavolo e provarono a mangiarla. Ad un certo momento erano tutti a cercare sotto ai sassi, tutti a girare i sassi! E poi…le allucinazioni, di vario tipo, chi vedeva mucche, chi capre, chi altro. Quindi in letteratura troviamo questa testimonianza dotta.
Consiglio del redattore: non mangiatela perché è tossica!
Matthias
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ALLA RICERCA CON TE
(17 novembre 2011)
La mia anima errabonda,
nell’intimo , puledra scalpitante,
esige l’eterna giovinezza,
e le ali del mio spirito
anelano alla “leggerezza”
da cui scaturisce purezza.
Le piume candide e fluttuanti
nell’immenso spazio
cercano senza posa
il nobile Mondo degli Elfi!
Saggio padre
che fosti Mago potente,
in questa dimensione,
Mago traboccante di nitore e rispetto
per la Natura ed i suoi abitanti,
ma soprattutto per me,
sua amatissima figlia,
io ti invoco!
“Aiutami, sostienimi
nella mia pretenziosa spedizione.
Arrogante per la pretesa,
modesta essendo
il raggiungimento del mio desiderio
per ora effimero
ed arduo da conseguire.
Fa sì, ti prego,
che al fine ti raggiunga
come in una favola
e viva con te in viaggio sempiterno,
ovunque il cuore ci porti
nelle terre e nei cieli della Felicità!!!
Valentina
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Letfassoil
Letfassoil detto anche, in italiano, colonna di Letfas. Si tratta di una colonna abbastanza grande da contenere scope, palette e altri utensili e, chiudendola, diventava una colonna su cui affiggere i manifesti. Siccome era vietato a Berlino affiggere i manifesti sulle pareti, il signor Letfas inventò questo simpatico aggeggio. Si vedevano i manifesti dei teatri, del cinema e dei concerti, piccole pubblicità, insomma il caos creativo. Con queste colonne torniamo agli anni 70, piena guerra fredda.
Uscì da una galleria, il proprietario era un amico di mio padre, nonché amministratore, nonché avvocato, nonché eccetera… Uscito da lì, notai con la coda dell’occhio un movimento strano: non mi preoccupavo più di tanto, ma avevo l’impressione che qualcuno mi stesse seguendo. E non era una mia fan, era un uomo vestito male. Andai avanti, presi il metro, e lui era sempre dietro. Nella sua tasca, vidi un pacchetto di fiammiferi dell’est: campanello d’allarme! Uscito dal metro, iniziai a camminare per Kuhrfurstendamm e lui era sempre dietro a seguirmi. Vidi una Letfassoil e mi venne un’idea: girai intorno alla colonna, mi nascosi, e il mio inseguitore non mi vide più, ero scomparso dalla sua vista. Poi, aspettando i tempi giusti, lo inseguii io stesso. Quest volta, nella sua faccia, era disegnato il panico: accidenti, mi hanno scoperto! avrà pensato. Non fece complimenti, e si mise a correre.
C’era una zona a Berlino, che si chiamava Gleisstreik: erano i binari dei treni, delle metro di superficie, delle metro sotterranee, insomma, una miriade di scambi, dove chiunque volesse andare ad est, poteva trovare un’entrata, nonché uscita, che si collegasse al di là del muro. Si spiegava così la massiccia presenza di servizi ad ovest. Ad est invece c’erano pochi agenti dei servizi segreti, perché il monitoraggio era strettissimo: i servizi dell’est avevano pieno controllo del territorio dell’est.
Forse continua…
Matthias
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SOCRATE E SANTIPPE
Così fragile
È il tuo corpicino, Santippe
Quando ti aggrappi
Alle sbarrette del tuo piccolo carcere dorato
Con le tue unghie di corniola
All’estremità di zampette di radica.
Così agile
Sei Socrate
Quando saltelli
Sui posatoi della gabbietta
E quando palpebre di ciniglia
Su sferette di giada russa
Si fissano a scorgere con assorta pensosità
Capo reclinato da un lato
Qualcosa che noi non sappiamo vedere.
