Tumgik
dariodivico · 2 years
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Un messaggio di Savino Pezzotta, ex segretario generale della CISL
Volevo esprimerti la mia condivisione all'articolo sul sindacato che ho letto questa mattina sul Corriere. Credo che il vero problema del sindacato sia che scioperi o meno stia nella sua mancanza di una strategia rispetto alla metamorfosi che sta coinvolgendo il lavoro. Ridurre tutto a questioni reddituali non porta da nessuna parte quando le nuove tecnologie digitali cambiano la forma e la natura stessa del lavoro e che possono accentuare gli elementi di dipendenza dei lavoratori e delle lavoratrici. Mi sembra vero quello che scrivi sulla perdita delle cultura di sistema. Pensare di ripristinare la concertazione è frutto di un idea che la considera un metodo e non una politica. Ma se è una politica richiede una visione politica, che oggi non vedo nel sindacalismo italiano che confonde l'autonomia con la neutralità. Di segnalo che con amici ex sindacalisti abbiamo dato vita a una associazione di pensiero critico sindacale : PRENDERE PAROLA. La democrazia interna al sindacato è un problema da affrontare. Mi sono convinto che lo sciopero generale andrebbe proclamato solo attraverso un referendum tra le lavoratrici e i lavoratori
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dariodivico · 2 years
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L’opinione di Enzo Cipolletta su Cina e Wto. Dissento un po’ dal tuo articolo di ieri sull’Economia. La Cina ha fatto balzi in avanti nel livello di vita dei suoi cittadini e questo ha generato molte liberalizzazioni rispetto al passato e una forte domanda di democrazia soffocata a piazza Tienanmen ma che prima non si sarebbe mai potuta esprimere. Quanto ad aziende di Stato aiutate, l’Europa e gli USA non sono da meno della Cina (basta pensare all’agricoltura e a tutte le sovvenzioni alle aziende). Complessivamente ci abbiamo guadagnato tutti. Detto ciò, condanno la dittatura cinese attuale ma non tornerei indietro di un passo. Un caro saluto. Enzo
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dariodivico · 2 years
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Partiti e società sul Corriere di ieri/ Ecco la nota metodologica dell’Ipsos di approndimento .
“I dati pubblicati tenevano in considerazione la probabilità di voto per ciascun partito, contemplando quindi la possibilità di voto per più di un partito. I dati riportati qui sotto si riferiscono invece alla singola preferenza di voto espressa dagli intervistati e tengono quindi conto, per ciascuna categoria indicata, delle differenti basi di rispondenti che si dichiarano intenzionati a votare e indicano la loro preferenza di voto. Le percentuali riportate, seppur diverse da quelle pubblicate ieri, mantengono le stesse proporzioni tra i diversi partiti. Esse rappresentano una stima delle intenzioni di voto per ciascun segmento socio-demografico sul totale dei voti validi che ciascun segmento esprimerebbe (escludendo quindi astenuti/reticenti, schede bianche e altri voti non validi). Il margine di errore delle stime è variabile in rapporto all’ampiezza della base campionaria afferente a ciascun segmento”
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dariodivico · 3 years
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A proposito della “maledizione di Gini”, una mail del prof. Stefano Toso (Università di Bologna)
ho letto il suo pezzo nell'inserto settimanale del Corriere oggi in edicola ma me lo sono gustato proprio molto. Condivido quello che ha scritto al 100%. Gli "adoratori della catastrofe ad ogni costo", come li ha chiamati, citano le variazioni dell'indice di Gini solo quando fa comodo, ossia quando aumenta. Peccato che nell'ultimo ventennio, e non solo in Italia, l'indice si sia mosso poco e spesso verso il basso, se riferito alla distribuzione dei redditi disponibili, ossia al netto della redistribuzione delle politiche di tax-benefit. Che Gini possa/debba essere affiancato da altri indicatori statistici, quando si tratta di valutare come evolve nel tempo la diseguaglianza, ci sta, ma trascurarlo del tutto, soprattutto quando cala, non va bene. Piketty, nel suo Il Capitale nel XXI secolo, addirittura lo snobba del tutto. Ciò che mi ha fatto più sorridere, tuttavia, nel suo pezzo è la frase con cui ha chiuso: "Non c'è Gini senza sfiga". Mi ha infatti richiamato alla mente come, nonostante i contributi pionieristici dati alla teoria della misura della diseguaglianza, Gini sia sempre stato considerato portatore di sventura a livello accademico. Soprattutto all'estero. Alla London School of Economics (sono ricordi ormai di più di trent'anni fa), quando si citava l'indice di Gini, notavo come i non italiani si toccassero le parti basse o facessero gli scongiuri, quasi come se evocare il nome di quel grande studioso portasse, appunto, sfiga. La cattiva fama di Gini credo fosse dovuta anche al coinvolgimento che il nostro diede alle politiche demografiche del ventennio fascista, anche se quel sostegno non aveva un fondamento ideologico ma "scientifico". C'è un bellissimo libro che le consiglio, se non l'ha letto, di Francesco Cassata, intitolato "Il fascismo razionale. Corrado Gini tra scienza e politica", pubblicato da Carocci nel 2006 che inquadra storicamente il contributo scientifico di Gini come demografo (al di là, quindi, del suo indice di concentrazione), nel contesto culturale e politico dell'epoca, durante e dopo il fascismo. Credo che fosse la tesi di dottorato di Cassata, un bravo storico.
