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“Mamma mi fai vedere quel coltello, che mi devi regalare prima di subito?” E io che ci casco come un’allocco!!!
Mi sono accorta che cartofolo non posta più. Mi faceva bene leggerlo.
Se può consolarti, sappi che comunque è ancora vivo...

cioè... almeno lo era a Natale, ecco.
Aspetta che faccio una videochiamata

Ok... tutto nella norma.
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Non sei solo, come non lo era quel bambino che tenevo per mano e che si è chinato con me per assicurarsi che l’uomo disteso e in stato d’incoscienza sotto i portici del mercato, fosse vivo.
NON SIETE STATO VOI
Post polemico politico in dirittura di arrivo e un po’ rimpiango quando mi sentivo distaccato dal mondo e farneticavo di eleuterìa, neotenie psichiche, distanziamento emotivo e valle della perturbanza ma ultimamente ciò che mi avviene attorno non è che io riesca ad ammortizzarlo così troppo bene e allora vediamo di concretizzare le mie vaghe considerazioni costanti.
Gli animali non sono feroci.
Quando in un articolo di giornale viene usato il termine ‘furia animale’, ‘aggressione bestiale’ e tutte quelle locuzioni che porrebbero l’uomo un gradino evolutivo sopra gli altri esseri viventi, invece a me viene proprio da pensare l’esatto contrario.
Non si tratta del solito discorso ‘gli animali sono meglio degli uomini’, ‘il tal animale non farebbe questo ai propri cuccioli’ e le solite baggianta romantiche da amanti dei pelosetti ma il fatto che l’aggressività di QUALSIASI ANIMALE è proporzionale al rischio che sta percependo e ai vantaggi e agli svantaggi che quel suo comportamento aggressivo gli porterebbe.
Un cane non morde se può abbaiare e non abbaia se può andarsene. Punto.
E così ogni altro animale che attraverso secoli di evoluzione ha imparato che ogni comportamento aggressivo porta più svantaggi che vantaggi e che quindi costituisce una extrema ratio.
Volete sapere quali sono quegli animali che invece sono ‘immotivatamente’ (per noi) aggressivi e si comportano in modo ‘irrazionale’ (per noi)?
Quelli che sono in trappola.
Quegli animali a cui è stato distorto l’ethos per il comodo dell’essere umano e che a un certo punto abbiamo dimenticato essere individui viventi, prendendo a considerarli solo ‘utili’.
Quelli diventano feroci e si possono anche accanire in un modo che liberi in natura non avrebbero mai fatto.
Potrei dire molto più di così su quello che è successo a Civitanova Marche ad Alika Ogorchukwu, l'ambulante nigeriano ucciso da Filippo Ferlazzo, ma sono riuscito a trattenermi per uno o due giorni prima di commettere l’errore emotivo di legare quanto successo al razzismo, al clima politico e alle imminenti elezioni… come in modo più o meno velato stanno facendo un po’ tutte le testate giornalistiche.
Il fatto è che ci siamo messi in trappola da soli, con le nostre mani.
Ora ci si domanda dove fosse il tutore legale dell’uomo, tenuto a vigilare sulle sue problematiche psichiatriche (ma voi, geni sociali, avete idea cosa significhi convivere o gestire chi è affetto da problematiche psichiatriche?) ma a chi lo chiede è evidente che gli tremi il dito con cui fino a poco prima lo indicava, accusandolo di ‘razzismo’ e che ora deve subito trovare un nuovo colpevole.
Vogliamo accusare la gente che faceva i video con lo smartphone invece di fermarlo e scomodare i sociologi da talk show che parlano di ‘sindrome dello spettatore’?
Davvero me lo sta spiegando uno col clickbait nel titolo dell’articolo, su un sito infarcito di link a video anticipati come sconvolgenti e pubblicità di prodotti di bellezza che gli estetisti non vogliono che tu conosca?
Offendo il culo a dire che hanno la faccia come lui.
Vi prego… fate un passo indietro.
Non so come chiedervelo ma fermatevi e cercate di rendere il mondo un posto migliore con un piccolo gesto di gentilezza nei confronti delle persone che avete accanto, amori di una vita o passanti che siano, perché queste diatribe sono confezionate, proposte e vissute per intrappolarvi ogni giorno di più nella contrapposizione all’altro, nell’astio del diverso, del meno intelligente o colto di voi, coll’obiettivo di provocare un risentimento che non solo non vi rende migliori di loro ma vi cancella i colori del mondo dagli occhi e vi fa insensibili alla vera sofferenza, quella dei dimenticati.
