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echo & ryan the Place ; ( ‛ the tales of Inverness ’ ‣ urban fantasy rpg ) — — — — Ella era ancora una volta, lì. Circondata da un’atmosfera di / puro / caos, trascorreva la serata in uno dei più eccessivi modi. Era un posto ipnotico, dove ella si perdeva facilmente dentro; tra la musica EDM nelle orecchie, tra gli movimentati balli sulla pista, sentiva che quell'era vita — sebbene lei fosse immortale. Le migliori serate prima della sua / totale / trasformazione, le trascorreva al the Place. La discoteca vantava di una costante presenza di persone – soprattutto giovani, ed Echo amava ciò. Per l’arpia, non era mai difficile confondersi nella folla; anzi, era più frivola e felice lì, al principio della sera.
Prese un bicchiere dal vassoio di un’incantevole cameriera, dopo averle rivolto un sorriso. Il liquido del bicchiere aveva un colore indefinito; difficile da distinguersi con il frequente e dinamico gioco delle luci su tutto l’interno della discoteca. Solo quando portò il bicchiere alle sue sottili labbra, capì che la bevanda non era altro che del whisky. Continuò a berlo fino a terminare il contenuto del bicchiere; il forte sapore del liquido le invadeva ancora la bocca, una volta fatto scivolare in gola, ed un lieve bruciore si conservava al fondo di essa. Il the Place era uno di quei particolari posti ove perdevi te stesso e ove la concezione del tempo – almeno per Echo – non esisteva. Quella musica elettronica, dai ritmi martellanti ed ossessivi, era generata da eccellenti dj al di là delle piste. Figure scure, palesemente alle prese con i loro generatori di musica; sapevano come tenere in movimento la massa. « Ehi — ma guarda un po’ chi c’è, anche stasera! » S’era poggiata sull’orlo del bancone, ove alcuni giovani sostavano per il piacere di sgolarsi una fresca bibita. Dietro di esso, v’era Ryan; uno dei barman più cordiali del locale, secondo il / modesto / parere di Echo. Aveva dovuto gridare, per farsi udire dal giovine dietro il bancone; nonostante ciò, la musica sovrastava di molto la voce di ella. Aspettò che egli si liberasse dalle richieste degli altri clienti, per iniziare una delle loro solite e / frequenti / chiacchierate. Aveva già preso un altro bicchiere senza richiederlo, tuttavia. « Sembra che non manchi nessuno, al solito. Oh — e Ryan, l’hai sentita la musica, stasera? Sembra che abbiano aggiunto pezzi nuovi — e sono fantastici. Un altro po’, e la mia testa imploderà. »
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«Echo!» egli accolse la ragazza dalla fluente chioma bionda con un grosso sorriso, si aggiustò la cravatta nera –il The Place imponeva ai loro lavoratori un abbigliamento elegante e sobrio- e si avvicinò a lei. «Concordo i nuovi pezzi sono ipnotici!» esclamò agitando le mani in aria a ritmo di musica. Ryan amava i ritmi forti e travolgenti. Amava le vibrazioni positive che la musica gli trasmetteva. In mezzo ad una buona musica EDM e tra sagome scure che si dimenavano festosamente riusciva a sentirsi libero e vivo. Egli si prestò a prendere subito un Tumbler basso dal bancone, si girò versò gli enormi scaffali neri dove vi erano predisposti vari tipi di liquori e prese una bottiglia di Jack Daniel’s e un liquore alla menta. Posizionò le bottiglie sul banco e versò entrambi gli alcolici, nelle dosi giuste, nello shaker. Con un movimento deciso ,dall’alto verso il basso, shakerò il cocktail per qualche istante per poi versarlo nel Tumbler aggiungendo alla fine tre cubetti di ghiaccio, che davano quel tocco di freschezza in più. «Devi assolutamente provare questo drink, il Jack e Menta!» porse alla ragazza il bicchiere contenente la bevanda alcoolica di colore verdastro. Non era di certo il primo Jack e Menta che Ryan preparava, conosceva perfettamente il suo sapore deciso e fresco e non vedeva l’ora di sapere i pareri della sua cara amica di bevute. «però fai attenzione che è abbastanza forte» disse, ammiccando, in tono di sfida.