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dariodivico · 3 years
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A proposito di offerte “sottocosto”
Ieri ho pubblicato un tweet sulle offerte Sottocosto della grande distribuzione che ha generato molte polemiche e mi ha attirato accuse di “incompetenza” e di “ideologismo”. No problem, fa parte dei rischi del mestiere. Però mi interessava approfondire il merito e ne ho parlato con un amico sicuramente competente come Mario Sassi. Ammetto subito un pregiudizio lessicale: il termine “sottocosto” non mi piace perché allude a un escamotage, a una deroga ai principi di mercato (e infatti è largamente praticato dalle organizzazioni criminali che non ha un problema di conto economico). La stessa sensazione non la riscontro nelle offerte 3x2 che chiaramente indicano una rinuncia al margine in nome della quantità. Ma evidentemente non posso chiedere a tutti di condividere le mie preferenze lessicali.
Vengo al cuore del problema. Se il prodotto può essere messo in vendita abbassandone il prezzo, ben venga, lo si faccia. Il prezzo più vantaggioso e remunerativo per tutta la filiera può essere tranquillamente praticato tutti i giorni. Perché non considerare il consumatore adulto e in grado di comprendere la convenienza proposta e praticata quotidianamente da un’insegna? Mi sembrerebbe una formula più trasparente anche se Sassi mi ha spiegato che nelle offerte sottocosto non c’è nulla di sleale ma sono regolamentate. Continuo però a pensare che una maggiore trasparenza tuteli di più sia il consumatore che l’azienda produttrice del bene reclamizzato e usato come prodotto “civetta” anche perché le realtà più grandi sono sicuramente in grado di concordare con la Gdo delle forme di compensazione. Non è sempre così per il piccolo produttore.
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dariodivico · 3 years
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I profili degli elettorati: più operai per la Lega, più studenti per il Pd è meno casalinghe per Berlusconi
Tra gli studiosi la discussione è sempre viva: nella cattura del consenso politico è diventata assoluta padrona la comunicazione trasversale - intesa in senso ampio - o resta ancora forte il legame con la professione e quindi il reddito degli elettori? Scegliendo la strada intermedia, ovvero che contino entrambi, può essere utile guardare al microscopio l’evoluzione dei profili socio-demoghrafici dei principali elettorali. Lo possiamo fare grazie a un’elaborazione della Ipsos di Nando Pagnoncelli sulla base di sondaggi effettuati a dicembre 2020 - ma allora è cambiato poco - e il cui documento informativo completo si trova sul sito www.sondaggipoliticoelettorali.it. Abbiamo preso in esame le prime cinque formazioni politiche (Lega, Pd, M5S, Fdi e Forza Italia) e otto categorie di condizione professionale. E’ interessante vedere come la Lega sia in testa in 5 categorie su 8 (commercianti/artigiani, operai, impiegati/insegnanti, disoccupati e casalinghe), nelle altre 3 prevale il Pd (studenti, pensionati e di poco tra imprenditori/dirigenti). Il maggior distacco tra gli elettorali dei due partiti riguarda commercianti/artigiani e operai: nel primo caso la Lega primeggia con 28,2% contro il 12,1% del Pd, tra le tute blu Lega 30,8% contro Pd 16,4%. Il primato più largo il partito di Zingaretti lo fa segnare tra gli studenti: 22% contro 12,8% della Lega. Anche tra i pensionati comunque il Pd ha sette punti di vantaggio sul Carroccio.
Nell’elettorato dei 5S è alta la percentuale degli studenti (20,3%) quasi a ridosso del Pd e anche quella tra i disoccupati (19,7%) abbastanza vicina al primato della Lega. Anche tra gli operai gli elettori di Grillo (19,9%) sono più di quelli di Zingaretti. Tutto sommato è alta anche la presenza pentastellata nella fascia più alta di reddito (Imprenditori, dirigenti e liberi professionisti) con 14,7%, meno di quattro punti sotto il Pd. Aggiungiamo che per area geografica il M5S è più forte al Centro Sud che al Sud/Isole. La domanda che riguarda Fratelli d’Italia, vista la differente collocazione che avrà rispetto alla Lega nei confronti del governo Draghi, è se l’elettorato di Giorgia Meloni sia significativamente diverso da quello di Matteo Salvini. Risposta: ci sono molti meno commercianti/artigiani, meno impiegati e operai mentre è buona la rappresentanza di casalinghe (18,6%) e pensionati (16,8%). Comunque Fratelli d’Italia è ben rappresentata anche nella fascia più alta di reddito. Chiudiamo con Forza Italia. A sorpresa l’elettorato di Berlusconi è più consistente tra i disoccupati che tra gli imprenditori (11,4% contro 9,9%) e tra le casalinghe l’effetto-reti Mediaset non incide affatto visto che il partito azzurro resta al 9,5% (metà del Pd). Infine per quanto riguarda la concentrazione territoriale il Nordest è di gran lunga il territorio più prolifico per la Lega così come le regioni rosse del Centro Nord premiano di più il Pd. Fratelli d’Italia il miglior risultato lo strappa a Nord Ovest mentre Forza Italia ha più consensi nel Sud/Isole.
