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Diritto della concorrenza - la tutela dell'impresa
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dirittodellaconcorrenza · 7 years ago
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Corte di Cassazione 6924/2016
Hai una domanda riguardante il diritto della concorrenza?
SENTENZA sul ricorso proposto da: Ravaglia & C. s.a.s., in persona del socio accomandatario Pieremilio Ravaglia, elettivamente domiciliato in Roma, via Giovanni Nicotera 24, presso lo studio dell'avv.to Daniela Tiziana Trovato che la rappresenta e difende, per procura speciale in margine al ricorso; - ricorrente - nei confronti di Brembo s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via 140 Orti della Farnesina 126, presso lo studio dell'avv. 2014 Giorgio Stella Richter che, unitamente all'avv. Pilade E. Santini la rappresenta e difende, per procura speciale del 12 marzo 2007 n.117096 rep. notaio Giovanni Vacirca di Bergamo allegata al controricorso; - controrícorrente - e Rhiag s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, via XX Settembre 3, presso lo studio dell'avv. Bruno Sassani che, unitamente agli avv.ti Mario Franzosi e Federica Santonocito la rappresenta e difende, per procura speciale a margine del controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 907/06 della Corte d'appello di Brescia emessa il 26 aprile 2006 e depositata il 26 settembre 2006, R.G. n. 1585/2003; sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. Immacolata Zeno che ha concluso per l'inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso; Rilevato che: 1. la s.a.s. Ravaglia ha convenuto in giudizio Brembo s.p.a. e Rhiag s.p.a. per ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni provocati con atti di concorrenza sleale posti in essere dalle convenute in suo pregiudizio. 2. Ha dedotto specificamente che, con contratto del l aprile 1983, aveva ottenuto l'esclusiva per la vendita su tutto il territorio della Toscana dei 2 prodotti inseriti nel catalogo Brembo e in particolare dei dischi freno Brembo. In base a tale contratto si era impegnata a limitare la propria attività di vendita a tali prodotti e al territorio toscano e a praticare i prezzi risultanti dal listino e gli sconti solo se concordati. Ha lamentato che, in tempi successivi, Brembo s.p.a. avesse immesso sul mercato altri dischi freno denominati Breco, sostanzialmente interscambiabili con i dischi Brembo, consentendo alla concessionaria Rhiag di praticare prezzi sensibilmente inferiori rispetto a quelli relativi al catalogo Brembo che la Rhiag ben conosceva. Da ultimo Brembo s.p.a. aveva comunicato che tutte le zone di concessione dei prodotti Brembo erano affidate alla Rhiag e che gli ex concessionari Brembo (fra cui Ravaglia & C. s.a.s.) avrebbero ottenuto, in sostituzione, la concessione per i prodotti con marchio Breco. 3. Brembo s.p.a. si è costituita e ha contestato le deduzioni poste a fondamento della domanda rilevando in particolare la preesistenza sia del marchio Breco sia della concessione di vendita a favore di Rhiag e smentendo la asserita vendita a prezzi inferiori dei prodotti Breco. Ha contestato in ogni caso che le circostanze in questione integrassero ipotesi di concorrenza sleale in danno di Ravaglia s.a.s. In via riconvenzionale ha chiesto la condanna della 3 società attrice al pagamento di lire 76.000.000 corrispondente all'utile non percepito in conseguenza della mancata vendita da parte di Ravaglia s.a.s. del numero minimo di pezzi cui si era obbligata. 4. Si è costituita Rhiag eccependo l'incompetenza territoriale del Tribunale adito e contestando il fondamento della domanda proposta nei suoi confronti. Ha dedotto di commercializzare dischi Breco sin dal 1979 e, su parte del territorio nazionale, anche dischi Brembo, ha negato di aver venduto i dischi Breco a prezzo inferiore rispetto ai dischi Brembo e ha contestato che tale comportamento fosse comunque idoneo a integrare ipotesi di concorrenza sleale ai danni di Ravaglia s.a.s. 5. Il Tribunale di Bergamo con sentenza del 23 settembre 2003 ha accolto la domanda condannando le società convenute al pagamento a titolo di risarcimento danni della somma di 30.000.000 di lire. Il giudice di prime cure ha ritenuto provata la vendita dei dischi Breco a prezzi inferiori a quelli Brembo con conseguente deperimento del mercato di questi ultimi e ha messo in relazione tale comportamento alla successiva attribuzione in favore di Rhiag di una unica concessione per i prodotti Brembo su tutto il territorio nazionale. 6. La Corte di appello di Brescia ha ritenuto non 4 provate le circostanze poste a base della domanda risarcitoria e ha ritenuto del tutto illogica la tesi di una finalizzazione della condotta ai danni della Ravaglia s.a.s. Ha pertanto riformato la sentenza del Tribunale di Bergamo respingendo la domanda della Ravaglia s.a.s. mentre ha confermato il rigetto della domanda riconvenzionale di Brembo s.p.a. non ritenendo provata l'obbligazione di Ravaglia s.a.s. a vendere una quantità minima di prodotti. 7. Ricorre per cassazione Ravaglia & C. s.a.s. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. 8. Si difendono con separati controricorsi Bembo s.p.a. e Rhiag s.p.a. Ritenuto che 9. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 81 c.p.c. La ricorrente lamenta contesta la decisione della Corte di appello che non ha ritenuto legittimata la società a chiedere in proprio danni che sostiene di essere stati patiti dal socio accomandatario. 10. Il motivo è inammissibile per mancata formulazione del quesito di diritto richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis alla controversia. 11.Con il secondo motivo di ricorso si deduce falsa applicazione e insufficiente motivazione dell'art. 2598 c.c. comma 3, in relazione agli 5 articoli 2220 c.c. e 116 c.p.c. nonché insufficiente motivazione. La ricorrente formula il seguente quesito di diritto: può il giudice trarre argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. dalla mancata esibizione, a seguito di suo ordine, di documenti che - sebbene risalenti ad epoca precedente al termine di dieci anni, così come previsto dall'art. 2220 c.c. - siano stati oggetto di istanza di esibizione avanzata dalla parte in sede istruttoria, prima dello spirare del suddetto termine. Non può invocare, a propria esimente, la parte cui l'ordine è stato rivolto, l'applicazione del disposto dell'art. 2220 c.c. allorquando, dagli atti di causa, si evinca a quale documento l'istanza di esibizione abbia fatto riferimento, attesa anche la sua finalità probatoria, caratterizzandosi quale contegno contrario ai criteri di correttezza e buona fede. 12. Il motivo è inammissibile come può evincersi dalla lettura del quesito che manifestamente non è risolutivo ai fini della decisione. La Corte di appello ha spiegato con dovizia di argomenti per quali motivi non può ritenersi che la mancata esibizione in assenza di ordine da parte del giudice sia suscettibile di fondare argomenti di prova così come ha rilevato che l'istanza di esibizione reiterata dalla difesa della Ravaglia nel verbale del 14 giugno 2001 era in realtà una nuova istanza perché si riferiva a un diverso 6 contratto risalente al 1983 e relativo alla Lombardia e alla Sicilia. Per altro verso la Corte di appello ha dimostrato analiticamente perché gli argomenti di convincimento desunti dal primo giudice dalla mancata esibizione fossero basati su considerazioni del tutto opinabili e priva di rilevanza ai fini del decidere. 13.Con il terzo motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell'art. 2598 c.c. nonché insufficiente motivazione. La ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto: ricorre la fattispecie di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 comma 3 c.c. ove, una o più aziende abbiano posto in essere atti contrari alle regole di correttezza e lealtà in contrasto con l'etica che impronta le relazioni commerciali, in quanto tesi a realizzare il fenomeno dello sviamento della clientela prescindendo da qualsivoglia vantaggio cui la condotta era finalizzata. Del pari, è sufficiente la mera idoneità, degli atti sleali, a produrre un danno in capo al soggetto passivo al fine di ritenere operante il dettato del medesimo articolo di legge. 14. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi consistita nel rilevare la mancanza di prova sia di una condotta qualificabile come concorrenza sleale sia di un pregiudizio subito dalla ricorrente. 7 15.Con il quarto motivo di ricorso si deduce falsa applicazione e insufficiente motivazione dell'art. 2598 c.c. comma 3, in relazione all'art. 2727-2729 c.c. nonché insufficiente motivazione sotto altro aspetto in relazione all'art. 360 comma 1 n.5 c.p.c. La ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto: può il giudice di merito ritenere raggiunta la prova di fatti nell'ipotesi in cui ricorrano le presunzioni di cui agli artt. 2727-2729 qualora il suo convincimento, valutata la condotta processuale della parte, discenda da un elemento indiziario anche esclusivo, ma preciso e grave, ben rinvenibile nel mancato ottemperamento ad un ordine del giudice, di esibizione di documenti, dai quali potrebbero essere desunti elementi inequivocabili di prova del fatto lamentato. 16. Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte con riferimento al secondo e terzo motivo di ricorso. VI è da aggiungere che la Corte di appello ha fornito una motivazione completa e stringente sul difetto di prova relativo alla vendita in regime di concorrenza sleale da parte della Rhiag nonché sull'illogicità, oltre che sulla non dimostrazione, della politica di mercato immaginata dalla società ricorrente, e ritenuta attendibile dal primo giudice. Tale strategia sarebbe consistita nell'accordo delle società controricorrenti finalizzato a mettere in 8 ginocchio i concessionari Brembo con una politica di ribasso dei prezzi Breco salvo poi a offrire ai concessionari Brembo ridotti malamente da tale politica la concessione dei prodotti Breco e alla Rhiag la concessione dei prodotti Brembo. La macchinosità oltre che la incomprensibilità di una tale strategia ha persuaso la Corte di appello dell'infondatezza della domanda proposta dalla Ravaglia ed è su questa persuasione e sulle ragioni che l'hanno sostenuta che avrebbe dovuto incentrarsi il ricorso. 17.Infine con il quinto motivo di ricorso la ricorrente impugna la decisione sulle spese rilevando il contrasto fra la compensazione delle spese del primo grado in ragione della reciproca soccombenza (della Brembo quanto alla domanda riconvenzionale e della Rhiag quanto all'eccezione di incompetenza). 18.11 motivo è anch'esso inammissibile perché investe la regolamentazione delle spese e come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in materia di disciplina delle spese processuali, la denunzia della violazione dell'art. 91 cod. proc. civ, attesa la natura processuale del vizio, consente di verificare anche in sede di legittimità, mediante l'esame degli atti del processo, il rispetto del principio della soccombenza, in ragione del quale, al di fuori dell'ipotesi di compensazione 9 per reciproca soccombenza o per giusti motivi, la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata neppure parzialmente al pagamento delle spese di giudizio (cfr. ex multis Cass. civ. sezione II, n. 3083 del 13 febbraio 2006). Nella specie la Corte di appello ha motivato la compensazione delle spese del primo grado con la reciproca soccombenza e la condanna della Ravaglia al pagamento delle spese del giudizio di appello in considerazione della sua soccombenza che ha comunque ritenuto prevalente sul rigetto della riconvenzionale della Brembo, in realtà non riproposta con l'atto di appello come si evince dalle conclusioni riportate nel testo della sentenza, e sull'eccezione di incompetenza reiterata dalla Rhiag. La pronuncia sul punto si presenta pertanto non suscettibile del sindacato di legittimità (cfr. Cass. civ. sezione I n. 14542 del 4 luglio 2011 secondo cui la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini). 10 P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate, quanto alla Brembo s.p.a. in 5.200 euro di cui 200 per spese e alla Rhiag in 8.200 euro di cui 200 per spese. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 gennaio 2014.