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The mountains are my bones, the rivers are my veins. The forests are my thoughts, and the stars are my dreams.
echo idèlle diederich / / monologue ; “ 𝓽𝓱𝒆 𝓬𝓾𝓻𝓼𝒆 𝓸𝒇 𝓻𝒆𝓭 𝓶𝓸𝓸𝓷 ” inverness event ; ( ‛ the tales of Inverness ’ ‣ urban fantasy rpg ‣ #redmoon ) — — — —
Non seppe mai di preciso cosa causò il suo risveglio, quella fatidica notte. Che fosse stato l’improvviso calar dell’oscurità, o la sua inaspettata mancanza di forza non più incanalata nelle ossa, od ancora, quelle agghiaccianti grida provenienti dall’esterno, poco importava. Non aveva alcuna rilevanza, quando v’era un insolito bagliore color cremisi proveniente dalla finestra a dipingere le tende di un debole rosso ed a rendere la stanza più buia del solito, più buia di quando i raggi chiari ed argentei della luna si riflettevano in maniera lieve sulle pareti. Non aveva alcuna rilevanza poichè quella perenne sensazione di disagio a gravare il petto di Echo era ben più percepita delle mille domande che s’affollavano nella sua appena risvegliata mente.
I suoi primi pensieri dopo un sonno di cui non conservava memoria, andarono alla ricerca di risposte, a scavare nei meandri della sua memoria stessa affinchè riuscisse a rimemebrare anche solo quando e come avesse preso la decisione di addormentarsi. E se lo avesse fatto, sarebbe stato sicuramente di giorno; ricordava bene di dedicarsi al riposo solo nelle ore diurne, poichè in quelle notturne. . .in quelle notturne, si dedicava ad altro. Ma cosa poi, riuscì a figurarlo dopo.
S’alzò di scatto a sedersi sul letto, proprio nel rapido istante in cui un nuovo tipo di panico l’attraversò dall’interno, fino a risalire al muscolo del cuore, facendolo battere all’impazzata, e fino ad arrivarle alla testa, rendendole i pensieri poco lucidi.
Esili e nude dita percorsero il braccio sinistro, in modo quasi delicato, come se temessero di rompere quell’istante d’incanto e perfezione; le sue dita ch’erano posate sul braccio non erano più artigli, e la pelle ella indossava non era un manto di piume color oro. Pelle contro pelle. Essa era ancora diafana, pulita da imperfezioni e nuda contro il freddo della stanza. Neanche il freddo parve avere importanza: in quell’attimo, era umana. Non portava sembianze umane durante la notte da un tempo indefinibile, equivalente a secoli e secoli nella continuità del Tempo — tant’era vero che s’era dimenticata cosa si provasse anche solo dormire nella notte fonda. Si passò dolcemente una mano sui fianchi, seguendone le forme; anche le spalle erano prive d’ali. Le vertebre sporgenti della schiena, quella volta, non parevano nascondere alcun dolore causato dalla comparsa di altre ossa fuoriuscire dalla carne, creandone poi, le ali.
Eppure in tutta quell’accogliente ed inconfutabile bellezza, v’era ancora qualcosa che non andava.
( . . . )
Vide Aderyn sorriderle, d’improvviso. Vide il suo corpo giacere su quel letto, accanto a lei, mentre parole prive di senso volteggiavano nella tenue atmosfera di un ricordo. Finì tutto. I colori caldi che trasmettevano il ricordo si tramutarono bruscamente nell’oscurità glaciale della stanza. Finì tutto, finì con le mani di Echo tastare le lenzuola accanto a lei. Erano tiepide, sotto il calmo tocco. Tiepide, ma vuote. Ciò significava ch’ella, che Aderyn, non se n’era andata da molto. Perchè non era lì?
Quando s’erse in piedi, quelle estremità degli arti nudi unirsi con il pavimento riuscirono a stento a mantenerla in costante equilibrio; l’istinto di uscire era smisurato, ma i suoi passi la condussero alla finestra e poi a farle scostare le tende. Ciò ch’esse scoprirono, fu una notte stellata ed una luna piena color del sangue dominare la volta celeste.