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dariodivico · 3 years
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L’allarme sui contratti si è rivelato solo un’arma di distrazione di massa
Incrociando le dita ai primi di febbraio si dovrebbe raggiungere l’accordo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, che andrebbe così ad aggiungersi ai numerosi altri contratti già firmati negli scorsi mesi. Sul piano dei contenuti le intese sottoscritte hanno dato buoni risultati in materia di salario con incrementi che sono andati dai 63 euro del legno ai 120 dell’alimentare passando per i circa 100 euro sui quali dovrebbe aggirarsi la mediazione in casa dei metalmeccanici. Un po’ ovunque, poi, si è lavorato per migliorare alcuni istituti a partire dal welfare aziendale. In più proprio i metalmeccanici dovrebbero riscrivere le regole dell’inquadramento professionale rimettendo in asse le cosiddette declaratorie (i profili) con i profondi cambiamenti dell’organizzazione del lavoro legati alla digitalizzazione e al 4.0. Il rinnovo dei contratti alla fine non ha generato i conflitti che si paventavano, anzi il numero delle ore di sciopero che si sono rese necessarie - come si usa dire - per stipulare le intese è rimasto molto contenuto. Quindi rileggendo le interviste rilasciate dai leader sindacali nei mesi scorsi si può dire che l’allarme sociale di cui si parlava non ha trovato riscontri e anche della presunta protervia degli industriali non ci sono rimaste tracce significative. Non era vero che i contratti fossero il macigno che impediva un dialogo aperto tra sindacati e imprese e un’eventuale collaborazione tra loro per “sfidare”, assieme, la politica sulla gestione della pandemia. Il risultato di questo equivoco, non so quanto voluto, è stato che le parti sociali non stanno toccando palla sul Recovery fund. Le confederazioni sindacali sono stati ascoltate prima degli industriali e alla fine hanno rilasciato dichiarazioni soporifere, la Confindustria ha potuto dire la sua lunedi scorso. Ma il peso specifico che i loro interventi avranno sulla crisi politica e sulla preparazione del piano per l’Europa è assai vicina allo zero. Con buona pace dell’allarme sui contratti che si è rivelato solo un’arma di distrazione di massa.
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dariodivico · 3 years
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L’impasse Unicredit e i limiti delle public company all’italiana
Sono due mesi che si aperta la crisi al vertice di Unicredit e ancora non è stata trovata la soluzione per sostituire il Ceo Jean Pierre Mustier al vertice. I giornali sono pieni di indiscrezioni e nella ridda delle voci sono usciti più nomi per il dopo-Mustier che per il calciomercato di gennaio. Ma come si spiega questo black out decisionale, dove va rintracciato il motivo di fondo di un’impasse che non sta certo giovando alla reputazione della banca? Una tesi che mi sento di condividere riporta questi quesiti alla struttura stessa dell’azionariato di Unicredit e al suo carattere condominiale. E’ la public company all’italiana a mostrare i suoi limiti e le titubanze del board non fanno che riflettere questa condizione di fondo. Le fondazioni ex-bancarie ormai hanno una quota ridotta e la presenza di grandi investitori stranieri come Blackrock e Norges non ha niente di strategico, per loro Unicredit è solo un investimento di portafoglio deciso, diciamolo con una battuta, dall’algoritmo. In questo condominio dove non si sa chi comanda capita quindi che per sostituire un Ceo ci vogliano mesi. Perché lo schema della public company sia virtuoso, come nei Paesi anglosassoni, ci vogliono condizioni che non ci sono in Unicredit. Un nocciolo duro di azionisti compatto, un management molto forte, una governance chiara capace di evitare vuoti di potere. Il resto è cronaca di tutti i giorni: la volontà di alcuni azionisti di evitare una figura da uomo-solo-al-comando (come era stato nel bene e nel male Mustier), il formarsi di un’ala più governativa rispetto a un altro schieramento più ancorato alla cultura privatistica, le polemiche sull’arrivo del presidente Pier Carlo Padoan e i collegamenti con l’eventuale merger con la banca di Siena.