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dirittodellaconcorrenza · 7 years ago
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Corte di Cassazione 6274/2016
SENTENZA sul ricorso proposto da: GIOVANNETTI Graziano, titolare della ditta individuale G.E G. ITALIA di GIOVANNETTI GRAZIANO, rappresentato e difeso, per procura a rogito del notaio dott. Vincenzo Bafunno rep. n. 50075 del 22 marzo 2007, dall'avv. prof. Giuseppe Sena, dall'avv. Paola Tarchini e dall'avv. Elisabetta Berti Arnoaldi Veli ed elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. Francesco Samperi in 2013 Roma, Via Ennio Quirino Visconti n. 90 21. (352. - ricorrente - contro GIOVANNETTI cav. Benito e GIOVANNETTI COLLEZIONI D'ARREDAMENTO s.r.1., in persona dell'amministratore unico sig.ra Lorena Lucarelli, rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del controricorso, dagli avv.ti Graziano Brogi, Laura Pallini, Alfredo Calistri ed Ermanno Prastaro ed elett.te dom.ti presso lo studio di questìultimo in Roma, Via Chinotto n. 1 - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1813/06 della Corte d'appello di Firenze n. 168 depositata il 5 febbraio 2007; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 dicembre 2013 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA; uditi per la ricorrente gli avv.ti Giuseppe SENA ed E- lisabetta BERTI ARNOALDI VELI; udito per la controricorrente l'avv. Ermanno PRASTARO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Ge- nerale dott. Sergio DEL CORE, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il cav. Benito Giovannetti, titolare della ditta individuale Giovannetti Arredamenti, e la Giovannetti Collezioni d'Arredamento s.r.1., rispettivamente pro- prietario e usufruttuaria del marchio registrato ita- 2 liano "Giovannetti", convennero davanti al Tribunale di Pistoia, nel marzo 2000, il sig. Graziano Giovannetti, fratello di Benito e titolare della ditta G. e G. Ita- lia di Giovannetti Graziano, cui addebitavano la con- traffazione del marchio e la conseguente concorrenza sleale. Il Tribunale respinse la domanda, ma la Corte di Firenze ha accolto l'appello degli attori. Ammessa la produzione di nuovi documenti in sede di gravame sia perché, in parte, riguardanti fatti successivi alla conclusione del giudizio di primo grado, sia perché ri- tenuti tutti comunque indispensabili ai fini del deci- dere, la Corte ha accertato che l'uso del patronimico "Giovannetti" da parte dell'appellato avveniva in fun- zione distintiva e non meramente descrittiva, e perciò in violazione dei principi di correttezza professiona- le; conseguentemente ha disposto, a carico dell'appellato, l'inibitoria dell'uso del marchio "Gio- vannetti", sia come marchio di fatto che come ditta, e la condanna al risarcimento del danno, liquidato in C 41.316,55, oltre alla pubblicazione del dispositivo della sentenza su due quotidiani e un periodico. Il sig. Graziano Giovannetti ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di censura. Il cav. Benito Giovannetti e la Giovannetti Collezioni 3 d'Arredamento s.r.l. hanno resistito con controricorso. Sia il ricorrente che i controricorrenti hanno anche presentato memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 8, comma 2, e 21, comma l, c.p.i. (codice della proprietà indu- striale), si sostiene che il titolare (nella specie le parti controricorrenti) di un marchio costituito da un nome patronimico non può impedire a un terzo (nella specie il ricorrente), sotto il profilo della contraf- fazione del marchio, l'adozione e l'uso del proprio no- me, coincidente con il marchio, anche in funzione di- stintiva e cioè come ditta, marchio o insegna. 2. - Il secondo motivo, con cui si denuncia viola- zione e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c. e vizio di motivazione, contiene i seguenti rilievi: a) premessa la liceità, ai sensi degli artt. 8, comma 2, e 21, comma l, c.p.i., citt., dell'adozione e dell'uso del proprio nome come ditta e nell'attività economica pur in presenza di un marchio di cui un terzo (nella specie le parti controricorrenti) sia titolare, si sostiene tale uso (nella specie da parte del ricor- rente) è di per sé lecito sotto il profilo, appunto, del divieto di concorrenza sleale di cui al richiamato 4 art. 2598 c.c., la violazione del quale dev'essere co- munque esclusa nel caso di aggiunta al nome di elementi di differenziazione; b) si lamenta che la Corte d'appello abbia omesso di considerare analiticamente e di motivare le pro- prie conclusioni circa gli elementi di differenziazione introdotti dal ricorrente nella ditta e nell'uso del nome patronimico, tenendo conto del diritto del titola- re di quest'ultimo di farne uso come ditta e nell'attività economica. 3. - Detti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, non possono trovare accoglimento. Nel vigore della legge marchi (T.U. delle disposi- zioni legislative in materia di marchi registrati ap- provato con r.d. 21 giugno 1942, n. 929), questa Corte aveva chiarito che ai sensi dell'art. l bis di tale legge (aggiunto dall'art. 2 d.lgs. 4 dicembre 1992 n. 480), l'utilizzazione commerciale del nome patronimico dev'essere conforme ai principi della correttezza pro- fessionale e, quindi, non può avvenire in funzione di marchio, cioè distintiva, ma solo descrittiva (Cass. 29879/2011, 15096/2005, 6424/2003). L'art. 8, comma 2, c.p.i. prevede che In ogni caso, la registrazione [come marchio: n.d.r.] non impe- dirà a chi abbia diritto al nome di farne uso nella 5 ditta da lui prescelta, sussistendo i presupposti di cui all'art. 21, comma l", il quale a sua volta prevede (nel testo come da ultimo sostituito dall'art. 13 d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131) che "I diritti di mar- chio d'impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica, purché l'uso sia conforme al principi della correttezza pro- fessionale: a) del loro nome e indirizzo...". Ad avviso della ricorrente, essendo state elimina- te, nel testo dell'art. 21, comma 1, cit., le parole "e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva", che figuravano invece nel testo del pre- vigente art. l bis 1.m. dopo il riferimento ai "princi- pi di correttezza professionale", non sussisterebbe più il divieto di uso in funzione di marchio del proprio patronimico corrispondente al marchio già registrato da altri. Questa tesi, però, non può essere accolta, atte- so che siffatto uso altro non è che una specifica ipo- tesi - in precedenza espressamente prevista, non a caso preceduta dalla conclusiva "quindi" - di violazione dei principi di correttezza professionale; onde la mancanza della sua espressa previsione nel nuovo testo nulla to- glie all'estensione della norma, che continua a com- prendere anche detta ipotesi. 6 Quanto sin qui osservato vale a dare conto dell'infondatezza del primo motivo e del rilievo sub a) contenuto nel secondo. Il rilievo sub b) di quest'ultimo è invece inam- missibile. Ad avviso del ricorrente, infatti, sarebbe pacifico in causa che egli abbia accompagnato l'uso del segno "Giovannetti" con importanti elementi di diffe- renziazione quali il proprio prenome "Graziano" e il segno "G.E.G. Italia". Sennonché dalla sentenza impuga- ta risulta invece che l'appellato, attuale ricorrente, usava il solo cognome "Giovannetti", non acccompagnato da alcun nome, e che utilizzava il medesimo cognome quale insegna del suo esercizio commerciale senza alcu- na opportuna differenziazione grafica od aggiunta atta a distinguerla dal marchio di controparte. Questi ac- certamenti di fatto non possono essere contestati dal ricorrente semplicemente affermando che, al contrario, l'uso dei segni di differenziazione era pacifico in causa; occorreva piuttosto articolare sul punto una i- donea censura di vizio di motivazione, che però è del tutto mancata. 4. - Con il terzo motivo si denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 2598 c.c. e vizio di mo- tivazione. Vengono posti, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. (nella specie applicabile risalendo la sentenza 7 impugnata ad epoca anteriore all'entrata in vigore del- la 1. 18 giugno 2009, n. 69, che l'ha abrogato) un que- sito di diritto e una sintesi del vizio di motivazione che è bene riportare testualmente. Il quesito di diritto è se nel caso di utiliz- zazione come segno distintivo di un nome ritenuto con- fondibile col marchio appartenente ad altri, debbano distinguersi nell'applicazione dell'art. 2598 c.c. la questione relativa all'uso del nome da altre fattispe- cie eventualmente qualificabili come concorrenzialmente scorrette. E ciò in relazione al diverso contenuto dell'inibitoria e del risarcimento che potrano essere disposti dalla sentenza'. La sintesi della censura alla motivazione è che la Corte d'appello "ha omesso di motivare la propria deci- sione distinguendo la fattispecie correlata all'utilizzazione del nome patronimico confondibile con il marchio registrato dalle altre fattispecie, senza procedere ad una analitica motivazione'. 5. - Il motivo è inammissibile perché non è dato comprendere il senso delle censure. Il quale non viene messo a fuoco neppure dalla breve illustrazione che precede i quesiti sopra trascritti, considerato anche che il ricorso non contiene una adeguata narrativa né 8 dei fatti di causa né della motivazione della sentenza impugnata. 6. - Anche il quarto motivo di ricorso, con cui, denunciando violazione dell'art. 345 c.p.c. e vizio di motivazione, si censura l'ammissione della produzione di nuovi documenti in appello, è inammissibile. La cen- sura è infatti generica, non essendo precisato quali siano i documenti inammissibilmente prodotti e il loro contenuto, senza di che questa Corte non è in condizio- ne di valutare la decisività della censura stessa. 7. - Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna del ricorrente alle spese processuali liquida- te come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorren- te alle spese processuali, liquidate in e 8.200,00, di cui C 8.000,00 per compensi di avvocato, oltre accesso- ri di legge. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 dicembre 2013.
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Corte di Cassazione 6020/2016
o SENTENZA sul ricorso 5661-2008 proposto da: CASTI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, ALLUMINIO DONGO S.P.A. IN LIQUIDAZIONE (già FRANCO TOSI ALLUMINIO SPA), in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso l'Avvocato BIAMONTI LUIGI, che le rappresenta e 2014 difende unitamente agli avvocati VANZETTI ADRIANO e 135 PUERARI SERGIO, giusta procure a margine del ricorso; FRANCO TOSI MECCANICA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI CAPRETTARI 70, presso l'Avvocato GUARDASCIONE BRUNO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MAFFEI ALBERTI ALBERTO, giusta procura speciale per Notaio dott. ALBERTO BULDINI di BOLOGNA - Rep.n.5 del 8.1.2014; - ricorrenti - contro ITALMOBILIARE S.P.A., in persona del Direttore Generale pro tempore, FRANCO TOSI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso l'avvocato JOUVENAL LONG DANIELA, rappresentate e difese dagli avvocati GUGLIELMETTI GIOVANNI, LANCIANI CESARE, giusta procure speciali per Notaio CARLO MARCHETTI di MILANO rispettivamente Rep.n.3958 e Rep.n.3957 del 28.3.2008; - controricorrenti - contro ANSALDO ENERGIA S.P.A., PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO; - intimati - 2 sul ricorso 10143-2008 proposto da: ANSALDO ENERGIA S.P.A. (P.I. 03279700102), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 135, presso l'avvocato BERRUTI PAOLO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro ITALMOBILIARE S.P.A. (c.f. 00796400158), in persona del Direttore Generale pro tempore, FRANCO TOSI S.R.L. (c.f. 80008610018), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso l'avvocato JOUVENAL LONG DANIELA, rappresentate e difese dagli avvocati GUGLIELMETTI GIOVANNI, LANCIANI CESARE, giusta procure speciali per Notaio CARLO MARCHETTI di MILANO rispettivamente Rep.n.3958 e Rep.n.3957 del 28.3.2008; - controricorrenti al ricorso incidentale - contro CASTI S.P.A., FRANCO TOSI MECCANICA S.P.A., ALLUMINIO DONGO S.P.A. IN LIQUIDAZIONE ; - intimate - avverso la sentenza n. 113/2008 della CORTE 3 D'APPELLO di MILANO, depositata il 18/01/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI; udito, per le ricorrenti, l'Avvocato P.L. BIAMONTI, con delega, che si riporta; uditi, per le controricorrenti, gli Avvocati C. LANCIANI e G. GUGLIELMETTI che si riportano ai motivi; uditi, per la ricorrente FRANCO TOSI MECCANICA, gli Avvocati A. MAFFEI ALBERTI e B. GUARDASCIONE (con procura speciale notarile depositata in udienza) che si riportano al ricorso; udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale ANSALDO, l'Avvocato P. BERRUTI che si riporta; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l'inammissibilità dei motivi primo, settimo, ottavo e nono, in subordine rigetto, rigetto dei motivi restanti; assorbito il ricorso incidentale, in subordine inammissibilità o rigetto. 4 Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 23/27 febbraio 2001, la Italmobiliare s.p.a. e la Franco Tosi s.p.a. (ora Franco Tosi s.r.1.), assumendo di essere titolari di diritti esclusivi sul nome "Franco Tosi" sia come denominazione sociale, sia come marchio, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, sezione distaccata di Legnano, la Franco Tosi Meccanica s.p.a., la Franco Tosi Alluminio s.p.a. e la Casti s.p.a., per sentirle dichiarare responsabili della violazione dei loro diritti sul nome "Franco Tosi" e del compimento di atti di concorrenza sleale, con le pronunce consequenziali di inibitoria dell'uso del nome "Franco Tosi", condanna generica al risarcimento del danno, fissazione di una penale, ritiro e distruzione dei prodotti e del materiale pubblicitario riproducente il nome "Franco Tosi ",e pubblicazione del dispositivo dell'emananda sentenza. Le società convenute si costituivano in giudizio mediante il deposito di un'unica comparsa in data 12 aprile 2001, nella quale spiegavano di essere le continuatrici dell'attività della storica Franca Tosi di Legnano, da oltre un secolo una delle principali imprese italiane nel settore meccanico, siderurgico ed elettrico, e di avere acquisito nel 2000, insieme all'azienda della originaria Franca Tosi, anche i diritti di utilizzare questo nome come marchio e come ditta/denominazione sociale. Le convenute rilevavano quindi come le pretese delle attrici fossero infondate e chiedevano in via principale che venissero rigettate le domande avversarie, ed in via riconvenzionale che venisse dichiarata la nullità del marchio delle attrici stesse. La Franca Tosi Meccanica s.p.a., la Franca Tosi Alluminio s.p.a. e la Casti s.p.a. chiedevano inoltre di essere autorizzate a chiamare in causa l 'Ansaldo Energia s.p.a., ossia la società dalla quale avevano acquistato l'originaria azienda della Franca Tosi e il diritto ad utilizzare il relativo nome, per essere tenute indenni da ogni eventuale pregiudizio derivante dalle pretese delle società attrici. Disposta la chiamata in causa del terzo, la Ansaldo Energia si costituiva in giudizio mediante il deposito di una comparsa con la quale sollevava preliminarmente eccezioni sia di carenza di giurisdizione (nei soli confronti di Casti) per essere la domanda di manleva sottoposta alla cognizione di arbitri, sia di incompetenza t per territorio del Tribunale adito; e, nel merito, chiedeva in subordine che venissero rigettate tutte le domande proposte nei suoi confronti. Il Giudice della sezione distaccata di Legnano, rilevato che la domanda riconvenzionale proposta dalle società convenute richiedeva la decisione collegiale, disponeva la trasmissione del fascicolo alla sezione centrale del Tribunale di Milano. Con sentenza n. 3839/2004, il Tribunale di Milano, in accoglimento delle domande proposte dalle attrici, dichiarava l'illiceità dell'utilizzo del nome "Franco Tosi" da parte di Casti s.p.a., Franco Tosi Meccanica s.p.a. e Franco Tosi Alluminio s.p.a., sia come denominazione sociale sia come marchio, inibendone l'uso e pronunciando le ulteriori misure consequenziali domandate dalle attrici. Il Tribunale rigettava inoltre le domande proposte dalle convenute nei confronti della società terza chiamata. Contro questa sentenza Casti s.p.a., Franco Tosi Meccanica s.p.a. e Franco Tosi Alluminio s.p.a., proponevano appello con atto notificato in data 8 luglio 2004, chiedendo l'integrale riforma della sentenza di primo grado. Il 28 ottobre 2004 si costituivano in giudizio Italmobiliare s.p.a. e Franco Tosi s.p.a. (ora Franco Tosi s.r.1.) chiedendo, in via principale, il rigetto dell'appello proposto da Casti s.p.a., Franco Tosi Meccanica s.p.a. e Franco Tosi Alluminio s.p.a. e, in via incidentale, la riforma della decisione di primo grado nella parte in cui non aveva ritenuto responsabili le società del gruppo Casti del compimento di atti di concorrenza sleale e, più in generale, di atti illeciti ai sensi dell'art. 2043 c.c. ai loro danni. Il 23 novembre 2004 si costituiva anche Ansaldo Energia s.p.a. domandando il rigetto delle domande formulate da Casti s.p.a., da Franco Tosi Meccanica s.p.a e da Franco Tosi Alluminio s.p.a. nei