Forse in ascolto della musica dell’Infinito
Che infinitesemente noi percepiamo
Come dolce semitono
Anche sotto i silenzi più profondi.
Forse in ascolto di richiami atavici
Di progenitori estinti
Da altri pianeti,
altre stelle lontane.
E quando al buio della sera
Vi stringete stretti stretti
Come ispidi sterpetti alati
Per aspettare la calma della notte,
quando il vostro suono
imita quello del mio carillon,
il cuore mi si gemma di pace.
Valentina Lombardi
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FIORDALISI
Quest’ oggi nell’ aria odorosa
Biancheggiano pollini estivi.
La bionda ginestra flessuosa
Profuma di molli sospiri.
Nel duro alto vetro intarsiato
Rilucono pallidi, i fusti
Che l’acqua ha già ristorato
E attendon che l’ape li gusti.
Sottile la malinconia
Che sal come linfa vitale
Già nutre la carnea corolla
Che s’inturgidisce d’amore.
Che sia la tua pena o la mia,
codesto sentore, uguale
si arguisce, e come in un’olla
si dà rosso vin, con sopore.
Si attende di esser recisi
Soli, fra spighi, fiordalisi.
Valentina Lombardi
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Mark Twain in società
Un bel dì fu invitato ad una cena tra musicofili e già la cosa gli provocò un attacco di orchite, perché lui della musica non sapeva che farsene, ma per non essere scorbutico accettò l’invito. La serata potete immaginarvela come molto interessante per un appassionato di musica e assai noiosa per un letterato come lui. Tutto il tempo era muto e in un certo momento prese la parola e tutti meravigliati della cosa dicevano: “Mark Twain che esperienza ha di musica?”
Disse: “quella volta che accompagnai sul pianoforte mio padre” e la gente diceva “uh, Mark Twain al pianoforte?!”.
Twain prese un bel respiro e iniziò a raccontare:
“nel 1858 quando c’era la piena del Mississippi io ero bambino e mi aggrappai al pianoforte e mi salvò dalle onde. Questa era la volta che accompagnai mio padre sul pianoforte!”.
Dedicato a Mark Twain da Matthias
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DAL DENTISTA 1 luglio 2014
Questa mattina mi sveglio un’ora più tardi (ore 8,30) .Ho uno dei molteplici appuntamenti con la dentista più simpatica , gentile, precisa e delicata che abbia mai conosciuto. Per questo motivo non mi recherò al lavoro, ma alle 11,30 mi troverò dalla specialista accompagnata dall’onnipresente cara mamma che ,nel caso mi sentissi male, mi assisterà. Con calma consumo la mia colazione ed effettuo le mie abluzioni .
Guardo un po’le notizie del giornale on line sperando che l’ATM non si esibisca nei suoi soliti scioperi! Sulla posta elettronica nessun messaggio. Ora mi immergo nella ricerca accurata di un abbigliamento congruo alla visita odontoiatrica. Tra i cassetti diligentemente ordinati colgo una “polo” leggera e dei pantaloni comodi. Mi piace vestire decorosamente in modo decisamente sportivo. Chiudo l’armadio e indosso le scarpe : le mie fedeli Puma. E’ giunta l’ora (10,30) !
Mamma ed io lasciamo l’appartamento mentre in ascensore chiedo un aiuto a papà. Anche se non presente fisicamente , sono convinta che mi assiste e protegge da lassù. Scese alla fermata ,facciamo pochi passi e giungiamo allo studio medico . Di fronte a noi l’ufficio “accettazione” ( ore 11,10 ?).Stacchiamo il “numeretto” ed attendiamo il nostro turno. Dopo la burocrazia eccoci al primo piano, e sedute sopra le sedioline verdi (che danno una speranza…)aspettiamo che dallo studio n°3 esca l’infermiera per farci entrare . Ore 11 ,30: si apre la porta e ,… con piacevolissima sorpresa distinguo il volto di una donna che conosco da tempo, ma che non frequento da molti anni . La guardo meglio e scopro sul suo viso i denti devastati, ma di un biancore tanto esasperato da esaltare la rovina del suo dolce sorriso.