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dariodivico · 3 years
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Un tweet del parlamentare Pd Filippo Sensi ha aperto una riflessione sui rapporti tra il popolo delle partite Iva e gli schieramenti politici. “Questa legge di bilancio - ha scritto - fotografa la paura che avevo: che la rappresentanza degli autonomi, della partite Iva, della piccola impresa la possa, a giusto titolo e con l’assenso della maggioranza, rivendicare questa destra, la peggiore che c’è”. Il riferimento è all’Iscro, il provvedimento che crea un ammortizzatore sociale per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps. “Se ne parlava da anni o decenni” è il giudizio di Andrea Garnero, economista del lavoro dell’Ocse ed ora sta diventando realtà. Ma a chi si deve politicamente quella che rappresenta sicuramente una svolta e apre nuove prospettive al welfare delle partite Iva? Un peso importante, lo riconoscono tutti, l’ha avuto Silvio Berlusconi, che già dalla sua prima lettera al Corriere aveva posto come condizione della collaborazione di Forza Italia alla stesura della legge di bilancio maggiori e incisivi riconoscimenti al mondo del lavoro autonomo. Del resto la piccola impresa è da sempre una constituency elettorale del centro destra per motivi politico-culturali. Poi al tempo di Giulio Tremonti ministro il rapporto tra destra e partite Iva era diventato particolarmente visibile sul terreno delle alleanze tra società e politica. I leghisti successivamente erano tornati a presidiare il campo con la flat tax al 15% varata dal governo gialloverde Conte 1 ma il provvedimento era stato concepito in maniera così rudimentale che lo stesso Tremonti l’aveva criticato in privato e comunque è stato modificato con l’avvento del Pd al governo con il Conte 2. Ma la verità è che nel Pd ci sono idee diverse su quali platee elettorali curare con maggiore coerenza e così è successo che a spingere per prima l’emendamento che ha portato all’Iscro è stata una loro parlamentare, Chiara Gribaudo. L’iter dell’emendamento viene definito “rocambolesco” da chi ha avuto modo di seguirlo e così prima i 5Stelle (contro l’orientamento iniziale del ministro Nunzia Catalfo) e Italia Viva e poi Forza Italia (e successivamente anche la Lega) l’hanno fatto proprio e sostenuto. E infine il ministro Roberto Gualtieri su Facebook ha pienamente rivendicato la scelta. Ma allora le preoccupazioni di Sensi sono ingiustificate? O segnalano che il lavoro del Pd nelle retrovie parlamentari in termini di comunicazione alla fin fine non regge il confronto con il primo assist di Berlusconi? Vedremo. Nell’attesa vale la pena ricordare come il popolo delle partite Iva è la somma di due componenti, quella più tradizionale nella quale spiccano gli artigiani e i liberi professionisti e quella del “lavoro autonomo di seconda generazione” che riporta alle professioni creative e digitali. E nella storia delle competizioni elettorali ha senso ricordare come proprio questa seconda componente fu decisiva, per la sinistra, per la prima volta quando a Milano votò Giuliano Pisapia voltando le spalle al centro-destra di Letizia Moratti.
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dariodivico · 4 years
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CONTRATTO RIDERS
DICHIARAZIONE DELLA SEGRETARIA CONFEDERALE CGIL, TANIA SCACCHETTI, DEL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO CISL, LUIGI SBARRA, DELLA SEGRETARIA CONFEDERALE UIL, TIZIANA BOCCHI
Cgil, Cisl, Uil: Riders - si apra subito un confronto sia sulle misure anti-contagio sia per dare a questi lavoratori le tutele di un contratto collettivo.
Da settimane chiediamo l’apertura di un confronto con Assodelivery sul tema delle misure di contrasto e di contenimento della diffusione del Covid-19.
Finora l’associazione che rappresenta le principali aziende del food delivery non ha ritenuto utile nemmeno un cenno di risposta.
Un atteggiamento sbagliato, quello di Assodelivery, specie in un settore in cui vediamo crescere il rischio di comportamenti al limite della legalità e in cui le condizioni di lavoro sono molto lontane dall’essere dignitose. E questo è ancora più paradossale per un servizio che è stato considerato essenziale nella pandemia.
Leggiamo oggi sul Corriere Economia un’interessante intervista della vicepresidente della Associazione, general manager di Glovo, che apre anche alla possibilità di addivenire ad un accordo per riconoscere alcuni diritti.
E’ quello che il sindacato chiede da sempre per questi lavoratori: dare loro dignità e diritti, partendo dalle reali condizioni di svolgimento della prestazione lavorativa e dalle tante sentenze e pronunciamenti che si stanno susseguendo in questi mesi che contestano la natura autonoma di questi lavoratori, indicando la etero organizzazione come condizione prevalente.