Io sono sopraffatto, ogni giorno sempre di più, e non so ancora per quanto tempo riuscirò a dirmi disposto a farmi carico di questo peso immane.
Ho bisogno di sapere che non sono solo.
Grazie.
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Allora dimmi che sono stata io a cancellare il disegno che avevi, e ti ho messo uno sfondo grigio topo. Dai su!
Immagino per criticarmi meglio durante le videochiamate, mamma…
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Immagino per criticarmi meglio durante le videochiamate, mamma…
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Sarà un Natale mesto, Kon. Ieri siamo andati al supermercato e per disdetta ho vinto una bottiglia di spumante Berlucchi. Lo apriremo a Giugno, spero da ultra-vaccinati.
UNA DOMANDA DIRETTA
Chi è che passerà da solo/a il giorno di Natale?
Grazie dell’eventuale condivisione di questa domanda e delle risposte.
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Se lo pesti lo affini.
Diventa aforista con Bik
Completa il seguente aforisma dandogli un senso artistico.
L'amore è come il sale...
L'autore del miglior aforisma vincerà un raccontino personalizzato.
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Va bene vado affanculo. Se non mi liberava nipote n1 stavo ancora nel labirinto tetro e nero di “Machinarium”
GLI INVOLTINI PRIMAVERA DI AUCKLAND OVVERO COME DOPO QUARANT’ANNI SONO FORSE USCITO DALLE CAVERNE PERDUTE
Questo invece è un post divertente, nella misura in cui vi divertiranno i miei gravi problemi mentali di mancata aderenza alla realtà.
Dire che fin da bambino sono vissuto nel mio mondo di fantasia è troppo riduttivo… la verità è che fin da bambino ho frequentato troppo poco il mondo tangibile: non mi rifugiavo nel mio mondo alternativo, ogni tanto mi ci tiravano fuori e mi costringevano a interagire con gli abitanti di quello reale.
Non ho mai avuto la minima idea di quali fossero le regole del calcio e tutte le volte che avevo una palla in mano in realtà io impugnavo il Glaive di Krull o un Detonatore Termico pronto a esplodere; le uniche macchine che mi piacevano erano quelle di Spy Hunter o di Mad Max e quando si giocava a nascondino io inventavo sempre delle regole cruente e letali tipo Visto e Trafitto o Tana Evoca Tutti i Cadaveri.
Qualche pomeriggio fa, stupidamente, ho fatto quel gioco che sfrutta Street View e che dopo averti portato in un posto anonimo nel mondo, ti costringe a girare per trovare un aeroporto e poter tornare a casa.
https://www.mapcrunch.com/
(basta selezionare ‘stealth’ da options e poi cominciare a investigare in giro)
Ho girato per tre ore di fila in mezzo ad anonime campagne brulle e dopo aver raccolto qualche indizio (la guida a sinistra, la yucca altissima, le mandrie di cavalli) ho capito di essere in Nuova Zelanda. Allora ho calcolato il moto del sole dalle tende e dall’erba fresca e incrociando le dita mi sono diretto a Nord, trovando Auckland e il suo areoporto.
Poco dopo sono stato chiamato a cena (Figlia N.1 aveva fatto gli involtini primavera) e io ho vissuto una terribile esperienza derealizzante in cui mangiavo questi involtini camminando nella campagne neozelandesi.
- Che cos’hai? Sei strano…
- No… è che sento caldo e mi devo spostare all’ombra
- Ma se siamo in casa e fuori sta piovendo!
- Non dove sono in questo momento
Ho impiegato parecchi giorni a uscire da quei posti in cui mi trovavo sbalzato quando mi distraevo da ciò che facevo (naturalmente ci ritornerò ogni volta per il resto della mia vita quando qualcuno mi metterà davanti degli involtini primavera) e ora vi dico, invece, qual è il posto in cui sono intrappolato da quasi quarant’anni e in cui cado (metaforicamente e letteralmente) ogni volta che mangio del burro di arachidi.
Era il pomeriggio di una primavera del 1984 e io e mio cugino eravamo a casa di nostra nonna, mangiando a cucchiaiate del preziosissimo e allora sconosciutissimo burro di arachidi americano (il vantaggio di uno zio militare a Camp Derby a Livorno) e aspettavamo che sul Commodore 64 finisse di caricarsi un gioco chiamato Pitfall II - The Lost Caverns.