E’ stata la mia prima insegnante di informatica: le devo molto!
Anch’ella mi riconosce e ci salutiamo velocemente ,perché la Dottoressa mi chiama da dietro la porta semiaperta; mi spiega che ne avrò per una quarantina di minuti in quanto mi dovrà devitalizzare un canino . Neppure un accenno di dolore ,nemmeno per l’anestesia ! Sembra quasi impossibile ma per le 12~ ho terminato di sopportare il suo sapiente tramestio nella mia cavità orale ,che ora è solamente un po’ indolenzita. Mi guardo allo specchio e scopro una vera opera d’arte : la mia dentatura deturpata prima del suo intervento miracoloso , ora è in condizioni perfette! Me ne complimento e la professionista ,con grande ironia ,mi confida di essere stata molto ispirata! Ci congediamo con riconoscenza e usciamo dal centro sanitario dopo aver stabilito il prossimo controllo . Entrambe scopriamo d’avere molto appetito ,ed ..ecco , proprio di fronte a noi, un provvidenziale Mc Donald’s ! Immediatamente ringrazio con cuore grato papà per il” pronto soccorso”. Alle ore 12,30 riceviamo dal banco le nostre cibarie e ci accomodiamo nel locale semivuoto. Finalmente posso compiacermi e godere degli appetitosi alimenti senza che le mie “zanne” dolgano! Uscite verso le 13 dal luogo di ristoro , gironzoliamo nella zona curiosando tra le vetrine e ,sempre grazie ai mezzi pubblici , ritorniamo a casa. Verso le 14 vado a riposare per un’oretta . Poi , comincio a lavorare al computer ,e mi appresto a scrivere questa mia piccola cronaca giornaliera un po’ fuori dal comune.
Valentina Lombardi
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PICCIONE 1°
PICCIONE METROPOLITANO
Ogni tanto lo incontro per la strada.
è il mio piccione preferito,
manca di un arto inferiore
ma ha le ali.
E quando mi avvicino
e follemente gli parlo,
lui, mi porge orecchio,
e, guardandomi con un solo occhio,
controlla che non mi avvicini troppo,
e se ciò accade,
mi sorprende volando via..
Mi svilisce così...,
piccolo, bipede ,
sempre condannato al suolo.
PICCIONE 2°
IL MIO PICCIONE SE NE E’ ANDATO mercoledì 10 ottobre 2012 ore 10,30 al Lab.
Ora è sulle strisce
il suo involucro mortale.
Ha sigillato per sempre ,
le sue palpebre di ciniglia,
l’ultima lacrima
rassegnata ma non disperata.
Ha affrontato la “suprema falce”
con il coraggio e la dignità
delle creature indifese,
riconciliato con se ’ stesso,
ne sono certa!
Lo ricorderò
mentre si disseta
ad una piccola pozzanghera ,
mi vede,
e vola via.
Quante volte ho disturbato
la sua intimità
di autonomo essere vivente.
Pronto alla fuga
ma, a volte ,curioso,
mi osservava
con un singolo occhio color limone.
Le pupille dilatate per l’emozione,
le ali frementi ,altere e ratte al volo…
Forse un attimo di distrazione
fu la causa della disgrazia.
Gli uccelli non si suicidano:
se ne vanno in Pace
in un mondo migliore!
la sua intimità
di autonomo essere vivente.
Pronto alla fuga
ma, a volte ,curioso,
mi osservava
con un singolo occhio color limone.
Le pupille dilatate per l’emozione,
le ali frementi,altere e ratte al volo…
Forse un attimo di distrazione
fu la causa della disgrazia.
Gli uccelli non si suicidano:
se ne vanno in Pace
in un mondo migliore!
Valentina Lombardi
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IL MIO LATO “B” (poesia ironica ) 12 maggio 2012
Chiamatemi pure “Callipigia”!
Il mio deretano è una vera valigia,
un generoso e pesante zaino,
una bandiera che non ammaino.
Ogni donna me lo invidia,
mentre l’uomo lo ammira ed , a volte , lo insidia.