Ricordiamo che il “decreto riders” approvato lo scorso novembre stabilisce alcuni diritti di base, ma poi affida esplicitamente gli aspetti retributivi alla contrattazione collettiva, contrattazione che dovrà intervenire entro 12 mesi e che potrà anche regolamentare ferie, malattia, trasparenza degli algoritmi, diritto alla disconnessione, alla privacy, all'associazione sindacale, insieme a tutte le altre protezioni che solo un vero contratto può riconoscere.
Si apra, quindi, immediatamente un confronto finalizzato a negoziare con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale diritti e tutele per i lavoratori. E’ questo il miglior segnale da mandare ai rider impegnati in attività essenziali sottraendoli da condizioni di ingiustificato e inaccettabile sfruttamento.
Roma, 6 Luglio 2020
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dariodivico · 4 years
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A proposito dei dati (mancanti) sullo smartworking . Scrive Roberto Soncin
“ho letto il tuo intervento/riflessione sul lavoro agile. Ci aggiungo un fatto: che io sappia fino a 10 giorni fa non c'erano ancora dati (anche i più semplici) sulla sua diffusione in conseguenza alla epidemia. Al momento c'è solo una tabella che riguarda i dipendenti delle Regioni.Nulla su tutto il resto del lavoro pubblico e nulla sul privato.Non so se questa assenza di informazioni sia stata superata nei giorni scorsi.Da quello che mi hanno detto sembra che le segnalazioni siano state inviate al Ministero del lavoro e li sono rimaste. Molto probabilmente sono state inviate per conoscenza all'INAIL”
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dariodivico · 4 years
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Il Veneto è uscito più forte e “sistemico” dalla lotta all’epidemia. Tocca ora alle imprese fare altrettanto
Potrà apparire un controsenso ma dalla terribile epidemia che pure ha causato più di 19 mila contagi e circa 1.900 decessi il Veneto esce vincitore. Al netto delle polemiche degli ultimi giorni tra il governatore Luca Zaia e il professore Andrea Crisanti il modello di sanità territoriale e la strategia di contenimento dell’infezione seguita dalla regione nordestina è risultata sicuramente come la best practise italiana e, se paragonata ai ritardi e alle incongruenze della vicina Lombardia, risalta come oro. E qui siamo davanti a una novità straordinaria: il Veneto che è stato celebrato in questi anni per la forza dei suoi animal spirits e per l’anarchia creativa dei suoi imprenditori segna oggi un punto (e che punto) grazie a un’impostazione che potremmo definire sistemica. Ovvero l’opposto della tradizionale antropologia nordestina. Per averne contezza basta ricordare le decine e decine di assemblee di imprenditori e politici locali che si chiudevano inevitabilmente con lo stesso refrain: “Noi veneti, purtroppo, non saremo mai capaci di fare sistema”. Come è stato possibile allora questo rovesciamento di metodo/cultura, un’inversione a U che come ricorda il presidente della Confindustria regionale, Enrico Carraro “ci ha fatto meritare l’attenzione dei grandi giornali stranieri”?
In molti dovendo spiegare l’arcano descrivono Zaia come un bravo allenatore che ha saputo scegliersi una squadra di ottima qualità e puntare sulla sinergia tra amministrazione e università di Padova. Aggiungiamo che non da oggi Zaia è un fuoriclasse della comunicazione, grazie anche all’abilità quasi innata di surfare sull’opinione dei suoi elettori attentamente monitorata tramite sondaggi. E aggiungiamo anche che un aiuto gli è venuto dalle forze sociali, “che hanno realizzato intese e protocolli per mettere in sicurezza la ripresa delle attività produttive”, come sottolinea Franco Giacomin, tra i promotori di Arsenale 2022 un pensatoio che non ha avuto la fortuna che avrebbe meritato. La somma di tutto ciò è che mentre prima della pandemia il Veneto rischiava di dover indossare i panni della Cenerentola del nuovo triangolo industriale, proprio a causa della sua anarchia messa a confronto della capacità sistemica di Emilia e Lombardia, assistiamo ora a un clamoroso rovesciamento del ranking nordista. “So che in queste settimane sta avanzando un’idea di ricentralizzazione delle politiche sanitarie motivata con le incoerenze tra le varie Regioni, ma resto convinto della bontà dell’autonomia specie se ispirata a scelte rigorose. La qualità dell’assistenza medica unita ai costi standard è tanta roba - aggiunge Luciano Vescovi, presidente della Confindustria di Vicenza - E caso mai piuttosto che riportare il potere sanitario a Roma guarderei all’Europa e magari sognerei una Schengen sanitaria”.