suoi confronti. Con sentenza n. 113/08 la Corte d'Appello di Milano respingeva sia l'appello principale di Casti s.p.a., Franco Tosi Meccanica s.p.a. e Franco Tosi Alluminio s.p.a., sia quello incidentale di Italmobiliare s.p.a. e di Franco Tosi s.p.a. (ora Franco Tosi s.r.1.), confermando la sentenza di primo grado. Avverso questa decisione, ricorrono per cassazione la Casti s.p.a., la Franco Tosi Meccanica s.p.a. e la Franco Tosi Alluminio s.p.a. (ora Alluminio Dongo s.p.a. in liquidazione), chiedendone l'annullamento parziale. Resistono con separati controricorsi, da un lato, l'Immobiliare spa e la Franco Tosi srl e, dall'altro, l'Ansaldo Energia spa che propone altresì ricorso incidentale cui resistono con controricorso l'Immobiliare spa e la Franco Tosi srl. Motivi della decisione Il ricorso principale e quello incidentale vanno preliminarmente riuniti. Con il primo motivo di ricorso principale le ricorrenti sostengono che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che "il principio della connessione tra ditta e azienda di cui all'art. 2565... vale ad impedire il trasferimento della ditta separatamente dall'azienda ma non comporta il divieto della diversa vicenda nella quale la cessione di azienda non sia accompagnata dalla cessione della ditta, la quale così rimanga di pertinenza dell'originario titolare, che continui, come nel caso di specie a farne uso senza alcuna reazione da parte dell'acquirente di azienda" .Secondo le ricorrenti il principio di cui all'art 2565 c.c. sarebbe applicabile solo alle imprese individuali, ma non anche alle grandi imprese con organizzazione societaria .Inoltre il mantenimento della ditta in capo alla venditrice dell'azienda 5. avrebbe comportato una situazione di concorrenza sleale ai sensi dell'art 2557 c.c. Il motivo in esame contiene infine una censura alla decisione proposta sotto il profilo del vizio di motivazione. Il motivo è infondato. L'articolo 2565 ,comma secondo, c.c espressamente prevede che, nel caso di trasferimento dell'azienda, la ditta non viene trasferita all'acquirente se non con il consenso dell'alienante. Tale principio è stato ribadito da questa Corte che a più riprese ha affermato che nel caso di trasferimento di azienda il contestuale trasferimento anche della ditta (ai sensi del secondo comma dell'art. 2565 cod. civ.) deve essere oggetto di una distinta manifestazione di volontà negoziale, che tuttavia non richiede un'esplicita menzione della ditta nell'atto di trasferimento, potendo la volontà di estendere quest'ultimo alla ditta ricavarsi dall'interpretazione dell'atto, sulla base dei criteri interpretativi indicati dagli artt. 1362 e s. cod. civ. ( Cass 7305/09; Cass 3234/98; Cass 2755/94). L'assunto delle ricorrenti di trasferimento necessario della ditta unitamente all'azienda non trova quindi fondamento. í Ciò posto, occorre considerare che nel caso di specie si è trattato — come incidentalmente osservato dalle stesse ricorrenti - di trasferimento di una azienda facente capo ad una società di capitali e dunque ciò di cui si discute non è il collegato trasferimento o meno di una ditta, bensì di una denominazione sociale. L'articolo 2567 c.c. inserito nel capo II del titolo VIII del libro V del codice civile relativo alla ditta ed all'insegna espressamente stabilisce che la ragione sociale e la denominazione sociale sono regolate dai titoli V e VI del medesimo libro ma che tuttavia ad esse si applicano le disposizioni dell'art 2564 c.c. che prevede l'obbligo di modificare la ditta quando questa in quanto uguale o simile a quella usata da altro imprenditore può causare confusione in ragione dell'oggetto dell'attività e del luogo ove essa è esercitata. Proprio in ragione del mancato richiamo dell'art 2565 c.c da parte dell'art. 2567 c.c questa Corte, in relazione al trasferimento di una azienda facente capo ad una società di capitali , ha ritenuto - con una risalente sentenza - che non è stata peraltro mai oggetto di contrasto da parte di altre e che ha trovato consenso da parte di un ampia dottrina - che la denominazione sociale, investendo la sua 4 funzione distintiva la stessa soggettività della società non può essere oggetto di autonoma circolazione neppure insieme all'azienda ( Cass 1078/68) e ciò perché la cessione dell'azienda non estingue la persona giuridica la cui continuità ed identità è preservata proprio dal mantenimento della sua denominazione sociale. ( Cass 1078/68). La giurisprudenza in esame ha poi ulteriormente affermato che" la società non potrebbe disporre della sua denominazione sociale in cui sia incluso il nome di un socio avendo questi consentito alla inclusione in relazione a quella determinata società" ; fattispecie questa ricorrente nel caso di specie. La ulteriore questione posta con il motivo in esame relativa al collegamento interpretativo con l'art 2557 c.c, risulta del tutto inconferente nel caso di specie poiché la conservazione della ditta o della denominazione sociale in capo all'alienante prescinde dal successivo svolgimento della sua attività imprenditoriale e dalla possibilità — da accertare in concreto - se questa possa interferire quanto ad oggetto , ubicazione o altre circostanze con quella dell'acquirente l'azienda. Per quanto riguarda poi il vizio di motivazione, lo stesso, riguardante il significato del nome Franco Tosi nella consuetudine linguistica e nel ricordo presso il pubblico, tendendo a proporre una diversa interpretazione degli elementi emersi nel processo rispetto a quella ,del tutto adeguata, fornita dalla Corte territoriale in occasione dell'esame del secondo motivo di appello, involge invero delle mere questioni di fatto che investono il merito della decisione impugnata e che , come tali, non sono proponibili in questa sede di legittimità. Con il secondo motivo, le ricorrenti principali censurano l'interpretazione della Corte di appello dell'atto di conferimento di complesso aziendale" con il quale nel 1988 Franco Tosi Industriale conferì a F.T.C. Legnano i rami d'azienda turbine e caldaie osservando che l'art. 2 del predetto atto dispone che il conferimento comprende anche "il diritto ai nomi Franco Tosi Industriale, Franco Tosi, F. Tosi, e Tosi che potranno essere utilizzati per la produzione di boilers e turbine". Secondo le ricorrenti, la Corte di appello avrebbe ritenuto che "quest'ultimo trasferimento in realtà non vi sia stato" non motivando adeguatamente tale conclusione e violando la norma in tema di unitarietà dei segni distintivi (art. 13 legge marchi ora art. 4 22 codice della proprietà industriale). Con il terzo motivo, le ricorrenti censurano il riferimento effettuato dalla Corte di appello all'accordo quadro con ABB per ricostruire la comune volontà della parti dell'atto di conferimento nella FTC Legnano. Esse obbiettano, da un lato, che F.T.C. Legnano non era parte di detto accordo, e ,dall'altro, che la clausola dell'atto di conferimento era già di per sé, per il suo tenore letterale, chiara e univoca, onde per cui non si poteva far ricorso al "criterio sussidiario" della comune volontà delle parti. Con il quarto motivo si dolgono del fatto che la Corte di appello abbia tenuto conto, ai fini dell'interpretazione dell'atto di conferimento, anche del comportamento successivo tenuto dalle parti dell'atto di conferimento, e in particolare del fatto che F.T.C. Legnano non adottò mai la denominazione sociale France Tosi e mai nulla obiettò alla prosecuzione dell'uso della denominazione stessa da parte della Franco Tosi Industriale. Affermano che la mera inerzia o il ritardo nell'esercizio di un diritto non costituiscono elementi sufficienti per poter dedurre una volontà del suo titolare a "rinunciare" al diritto medesimo. Gli indicati motivi prospettano complessivamente un vizio di interpretazione del contratto sotto i diversi profili di una errata interpretazione del dato letterale che non necessitava del ricorso alla intenzione delle parti contraenti e di una errata applicazione del comportamento successivo delle parti nonché di un vizio di motivazione .Inoltre deducono un profilo di violazione di legge relativamente alla violazione del principio di unicità dei segni distintivi per avere ritenuto trasferito il marchio di fatto e non anche la ditta. I motivi in esame, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente anche unitamente al primo motivo del ricorso incidentale che pone una analoghe questioni deducendo che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che con l'atto di conferimento di azienda intercorso tra la Franco Tosi industriale e la FTCL si fosse trasferito solo il marchio di fatto e non anche la ditta. I motivi sono infondati. La Corte d'appello ha interpretato il dato letterale dell'Accordo del 22.12.88 rilevando che la Franco Tosi Industriale trasferiva alla FTCL " il complesso aziendale posseduto in Legnano e Canegrate nonché il diritto ai nomi Franco Tosi Industriale, 11 Franco Tosi,F.Tosi e Tosi che possono essere utilizzati per la produzione di boilers e turbine". Da tale tenore letterale la Corte d'appello ha desunto che detto accordo non prevedeva il trasferimento della denominazione sociale ma solo dei nomi sovraindicati in stretta correlazione alla produzione di boilers e turbine nel senso quindi di un trasferimento di marchi in quanto collegati ai prodotti. A rafforzamento della interpretazione letterale, la sentenza ha poi osservato, sotto il profilo della comune intenzione delle parti, che l'accordo in questione costituiva attuazione dell'accordo quadro del 14.11.88, intercorso tra la Italmobiliare e la Asea Brown Boveri (ABB) che, pure intercorso in assenza della FTCL, tuttavia costituiva il presupposto del successivo accordo , ove era espressamente previsto che ciò che veniva garantito alla Newco ( e cioè alla futura FTCL ad hoc costituita ) era proprio il diritto esclusivo di uso come marchi dei nomi riportati poi nell'accordo del 22 dic. 1988 in stretta connessione con i boilers e le turbine e che ogni altro uso dei nomi stessi era proibito. Non è dubbio che, sotto il profilo interpretativo, essendo tale accordo del 14.11.88 il presupposto contrattuale in base al quale è 4.2 avvenuto il successivo trasferimento dell'azienda del 22.12.88, lo stesso costituiva un elemento correttamente utilizzabile al fine di ricostruire la volontà delle parti. La sentenza impugnata ha poi osservato che il comportamento successivo delle parti , che per un decennio si è attenuto a quanto tra le stesse concordato, dimostrava quale fosse l'effettivo contenuto dell'Accordo. Trattasi di una motivazione del tutto coerente e logicamente argomentata che pone in corretta connessione i dati contrattuali con il comportamento delle parti e che ricostruisce in modo del tutto plausibile la loro effettiva intenzione. La stessa non risulta pertanto suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità. Le censure che le ricorrenti muovono a siffatta interpretazione tendono in realtà a prospettare una diversa interpretazione degli accordi e dei comportamenti delle parti in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisone. Del tutto inconferente appare poi la questione relativa alla rinuncia ovvero alla decadenza per mancato uso del nome Franco Tosi da parte della FTCL e di Ansaldo. ±3 La Corte d'appello si è infatti limitata ad accertare il mancato trasferimento della denominazione sociale e l'argomento del mancato uso della stessa da parte delle ricorrenti è stato utilizzato non già per accertarne la rinuncia o la decadenza ma esclusivamente per argomentare sotto il profilo del comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto che con questo non si era provveduto a trasferire la denominazione sociale. Quanto alla questione della violazione della norma in tema di unitarietà dei segni distintivi (art. 13 legge marchi ora art. 22 codice della proprietà industriale),sollevata in particolare con il secondo motivo, la stessa è infondata. Occorre infatti rilevare che il principio della unitarietà dei segni distintivi di cui all'ad 13 1. m ,applicabile ratione temporis, opera sotto il profilo della protezione dei segni stessi al fine di evitare pericoli di confusione tra i consumatori Sotto tale profilo l'articolo in questione detta, in particolare, il divieto di adottare come ditta, denominazione o ragione sociale o insegna un segno uguale o simile ad un precedente marchio se in ragione dell'affinità dell'attività delle due imprese e dei loro prodotti o servizi è possibile che si determini un rischio di confusione tra il pubblico. 4. L'articolo 13 1.m non contiene alcuna norma relativa all'ipotesi di trasferimento di una ditta o denominazione sociale ovvero di un marchio. Come è noto, tale aspetto è disciplinato quanto alla ditta dall'art 2565 c.c e dall'art 2567 per la ragione sociale o denominazione sociale , mentre per i marchi trovano applicazione ,ratione temporis , l'art 2573 c.c e l'art 15 legge marchi nel rispettivo testo anteriore alla riforma operata dal d.lgs n. 480 del 1992.( v. Cass . 26901/08,Cass 14787/07). La normativa in questione prevede ,per quanto concerne la ditta, che questa non può essere trasferita separatamente dall'azienda e che in caso di trasferimento di azienda per atto tra vivi, la ditta si trasferisce all'acquirente solo con il consenso dell'alienante (consenso che nel caso di specie è stato accertato non essere stato accordato). Lo stesso principio vale per il marchio nel senso che questo, secondo il concorde disposto dell'art 15 1.m. e 2567 c.c., non può essere trasferito se non in occasione del trasferimento dell'azienda o di un ramo particolare di questa ( principio abrogato ,come è noto, dall'attuale art 23 c.p.i che prevede al contrario la 4. 5 trasferibilità del marchio anche disgiunto dall'azienda) . L'art 15 1.m prevede poi , per evitare il pericolo di confusione tra i consumatori che è alla base del principio della unitarietà dei segni distintivi dell'impresa, che il trasferimento del marchio non deve trarre in inganno sui caratteri dei prodotti o delle merci che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico. A sua volta l'art 2573 ,comma secondo, c.c. prevede che quando un marchio è costituito da un segno figurativo , da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all'uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l'azienda ( tale ultima previsione normativa sarà oggetto di specifica valutazione in occasione dell'esame del sesto motivo di ricorso principale). La normativa fin qui esaminata si presenta dunque come differenziata per ciò che concerne la ditta ed il marchio nel caso di trasferimento dell'azienda e nessuna disposizione prevede che in caso di trasferimento dell'azienda, qualora venga trasferito anche il marchio, debba essere trasferita anche la ditta o la denominazione sociale, tranne il caso peculiare di presunzione di cui all'art 2753, comma secondo, c.c. di cui si dirà. In particolare nessun i collegamento la normativa in esame prevede con l'art 13 1.m. tranne il riferimento ,già esaminato, al fatto che il trasferimento del marchio non deve trarre in inganno il pubblico. La doglianza esaminata non merita dunque accoglimento. Con il quinto motivo le ricorrenti censurano la sentenza per aver ritenuto che FTCL e poi Ansaldo Gie avrebbero comunque perduto anche il diritto ai marchi Tosi, non avendone mai fatto uso dal momento dell'acquisto del ramo di azienda turbine e caldaie della Franco Tosi Industriale (1988) in avanti. Inoltre contestano la sentenza per non aver considerato se la "ripresa" di tale uso avvenuta nel 2000 non fosse valsa a sanare la perdita del diritto a seguito del mancato uso in applicazione analogica dell'art. 24 n. 3 c.p.i, riferito ai marchi registrati, ma analogicamente applicabile secondo le ricorrenti anche ai marchi di fatto. Il motivo è inammissibile in quanto censura una ratio decidendi inesistente. Invero la sentenza impugnata non ha in alcun modo preso in esame la questione della perdita del diritto delle ricorrenti sui marchi ceduti dalle resistenti e non si rinviene dunque in essa alcuna pronuncia relativa a tale questione essendosi la Corte d'appello limitata ad affermare il non avvenuto trasferimento della denominazione Franco Tosi e non già la decadenza o la rinuncia ai marchi trasferiti. Con il sesto motivo censurano la sentenza di appello, per come la doglianza risulta cristallizata nel quesito, laddove ha ritenuto che alla denominazione sociale non sia applicabile la regola sulla presunzione di trasferimento insieme all'azienda dettata dall'art. 2573 Co. 2 c.c. in relazione ai marchi. Il motivo è inammissibile. Premesso quanto già esposto su tale argomento in occasione dell'esame del secondo motivo di ricorso ( congiuntamente con il terzo ed il quarto ) si osserva che sul punto la Corte d'appello ha rilevato che nel caso di specie non ricorrevano gli estremi della ditta derivata poiché alla data di cessione dell'azienda (1988) la ditta coincideva con il nome del cedente. Le ricorrenti contestano tale assunto sostenendo che la ditta era a carattere derivativo essendo risalente probabilmente ai primi del 1900 ed essendo stata già oggetto di trasferimenti prima di pervenire alla Franco Tosi Industriale. Trattasi di un assunto che richiede, prima di ogni altra 18 