«La vita è la più grande ubriacatura.
Mentre stai bevendo intorno a te tutto gira e incontri un sacco di gente.
Ma quando passerà non ti ricorderai più niente, ma non avere paura, qualcun’ altro si ricorderà di te»
Il potere che promette una vita piena di benessere e piaceri in cambio dell'anima a cui milioni di Gianna-persone rispondono "ci sto". Milioni di Gianna-Faust pronti a vendere l'anima al diavolo pur di assaporare i piaceri materiali di questo mondo..
Prendi e vai, prendi e vai, tu non prendi se non dai. Vieni qua, ma che fai? Dove vai? 🎺🎸🥁
...Fu nel parco di un manicomio che incontrai un giovane con il volto pallido e bello, colmo di stupore.
E sedetti accanto a lui sulla panca, e gli domandai: “Perché sei qui?”.
E lui mi rivolse uno sguardo attonito e disse:
È una domanda poco opportuna, comunque risponderò.
Mio padre voleva fare di me una copia di sé stesso, e così mio zio.
Mia madre vedeva in me l’immagine del suo illustre genitore.
Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire.
Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta.
E anche i miei insegnanti, il dottore in filosofia, e il maestro di musica, e il logico, erano ben decisi: ognuno di loro, voleva che io fossi il riflesso del loro volto in uno specchio.
Per questo sono venuto qui.
Trovo l’ambiente più sano.
Qui almeno posso essere me stesso.”
E di scatto si volse verso me e chiese: “Anche tu sei qui a causa dell’educazione e dei buoni consigli?”
La parola ha un peso. Non è mai leggera, non è mai un arredo. Una volta detta, una parola si fa strada nella mente, produce un pensiero, diventa azione. Le parole pronunciate non tornano indietro. Mai vista una parola ritornare nella gola di chi l’ha pronunciata o nelle dita di chi l’ha scritta.
Negli anni ’90 molte band si spendevano su temi antifascisti. C’erano anche più locali, ambienti più piccoli di condivisione, i concerti costavano meno, c’era più autonomia nell’organizzazione e i mega-eventi non avevano ancora vampirizzato la musica dal vivo. Quale immaginario può offrire la musica a una società disgregata come quella di oggi?
I mega-eventi rappresentano la più autentica manifestazione del capitalismo nell’ambito della musica. È lì che si consuma il triste rito dell’inutile: la musica diventa ciò che il Capitale vuole che sia, semplice merce. Gli «artisti» diventano merce, le loro canzoni, le parole, gli arrangiamenti, e il pubblico, ovviamente. Tutto è reificato, la poesia ridotta a cosa, la speranza a indifferenza. Se osserviamo le classifiche, ci sono i rospi della trap, quelli del turpiloquio che sguazzano nel pantano sintattico di una grammatica mai conosciuta, in cima a tutti. Sono giovanissimi, disagiati, vengono dalle periferie, e invece di reagire all’ingiustizia sociale, come americani qualsiasi in preda all’astinenza, in quell’ingiustizia colgono l’opportunità di arricchirsi di soldi e fama. Poveri schiavi, i tatuaggi resteranno loro impressi sulla pelle per tutta la vita. È il fallimento antropologico-culturale di un paese, e il guaio è che sembra un destino.