Il gioco era il secondo capitolo di uno sfigatissimo platform in cui il protagonista andava avanti zompando scorpioni, botole e aggrappandosi a liane ma quella volta i programmatori avevano deciso di creare un labirintico mondo sotterraneo che, complice la mancanza di un walkthrough da internet, ci pareva una cosa sconfinata, tetra e impossibile da percorrere.
Vi propongo la mappa (in questo link c’è quella in alta definizione)
Ora, immaginate lo sconforto di un dodicenne che comincia il gioco con il suo protagonista posizionato in alto a sinistra nella mappa: sotto di te vedi un antropomorfo topo gigante a cui tremano le ginocchia dalla paura e questo topo (che tu intuisci debba essere salvato) lo potresti raggiungere velocemente scendendo nella prima botola MA NO, quando lo stai per raggiungere una pantegana albina ti corre incontro e ti rispedisce indietro.
E allora capisci che il tuo amico murino lo devi raggiungere da quella botola sotto ai suoi piedi, facendo il giro lungo.
E quando dico il giro lungo intendo ORE di discesa in un labirinto pieno di anguille elettriche, pipistrelli, scorpioni e rane velenose, dove un salto sbagliato significa ricominciare da capo e dove la risalita è spesso affidata a palloncini vaganti (?!) che devi far scoppiare nei pressi della piattaforma giusta.
Il fatto che nell’ignoto vagabondare tu debba trovare un anello di fidanzamento e la fidanzata che ti aspetta immobile(?!?!) non ti deve far distogliere dall’amico topo tremolante che dopo ore di gioco (13 minuti nel longplay ma con la mappa bella forza) ti aspetta per essere salvato.
Ma c’è una beffa morale che solo mio cugino di sette anni poteva aggirare nella sua candida ingenuità: per qualche malato motivo dei programmatori, quando comparivi davanti al topo, invece di salvarlo e finire il gioco, per aver il punteggio massimo dovevi spostarti nella schermata a destra e così trovare la pantegana albina di schiena, quella che per ore avevi provato a saltare inutilmente dal davanti.
E prenderla… come qualsiasi altro oggetto collezionabile all’interno del gioco.
Sarà la musichetta ossessiva, una grafica lineare e un movimento essenziale però niente male per l’epoca ma io dopo quarant’anni continuo a vagabondare là, tra scorpioni e pipistrelli nella metafora agghiacciante che ti insegna che le cose sono lì, a portata di mano ma per averle ti tocca fare il giro lungo e faticoso, per poi scoprire che quello che ti impediva di raggiungerle alla fine ti ha arricchito tanto quanto l’essere arrivati all’agognata meta.
Fanculo Pitfall II e fanculo a voi se non vi prendete 13 minuti per guardarlo
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Beatitudine e rincoglionimento.
Nonostante la mia età, la mascherina e i guanti di lattice, il codino e i capelli bianchi, devo avere ancora un bell’aspetto. Ieri sono uscita per andare a far la spesa e dai balconi mi dicevano tutti in coro “bella ciao!” Sono soddisfazioni!
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C’è chi ha il telelavoro, chi le videolezioni e poi ci sono io che mi incazzo addestro via whatsapp mio papà @cartofolo e mia mamma @chiaradiluce a indossare una mascherina che sarà appoggiata su un mobile a prendere polvere due secondi dopo aver chiuso la chiamata.
Chi ha detto che i peggiori pazienti sono i medici stessi non ha mai conosciuto i miei genitori.
A sinistra potete notare un esemplare maschio di Ammemmai Soloaglialtriensis nel suo habitat naturale di sarcasmo e stoicismo che Zenone e Seneca scansatevi, mentre a destra una femmina di Moritura macomedicoio col suo piumaggio rosso da terapia intensiva (da cui impartisce ordini).
Io… io… ma lo sapete che mia mamma quando ha visto che armeggiavo con lo schermo per questo screenshoot mi ha mostrato il dito medio?! A ME! A SUO FIGLIO, che si sacrifica ogni giorno lavorando da mattina a sera per poter tenere il telefono spento e non ricevere mille sue chiamate che cominciano sempre con un MA LO SAI COS’HA FATTO TUO PADRE?!