valutazione , un accertamento in punto di fatto improponibile in sede di legittimità non avendo oltretutto le ricorrenti neppure dedotto ed indicato ove tale questione era stata posta nel giudizio di appello e non essendovi di essa traccia nella sentenza impugnata. Con il settimo motivo le ricorrenti censurano la sentenza della Corte di appello per non aver considerato che, in ogni caso, non svolgendo più la originaria Franco Tosi e la Franco Tosi Industriale dopo il 1988, alcuna attività produttiva, e operando soltanto come società holding, ogni interferenza con l'uso della medesima denominazione da parte della Franco Tosi Meccanica e della Franco Tosi Alluminio a partire dal 2000 era da escludere in ragione del diverso campo di attività. In particolare le ricorrenti insistono nel considerare irrilevante l'uso della denominazione Franco Tosi del gruppo Italmobiliare nel campo della "attività finanziaria" trattandosi di settore completamente diverso e ben distante da quello della "attività produttiva". Pertanto ad avviso delle ricorrenti comunque le società del gruppo Casti avrebbero lecitamente adottato (a titolo originario se non derivativo) il segno Franco Tosi a partire dall'amo 2000, poiché all'epoca non esisteva alcun soggetto che poteva vietare loro tale uso. Il motivo è manifestamente infondato. La denominazione sociale in quanto relativa all'individuazione della società come soggetto di diritto prescinde dall'oggetto sociale di questa e dall'attività in concreto svolta, potendo nel corso della loro esistenza le società mutare l'oggetto della propria attività senza che ciò comporti un mutamento della loro soggettività e senza quindi che ciò renda necessaria una modifica della loro denominazione o che consenta ad altri l'uso della stessa. Con l'ottavo motivo le ricorrenti contestano la sentenza per non aver considerato che il marchio depositato nel 2000 dalla Franco Tosi s.r.l. fosse nullo ai sensi dell'art. 22 1. marchi, perché depositato "anche per le classi di prodotti e servizi relativi alle attività industriali svolte dalle ricorrenti, benché la titolare del marchio non abbia mai operato in questo settore, né mai abbia progettato di operarvi". La nullità deriverebbe anche dal carattere emulativo della registrazione. Il doglianza appare per certi versi inammissibile e per altri infondata. La circostanza che il marchio sia stato richiesto per classi di 9_ o prodotti e servizi in cui la resistente non aveva operato e non aveva intenzione di operare è innanzi tutto una petizione di principio non essendo stati forniti — come rilevato dalla Corte d'appello - elementi per addurre una mancanza di intento ad operare nel settore relativo alle classi richieste. Comunque, l'art 22 legge marchi, come modificato dal decreto legislativo 480 del 1992, prevede la possibilità di registrare un marchio non solo per utilizzarlo per la propria attività commerciale o industriale, ma anche per cederlo a terzi. Di qui la assoluta irrilevanza della circostanza che il marchio fosse richiesto per classi estranee all'attività svolta dalla resistente potendo questa comunque chiedere la registrazioni al mero fine di cedere il marchio a terzi una volta registrato. Per quanto concerne il carattere emulativo della registrazione, esso è stato escluso dalla sentenza impugnata con ampia e coerente motivazione incentrata sulla considerazione che la ricorrente non vantava alcuna aspettativa di tutela in suo favore del nome Franco Tosi e ciò perché non vi era stato alcun trasferimento della ditta (rectius denominazione sociale) dalla Franco Tosi Industriale alla FTLC sia perché non vi era stata alcuna valida cessione del nome 9.1 4 Franco tosi Ingegneria da Ansaldo Energia a Casti. In sostanza la Italmobiliare aveva provveduto a tutelare propri diritti già esistenti. Trattasi di motivazione del tutto adeguata e corrispondente a quanto già si è avuto di accertare con l'esame dei motivi precedenti. Tale motivazione non costituisce oggetto di specifica censura onde la lamentata natura emulativa della registrazione resta al livello di apodittica affermazione con la quale si tende a prospettare — senza alcuna adeguata argomentazione - una diversa interpretazione delle risultanze processuali, in tal modo investendo inammissibilmente il merito della decisione. Con il nono motivo di ricorso le ricorrenti lamentano, sotto il profilo del vizio di motivazione, che la Corte di appello abbia omesso di motivare sul difetto di novità del marchio Franco Tosi depositato nel 2000 per essere questo anticipato "dai più risalenti diritti legati all'azienda di Legnano fin dal XIX secolo", diritti che sarebbero stati "trasferiti a Casti e alle società del suo gruppo da Ansaldo o comunque pervenuti a Casti e alle società del suo gruppo in conseguenza dell'acquisto degli stabilimenti di Legnano". 2 Il motivo per come sintetizzato dal dianzi riportato quesito appare inammissibile. Un precedente acquisto dei diritti sul nome Franco Tosi da parte delle ricorrenti risulta escluso da quanto fin qui detto. La sentenza risulta inoltre incentrata sull'unico punto che l'adozione della denominazione Franco Tosi da parte di una delle ricorrenti era avvenuta solo due giorni prima del deposito del marchio Franco Tosi da parte di una delle resistenti e pertanto non aveva avuto di fatto divulgazione alcuna come segno distintivo onde la stessa non era tale da escludere il carattere di novità del marchio depositato. Era onere delle ricorrenti, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso dedurre di avere posto con l'atto di appello tale questione , ma nulla di tutto ciò si rinviene nel ricorso onde la questione appare nuova e ,come tale non scrutinabile in questa sede di legittimità. Con il decimo motivo le ricorrenti deducono la violazione dell'art 342 cpc e del vizio motivazionale laddove la Corte d'appello ha ritenuto privo di specificità il motivo di appello relativo al mancato riconoscimento della garanzia cui l'Ansaldo sarebbe stata tenuta nei loro confronti. A tal fine riproduce nel t3 ricorso il brano dell'atto di appello ove venivano avanzate le censure ritenute generiche ed aspecifiche dalla sentenza impugnata. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha riportato il contenuto del motivo di appello , per esteso riprodotto nel motivo di ricorso in esame, e ne ha rilevato la genericità. Invero dalla lettura dello stesso si evince la correttezza della valutazione del secondo giudice. Il motivo di appello infatti altro non fa che censurare la decisione del tribunale riportandosi ad alcuni documenti prodotti di cui non viene ripetuto il contenuto e sulla base dei quali nessuna argomentazione critica viene svolta nei confronti della sentenza del giudice di primo grado, limitandosi il motivo ad affermare apoditticamente che da detti atti si ricavava che la Ansaldo Energia aveva inteso cedere a Casti spa il diritto alla denominazione ed al marchio Franco Tosi e non solo a quelli Franco Tosi Ingegneria. Con l'undicesimo motivo lamentano la violazione dell'art 345 cpc perché la Corte d'appello non avrebbe motivato sulla 8111 4 indispensabilità del documento prodotto in secondo grado e dichiarato inammissibile. Il motivo è infondato. Il Collegio condivide l'orientamento giurisprudenziale già espresso da questa Corte secondo cui a norma dell'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., il collegio è tenuto a motivare esclusivamente l'indispensabilità che giustifica l'ammissione del documento per la prima volta prodotto in sede di gravame , in deroga alla regola generale che invece ne prevede il divieto, ma non anche la mancata ammissione delle prove ritenute non indispensabili, che si conforma alla predetta regola generale. ( Cass 16971/09, Cass 15346/10). Comunque nel caso di specie, la Corte d'appello ha fornito motivazione sul punto laddove ha rilevato che ,a prescindere dalla inammissibilità della nuova produzione, le ricorrenti non avevano fornito alcuna argomentazione in ordine alla rilevanza della nuova documentazione rispetto al tema decisivo della specificità o meno dell'accordo trasferito con l'accordo quadro del gennaio 2000. Tale motivazione appare del tutto corretta poiché non è comunque dubbio che la parte che produca in sede di appello un documento nuovo ha l'onere di dedurne anche il carattere della decisività nel senso che lo stesso sarebbe idoneo a portare ad una decisione diversa da quella assunta in primo grado. Resta da esaminare il secondo motivo del ricorso incidentale con cui la Ansaldo contesta la decisione della Corte d'appello che ha ritenuto che nessun trasferimento della denominazione Franco Tosi Ingegneria vi sarebbe stata da Ansaldo Energia a Casti. L'infondatezza di tale motivi discende da quanto già in precedenza detto ed in particolare in occasione dell'esame del quinto motivo. Una volta escluso infatti che vi fosse stato il trasferimento della denominazione sociale assieme al trasferimento dell'azienda in favore di FTCL è evidente che quest'ultima non avrebbe potuto a sua volta trasferire la detta denominazione ai suoi successivi cessionari e pertanto nulla poteva in tal senso essere pervenuto ad Ansaldo Energia. Entrambi i ricorsi vanno in conclusione respinti. I ricorrenti principali e quello incidentale vanno conseguentemente condannati ( i primi in solido tra loro) al pagamento ciascuno delle spese processuali liquidate come da dispositivo . 2,6 PQM Riunisce i ricorsi e li rigetta ; condanna i ricorrenti principali in solido e quello incidentale al pagamento ciascuno delle spese di giudizio liquidate in euro 10.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge. Ro a 20.1.14 Il ns.est. t Depositato in Cancelleria e 13 MAR 201
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Corte di Cassazione n. 5551/2016
SENTENZA sul ricorso 17269-2007 proposto da: INFOR DUE S.R.L. (P.I. 06813850150), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso l'avvocato MANZI LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SIMONETTA ANTONINO, 2014 giusta procura speciale per Notaio dott. JOSE’ 136 CARBONELL di VILLASANTA (MILANO) - Rep.n. 59127 del 10.1.2014 e procura a margine del ricorso; - ricorrente - ‘r> 1 contro P.R.B. S.R.L. (p.i. 08261160157), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIPRO 4H, presso l'avvocato PROVENZANI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROSSO FRANCO, giusta procura a margine del controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 1987/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 25/07/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE; udito, per la ricorrente, l'Avvocato C. ALBINI, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito, per la controricorrente, l'Avvocato F. ROSSO che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 2 Svolgimento del processo 1.- Con la sentenza impugnata (depositata il 25.7.2006) la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione del tribunale, ha accolto la domanda di risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2598 c.c. proposta dalla s.r.l. “P.R.B.” contro la s.r.l. “INFOR DUE”, la quale, nell'ultimo trimestre del 1998, aveva svolto attività di manutenzione dei programmi installati con la società attrice per conto proprio, non in esecuzione del rapporto di collaborazione regolato dal contratto del 1995 e in violazione di clausola di questo, essendo rimasto privo di prova l'assunto della convenuta di essere receduta dal contratto nel settembre del 1998. Contro la sentenza di appello la s.r.l. “INFOR DUE” ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso la società intimata la quale ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per inidoneità dei quesiti. Motivi della decisione 2.1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2598 c.c. e formula, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, il seguente quesito: <>. 2.2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio>>, senza formulare la sintesi del fatto controverso. 3.- L'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente è fondata. Invero, quanto al primo motivo va ricordato che è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perché, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una - omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008). Quanto alla denuncia di vizio di motivazione, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (che svolge l'omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell'art. 360 cod. proc. civ.) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del 4 ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (v. S.U. sent. n. 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della sez. 3 n. 4646/2008 e n. 16558/2008, nonché le sentenze delle S.U. nn. 25117/2008 e n. 26014/2008). Requisito totalmente mancante nel ricorso, il quale deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 gennaio 2014
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dirittodellaconcorrenza · 7 years ago
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Corte di Cassazione 5762/2016
la seguente SENTENZA sul ricorso 15634-2007 proposto da: DISTILLERIE BAGNOLI S.N.C. DI BAGNOLI GIOVANNI E C. (P. I. 00687890285), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso l'avvocato VINCENTI MARCO, che la rappresenta e 2014 difende unitamente all'avvocato GOLLIN GIANFRANCO, 134 giusta procura a margine del ricorso; - ricorrente - contro JACK DANIEL'S PROPERTIES INC., in persona del legale rappresentante pro tempore, MARTINI E ROSSI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SALARIA 259, presso l'avvocato PASSALACQUA MARCO (STUDIO BONELLI-EREDE-PAPPALARDO), rappresentati e difesi dall'avvocato GUGLIELMETTI GIOVANNI, rispettivamente giusta procura speciale autenticata al Consolato generale d'Italia in San Francisco (USA) - Rep.n. 252/2007 del 18.6.2007 e giusta procura speciale per Notaio PIETRO BOERO di TORINO - Rep.n. 164456 del 4.6.2007; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 609/2006 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/04/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI; udito, per la ricorrente, l'Avvocato M. VINCENTI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito, per le controricorrenti, l'Avvocato G. GUGLIELMETTI che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l'inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso. - 3 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 30\7\98 la Jack Daniel's Properties Inc e la Martini & Rossi spa, la prima produttrice e, la seconda, distributrice per il mercato italiano del whisky Jack Daniel's, premesso che il marchio e l'etichetta del prodotto (assai noto) erano oggetto di registrazione anche in Italia e che risultavano immesse sul mercato nazionale bottiglie di liquore, prodotto negli Stati Uniti, di importazione extracomunitaria e dunque in violazione del diritto di marchio e del diritto del titolare di esso di vietare l'acquisto e la messa in vendita attraverso canali destinati ad altre aree territoriali, domandavano a! Presidente del Tribunale di Padova l'autorizzazione alla descrizione di tutte le bottiglie di whisky Jack Daniel's esistenti presso la Distillerie Bagnoli snc. Accolto il ricorso e disposta la descrizione le ricorrenti, con atto notificato 1'8\10\98, promuovevano ii giudizio di merito domandando, accertata la commercializzazione in Italia di bottiglie del proprio whisky, che la Bagnoli fosse dichiarata responsabile della violazione del diritto di marchio nonché di concorrenza sleale a carico della Martini & Rossi, con l'applicazione delle misure sanzionatorie previste dalla legge. La Bagnoli si costituiva in giudizio negando, in particolare, che il prodotto fosse di importazione extracomunitaria, rilevando come la merce era stata acquistata da importanti ditte europee come la Savio srl o la Van Wees, che dunque l'avevano già immessa sul mercato comunitario, non essendo peraltro in alcun modo possibile accertare la diversa destinazione delle bottiglie, nemmeno dai codici alfanumerici, noti solo alla produttrice; che in ogni caso essa aveva fatto legittimo affidamento sulla circostanza che quelle ditte, dalle quali aveva acquistato la merce, vendevano pubblicamente sul mercato europeo, sicché solo ad esse avrebbero dovuto rivolgersi le attrici per le dedotte violazioni. Con sentenza 18\12\01-12\2\02, il Tribunale di Padova accoglieva le domande attoree accertando sia la violazione dei marchi che la concorrenza sleale della Bagnoli, pronunciava condanna generica di risarcimento del danno e disponeva la distruzione delle bottiglie sottoposte a sequestro (nelle more del giudizio) oltre che la pubblicazione della sentenza. Avverso detta t pronuncia la soccombente, con citazione notificata il 26\7\02, proponeva appello, cui resistevano le appellate che svolgevano anche impugnazione incidentale. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 609/06 depositata il 5.4.06 ,rigettava entrambi gli appelli. Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione la Distilleria Bagnoli snc sulla base di sei motivi cui resistono con controricorso, illustrato con memoria, la Jack Daniel's Properties inc e la Martini e Rossi spa. Motivi della decisione Col primo motivo la Bagnoli lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla prova del fatto che le bottiglie di whisky Jack Daniel's acquistate (e rivendute) da Bagnoli fossero state importate in Europa senza il consenso della Jack Daniel' s. Con il secondo motivo la Bagnoli lamenta violazione o falsa applicazione degli art. 1 e 1 bis legge marchi (ora artt. 20 e 5.1 c.p.i.), affermando che la Corte di Venezia ebbe errato nel ritenere che l'azione del titolare del marchio possa essere proposta, oltre che nei confronti di colui che abbia materialmente importato in Europa i prodotti senza il consenso del titolare del marchio (i danti causa di essa ricorrente), anche contro colui che abbia ricevuto dal primo i prodotti, acquistandoli dopo che questi sono stati illecitamente importati in Europa. La Bagnoli in particolare sostiene: che l'azione a tutela del marchio non potrebbe essere esercitata nei confronti degli acquirenti di buona fede; che la propria buona fede dovrebbe presumersi; che ai commercianti professionali non andrebbe attribuito alcun onere di verifica che la merce di origine extracomunitaria che essi acquistano sia stata importata in Europa con il consenso del titolare; che quindi si dovrebbe concludere che unico responsabile della violazione dei diritti di marchio su prodotti oggetto di importazione parallela extracomunitaria delle merci dovrebbe essere l'importatore stesso e non anche coloro che trattano commercialmente i prodotti acquistati dall'importatore. Con il terzo motivo Bagnoli lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione , che la Corte territoriale abbia confermato, oltre che l'inibitoria, anche l'applicazione di penalità monetarie per la sua inosservanza in una misura ritenuta da Bagnoli eccessiva. Lamenta inoltre una mancata, insufficiente, o contraddittoria motivazione sul punto, laddove la Corte ha affermato che le penalità si giustificano in considerazione del fatto che Bagnoli ha continuato la commercializzazione dei prodotti anche dopo la descrizione ordinata ante causam. Con il quarto motivo denuncia la violazione dell'art 2600 c.c asserendo che l'ordine di pubblicazione della sentenza che accerta gli atti di concorrenza sleale potrebbe essere disposto solo in presenza di accertata colpa, cosicché sarebbe errata la pronuncia della Corte territoriale laddove ha affermato che tale misura prescinde dall'accertamento della accertamento della colpa. Con il quinto motivo Bagnoli lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla condanna generica al risarcimento dei danni laddove il giudice di seconde cure ha ritenuto nella specie sussistente una condotta colposa da parte di essa. Con l'ultimo motivo Bagnoli lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 132 c.p.c. in relazione al capo della sentenza che ha giudicato inammissibile la censura relativa alla quantificazione delle spese di causa in primo grado. Vanno preliminarmente dichiarati inammissibili il primo, il terzo ed il quinto motivo del ricorso. Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Leg. 2.2.2006 n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell'art. 366 bis del C.P.C., alla stregua della quale l'illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all'art. 360 n. 1-2-3-4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l'ipotesi di cui all'art 360 n. 5 cpc il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione per cui la relativa censura ;in altri termini deve cioè ,contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscrivg puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass sez un 20603/07). Nel caso di specie, nessun quesito si rinviene in calce ai motivi in esame onde gli stessi non sono scrutinabili in questa sede di legittimità. Venendo all'esame del secondo motivo ,se ne rivela l'infondatezza. E' principio costantemente affermato da questa Corte che il titolare di un diritto di marchio può, opporsi all'importazione di prodotti provenienti da un paese extracomunitario, e contrassegnati (anche legittimamente) con il suo marchio, sempre che egli (ovvero altro soggetto da lui legittimato) non abbia consentito alla introduzione ulteriore di quei beni nel mercato europeo, e senza che assuma alcun rilievo la circostanza di un eventuale regolare sdoganamento dei prodotti in un paese dell'Unione Europea risultando ciò del tutto irrilevante sul piano del diritto ad introdurre il prodotto in quel mercato nazionale. (V. Corte di Giustizia 31.10.1974, Centrafarm; C Giust 13.7.1989, Tournier;C Giust 3.7.1974, n. 667; C Giust 17.10.1990, n. 2725 nonché Cass 11603/98, Cass 27081/07). l-- In conseguenza della illegittima importazione la successiva messa in commercio del prodotto costituisce necessariamente violazione del diritto del titolare del marchio in quanto non autorizzata dal titolare del diritto ,discendendo tale mancanza di autorizzazione da quella di autorizzazione alla importazione. Trattandosi di attività svolta in violazione di un diritto, e quindi illecita, è onere della parte che ha posto in essere la condotta stessa fornire la prova della propria buona fede che in tale circostanza non risulta essere stata fornita come risulta dalla impugnata sentenza. Sotto tale profilo , si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le situazioni soggettive, quali il dolo, la colpa, la buona fede, di chi usa un marchio altrui senza averne il diritto, possono assumere Rilevanza solo ai fini dell'accoglimento o meno dell'Azione (personale) di concorrenza sleale e di risarcimento del danno proposta contro il responsabile, ma sono del tutto irrilevanti ai fini dell'azione diretta ad impedire l'usurpazione o la contraffazione del marchio, che è un'azione di carattere reale avente ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale destinato al servizio di un'impresa, nei confronti di chiunque ponga in essere un fatto oggettivamente lesivo di quella titolarità, indipendentemente dalla sua buona fede. ( Cass 5462/82, Cass1038/79, Cass3279/75, Cass 1109/63, Cass 3828/83). Nel caso di specie, trattandosi di azione volta ad impedire l'uso illecito del marchio da parte della ricorrente ed essendo censurata con il motivo in esame la pronuncia di inibitoria e di restituzione , non è dubbio che la doglianza si rivolge contro quella parte della domanda delle due società resistenti volte a far valere il loro diritto reale ed in tal senso come correttamente osservato dalla Corte d'appello c, deve prescindersi dall'aspetto soggettivo di chi ha agito in violazione del marchio. In ogni caso , non può non osservarsi che la Corte d'appello ha comunque accertato l'esistenza della colpa da parte della bagnoli laddove ha osservato che nessuna delle bottiglie oggetto di descrizione portava la indicazione del distributore e tanto meno di un distributore europeo e che ciò avrebbe dovuto rendere edotta la compratrice Bagnoli della illegittima provenienza della merce così come la singolarità delle modalità di pagamento(in dollari e prima della consegna della merce) . Tale motivazione non risulta oggetto di specifica censura da parte della Bagnoli che prospetta invece una serie di argomentazioni ( la presunzione della propria buona fede, la mancanza di obbligo per i commercianti professionali di verifica che la merce di origine extracomunitaria che essi acquistano sia stata importata in Europa con il consenso del titolare , che i distributori organizzati si sarebbero rifiutati nella fattispecie di fornire il prodotto etc) che prospettano questioni non rinvenibili nella sentenza impugnata e con le quali si tende in realtà a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuale in tal modo da un lato investendo inammissibilmente in merito della decisone e dall'altro richiedendo a questa Corte un improponibile accertamento in fatto. Il quarto motivo del ricorso è infondato e per certi aspetti inammissibile. Come si è in precedenza rilevato , la Corte d'appello ha rilevato l'esistenza di un comportamento colposo da parte della società ricorrente ed essendo stato rigettato sul punto il secondo motivo 'lo 6 di ricorso , ne discende che necessariamente il motivo in esame basato sul presupposto della inesistenza di colpa da parte della ricorrente è privo di fondamento. Lo stesso sarebbe stato comunque infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che l'ordine di pubblicazione del dispositivo della sentenza che accerti atti di concorrenza sleale e le modalità in cui esso deve essere eseguito costituiscono esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile del giudice del merito, che prescinde dalla stessa individuazione del danno e della sua riparabilità mediante la pubblicazione dell'indicato dispositivo, trattandosi di sanzione autonoma, diretta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto offeso. ( Cass 6626/13 ; Cass 1982/03 Cass 5462/82, Cass 2020/82, Cass 2996/80, Cass 3084/78, Cass 3828/83). Ciò sta necessariamente a significare che la pubblicazione , prescinde dall'accertamento di qualunque stato soggettivo di chi ha violato il diritto del marchio poichè la stessa non ha funzione risarcitoria bensì mira unicamente alla ricostituzione dell'immagine del titolare del marchio. Il sesto motivo di ricorso li è inammissibile. La Corte d'appello ha dichiarato inammissibile il motivo di doglianza proposto avverso la liquidazione delle spese di giudizio da parte del tribunale rilevando che non era stata proposta alcuna deduzione circa la violazione dei limiti massimi delle tariffe e che di conseguenza era stata dedotta unicamente una critica alla asserita iniquità della liquidazione. Tale motivazione, pur riportata nel ricorso, non è oggetto di specifica censura deducendo il ricorrente in questa sede che la liquidazione del primo giudice era sfornita di motivazione in ordine al fatto che la liquidazione era stata superiore all'ammontare richiesto con la nota spese e che la Corte d'appello avrebbe essa dovuto fornire la motivazione sul punto. La prima ragione di inammissibilità consiste nel fatto che la società ricorrente avrebbe in primo luogo dovuto censurare la pronuncia della Corte d'appello relativa alla mancata indicazione della violazione dei massimi tariffari. In assenza di censura su tale affermazione decisiva ai fini della decisione si è formato sul punto il giudicato onde il motivo non è scrutinabile in questa sede di legittimità. In secondo luogo, in ordine alla mancata motivazione da parte della Corte d'appello, si sarebbe dovuto riportate, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, il brano del motivo d'appello ove veniva avanzata la doglianza relativa alla mancanza di motivazione. Il ricorso va in conclusione respinto. Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. PQM Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 10.000,00 oltre euro 200,
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dirittodellaconcorrenza · 7 years ago
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Corte di Cassazione 4048/2016
SENTENZA sul ricorso 26044-2012 proposto da: CONSIGLIO NOTARILE DISTRETTI RIUNITI CUNEO, ALBA, MONDOVI' E SALUZZO 80018280042, IN PERSONA DEL PRESIDENTE P.T., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PARIOLI 44, presso lo studio dell'avvocato MAZZOLI PAOLO, che lo rappresenta e difende; 2013 - ricorrente - '1170 contro TOPPINO VINCENZO C.F.PTTVCN40E14C173L, elettivamente domiciliato in ROMA, V. PIEMONTE 39, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNETTI ALESSANDRA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato WEIGMANN MARCO; - controricorrente - nonchè contro PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE APPELLO DI TORINO; - intimati)- avverso l'ordinanza della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 21/05/2012 n. 132/12; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/04/2013 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA; udito l'Avvocato Mazzoli Paolo difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso e solleva la questionlk di costituzionalità delleart. 2 n. l legge Bersani e legge Cresci Italia opponendosi alla domanda di rinvio di controparte; udito l'Avv. Giovannetti Alessandra difensore del controricorrente he ha chiesto il rigetto del ricorso e domanda di rinvio in attesa della sentenza della Corte Costituzionale; sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. VELARDI MAURIZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La Commissione regionale di disciplina del Piemonte e della Valle d'Aosta, adita dal Consiglio notarile dei distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovì e Sallino, irrogava a Vincenzo Toppino, notaio in Alba, la sanzione disciplinare della censura, per aver, in violazione degli artt. 1, comma 2, 14, lett. b) e 42, leLi. c) dei principi di deontologia professionale notarile, fatto ricorso in numerosi atti di pubblicazione di testamento olografo e di attivazione di testamenti pubblici a clausole di esonero dall'obbligo di trascrivere i relativi acquisti immobiliari mortis causa; e per aver, in violazione dell'art. 147 legge notarile, posto in essere atti di concorrenza illecita consistenti nella riduzione degli onorari richiesti, compromettendo il decoro e il prestigio della classe notarile. Avverso la deliberazione della Commissione regionale di disciplina, il notaio Toppino proponeva reclamo innanzi alla Corte d'appello di Torino, che con ordinanza del 21.5.2012, resistendo il Consiglio notarile, dichiarava l'insussistenza dell'illecito disciplinare contestato. La Corte territoriale, premesso che non tutti gli atti pubblici su cui si basava la contestazione disciplinare erano stati prodotti, rilevava che se non in tutti, in numerosi casi i lasciti testamentari aventi ad oggetto beni immobili configuravano non già dei legati — i soli a dover essere trascritti, non richiedendosi per l'acquisto del diritto l'accettazione del legatario — ma istituzioni di erede ex re certa. Tale rilievo, secondo la Corte subalpina, svalutava la tesi del Consiglio notarile secondo cui l'attività del notaio Toppino sarebbe stata improntata a trascuratezza dei propri obblighi professionali. Ciò che si ravvisava nella decisione impugnata non era, dunque, 3 una violazione civilisticamente rilevante, ma un atteggiamento negligente desunto dalla ricorrenza della clausola di esonero, che sebbene legittima sarebbe stata pilotata dal notaio e ad essa avrebbe corrisposto un atteggiamento sostanzialmente lassista. Tale difetto di diligenza, però, era escluso in punto di fatto perché nulla di quanto emerso legittimava la conclusione che alle clausole di esonero non corrispondessero effettive informazioni date dal notaio alle parti. Del pari era da escludere, secondo L.. Corte torinese, la seconda parte della contestazione. Ove pure fosse stata dimostrata una negligenza nella cura degli interessi della clientela attraverso l'inserzione ripetuta della clausola di esonero, da ciò non sarebbe conseguito necessariamente né un intento né una condotta di concorrenza sleale. Inoltre, ove pure vi fosse stata una condotta negligente, il limitarsi a richiedere il compenso professionale per la sola attività effettivamente svolta non poteva ritenersi indice rivelatore di un'attività sleale. Per la cassazione di tale ordinanza ricorre il Consiglio notarile dei distretti riuniti di Cuneo, Alba, Mondovì e Saluzzo, che formula quattro mezzi d'annullamentc. - Il notaio Toppino resiste con controricorso, illustrato da memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Col primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dell'art. 702- ter c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., per non aver la Corte territoriale fatto uso dei propri poteri istruttori d'ufficio, al fine di richiedere un'integrazione documentale, avendo l'onere di procedere nel modo ritenuto 4 più opportuno zgli atti d'istruzione ritenuti rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto. 2. - Il secondo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo (al ricorso si applica il testo dell'art. 360, n. 5 c.p.c. anteriore alle modifiche apportate dall'art. 54, 1° comma lett. b D.L. n. 83/13, convertito con modificazioni in legge n. 134/12), consistente nella responsabilità deontologica del notaio conseguente all'utilizzo della clausola di esclusione della responsabilità. Lamenta, inoltre, parte ricorrente, che non sono stati esaminati gli atti contenenti legati immobiliari, né è stata valutata la sussistenza della responsabilità per non aver svolto con correttezza e competenza la funzione di interpretazione ed applicazione della legge, per aver eseguito prestazioni in modo inadeguato alla diligenza del plufessionista avveduto e scrupoloso, per aver fatto ricorso a clausole di dispensa imitatrici dell'incarico professionale senza fornire alle parti i chiarimenti utili a garantire il riscontro delle decisioni assunte e il valore giuridicamente rilevante dell'atto. 3. - Col terzo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., perché la Corte territoriale, invece di esaminare la violazione contestata, consistente nel fatto che il notaio Toppino in un numero rilevante di casi non avrebbe provveduto alla trascrizione, avendo inserito la clausola di esonero, si sarebbe soffermata, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, sull'esame degli unici due atti non contestati perché trascritti, atti dai quali pertanto non era possibile trarre alcun indice idoneo a valutare la condotta del notaio. 