Messa da parte per un momento l’emergenza sanitaria (con le dita incrociate, sia chiaro) la domanda che vale la pena porsi suona in questo modo: il successo di squadra del Veneto può tradursi in qualcosa di altrettanto coordinato e sistemico in campo industriale ed economico? Si avvicinano le elezioni regionali e il successo di Zaia viene dato tanto per scontato che sia gli imprenditori sia i suoi critici di sempre confidano solo in una legislatura “più coraggiosa”. Capace cioè di dar vita a una vera politica di territorio che non sia l’allargamento del perimetro del Prosecco ma riguardi le opere pubbliche. “L’ultima grande realizzazione è stato il Passante di Mestre” sospira Carraro. Ma lasciando per un momento da parte le scelte dell’amministrazione regionale quali compiti invece vanno a spiovere direttamente sui comportamenti imprenditoriali? In questi giorni gli uomini del Pil non sono riusciti ancora ad alzare lo sguardo: c’è da fare l’inventario dei danni, si prospetta una ripresina a volumi ridotti, è difficile persino mandare in trasferta i commerciali, l’obiettivo è conservare la posizione raggiunta nelle catene internazionali del valore. Ma la voglia di discontinuità che emerge dalle loro riflessioni è quasi senza precedenti. Carraro ha preparato sette paginette fitte di indirizzo ai suoi associati e Vescovi crea addirittura uno slogan: “Dobbiamo passare dall’economia del cow boy a quella dell’astronauta”. Sperando di non sbagliare traduzione vuol dire che il Nordest deve diventare un viaggiatore a suo agio negli spazi larghi e che sa fare i conti con la complessità ai suoi massimi livelli. “Il nodo è il rapporto con la ricerca e l’università - spiega il presidente vicentino - il vecchio modello del cow boy, culturalmente autosufficiente, porta a schiantarci. Invece dobbiamo coltivare la disponibilità mentale a cambiare registro”. E se la risposta alla crisi del 2008 era stata l’internazionalizzazione del sistema manifatturiero oggi la nuova sfida è quella delle risorse limitate, della sostenibilità. “Una sfida che vinciamo solo assieme all’università sperando che da parte loro ci sia la stessa disponibilità al cambiamento”. Sulla medesima lunghezza d’onda Carraro parla di una regione che se vuole cogliere quanto di positivo ha insegnato l’emergenza non può non avere sul territorio una filiera biomedicale capace di collaborare con la sanità pubblica e, anche in questo caso, l’università. E i rapporti con il leghismo, la cultura politica dominante nei territori del Nord? Qualcosa sta accadendo anche in quest’ambito. L’Emilia dei patti tra pubblico e privato viene citata molto spesso come esempio e, soprattutto, il presidente Vescovi i cui associati sono elettori leghisti sottolinea come il campo di gioco del Veneto sia fatalmente l’Europa, senza se e senza ma. Per il sovranismo di stretta osservanza salviniana non è una bella notizia. Post scriptum: Se il coronavirus non ha ammazzato la manifattura veneta ha però terremotato Venezia e il turismo. Ma è tutta un’altra storia che merita una trattazione a sé.
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dariodivico · 4 years
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Fase due/ L'odissea di un piccolo imprenditore tra banca, Fondo di garanzia e codici Ateco
"Succede questo. Ho iniziato le pratiche il 14 aprile chiudendo un finanziamento di 20.000 euro garantito dal Fondo. La mia banca, dopo una partenza esitante, mi ha dato da compilare due moduli in cui venivano chieste informazioni anche un po' aleatorie (flusso di cassa previsto), ma va bene. Fatto tutto, firmato un modulo estremamente semplificato. Due settimane fa la banca mi chiede il certificato di assgnazione della partita IVA, risalente al 1999. Mandato. La banca invia la richiesta di garanzia al Fondo. La settimana scorsa la Banca mi chiede l'attestato dell'Anagrafe Tributaria con i miei dati ufficiali. Lo vado a prendere nel mio cassetto fiscale e lo mando. La banca lo gira al Fondo. Oggi chiedo alla Banca se ci sono novità. Risposta, il Fondo si rifiuta di protocollare la richiesta (che equivale al via libera) perchè il mio Codice Ateco, come risulta dall'attestazione dell'Anagrafe Tributaria, non esiste. La mia Banca è disperata. Sai cosa è il problema? L'ho capito subito. Che tutti i codici ATECO sono cambiati due volte dal 1999 a oggi. Il mio, in particolare, è cambiato nel 2007. Il Fondo non vuole fare la fatica di consultare la Tabella di Raccordo ufficiale messa liberamente a disposizione dall'Agenzia delle Entrate sia in PDF che in formato machine readable (che usano quelli che fanno i software). Ho dovuto: andare sul sito dell'Agenzia. Scaricare la tabella di raccordo, evidenziare in giallo il mio codice vecchio e come è stato cambiato. Inviare il tutto alla Banca, allegando anche il link alla pagina del sito dell'Agenzia in cui si dice che loro non cambiano l'attestazione, ma che è responsabilità del contribuente indicare in tutti i documenti fiscali o simili il codice giusto consultando la tabella (cosa che io ho fatto nei documenti richiesti dalla Banca e peraltro in tutte le dichiarazioni fiscali, UNICO, IVA etc.). Ora spero la cosa si sblocchi in fretta, la Banca è pronta ad erogare.Basta che il Fondo protocolli. Ora, cosa deve pensare un cittadino? Che tutti i balletti tra Patuelli e Patuanelli, le singole banche, la Commissione d'Inchiesta della Ruocco, i vertici del Fondo, etc. si riducono al fatto che un funzionario non ha voglia di fare quello che tutti i contribuenti sono obbligati a fare ogni volta? Che il suddetto funzionario, che si occupa di garanzie per le attività produttive, non sa che i codici ATECO sono cambiati due volte negli ultimi vent'anni? Che però il normale contribuente deve saperlo, perchè la legge non ammette l'ignoranza?"