Mio padre, poi, ha continuato a dire che tanto il fumo delle sue sigarette uccide il virus e che per proteggersi basta bere una bevanda calda come ha letto su facebook. Con la faccia seria apposta per farmi sclerare.
Io ci voglio un sacco di bene a quei due ma se Hitler avesse avuto mio papà e mia mamma come genitori starebbe ancora sul confine della Polonia a decidere chi dei due si sarebbe più indispettito per l’invasione.
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Fiera che tu sia il padre delle mie adorate nipoti, figlie di mio figlio.
UN PENSIERO BUTTATO GIÙ SENZA RILEGGERLO MA SCRITTO COL CUORE
Questa mattina una persona tamblera con cui chiacchieravo su altri media mi ha chiesto come noi del mestiere si faccia a sopportare tutto questo altrui dolore senza andare fuori di testa.
Mi è subito tornata in mente una vecchia discussione che ebbi con un’altra persona (la quale ora spero abbia cambiato idea, seppur temo obtorto collo) che affermava che quando fosse morto Berlusconi avrebbe brindato e alla mia controaffermazione di averne viste troppe di persone morire perché anche solo una fosse motivo di esultanza, lui che rispondeva - Eh, vabbé… ma oramai ci dovresti essere abituato. In fondo è il tuo lavoro!
Ecco il nocciolo della questione.
Che alla morte non ci si abitua mai.
Semmai non ti fa più tutta quell’impressione il rantolo tirato fuori dal fondo dei polmoni per cercare di attingere alla riserva respiratoria, quando oramai col penultimo respiro avevi tirato su solo catarro e sangue; semmai non ti fa più così tanto schifo l’odore delle piaghe da decubito con la necrosi purulenta grossa come un piatto da pizza e le ossa che sbucano in mezzo a tendini e legamenti; semmai non ti colpisce più nello stomaco il momento preciso in cui ti accorgi che gli occhi prima erano vivi e poi improvvisamente di cera, svuotati di colpo della vita; semmai, se proprio ci si abitua a qualcosa, è alla velocità con cui riesci a ritrovare la compostezza in mezzo a pianti strazianti e urla di non accettazione… per ciò che mi riguarda una compostezza che dopo 25 anni di mestiere continua sempre a essere incrinata dal dolore di chi se ne va a fatica e di chi rimane a piangerlo.
La differenza tra me e voi è che dopo tante volte che tornavo a casa piangendo e senza riuscire a dormire io ho dovuto imparare a dare un significato diverso e più ampio a tutto il dolore che mi colpiva e mi frammentava dentro.
Da una parte c’era l’inevitabile dolore della perdita e dall’altra non dovevo mai perdere di vista la gioia di tutte le volte che avevo aiutato una persona a smettere di soffrire e a ritrovare la propria serenità.
100 a 1?
Non è importante.
Credo di avervelo già raccontato qualche migliaio di post fa ma quando le mie figlie erano piccole andammo in gita sull'appennino parmense, a far finta di sciare noi e ad andare giù a balla con lo slittino loro. A un certo punto un adolescente brioso si fece prendere troppo la mano e quindi fallì miseramente quella manovra plastica con cui gli sciatori si mettono di lato e frenano a spruzzo di neve, andandosi così a schiantare contro un casottino di mattoni che credo contenesse la biglietteria per lo skipass. Corri subito da lui, parlaci, controlla i segni vitali e se si fosse spappolato qualche organo o sbiciolato sei o sette vertebre. Urla del padre, pianto isterico della madre, chiama il 118 e guarda portarlo via in elisoccorso, quasi sicuro che più di un omero fratturato e due o tre coste ammaccate non avesse.
E la cosa viene da me dimenticata.
Qualche mese dopo mi trovo con tutta la famiglia a una festa di paese, in un borgo medievale della bassa parmense, quando a un certo punto incrocio lo sguardo di un uomo che mi sta osservando a sopracciglia aggrottate. Non faccio in tempo a restituirgli uno sguardo interrogativo che lui avanza con quattro passi e mi stringe forte le spalle. Guardate! - urla alla sua famiglia poco distante, con espressione gioiosa – Guardate chi ho trovato! E un attimo dopo vengo abbracciato strettissimo da una donna, con tutti i suoi riccioli che mi entrano negli occhi e il marito, dietro, che dice al figlio - Lui è quello che quest’inverno ti ha salvato!