Benché io volutamente non lo esibisca ,
spesso qualcuno lo vede e mi fischia.
In ogni modo cerco di mimetizzarlo,
ma con le sue ondulazioni , parlo
a chi si sente talor coinvolto
dal mio passo e dal grosso “involto”
il quale , con il suo moto ondulatorio,
non è certo da esibire in oratorio!
Ho provato ogni tipo di ginnastica e dieta,
ma il mio sederone di volume non arretra,
perciò lo accetto così come si mostra:
poderoso, alto, allettante e …. alla faccia vostra!
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ANA (25 gennaio 2011)
Dentro questo mondo in bianco e nero
vomito il mio stomaco
Unico colore in me:
i miei radi capelli rossi.
Li odio,
come le mie sopracciglia e le lunghe ciglia,
esclusivo pelame rimastomi…
Nonostante ciò
mi depilo un giorno sì ed uno no.
Ogni mattina. ..un bagno gelido
in acqua gelida
per tonificare
e per raffreddare il più possibile
il mio corpo già gelido.
All’interno
la mia anima invece
ardente
e nemmeno questo di me sopporto.
Sono troppo buona con la gente
e con i bambini che incontro
e che dicono” Guarda..”!
Sono sempre troppo grassa!
Mi nutro
esclusivamente
di Yogurt al cocco
che mi depura
e se perdo peso
(e ciò accade quasi ogni giorno)
sono ugualmente infelice
perché avrei voluto
dimagrire di più!
Quando mi siedo o mi corico
sento e conto le mie ossa,
ed anche se provo dolore
il cuore si risolleva
perché mi sento più bella ed appetibile..
ma per un attimo,
in quanto subito me ne vergogno.
Ho perso i miei” fastidi mensili”
già da un bel po’
ed ora sono libera anche da quello:
una scansione sanguigna,
una condanna ormonale
che non è di certo da “Angeli”
anche se “Angeli della Morte”!
Sì, vorrei proprio essere uno di quelli:
in qualche modo più liberi.
Un giorno o l’altro
proverò il “gran Volo”
e, se non mi schianterò a terra
come carcassa da macelleria,
mi alzerò in volo
su tutti voi, nemici odiati:
sapiens sapiens !
Sarò così per sempre superiore a tutti ,
anche a me stessa:
anima nera e solo anima nera,
Morte e solo adorata Morte!
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Gli occhiali, dedicato a Edgar Ellen Poe
Werther ci vedeva poco, però odiava mettere gli occhiali. I suoi amici, sapendo ciò, volevano fargli uno scherzo. Ad una serata elegante, gli venne presentata una bellissima ragazza, e lui, aveva, per caso, gli occhiali sul naso. Apprezzò assai la sua bellezza, e così, si diedero appuntamento. I suoi amici, poi, dopo un po’ di tempo che la loro conoscenza era maturata, gli proposero: “Perché non vi sposate?”. Lui entusiasta rispose: “Sì! Che bella idea!”. Giunto il giorno delle nozze, si vestì tutto elegante, e, ovviamente, con gli occhiali nel taschino. I suoi amici avevano preparato tutto, con il prete eccetera, e si presentarono all’altare. Werther e la sua sposa, la sposa sotto un velo, e le fatidiche parole: “Vuoi tu prendere come tua sposa…?” “Sì, lo voglio”, “Potete baciarvi.” Uscirono dalla chiesa, salirono su una carrozza, e lui, all’interno della carrozza, si mise gli occhiali e notò che non era la sua ragazza, ma una vecchia. Allora lui, su tutte le furie, scese dalla carrozza, e se la prese con gli amici che gli avevano fatto questo scherzo. Saltò fuori che il prete non era un prete, ma un oste, dove andavano ogni tanto a bere. La sua ragazza ricomparve da dietro gli ospiti e disse lui: “La prossima volta guardami meglio!” e fissarono le nozze in avvenire.
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QUEI CORTILI 9 marzo 2014
Pochi metri quadrati ci erano sufficienti
per respirare ogni tanto la normalità
perduta.