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dariodivico · 4 years
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Fase due/ Lo sfogo di un piccolo imprenditore tra banca, Fondo di garanzia e codici Ateco
"Succede questo. Ho iniziato le pratiche il 14 aprile chiuedendo un finanziamento di 20.000 euro garantito dal Fondo. La mia banca, dopo una partenza esitante, mi ha dato da compilare due moduli in cui venivano chieste informazioni anche un po' aleatorie (flusso di cassa previsto), ma va bene. Fatto tutto, firmato un modulo estremamente semplificato. Due settimane fa la banca mi chiede il certificato di assgnazione della partita IVA, risalente al 1999. Mandato. La banca invia la richiesta di garanzia al Fondo. La settimana scorsa la Banca mi chiede l'attestato dell'Anagrafe Tributaria con i miei dati ufficiali. Lo vado a prendere nel mio cassetto fiscale e lo mando. La banca lo gira al Fondo. Oggi chiedo alla Banca se ci sono novità. Risposta, il Fondo si rifiuta di protocollare la richiesta (che equivale al via libera) perchè il mio Codice Ateco, come risulta dall'attestazione dell'Anagrafe Tributaria, non esiste. La mia Banca è disperata. Sai cosa è il problema? L'ho capito subito. Che tutti i codici Ateco sono cambiati due volte dal 1999 a oggi. Il mio, in particolare, è cambiato nel 2007. Il Fondo non vuole fare la fatica di consultare la Tabella di Raccordo ufficiale messa liberamente a disposizione dall'Agenzia delle Entrate sia in PDF che in formato machine readable (che usano quelli che fanno i software). Ho dovuto: andare sul sito dell'Agenzia. Scaricare la tabella di raccordo, evidenziare in giallo il mio codice vecchio e come è stato cambiato. Inviare il tutto alla Banca, allegando anche il link alla pagina del sito dell'Agenzia in cui si dice che loro non cambiano l'attestazione, ma che è responsabilità del contribuente indicare in tutti i documenti fiscali o simili il codice giusto consultando la tabella (cosa che io ho fatto nei documenti richiesti dalla Banca e peraltro in tutte le dichiarazioni fiscali, UNICO, IVA etc.). Ora spero la cosa si sblocchi in fretta, la Banca è pronta ad erogare.Basta che il Fondo protocolli. Ora, cosa deve pensare un cittadino? Che tutti i balletti tra Patuelli e Patuanelli, le singole banche, la Commissione d'Inchiesta della Ruocco, i vertici del Fondo, etc. si riducono al fatto che un funzionario non ha voglia di fare quello che tutti i contribuenti sono obbligati a fare ogni volta? Che il suddetto funzionario, che si occupa di garanzie per le attività produttive, non sa che i codici Ateco sono cambiati due volte negli ultimi vent'anni? Che però il normale contribuente deve saperlo, perchè la legge non ammette l'ignoranza?"
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dariodivico · 4 years
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Succede questo. Ho iniziato le pratiche il 14 aprile chiuedendo un finanziamento di 20.000 euro garantito dal Fondo. La mia banca, dopo una partenza esitante, mi ha dato da compilare due moduli in cui venivano chieste informazioni anche un po' aleatorie (flusso di cassa previsto), ma va bene. Fatto tutto, firmato un modulo estremamente semplificato. Due settimane fa la banca mi chiede il certificato di assgnazione della partita IVA, risalente al 1999. Mandato. La banca invia la richiesta di garanzia al Fondo. La settimana scorsa la banca mi chiede l'attestato dell'Anagrafe Tributaria con i miei dati ufficiali. Lo vado a prendere nel mio cassetto fiscale e lo mando. La banca lo gira al Fondo. Oggi chiedo se ci sono novità. Risposta, il Fondo si rifiuta di protocollare la richiesta (che equivale al via libera) perchè il mio Codice Ateco, come risulta dall'attestazione dell'Anagrafe Tributaria, non esiste. La mia banca è disperata. Sai cosa è il problema? L'ho capito subito. Che tutti i codici Ateco sono cambiati due volte dal 1999 a oggi. Il mio, in particolare, è cambiato nel 2007. Il Fondo non vuole fare la fatica di consultare la Tabella di Raccordo ufficiale messa liberamente a disposizione dall'Agenzia delle Entrate sia in PDF che in formato machine readable (che usano quelli che fanno i software). Ho dovuto: andare sul sito dell'Agenzia. Scaricare la tabella di raccordo, evidenziare in giallo il mio codice vecchio e come è stato cambiato. Inviare il tutto alla Banca, allegando anche il link alla pagina del sito dell'Agenzia in cui si dice che loro non cambiano l'attestazione, ma che è responsabilità del contribuente indicare in tutti i documenti fiscali o simili il codice giusto consultando la tabella (cosa che io ho fatto nei documenti richiesti dalla banca e peraltro in tutte le dichiarazioni fiscali, UNICO, IVA etc.).