Io ero imbarazzatissimo perché la madre non mi mollava più e stavo per dire a tutti che io non avevo fatto nulla - perché davvero non avevo fatto nulla per loro figlio, tranne tenergli la mano e farlo sorridere con battute stupide finché non l’hanno caricato sull’elicottero - quando mi sono reso conto che quello era ciò che pensavo io, non quello che sentivano loro.
C’erano un padre e una madre che assistevano inermi alla sofferenza del loro figlio, un padre e una madre che non sapevano se il loro bambino sarebbe morto o rimasto paralizzato per tutta la vita; e poi c’è stato un perfetto sconosciuto che è saltato fuori dal nulla e che lo ha consolato, fino a farlo smetter di urlare.
Delle persone che chiedeva aiuto e un’altra che ha risposto.
Io non ricordo quanti anni siano passati da quell’abbraccio ma vi posso assicurare che mi ricordo benissimo quanto fosse sincero e poi quanto fosse forte quello che le ho restituito, in silenzio, accettando la loro gratitudine, perché - vedete - la morte e la sofferenza a volte sono delle cappe pesantissime e quasi insopportabili da trascinarsi addosso ma chi ci lavora assieme sa benissimo che mille di esse possono essere dissolte in un solo attimo dalla gioia di un sorriso restituito.
Vale per me e voglio credere che valga per un enorme numero di miei colleghi - la maggior parte, spero - ma la cosa strana e divertente è che non c’è alcun motivo perché questo non possa valere anche per voi, senza scomodare osse rotte ed elisoccorsi…
Perché ci sono tante, troppe persone che non ricordano più come si fa a essere felici e a volte basta solo chinarsi, allungare la mano e dire - Eccomi… ci sono qua io con te.
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sarò sicuramente una mammuthttitudine, ma per me è un disegno delle clic-clac e teneva il conto di quante volte era riuscito a farle battere senza frantumarsi i polsi. Quello a sinistra ha vinto!
Tu, mamma moderna del terzo millennio, cosa fai quando a tuo figlio piccolo scivola innavertitamente un bigliettino dai jeans con disegnato un cazzetto tanto piccolo quanto riconoscibilissimo? Lo raccogli, lo attacchi alla parete magnetica della cucina fremente di attesa ché non vedi l‘ora che se ne accorga presto.

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Intanto che cresce, insegnagli a parlare col suo ricco amico, chiedendogli cosa fa per quei bambini sfortunati. Nel frattempo tu gli avrei insegnato la condivisione sia di oggetti che di empatia e di affetto. Con mio figlio numero unico (Kon) ho fatto così. E' cresciuto bene anche senza ammennicoli pradeschi che avrei potuto anche fornirgli se gli fossero interessati, ma lui era orientato ad altro.
Figlio n.2 ha cambiato scuola ed è felicissimo perché il suo amico del cuore dai tempi dell‘asilo frequenta la stessa classe. Sono carinissimi e amicissimi, non litigano praticamente mai. Ora la scuola è una scuola normalissima, ma l‘amichetto suo è di famiglia moooolto agiata e il bambino è vestito come da catalogo. Giacche Moncler, Scarpe da 200 e passa euro e così via. Per fare un esempio ancora più pratico: stanotte hanno pernottato a scuola e il bambino in questione aveva il suo spazzolino e le mutande di ricambio in una borsa da viaggio di Gucci. Io sono per principio una persona estremamente tollerante, ma in questa situazione mi trovo in difficoltà a) perché credo che il bambino venga facilmente individuato come diverso da parte degli altri compagni b) figlio n.2 paragona costantemente il nostro stile di vita a quell’altro fatto di alberghi a 7 stelle a Dubai, pantofole di Prada per grandi e piccini, consumo sfrenato in generale. Dove sta il problema? Il problema è che ha 10 anni e io non ce la posso fare. Qualche consiglio?
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Se vogliamo fare i puntigliosi, le Marie sono chiamate così in Italia, ma l'origine è francese e non vengono chiamate Marié, ma petit beurre.
ANGOLO DEL CAPO COSPARSO DI CENERE
Marie.
I biscotti.
I biscotti Marie.
Ma non LE Marie.
Marié, alla francese.
Devo fare subito una seduta spiritica per correggere mia nonna.
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Mumble mumble… Quella sarebbe l'altra me a cui hai accorciato la colonna vertebrale di 5 centimetri passando a 120k orari sul dissuasore stile montagne russe?
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