5 4. - Col quarto motivo parte ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, 14, lett. b) e 42, lett. c) dei principi di deontologia professionale del notaio e dell'art. 147 della legge notarile. Oggetto del procedimento disciplinare, deduce parte ricorrente, non è una violazione civilisticamente rilevante, ma un atteggiamento negligente nei confronti degli obblighi deontologici che esula dal dettato codici stico in tema di trascrizione. Il relativo obbligo, prescritto dall'art. 2648 c.c., per il caso di acquisto mortis causa derivante da (eredità o) legato, trascende l'interesse particolare del legatario, coinvolgendo quello pubblico alla continuità della pubblicità dichiarativa a tutela dei terzi, e forma oggetto, ad un tempo, di un'obbligazione professionale e di un dovere derivante dall'ufficio notarile. La Corte territoriale, prosegue il Consiglio ricorrente, ha ignorato tali implicazioni deontologiche derivanti dalla mancata trascrizione, dedicando all'argomento esclusivamente una generica affermazione circa l'inesistenza di una prassi generalizzata. Inoltre, detta Corte avrebbe escluso la violazione del divieto di illecita concorrenza in base ad una confusa analisi del profilo soggettivo, da cui non potrebbe comunque intravvedersi una volontà di concorrenza sleale. Affermazione, questa, che non considera la ratio, lo spirito e i presupposti della norma, che individua una delle forme della concorrenza sleale nella riduzione di onorari, diritti e compensi, sanzionandola in quanto preordinata all'incetta della clientela attraverso un meccanismo idoneo a squilibrare la normale offerta della prestazione notarile. 5. - Il primo motivo è infondato. L'art. 702 -ter, comma 5 c.p.c., introdotto dall'art. 51, 10 comma legge n. 69/09, ed applicabile, con le altre norme del procedimento sommario di 6 cognizione, alla fase giurisdizionale del procedimento disciplinare notarile, ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. n. 150/11, prevede che il giudice, se non provvede ai sensi dei commi precedenti del medesimo articolo, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto, provvedendo con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande. La derivazione di tale norma dall'art. 669-sexies, 10 comma c.p.c., sul processo cautelare uniforme, è ben più profonda e risalente di quanto già non mostri la quasi perfetta coincidenza letterale delle due disposizioni, ove si consideri l'evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha condotto a una progressiva omologazione della funzione cautelare a quella cognitiva, culminata con il D.L. n.35/05, convertito con modificazioni in legge n.80/05, che ha introdotto nell'ordinamento la funzione cautelare a strumentalità attenuata relativamente alle misure aventi carattere anticipatorio (art. 669- octies, 6° comm. , c.p.c.). Di rimando, anche l'ambito della cognizione ha dovuto prendere atto di una sommarizzazione già realizzata nei fatti, sebbene mediata dalla funzione cautelare. Ciò premesso e ciò chiarito, le due funzioni processuali restano diversificate per i rispettivi esiti (mera anticipazione di effetti sostanziali nel caso dei provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata, giudicato nelle ipotesi di procedimento sommario di cognizione), sicché l'interpretazione della norma di cui parte ricorrente denuncia il malgoverno va operata da un angolo visuale diverso rispetto a quello presupposto dall'art. 669-sexies, 10 comma c.p.c. (evidenziato, del resto, dal fatto che mentre quest'ultima norma 7 funzionalizza gli atti d'istruzione "ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto", e dunque al tipo di misura adottabile, l'art. 702 -ter, 50 comma c.p.c. li volge "all'oggetto del provvedimento richiesto", evocazione icastica di uno degli elementi oggettivi della domanda di merito). Mentre la sonunarietà del procedimento cautelare soddisfa l'esigenza di assicurare un diritto con effettività immediata, ed è sinonimo di un accertamento tendenzialmente non approfondito, la sommarietà del procedimento di cognizione di cui agli artt. 702 -bis e ss. c.p.c. mira a definire la lite con rapidità, in ragione della più o meno manifesta fondatezza o infondatezza della domanda e della dipendenza del relativo accertamento da poche e semplici acquisizioni probatorie. La scelta del giudice di merito di esercitare o meno gli ampi poteri d'iniziativa istruttoria concessigli dall'art. 702 -ter, 50 comma c.p.c. esprime una valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione esente da vizi di logica giuridica, restando nel contempo esclusa la sola possibilità di decidere la controversia mediante l'applicazione dell'art. 2697 c.c. quale regola di giudizio, nel senso che il giudice non può dare per esistenti fonti di prova decisive e nel contempo astenersi dal disporne l'acquisizione d'ufficio. 5.1. - A ben vedere, non è questo il caso di specie. E' vero che, a chiusura del paragrafo 10 dell'ordinanza impugnata, la Corte piemontese afferma che in assenza di iniziative istruttorie delle parti non può che fare riferimento al materiale disponibile, fornito in piccola parte dal Consiglio notarile e in maggior misura dal notaio Toppino, ma nell'insieme non esaustivo di tutti i casi oggetto della contestazione disciplinare. Ma la stessa ordinanza prosegue osservando che al riguardo il provvedimento della 8 Commissione regionale di disciplina è generico e non consente una verifica puntuale e mira tg_ qd "una specifica realtà documentale". Pertanto, il Consiglio notarile ricorrente avrebbe dovuto contestare tale motivazione formulando un'apposita censura ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c., corredata dell'allegazione e della dimostrazione del fatto contrario (l'esistenza, cioè, di uno o più atti rogati dal notaio Toppino, aventi un contenuto in tutto o in parte diverso da quelli presenti agli atti e idonei a fondare la pretesa sanzionatorio). Il che, però, non è avvenuto. 6. - Anche i restanti motivi — da esaminare congiuntamente perché censurano sotto profili distinti il medesimo nucleo decisorio, secondo cui le clausole di esonero dalla trascrizione non erano di mero stile e lesive del dovere deontologico corrispondente — sono infondate. 6.1. - Non è dubbio che l'art. 2648, 10 comma c.c. imponga la trascrizione dell'acquisto del legato immobiliare, e che ai sensi dell'art. 2650, 10 comma c.c. la relativa omissione produca l'inefficacia di ulteriori trascrizioni e iscrizioni a carico dell'acquirente. Parallelamente, e tenuto conto del fatto che il legato si acquista senza necessità di accettazione (art. 649, 1° comma c.c.), sul notaio che proceda alla pubblicazione di un testamento contenente l'attribuzione di un legato immobiliare incombe un duplice obbligo, civile e deontologico, di provvedere alla trascrizione. Diversamente avviene, invece, nel caso di istituzione di erede ex re rrta, allorché, cioè, il testatore includa nella quota dell'erede uno o più immobili determinati, atteso che l'acquisto dell'eredità richiede l'accettazione (art. 459 c.c.). 6.1.1. - La Corte distrettuale non ha negato, né espressamente, né implicitamente, tali principi, ma al contrario ha ritenuto che anche nei casi in 9 cui si era trattato della pubblicazione di disposizioni testamentarie sicuramente a titolo particolare, nulla consentiva di ritenere che la clausola di esonero fosse mirata ad un'elusione sostanzialmente pilotata di tale obbligo. Ha infatti affermato che "la pubblicazione o l'attivazione dell'atto di ultima volontà non è l'unica formalità a cui si fa luogo, sicché gli aventi causa possano ritenersi con essa totalmente esonerati da egisiasi altro adempimento. In particolare, la necessità della denuncia di successione comporta un'ulteriore formalità, con l'indicazione dei dati ipocatastali. E' dunque ragionevole accreditare che possa essere nell'interesse dei beneficiari il mero atto di pubblicazione o attivazione del testamento, anche rinviando ad un secondo tempo le ulteriori formalità, la cui necessità nulla induce a dare per scontato essi ignorino" (v. pag. 21 ordinanza impugnata). Dunque, la decisione impugnata non si basa né su di un'errata interpretazione delle norme richiamate. né sulla cattiva comprensione del senso e della violazione deontologica dedotta, ma su di un accertamento che ha escluso in punto di fatto la prova dell'illecito. La Corte torinese, invero, ha ritenuto che non fosse suffragato da elementi certi il fatto che le contestate clausole di esonero, di per sé ritenute legittime dalla stessa Commissione regionale di disciplina (v. pagg. 21-22 ordinanza impugnata), fossero contrarie alla deontologia professionale in quanto sostanzialmente "pilotate" dal notaio per eludere obblighi di legge. Tale accertamento non è, in particolare, attaccato adeguatamente con il secondo mezzo, col quale parte ricorrente si è limitata ad allegare un omesso esame il quale, più che riguardare uno specifico fatto, concerne nel suo l'insieme la dedotta responsabilità disciplinare, e dunque un tema, più che un 10 fatto, per sollecitare un'inammissibile rinnovazione delle valutazioni di merito operate dalla Corte d'appello. 6.2. - L'ordinanza impugnata non appare adeguatamente contrastata neppure sotto il profilo della ritenuta esclusione della concorrenza sleale che, secondo il Consiglio ricorrente, sarebbe sottesa alla generalizzata prassi dell'inserimento delle ridette clausole di esonero dalla trascrizione. Al riguardo, la Corte piemontese, ha osservato, con motivazione in sé congrua e logica, che "ove pure vi fosse (stato) un atteggiamento negligente, il limitarsi a farsi corrispondere onorari e spese per le prestazioni effettivamente erogate non può essere ragionevolmente inteso come indice sicuramente rivelatore di un intento di slealtà e di concorrenza indebita nei confronti della classe notarile nel suo insieme, perché ciò significherebbe attribuire una polarizzazione soggettiva della condotta professionale che non è necessariamente implicata dalla semplice trascuratezza". 7. - Le considerazioni fin qui svolte assorbono, rendendole irrilevanti, le questioni di legittimità costituzionale, dedotte dalla parte ricorrente in sede di discussione orale, a) del D.Lgs. n. 249/06, con riferimento alla possibile prescrizione dell'illecito, secondo l'esito dell'incidente di costituzionalità già sollevato da questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 17697/12, resa in altro procedimento fra le medesime parti; e b) delle norme del D.L. n. 223/06, convertito con modificazioni in legge n. 248/06, e del D.L. n. 201/11, convertito con modificazioni in legge n. 214/11, con riferimento alla soppressione delle limitazioni all'esercizio di attività professionali. 8. - In conclusione il ricorso va respinto. 11 9. - La novità della questione giustifica eccezionalmente la compensazione delle spese, ai sensi dell'art. 92, 2° comma c.p.c. nuovo testo. P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19.4.2013.
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dirittodellaconcorrenza · 7 years ago
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Corte di Cassazione S.U. 3802/2016
SENTENZA sul ricorso 16375-2007 proposto da: LA MICROMECCANICA DEL COMM. LIBERO BALESTRA & C. S.P.A. (C.F./P.I. 00620890400), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso l'avvocato BIAMONTI LUIGI, che la 2013 rappresenta e difende unitamente all'avvocato 1910 ALESSANDRI NICOLA, giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro COPRECI S. COOP. LTDA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 130, presso l'avvocato ZAPPULLA GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato DRAGOTTI GUALTIERO, giusta procura speciale per Notaio ANTONIO ROMAN DE LA CUESTA GALDIZ di PAMPLONA (SPAGNA) del 15.6.2007; - c .F.: 01023-AS078 - - controricorrente - avverso la sentenza n. 103/2007 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 24/01/2007; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI; uditi, per la ricorrente, gli Avvocati LUIGI BIAMONTI e NICOLA ALESSANDRI che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso; udito, per la controricorrente, l'Avvocato GUALTIERO DRAGOTTI che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per il rigetto del ricorso. I . 2 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 12 aprile 2000, la Copreci S. Coop. Ltda conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Forlì La Micromeccanica del cav. Libero Balestra & C. S.p.A., esponendo che: A) nell'ambito di un precedente giudizio instaurato sempre davanti al Tribunale di Forlì, La Micromeeeaniea aveva dedotto in particolare: a) di essere titolare del brevetto n. 1200081, concesso il 5 gennaio 1989 a seguito di domanda depositata il 13 giugno 1985, riguardante un “rubinetto per gas, valvolato, con ridotto ingombro in altezza, per fornelli e cucine a gas, in particolare per piani di cottura”; b) di essere venuta a conoscenza, a seguito di una segnalazione, del fatto che una concorrente spagnola, Copreci S. Coop. Ltda, aveva prodotto e presentato in Italia ad alcune aziende operanti nel settore e clienti di Micromeccanica un rubinetto con caratteristiche riproducenti i principali elementi innovativi del rubinetto brevettato e di cui alle rivendicazioni contenute nel brevetto stesso; B) essa attrice , costituitasi nel suddetto giudizio, aveva contestato gli assunti della controparte e aveva chiesto in via riconvenzionale la declaratoria di nullità del brevetto; C) esaurita l'istruttoria anche tramite l'espletamento di due consulenze tecniche d'ufficio, con sentenza n. 192/2000, il Tribunale aveva, tra l'altro, cosi disposto: “1) in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da Copreci s. Coop LTDA nei confronti dell'attrice la Micromeccanica del Cav. Libero Balestra e c., dichiara la nullità ai sensi dell'art. 59, 2° co. R.D. 1127/1939 del brevetto per invenzione industriale n. 1.200.081 concesso alla Micromeccanica in data 5 gennaio 1989, limitatamente alla parte attinente la disposizione trasversale dell'elettrovalvola, restando confermata, nel resto, la validità del brevetto in questione; 2) in accoglimento della domanda attorea, dichiara che la Copreci ha violato i diritti dell'attrice, relativamente al predetto brevetto, nei limiti dell'ambito protettivo del brevetto stesso, di cui alle rivendicazioni da 1 a 8 rielaborate dal CTU alle pagg. 21-25 della sua relazione, da far parte integrante della presente decisione”; D) dopo il deposito della suddetta sentenza, contro cui aveva proposto impugnazione davanti alla Corte d'Appello di Bologna, essa aveva prodotto e posto in commercio altro rubinetto dal ridotto ingombro in senso verticale, caratterizzato da un diverso meccanismo di 2 comando dell'apertura della valvola attraverso cui il gas defluiva; E) poiché Micromeccanica aveva insinuato che detto rubinetto rientrava fra quelli “condannati” dal Tribunale di Forlì, era suo inte- resse farne accertare la legittimità. Copreci chiedeva pertanto al Tribunale di accertare e dichiarare che il rubinetto valvolato per gas di ridotta dimensione in altezza, come risultante dai disegni tecnici e dal campione che produceva, non interferiva con quanto rivendicato dal brevetto per invenzione industriale 1.200.081, di cui la convenuta era titolare. Questa si costituiva e , negando gli assunti della controparte, deduceva di non essere stata neppure a conoscenza dell'esistenza di un modello di rubinetto prodotto da Copreci diverso da quello per il quale, a suo tempo, era stata promossa azione di contraffazione; lamentava che dalla citazione e dai documenti allegati emergeva che il nome commerciale del secondo rubinetto era il medesimo di quello originario, ossia CAL 22100, e che anche il secondo tipo di rubinetto violava il suo brevetto. La Micromeccanica S.p.A. chiedeva pertanto al Tribunale, tra l'altro, di inibire l'uso del nome e/o marchio, commerciale CAL 3 22100, previo accertamento della illegittimità della condotta sotto il profilo della concorrenza sleale nonché accertare e dichiarare che il rubinetto valvolato per gas descritto nei disegni e campioni prodotti da Copreci interferiva con il brevetto di cui essa era titolare, inibendone la commercializzazione. Esaurita l'istruzione mediante espletamento di consulenza tecnica d'ufficio, con sentenza del 12 luglio 2003, il Tribunale respingeva la domanda di Copreci e, in accoglimento di quella riconvenzionale di Micromeccanica, dichiarava che il rubinetto nella nuova versione prodotto dalla società attrice interferiva con il brevetto n. 1.200.081 di cui la convenuta era titolare, ne inibiva l'ulteriore commercializzazione in Italia e in Spagna, disponeva che i rubinetti prodotti da Copreci e i mezzi utilizzati per la loro produzione fossero assegnati in proprietà a Micromeccanica ovvero distrutti a spese Copreci; respingeva le altre domande della convenuta e condannava la società attrice al pagamento delle spese di lite. Riteneva, in particolare, il Tribunale che Copreci avesse proposto l'azione al fine di ottenere la verifica che il nuovo rubinetto da essa prodotto non interferiva con il brevetto Micromeccanica nella sua formulazione originaria e non in quella risultante dalla sua sentenza depositata il 18 marzo 2000, sicché rigettava la domanda, benché il consulente tecnico d'ufficio avesse accertato che il nuovo rubinetto non interferiva con la protezione brevettuale nei termini riconosciuti nella predetta sentenza. Avverso la decisione, con atto notificato il 10 ottobre 2003, Copreci proponeva appello, deducendo che il giudice di primo grado aveva erroneamente interpretato la sua domanda, giacché essa intendeva fare accertare che il nuovo rubinetto non interferiva con il brevetto della controparte nel contenuto ritenuto valido dal Tribunale di Forlì con la sentenza 192/2000, situazione questa che era stata positivamente verificata dal consulente tecnico d’ ufficio. L'appellante chiedeva pertanto alla Corte di accogliere le conclusioni indicate in atto di appello. Micromeccanica S.p.A. si costituiva tardivamente in giudizio per resistere al gravame chiedendone il rigetto . Chiedeva altresì il risarcimento dei danni verificatisi successivamente alla sentenza impugnata. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza n. 103 del 2007, in _C totale riforma della sentenza di primo grado : 1) dichiarava che il rubinetto valvolato per gas di ridotta dimensione in altezza, come risultante dai disegni tecnici e dal campione in atti, esaminati dal consulente tecnico d'ufficio nell'ambito della relazione depositata in primo grado il 20 marzo 2001, non interferiva con le rivendicazioni del brevetto 1.200.081 come limitate dal Tribunale di Forlì nella sentenza n. 192 del 2000;2) respingeva conseguentemente tutte le domande proposte da Micromeccanica . Avverso la detta decisione ricorre per cassazione la Micromeccanica sulla base di nove motivi cui resiste con controricorso la Copreci. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la società la ricorrente si duole per aver l'impugnata sentenza ritenuto che la declaratoria di nullità parziale della rivendicazione n.1 del brevetto di Micromeccanica, di cui alla sentenza del Tribunale di Forlì n. 192/00, all'epoca non passata in giudicato, potesse essere considerata come avente efficacia fra le \ parti, sia pure ai fini limitati dell'interpretazione della domanda di 6 accertamento negativo formulata da Copreci nel secondo giudizio proposto davanti al Tribunale di Forlì. Sostiene la ricorrente che, secondo la previsione di cui all'art. 79 1.inv. e degli artt. 2908 e 2909 c.c., la sentenza di nullità parziale con riformulazione di una rivendicazione brevettuale non fa stato fra le parti se non a seguito del suo passaggio in giudicato, con la conseguenza che essa ,prima di tale momento, non ha rilevanza neanche a fini interpretativi della domanda di mero accertamento proposta da una parte in un separato giudizio al fine di ottenere una declaratoria di non interferenza di un prodotto con il brevetto oggetto della declaratoria di nullità in questione. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente si duole per aver l'impugnata sentenza ritenuto validamente proposta ex art. 100 c.p.c. la domanda della Copreci pur se riferita ad una situazione giuridica non ancora esistente e meramente ipotetica e futura, quale quella derivante dalla eventuale passaggio in giudicato ed efficacia ex art. 79 1.1. di una nuova formulazione di una rivendicazione del brevetto Micromeccanica de quo. I detti motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati 7 congiuntamente e si rivelano infondati. Va premesso che inappropriato appare il richiamo all'art 79 1.inv., che prevede esclusivamente l'efficacia erga omnes delle pronunce di nullità di un brevetto passate in giudicato ,ma che non regola il momento a partire dal quale i detti effetti decorrono. Tale aspetto è disciplinato ,invece, dall'art 59 bis 1.inv.( applicabile ratione temporis) che prevede che la declaratoria di nullità di brevetto ha effetto retroattivo fatte salve alcune situazioni previste dalla norma stessa che qui non rilevano. Ciò posto, va preliminarmente rilevata la sussistenza dell'interesse ad agire da parte della ricorrente. Quest'ultima ha proposto azione di accertamento negativo sul fatto che la nuova versione ( rispetto a quella del precedente giudizio) del proprio rubinetto per gas valvolato non costituiva contraffazione di quello prodotto da La Micromeccanica in relazione alle rivendicazioni del brevetto n.1.200.081 di quest'ultima come le stesse risultavano dalla sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 657 del 2002 (all'epoca della citazione in giudizio non ancora passata in giudicato) che aveva confermato la sentenza del 8 Tribunale di Forlì n. 192/00 che aveva riconosciuto la parziale nullità di alcune delle dette rivendicazioni. Va anzitutto messo in evidenza che il rubinetto del gas della Copreci per cui è causa è diverso dall'altro rubinetto della stessa che nel precedente giudizio era stato accertato costituire contraffazione del brevetto n.1.200.081 de La Micromeccanica. Resta da verificare se il non ancora avvenuto passaggio in giudicato, al momento della notificazione dell'atto di citazione, della sentenza della Corte d'appello di Bologna emessa nel primo giudizio possa ritenersi una circostanza idonea a far ritenere non sussistente o comunque non ancora sorto l'interesse ad agire della Copreci al momento dell’ introduzione del presente giudizio. La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che 1"interesse ad agire richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e 9 concreto che essa intenda in tal modo conseguire ( ex plurimis Cass 6749/12 — Cass 2051/11- Cass 15355/10) . Peraltro è stato altresì precisato che l'interesse ad agire con un'azione di mero accertamento non implica necessariamente l'attuale verificarsi della lesione d'un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, costituendo la rimozione di tale incertezza un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se con l'intervento del giudice (Cass 13556/08- Cass 4496/08; Cass 17026/06 ; Cass sez un 264/96). Nel caso di specie, la Copreci con la domanda di accertamento negativo intendeva conseguire il risultato giuridicamente apprezzabile di accertare che il proprio prodotto non costituiva contraffazione di un altro con la conseguente responsabilità, in tal modo chiarendo una situazione di incertezza relativamente alla possibilità di mettere o meno il proprio prodotto in produzione e distribuzione commerciale al fine altresì di evitare possibili lesioni all'altrui diritto. 4 0 La parte aveva dunque , visto l'esito del precedente giudizio ,interesse a verificare che la nuova versione del rubinetto non costituisse nuovamente una contraffazione del brevetto di controparte. La circostanza che la sentenza della Corte d'appello di Bologna non fosse ancora passata in giudicato al momento della introduzione del presente giudizio non vale ad escludere il già individuato interesse ad agire. Non può, in primo luogo, non rilevarsi che la società ricorrente avrebbe ben potuto chiedere ab origine l'accertamento della non contraffazione del proprio rubinetto valvolato anche in relazione alle originarie rivendicazioni del brevetto n.1.200.081 de La Micromeccanica e successivamente in corso di giudizio, qualora la sentenza n. 657/02 della Corte d'appello di Bologna fosse nelle more passata in giudicato, avrebbe potuto ridurre la domanda di accertamento alle rivendicazioni per come le stesse risultavano dal predetto giudicato. La limitazione ab origine della domanda solo a queste ultime non ha, dunque, alcun rilievo ai fini dell'interesse ad agire, posto che la ricorrente avrebbe anche potuto ritenere, a prescindere dal futuro 41 possibile giudicato, che il nuovo rubinetto valvolato da essa predisposto non costituisse contraffazione di alcuni aspetti delle rivendicazioni originarie del brevetto di Micromeccanica ma avesse incertezza di una possibile contraffazione rispetto ai restanti. Ciò avrebbe di per sé legittimato la Copreci ad agire in giudizio chiedendo l'accertamento negativo rispetto a quegli aspetti ove riteneva sussistere incertezza. Sotto un diverso profilo, non può non rilevarsi che il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d'appello di Bologna n. 657/02 non costituiva un presupposto dell'azione bensì una mera condizione in quanto incidente sul diritto ad ottenere una sentenza favorevole e, pertanto, era sufficiente che sussistesse nel momento della decisione della lite. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione di norme di diritto da parte della sentenza impugnata laddove ha ritenuto validamente proposta la domanda, avanzata per la prima volta in ( appello da Copreci, di interferenza del proprio rubinetto con le rivendicazioni del brevetto 1.200.081 “siccome limitate dal Tribunale di Forlì con la sentenza n. 192 del 2000��� Secondo la ricorrente,la Copreci, resasi conto della correttezza della sentenza del Tribunale di Forlì, nel secondo procedimento (quello per cui è causa) ha tentato di rimediare in appello alla domanda introduttiva da essa stessa formulata„ modificando la medesima e precisando la richiesta di mero accertamento della non interferenza del proprio rubinetto con le rivendicazioni del brevetto 1.200.081, aggiungendo la frase “siccome limitate dal Tribunale di Forlì con la sentenza n. 192 del 2000”. Il motivo è infondato. Basta osservare che ,come è noto, costituisce domanda nuova non proponibile in appello quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda inizialmente proposta, introducendo un “petitum” diverso e più ampio, oppure una diversa “causa petendi”, fondata su situazioni giuridiche in precedenza non prospettate ed in particolare su un fatto giuridico radicalmente diverso, tale da integrare una pretesa nuova e da inserire nel processo un nuovo tema d'indagine. ( ex plurimis Cass 24996/08). In tal senso non costituisce domanda nuova la riduzione in appello della domanda originariamente proposta in primo grado, senza 43 sostanziale alterazione dell'oggetto e dei termini della controversia. (Cass 2278/70;Cass 3004/79 v. anche Cass 4298/93). Nel caso di specie dunque, anche a voler ritenere che la riduzione della domanda in questione sia stata proposta per la prima volta in appello, non vi sarebbe comunque stata alcuna violazione dell'art 345 cpc. Si osserva comunque,. che questa Corte , cui trattandosi di censura proposta ai sensi dell'art 360 n. 4 cpc compete il potere di rivalutare il fatto, condivide la valutazione fornita dalla Corte d'appello sul punto laddove ha ritenuto che la domanda introduttiva del giudizio era già limitata all'accertamento della non contraffazione in relazione alle rivendicazioni del brevetto n.1.200.081 de La Micromeccanica ,come le stesse erano state parzialmente modificate a seguito della sentenza della Corte d'appello di Bologna n 657/02. La sentenza impugnata ha infatti del tutto correttamente rilevato: a) che la Copreci si era opposta alla sospensione del presente procedimento in attesa della decisione di quello ove era già intervenuta la sentenza n. 657/02 della Corte d'appello di Bologna I II considerando ormai acquisito, in assenza di appello incidentale da parte di La Micromeccanica , il giudicato sul punto ; b) che la stessa consecuzione degli eventi che avevano preceduto l'introduzione del presente giudizio ( creazione di un nuovo rubinetto valvolato da parte della Copreci e l'introduzione di un nuovo giudizio per accertarne la non interferenza con il brevetto di La Micromeccanica) portavano a far necessariamente ritenere che l'oggetto del giudizio fosse limitato alle sole rivendicazioni riconosciute valide nel precedente giudizio ; c) che in sede di consulenza tecnica il quesito si era limitato a chiedere di verificare se la citata non interferenza riguardava solo le rivendicazioni ritenute valide dalla sentenza del tribunale di Forlì passate in giudicato e le parti avevano accettato siffatto thema decidendum ; d) che anche in appello l'odierna ricorrente si era difesa riconoscendo che la domanda della Copreci doveva essere interpretata come limitata alle rivendicazioni riconosciute valide nel precedente giudizio. Con il quarto motivo di ricorso La Micromeccanica assume che la sentenza d'appello ha erroneamente ritenuto di poter individuare l'oggetto del brevetto (cioè i limiti dell'esclusiva) sulla base del solo ’ tenore letterale della rivendicazione n.1 , senza tenere in considerazione né la descrizione del brevetto né la motivazione della sentenza che aveva riformulato la prima rivendicazione del brevetto. Con il quinto motivo di ricorso contesta la sentenza d'appello laddove avrebbe erroneamente ritenuto che l'ambito di tutela del brevetto La Micromeccanica era stato limitato dai giudicati contenuti nelle sentenze di accertamento della nullità parziale e di riformulazione della rivendicazione n.1 alla specifica catena cinematica ivi riportata, dando esclusivo rilievo ad essa, nella sua specifica conformazione morfologica, senza tener conto delle dichiarazioni, delle motivazioni e degli accertamenti contenuti nelle citate sentenze di nullità parziale del brevetto Micromeccanica passate in giudicato. Con il sesto motivo la ricorrente deduce che la sentenza d'appello nel giudizio di contraffazione per equivalenti del brevetto La Micromeccanica relativamente al rubinetto di produzione Copreci non avrebbe proceduto ad accertare la presenza, nel prodotto oggetto di giudizio di contraffazione, del carattere di originalità o non evidenza per il tecnico medio del settore della soluzione alternativa adottata per il medesimo fine, rispetto all'insegnamento contenuto nel brevetto Micromeccanica. Con il settimo motivo deduce che la sentenza d'appello ha deciso in palese contrasto con quanto accertato nei giudicati esistenti fra le parti, costituiti dalle sentenze costituenti giudicato rese dal Tribunale di Forlì e dalla Corte di Appello di Bologna nella prima causa di contraffazione, in relazione alla portata ed al contenuto dell’ idea inventiva del brevetto Micromeccanica. Con l'ottavo motivo di ricorso ripropone questione analoga questione a quella di cui al sesto motivo , questa volta sotto il profilo dell'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto la sentenza d'appello nel giudizio di contraffazione per equivalenti del brevetto La Micromeccanica non ha motivato circa la presenza nel prodotto oggetto di giudizio di contraffazione, del carattere di originalità o non evidenza per il tecnico medio del settore della soluzione alternativa adottata per il medesimo fine, rispetto all'insegnamento contenuto nel brevetto Micromeccanica. 4 Con il nono motivo la Micromeccanica lamenta, con riferimento alla statuizione in ordine all'individuazione dell'ambito e della portata dei giudicati esistenti tra le parti sulla parte caratterizzante del brevetto e in via subordinata rispetto al settimo motivo di impugnazione, che la sentenza impugnata si sia immotivatamente pronunciata in senso difforme alle decisioni passate in giudicato rese tra le medesime parti circa la portata, natura ed ambito di protezione del brevetto. Il quarto , quinto, il settimo ed il nono motivo che, sotto diversi profili, si dolgono di una erronea interpretazione del giudicato possono essere esaminati congiuntamente e si rivelano inammissibili. A seguito della riforma ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006, la nuova previsione dell'art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis al caso di specie, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in -I g giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell'art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. (Cass 20535/09; Cass sez un 7161/10). L'obbligo di cui all'art 366 comma primo n. 6 cpc è stato ritenuto da questa Corte sussistere anche per le sentenze in relazione alle quali si invoca l'esistenza di un giudicato esterno in ragione del fatto che poiché la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l'esistenza di un siffatto giudicato rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso - in virtù della sua oggettiva intrinseca natura di documento - la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ. concerne in tutte le sue implicazioni anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione ponga la questione concernente l'esistenza, la negazione o l'interpretazione del suo valore di giudicato esterno. ( Cass 21560/11). -f 9 Nel caso di specie la parte ricorrente non indica dove tra gli atti della fase di merito siano rinvenibili le sentenze n.192/00 del tribunale di Forlì e n. 657/02 della Corte d'appello di Bologna in base alle quali si è invocato il giudicato di cui si discute. Ciò rende i motivi in esame non scrutinabili. Sotto un diverso profilo di inammissibilità va osservato che ,come di dirà in seguito, non è contestabile che l'accertamento della interferenza del nuovo rubinetto Copreci con il brevetto de La Micromeccanica è stato effettuato dal consulente d'ufficio proprio in relazione alla rivendicazione n. 1, come risultava modificata dalle dianzi citate sentenze emesse nel precedente giudizio tra le parti. In tal senso la sentenza , nel riferirsi alle risultanze della CTU, ha ritenuto che la parte caratterizzante il brevetto consisteva nella conformazione morfologica dei componenti la catena cinematica ) come accertata dalla riformulazione della rivendicazione n. l e che in relazione ad essa non vi era interferenza da parte della catena cinematica messa in atto nel nuovo rubinetto Copreci. Con tale valutazione, la Corte d'appello ha, da un lato, effettuato una interpretazione del giudicato e,dall'altro,ha valutato in relazione / 2_ O ad esso l'esistenza o meno della contraffazione del brevetto de La meccanica. I motivi in esame tendono a prospettare una diversa interpretazione del giudicato, facendo riferimento ad altri aspetti in esso compresi oltre alla catena cinematica ,ed in particolare alla foronomia, senza però in alcun modo indicare come tali aspetti inventivi rilevassero nello caso di specie e perché il nuovo rubinetto Copreci ne costituisse contraffazione. Sotto tale profilo i motivi si presentano inammissibili in quanto generici e non del tutto afferenti alla ratio decidendi poiché propongono una astratta censura basata su una interpretazione olistica del giudicato senza però argomentare sul perché nel caso di specie oltre alle rivendicazioni inerenti la catena cinematica, ed in particolare alla prima rivendicazione, rilevassero anche le altre rivendicazioni. Ciò esonera la Corte dal procedere essa stessa ad una interpretazione del giudicato, pur consentitale in ragione del fatto che detta interpretazione è equiparabile ad una interpretazione di legge. 