Il pavimento cementato
osservava, sul suolo sconnesso,
noi degenti camminare avanti ed indietro ,
quasi aspettando qualcosa
-forse la primavera-
che non sarebbe mai giunta.
E’ lì che con un semplice manico di scopa,
primitivo ma acconcio microfono
ed una voce rotta dal troppo fumare,
anche a noi sembrava di poter
partecipare al Festival .
Le ormai bieche familiari ortensie
erano i nostri prestigiosi fiori
innaffiati per l’occasione.
Quanti applausi e derisioni…
lo spettacolo terminava presto
con una dose in più di sedativo
ed eccoci ancora lì
a camminare avanti ed indietro,
più tranquilli ,ma anche
un pochino più sollevati.
Con la speranza
di una nuova esibizione?
Valentina Lombardi
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Werther von Witten conquista la Polonia
Dopo una lunga esposizione alla droga miscelata nell’acqua non dormiva né di giorno né di notte, non mangiava più. Ad un certo punto, perse la pazienza, e, dopo aver fatto delle operazioni bancarie, prendendo dei soldi, che erano in comune al fratello e alla madre, e versandoli sul proprio conto, fece le valige e andò alla stazione centrale.
Dopo un lungo vagare avanti e indietro, senza sapere cosa fare, prese un pullman per Malpensa. Una volta arrivato, passò la notte nell’aeroporto, dove c’erano centinaia di barboni che dormivano al caldo, tutti accomodati a terra. Aspettò l’alba e si chiese: “Dove vado?”, “Parto col primo aereo per dove mi capita.”.
Infatti, apparve sul tabellone un check-in con un volo per Varsavia: “Beh, non ci sono mai stato, facciamoci un salto!”. Pagò 250 euro per il volo, tutto sommato una buona cifra per usufruire del servizio all’ultimo! Salì sull’aereo, mangiò quello che gli portavano, un panino, e dopo un breve tempo era arrivato all’aeroporto di Varsavia.
Ora, pensò, “Il Polacco è incomprensibile!”. Dall’aeroporto, prese un bus per il centro città alla stazione. Poi in stazione, disse: “Dove vado?”. Andò alla biglietteria e vide sullo schermo delle partenze un treno per Vienna, e, arrivato il proprio turno, gli fecero capire che il treno per Vienna stava per partire, e che poteva fare il biglietto a bordo, poi gli dissero: “Corri!”.
Con la sua valigia, si mise a correre sul binario. Il treno era stracolmo e lui stava in piedi, ma tanto, con tutta la roba che aveva in corpo, la stanchezza non era un problema. Continuando a non stare in piedi come un cammello, andò nel vagone ristorante e si sedette, e per 6 euro prese un’acqua minerale gasata. Poi, arrivato il cassiere, fece il biglietto, e pian pianino si fece notte. Il treno si svuotava sempre di più e, ad un certo punto, si alzò, andò verso la porta del treno e, come una scimmia, si sporse fuori. Il treno andava piano, ma pur sempre troppo veloce per saltare giù. Qualche barlume in testa, lo fece desistere e, il treno arrivò in stazione, poco prima della frontiera. Si disse: “non c’è più bisogno di saltare”. L’unica cosa, che si rimproverò, fu che lasciò la borsa con tutte le sue cose sul treno.
Scese al sottopassaggio per andare in biglietteria, e chiedere un biglietto per Varsavia. Questo, per disorientare i suoi inseguitori immaginari. Poi tornò verso i binai e nascose il biglietto sotto una lastra di ferro. Andava avanti e indietro sui binari, poi nascose la sua giacca con le chiavi sotto un camioncino. Poi, attraversando i binari, gli passò davanti un treno merci, che andava molto piano, allora si disse: “potrei saltare”. Allora fece un salto, si aggrappò con tutte le sue forze, e la forza centrifuga che veniva dalla presa della barra di salita insieme alla mano di Dio lo appoggiarono pianissimamente sull’alta scala. Era seduto, sano e salvo. Il treno merci, dopo un po’, si fermò e lui scese dall’altra parte. Passò attraverso una boscaglia, vide una macchina parcheggiata, con della gente lì presente, di notte. Allora esclamò: “Polizia! Chiamate la polizia!” e loro gridarono: “Via! Via!”.