Ora spero la cosa si sblocchi in fretta, la Banca è pronta ad erogare.Basta che il Fondo protocolli. Ora, cosa deve pensare un cittadino? Che tutti i balletti tra Patuelli e Patuanelli, le singole banche, la Commissione d'Inchiesta della Ruocco, i vertici del Fondo, etc. si riducono al fatto che un funzionario non ha voglia di fare quello che tutti i contribuenti sono obbigati a fare ogni volta? Che il suddetto funzionario, che si occupa di garanzie per le attività produttive, non sa che i codici ATECO sono cambiati due volte negli ultimi vent'anni? Che però il normale contribuente deve saperlo, perchè la legge non ammette l'ignoranza?
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dariodivico · 5 years
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Occupati per teste e per ore/ una mail di Giorgio La Malfa
Caro Di Vico,
ho trovato molto interessante il suo articolo di stamane sul Corriere. In effetti non riuscivo a capire come si potesse registrare una diminuzione della disoccupazione in un paese a economia stagnante come l'Italia. Pensavo che potesse esservi un fenomeno di "lavoratori scoraggiati", cioè di uscita dal mercato del lavoro di disoccupati di lungo periodo, ma non avevo pensato alla possibilità alla quale accenna lei di un aumento del numero di lavoratori a orario ridotto.
Disponiamo di statistiche attendibili sulle ore lavorate da confrontare con il numero dei lavoratori occupati? Mettere i due grafici uno accanto all'altro potrebbe essere molto significativo.
Molto cordialmente
Giorgio La Malfa
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dariodivico · 5 years
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La Tav, Salvini e il partito del Pil/ Una lettera di Mino Giachino
Caro DI VICO ,dopo aver letto il commento che hai scritto oggi sul Corriere, scrivo a Te e p.c.al mio amico Cirio neo presidente del Piemonte .
Dario , come sempre, sei uno che legge prima e meglio degli altri ciò che avviene nel Paese, o quasi.
Il risultato piemontese scaturisce da due motivazioni . Primo : da vent’anni il Piemonte cresce meno della media nazionale e il suo PIL procapite e’sceso all’undicesimo posto tra le 20 Regioni italiane e questo ha impoverito la metà della popolazione tra cui una parte del ceto medio produttivo. Chi si è impoverito dopo aver votato lo scorso anno i Grillini ora vota Lega.
Secondo : Salvini ha saputo attrarre, dopo aver virato a Dicembre a favore della TAV, il voto dei piemontesi che vogliono la CRESCITA e dicono No alla DECRESCITA.
Ma Salvini ha virato dopo avermi ricevuto al Viminale il 5 dicembre e dopo avermi chiesto “Perché è così importante la TAV per il Piemonte ?”.
Nell’ultimo mese Salvini ha detto ripetutamente che se vinceva in Piemonte avrebbe fatto la TAV.
Salvini sa far politica, sente come nessun altro i problemi della gente minuta e delle piccole aziende.
Mentre alcuni miei amici di Forza Italia e Fratelli d’Italia temevano che, con la organizzazione della Grande Manifestazione SITAV del 10 Novembre 2018, io favorissi di fatto Chiamparino , Salvini ha saputo rispondere avendo l’umiltà di incontrarmi e il coraggio di smentire in un battibaleno l’impegno preso con Di Maio di far saltare la TAV. Perché la Tav insieme alla Gronda di Genova erano le 2 opere su cui i Grillini erano più ostili.
La TAV si farà e darà una spinta alla crescita del PIL , nell’attesa che il partito del PIL vinca qualche battaglia vera sulla competitività del Paese.
In questo modo MATTEO, che nella sua azione appare come una macchina asfaltatrice, ha tolto spazio alla Lista SITAV SILAVORO cui avevo dato vita insieme a Stefano Parisi perché la sua presenza al Governo dava ovviamente maggiori garanzie ai piemontesi sul salvataggio dell’opera.
Ciò che conta però è che la TAV si farà e quindi la Piazza del 10 Novembre ha ottenuto il risultato voluto. Ed io che , dopo averla ideata, ho avuto il coraggio di organizzarla insieme alle madamin ne sono orgoglioso e sono disponibile, a dare il mio contributo perché si faccia al meglio.
Mino GIACHINO
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