2_ l Per ciò che concerne il sesto e l'ottavo motivo gli stessi si rivelano inammissibili sotto diversi profili. In primo luogo/la sentenza impugnata, nel riportare le conclusioni della CTU che aveva escluso la contraffazione del nuovo rubinetto della Copreci del brevetto Micromeccanica, ha rilevato che" contro le conclusioni predette l'appellata neppure in questo grado di giudizio ha sollevato obiezioni" e su tale affermazione non si rinviene nel ricorso censura. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha a più riprese affermato che il giudice del merito, che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poiché l'obbligo della motivazione è assolto già con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate, con la conseguenza che la parte, la quale deduca il vizio della sentenza impugnata, ha l'onere di indicare in modo specifico le deduzioni formulate nel giudizio di merito, delle quali il giudice non si sia dato carico, non essendo in proposito sufficiente neppure il a a mero e generico rinvio agli atti del pregresso giudizio ( Cass 19475/05) mentre , sotto un diverso profilo, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell'elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità. (Cass 1022/09- Cass 23530/13). Nella specie era dunque onere della ricorrente presentare nella fase di merito contestazioni alle risultanze ed alle argomentazioni della espletata consulenza tecnica d'ufficio in ordine alla valutazione della equivalenza; valutazioni fatte poi proprie dalla Corte d'appello che ha riportato integralmente il brano della CTU relativo a tali aspetti. In assenza dunque di contestazioni alle risultanze della CTU dinanzi al giudice di appello, deve necessariamente ritenersi corretta la valutazione del giudicato operata dalla Corte d'appello sulla base delle argomentazioni della CTU che ha ritenuto quanto segue. “Non è lecito ritenere, nel caso specifico, che ogni meccanismo che sia in grado di trasmettere una movimentazione sghemba tra asta di comando del rubinetto ed otturatore della valvola di sicurezza, sia 23 ti equivalente a quanto oggetto della rivendicazione 1 del brevetto Micromeccanica nella sua nuova riformulazione. In sostanza, per dirla in altro modo, se la parte caratterizzante del brevetto consiste proprio, e solamente, nella conformazione morfologica dei componenti il cinematismo di trasmissione, poiché evidentemente è stato sancito nel primo Giudizio di merito che tutto quanto afferente il resto era comunque parte dello stato dell'arte anteriore…é pacifico che questa conformazione morfologica non debba poter impedire a terzi di conseguire un identico risultato meccanico, cioè una trasmissione sghemba di atto pressorio, ma con una soluzione tecnica alternativa. Ed è innegabile che la soluzione tecnica ideata da Copreci nella nuova versione del rubinetto Cal 22100 non abbia nulla a che vedere con il cinematismo Micromeccanica se non, come detto, il solo risultato finale, e che pertanto tale soluzione non interferisca con la nuova rivendicazione principale che lo tutela…”. Occorre a tale proposito rammentare che la sentenza impugnata ha rilevato che i quesiti posti al CTU nominato nel giudizio di appello richiedevano proprio di verificare l'esistenza o meno della 2h k contraffazione del brevetto della ricorrente da parte del nuovo rubinetto Copreci in relazione alle rivendicazioni ritenute valide dalla sentenza n. 192 del 2000. La sentenza dà altresì atto del fatto che il CTU ha riassunto le diverse tesi dei due consulenti di parte e riporta il relativo brano della consulenza ove risulta che il CTP di parte ricorrente aveva sostenuto che “poiché nella precedente causa è stata riconosciuta la interferenza tra il vecchio rubinetto Copreci ed brevetto Micromeccanica, seppure nella sua formulazione limitata, in virtù di un principio di equivalenza meccanica tra i cinematismi che azionavano l'otturatore della valvola di sicurezza, anche nel presente accertamento tale principio dovrebbe essere identicamente applicato poiché, pur essendo strutturalmente differenti i singoli componenti, e per quanto strutturalmente più complessi rispetto al brevetto Micromeccanica, è pur sempre attraverso l'assemblaggio sinergico tra essi che viene conseguito il medesimo risultato meccanico, ossia che l'otturatore della valvola di sicurezza viene premuto comunque attraverso la rotazione di un corpo all'interno del rubinetto”. Non è quindi dubbio che la consulenza tecnica d'ufficio abbia tenuto presente le prospettazioni del Consulente di parte ricorrente in ordine alla equivalenza meccanica anche se le ha successivamente disattese in base alla motivazione dianzi riportata. A fronte di dette risultanze della consulenza era pertanto onere specifico della parte contestarle dinanzi alla Corte d'appello. Nulla di -tutto ciò è avvenuto, onde la sentenza, che sul pulito fa espresso riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, deve ritenersi adeguatamente motivata mentre le censure che, in particolare con il sesto motivo, la società ricorrente muove alla valutazione della sentenza basata sulla CTU in ordine ad una presunta erronea applicazione del giudizio di equivalenza, tendono invero a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali investendo in tal modo inammissibilmente il merito della decisione. Il ricorso va in conclusione respinto. Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo PQM 2 b Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 8000,00 oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge. Roma 4.12.13 Il Co .est. DEPOSiIK; CANCEU.ER1A …….. Oggi ……………….. ………..
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dirittodellaconcorrenza · 7 years ago
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Corte di Cassazione n. 2520/2016
R.G.N. 16471/08 ORDINANZA sul ricorso proposto da: SIMOS s.r.l. in liq.ne, elett.te dom.ta in Roma, presso Rep. la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata Ud. 9/12/13 e difesa, per procura speciale del 13 maggio 2013 autenticata dal notaio Elia Antonacci di Bologna (rep. 37516), dagli avv.ti Paolo Creta e Fabio Chiarini; - ricorrente - contro LICA s.r.1., elett.te dom.ta in Roma, via Zanardelli 20, presso lo studio dell'avv. Fabio Massimo Lais che, unitamente all'avv. Luigi Saglietti, la rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso; 2013 - controricorrente - Maria Montersino ved. Porqueddu e Otello Ginebri; intimati - avverso la sentenza n. 664/2007 della Corte d'appello di Torino emessa il 13 aprile 2007 e depositata il 26 aprile 2007, R.G. n. 2371/02; sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sergio Del Core che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; Rilevato che: l. La s.r.l. LICA, con atto di citazione del 17 luglio 1996, ha convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, le s.r.l. SIMOS e V.I.P. deducendo: a) di essere titolare di due brevetti italiani (n. 1.184.922 e n. 1.218.945, esteso a livello europeo con brevetto n. 0324448) aventi ad oggetto apparecchi per applicazioni controllate sul tessuto umano di sostanze riducenti per realizzare microabrasioni e apparecchi per effettuare microabrasioni unicamente mediante depressione, particolarmente sul tessuto umano e in generale su corpi ad aderenza non traspiranti; b) la s.r.l. SIMOS produceva e offriva in vendita apparecchiature denominate Skin Renewer per la dermoabrasione controllata di cui alcuni esemplari erano stati rinvenuti presso la s.r.l. V.I.P.; c) dette apparecchiature ponevano in essere una 2 contraffazione dei propri brevetti e la loro commercializzazione determinava una condotta qualificabile come concorrenza sleale. La società attrice ha chiesto pertanto adottarsi le declaratorie, inibitorie e comminatorie di legge e condannare le società convenute al risarcimento dei danni. 2. Si è costituita la SIMOS s.r.l. negando che i propri apparecchi interferissero con i citati brevetti e contestando la novità e originalità del brevetto n. 1.184.922 di cui ha chiesto, in via riconvenzionale, la dichiarazione di nullità unitamente alla condanna della LICA s.r.l. al risarcimento del danno anche ex art. 96 c.p.c. 3. Si è costituita la V.I.P. s.r.l. negando di aver avuto alcun ruolo nei dedotti fatti di contraffazione e concorrenza sleale in quanto i macchinari rinvenuti nel proprio magazzino erano stati richiesti in visione e la segnalazione alla LICA s.r.l. di una possibile interferenza con i suoi brevetti era stata fatta proprio dalla convenuta V.I.P. s.r.l. 4. Sono stati chiamati in causa Otello Ginebri e Maria Montersino nella qualità di contitolari del brevetto n. 1.184.922 e nel costituirsi hanno eccepito la nullità dell'attività istruttoria svolta precedentemente alla loro costituzione. Nel merito hanno aderito alle conclusioni di parte attrice. 3 5. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 25 febbraio 2002, ha respinto la domanda di nullità del brevetto n.1.184.922 e la connessa domanda di risarcimento danni e ha dichiarato inammissibile perché proposta tardivamente la analoga domanda di nullità del brevetto n. 1.218.945. Ha accolto le domande della società attrice nei limiti in cui la interferenza con i brevetti LICA dei macchinari SIMOS (modelli skin lifting, skín renewer e skin renewer modificato) era risultata all'esito della consulenza tecnica svolta nel corso dell'istruttoria e conseguentemente ha pronunciato le richieste di inibitoria, fissazione di penale e pubblicazione della sentenza. Ha respinto le domande proposte nei confronti della V.I.P. riscontrandone il comportamento in buona fede. Ha respinto infine le richieste della SIMOS relative alla responsabilità del cancelliere del Tribunale di Torino per la mancata comunicazione di ordinanza istruttoria a due parti costituite con conseguente dichiarazione di nullità della C.T.U. collegiale svolta e con incremento di spese per la ulteriore C.T.U. in rinnovazione. 6. La Corte di appello di Torino ha respinto l'appello proposto dalla SIMOS nei confronti della LICA e dei sigg.ri Ginebri e Montersino, la domanda della SIMOS di addebito delle spese al Cancelliere del Tribunale di Torino e di condanna 4 al risarcimento dei danni. Ha respinto altresì l'appello incidentale della LICA nei confronti della V.I.P. e la richiesta della LICA di pubblicazione sulla stampa della sentenza di appello. Ha condannato la SIMOS al pagamento delle spese processuali nei confronti di LICA e dei sigg.ri Ginebri e Montersino e ha condannato la LICA al pagamento delle spese processuali nei confronti di V.I.P. 7. Ricorre per cassazione SIMOS s.r.l. in liquidazione affidandosi a cinque motivi di impugnazione. 8. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt.162 e 60 c.p.c. in relazione al rigetto della domanda proposta dalla SIMOS di condanna del Cancelliere del Tribunale di Torino al pagamento delle spese e al risarcimento dei danni provocati dall'omessa notifica dell'ordinanza istruttoria del 20/23 marzo 1998. La ricorrente con il relativo quesito di diritto chiede alla Corte di Cassazione: se, al fine della condanna del Cancelliere, sia richiesta la formale integrazione del contraddittorio nei confronti del Cancelliere, ovvero se sia sufficiente la convocazione o l'audizione del medesimo affinché sia messo in grado di far valere le proprie eventuali ragioni; se la parte che abbia chiesto la condanna del Cancelliere medesimo debba 5 procedere a una formale chiamata in giudizio del Cancelliere medesimo, ovvero se possa procedere ex officio il giudice alla chiamata in causa del Cancelliere, a seguito della domanda di condanna proposta dalla parte; se la proposizione della chiamata in giudizio del Cancelliere richieda formule sacramentali o se possa ritenersi implicitamente contenuta nella domanda con la quale viene chiesta la condanna del Cancelliere previa sua audizione. 9. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. in relazione alla dichiarata tardività ed inutilizzabilità dei brevetti anteriori depositati da SIMOS con l'atto di appello nonché erronea e/o omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione a un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. La ricorrente - con il relativo quesito di diritto - chiede alla Corte di Cassazione: se sia ammissibile la produzione di nuovi documenti in appello, ex art. 345 c.p.c.; se la richiesta, da parte dell'appellante, di ammissione di nuova consulenza tecnica d'ufficio in appello, implichi la non dirimenza dei brevetti anteriori prodotti per la prima volta in grado di appello. 10.Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di legge circa la pretesa inammissibilità della 6 domanda riconvenzionale del brevetto LICA 1.218.945. La ricorrente con il relativo quesito di diritto chiede alla Corte di Cassazione: se per la formulazione di una domanda riconvenzionale di nullità di un brevetto sia necessaria una formula sacramentale ovvero se sia sufficiente che la pretesa risulti, anche per implicito, dalle deduzioni e dalle richieste formulate dalle parti. 11.Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di cui al d.lgs. n. 30/2005 (cfr. anche artt. 46 e 48) circa la pretesa riconosciuta validità dei brevetti della LICA per cui è causa nonché la erronea e/o omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione a un punto decisivo della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c. La ricorrente - con il relativo quesito di diritto - chiede alla Corte di Cassazione se nella valutazione della novità e originalità dei brevetti aventi ad oggetto macchine per la dermoabrasione il campo della tecnica di riferimento vada individuato tra tutte le apparecchiature per la microabrasione di materiale ovvero unicamente tra le macchine del settore medico-estetico e chiede altresì alla Corte di individuare il tecnico del ramo in relazione alla valutazione dei due brevetti di LICA per cui è causa. Chiede inoltre se sia 7 ammissibile e legittima una riscrittura delle rivendicazioni e se possa essere validamente tutelato solo quanto esplicitamente indicato nelle rivendicazioni, avendo disegni e descrizione un ruolo meramente interpretativo. 12.Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione delle norme di cui al d.lgs. n. 30/2005 in relazione alla accertata sussistenza della lamentata contraffazione nonché la erronea e/o omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione a un punto decisivo della controversia, ex art. 360 n. 5 c.p.c. La ricorrente - con il relativo quesito di diritto - chiede alla Corte di Cassazione se l'uso di manipoli che non prevedono alcun convogliatore di flusso del tipo di quello indicato nel brevetto LICA, e che determinano un flusso fluido che trasporta le polveri che, lungi dall'essere lambente, è incidente rispetto alla superficie da trattare, possa costituire comunque una contraffazione del brevetto IICA n. 1.184.922. 13. Si difende con controricorso LICA s.r.l. 14. Non svolgono difese V.I.P. s.r.1., Maria Montersino ved. Porqueddu, Otello Ginebri. 15.In data 22 maggio 2013 SIMOS s.r.l. e L.I.C.A. s.r.l. unitamente ai loro difensori hanno sottoscritto e depositato una istanza congiunta di pronuncia di cessazione della materia del 8 contendere con la quale comunicano alla Corte che nella pendenza del presente procedimento hanno raggiunto e sottoscritto un accordo che soddisfa pienamente i rispettivi interessi e disciplina le spese del giudizio. Ritenuto che 16. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Le spese del giudizio vanno interamente compensate. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 dicembre 2013.
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