Andò allora verso una casa, suonò. Ormai era ridotto in camicia e pantaloni, visto che aveva buttato la giacca e i documenti, e aveva perso la borsa sul treno. Gli aprì un ragazzo sui vent’anni, gli offrì di sedersi sulla poltrona, e lui si accomodò e osservò le persone nella casa: gli sembravano molto strane. Le persone dicevano a una bambina di avvicinarsi a lui, allora egli si alzò e uscì dalla casa ed esclamò: “Sono un ebreo ortodosso e non posso toccare nessuno!”.
Allora disse loro di chiamare alla polizia, e loro, dopo un po’ di resistenza, la chiamarono. La polizia lo fece salire in macchina, ma egli si dimenava, si tolse la camicia e i pantaloni, e rimase in mutande. Così capirono che era meglio chiamare l’ambulanza, che dopo un po’ arrivò. Dopo tanta fatica per tirarlo fuori dalla macchina, arrivò al reparto psichiatrico dell’ospedale, al secondo piano.
Una volta arrivato all’ospedale, gli fecero la solita routine di check-up, una TAC realizzata con un macchinario rotto, dicendo che tutto andava bene alla testa.
Poi tentarono di fargli un prelievo del sangue, ma Werter si rifiutò, così dieci operatori lo agguantarono, cercando di trovargli la vena. Tuttavia, lui si divincolò, e si mosse freneticamente. Insomma, non riuscivano a fargli il prelievo!
La prima notte, dormì in corridoio, e il mattino dopo lo chiamarono per fare colazione insieme a tutti i pazienti. La colazione non era male.
Werter si guardò un po’ in giro, e fece amicizia con un tizio che parlava tedesco, anche perché era finito in un angolo del mondo in cui non si parlava né inglese né tedesco, ma solo polacco.
Capì che “no” in polacco vuol dire “sì”, così si spiegavano alcuni malintesi che si erano creati fin qui! Gli consigliarono di dire “Niet”, che in russo vuol dire “no”, e pare che anche i polacchi lo interpretino come un “no”. Poi gli insegnarono come dire “grazie”, una parola impronunciabile!
Nel frattempo, si svolse il pranzo, che, con sua grande sorpresa, era un ottimo hamburger impanato e altre cose buone. Del resto, sembrava ritornasse la sua solita fame. Poté avere del te, ma solo senza zucchero. Allora chiese all’infermiera di portargli dello zucchero. Lei gli prese quindi in cucina un sacchetto pieno di zucchero.
Aveva a disposizione solo 18 euro, da spendere per un mese, che, tradotto in soldi polacchi, erano in realtà una bella somma, anche perché c’era stato un improvviso calo di inflazione, e i prezzi alla vendita della merce erano bassi, quindi 18 euro gli bastavano.
Aveva un buffo pantalone da pinocchio, che gli fungeva da pigiama. Comunque, la gente era incuriosita, e, in ogni caso, solitamente gentile.
Dopo un mese di ricovero, lo vennero a prendere in ospedale suo fratello e i suoi due figli, e lo riportarono in Italia. Vide per la prima volta un I Pad, era di suo fratello. Fare delle foto, vedendole così in grande, lo affascinava!
Da lì, seguì una lunga catena di TSO, e non si esagera se si dice che erano stati almeno dieci! Ma questa è un’altra storia…
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A.A.A. agenti atmosferici
NEBBIA ( 27 marzo 2016)
Quieta e scarmigliata
la contemplo di prima mattina.
La rugiada nel suo velo lucente
sul davanzale brineggia .
Oltre il vetro della finestra :
fumi pensosi ,evanescenti e timidi
schietti di placida fralezza,
imperturbabile serenità
con flemmatico e labile pallore
campeggiano in un’ottundente massa.
Il cielo,così soffuso , ed il suo sussurro pacato
lattiginoso ed ovattato
quasi silenzioso in quanto pressoché muto:
impalpabile mescolanza di tutti i colori,
appare ,ghiotto,nutrirsi dei nostri sospiri.
D’improvviso si fa largo in me
la sensazione di aver totalmente compreso
l’”antifona”:
la Ragione di Tutto!
Ma ancora mi chiedo
il perché del tacer delle Creature…
Come il torbido suono del contrabbasso
si insinua a sollecitare con voce tranquilla
la nostra anima ,
così la nebbia
dapprima incute in me
il profondo timore di essere sola!
Finalmente poi ,però,
come una miracolosa polverina
disciolta nell’acqua,
o un colpo di vernice bianca
su di un muro imbrattato,
riesce a correggere
dolori ed errori;
così innocentemente ,la calma
suscitata dalla bruma,
ora svelatasi provvidenziale,
pare infatti risolvere ,
in pochi istanti di dolce meditazione,
oggi almeno ,
ogni mio mattinale problema!
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Werther Von Witten
Si preparava la colazione scaldando l’acqua per il caffè e si preparò un bel tazzone di quella bevanda così deliziosa, per quanto possa esserlo un caffè. Una volta bevuto il caffè si sentì risalire uno strano umore, euforia, gli occhi erano fissi e vedeva nelle cose muoversi altre cose, non immaginava che fossero delle allucinazioni, erano provocate da una droga sintetica, che veniva usata dall’esercito tedesco nella Seconda Guerra Mondiale. Ma facciamo un passo indietro: stava indagando su di una banda che trattava il contrabbando di droga e, una volta risolto il caso, rimanevano gli altri criminali che erano ormai sul piede di guerra contro Werther e gli avevano messo nelle tubature dell’acqua dei filtri contenenti varie droghe. Siccome la quantità di droga era filtrata minuziosamente non si accorse all’inizio di questa cosa, ma si meravigliò soltanto di essere così vigile e di leggere, studiare, scrivere. Dopo una settimana vide nei bagni centinaia di ragni con le zampe lunghe e con la scopa ne uccise uno, ma dopo qualche minuto si accorse e disse fra sé e sé: “queste sono allucinazioni date dalla mancanza di sonno, per settimane.”
Quando fu sconfitta definitivamente la banda anche il filtro sulle sue tubature sparì. Per rimettersi in salute ci mise più di un mese, perché la dose era al di sopra di ogni valutazione, ma il suo fisico ha retto il colpo.
Bene fu l’osservarsi da fuori e accorgersi che era una cosa artificiale indotta dalla droga iniettata nei tubi.
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Werther Von Witten sul treno per Vienna e la congiura dei Viennesi
Si trovava sul treno per Vienna, voleva fare una breve vacanza in mezzo alle montagne e si trovò nel treno ristorante a sorbire un the ordinando sia il limone sia il latte. Al cameriere fece strano, perché un'ordinazione così non era mai stata fatta, infatti anche Werther era come se fosse in trance e mischiò il latte con il limone ottenendo il latte cagliato. Lo bevve e tornò nel suo scompartimento, seduto per un po' sentì del trambusto e arrivarono il capotreno e qualcun altro a portare un corpo e metterlo nel suo scompartimento. Lo appoggiarono sul suo sedile e Werther vide che le labbra erano violacee, fece qualche manovra di rianimazione senza risultato e si arrese perché ormai era morto. Ma qualche dubbio sulla causa della morte in Werther non lasciava pace. Fecero sloggiare Werther nell'altro scompartimento, ormai erano nella zona viennese e un poliziotto prese le sue generalità. Proseguendo il viaggio uno strano energumeno ubriaco si fece avanti ridendo e scherzando con Werther e lui disse: “vieni, vieni, ti faccio vedere una cosa!”.
Andarono dov'erano agganciati i due vagoni, alzarono le botole che coprivano l'aggancio e un rumore frastornante veniva su dalle rotaie, che si vedevano in basso.
Werther si mise a ridere “ah,ah,ah!” e l'energumeno rimase basito. Il suo progetto di spaventarlo era fallito miseramente, richiuse le botole e ognuno tornò nel proprio scompartimento.
I fratelli di Vienna per ora erano al sicuro nell'oscurità delle terra.
Matthias
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