I secoli che si portava addietro, l’eternità a cui era stata condannata, si chiedeva solo se fossero ancora reali. / E non era umana. Era certa di non esserlo. /
Mancava qualcosa; mancava quell’elemento che avrebbe dovuto darle energia. Difatti, si sentiva ancora debole, e percepiva una sorta di dipendenza per qualcosa che non aveva ancora figurato con chiarezza. Qualcosa a cui desiderava essere vicina con ardore; percepiva ch’era qualcosa non più del cielo, ma incanalato nel terreno. Eppure stava detestando, quella percezione di mancanza. Il potere, l’energia che le venivano donati ogni volta che tramutava in una creatura dei cieli s’erano dissolti nel nulla. In quell’istante, lei era niente.
( . . . )
Odore pungente di muschio le riempiva le narici. In quell’attimo attraversava il sottobosco, i piedi nudi posati sulle foglie secche adagiate sul terreno ormai da tempo. I lembi della gonna candida s’abbandonavano a leggiadri svolazzi ogni qualvolta che lei avanzava, lasciando scoprire parte delle gambe e facendole provare incessanti brividi di freddo. Il terreno era umido, e l’aria colma di tensione; il suo viso stesso, illuminato del rosso della luna, cercava di esplorare una nuova natura.
Ed allora, marciava nei boschi; i passi solenni, non la conducevano verso un luogo preciso. Poichè la sua destinazione, l’aveva trovata. Non aveva avuto modo di percorrere la selva di Inverness da quella prospettiva; spesso sfrecciava tra gli alberi sospesa nell’aria, e quand’era alla ricerca di riparo od riposo, avvolgeva gli artigli attorno ad un ramo, e vi si accovacciava sopra. Bizzarra armonia colmava un cuore che aveva da sempre ignorato; ed invece di percepire le nuvole, i fulmini sotto le sue dita, avvertiva ciascuna pianta, arbusto, ed albero presente nei dintorni. Riusciva a smuoverli, a godere la pura aria ch’essi producevano. Ma non era ciò che desiderava. L'essere un'alseide — forse in modo definitivo, tutto quello, era una costante angoscia. Un mondo ignoto, e ben lontano da quello che era sempre stata. Tutto ciò attorno ad ella non era purezza, come poteva apparire. Era l’opposto di tutto quel che aveva sempre creduto; un forte senso di contraddizione la portarono alla confusione più totale.
Si sentiva spaesata, innanzi a qualcosa di ben più grande, radicato nel suolo stesso ai suoi piedi. Era tuttavia — capace di sentirsi più leggera; di lasciare i rancori alle spalle. Di non focalizzarsi solo su sé stessa. Era passata dall’essere una creatura dell’oscurità, all’essere qualcosa che infondesse vita. La parte peggiore, era che non sapeva cosa pensare a riguardo. Non sapeva se sarebbe riuscita a ritrovare sé stessa. V’erano solo lei, e la selva. L’oscurità, questa volta — la inghiottiva.

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echo & ryan woods ; ( ‛ the tales of Inverness ’ ‣ urban fantasy rpg ‣ #redmoon event) — — — —
Fu un urlo. Un urlo spezzò un silenzio ormai dissolto nell’aria boschiva. Un urlo di donna agghiacciante interruppe la sacralità della flora; fu come si fosse creata un’evidente crepa sulla superficie del ghiaccio. E man mano che le grida aumentavano, echeggiando sole nell’area, la crepa s'apriva ancora di più. Al seguito di esse, incrementava il rumore di un galoppo. Incredibilmente spedito, Echo credeva già di conoscere la sua natura. Come se essa fosse inconfondibile, al seguito delle grida. Ella roteava sul suo stesso corpo nel tentativo di ricerca di quegli individui nella boscaglia. Credette fosse lo spiccato ed apparentemente a lei nuovo tipo di altruismo; la spingeva a cercare, non solo con i / suoi / occhi, ma con quelli di ciò che la circondava, la fonte di quelle tanto disperate grida. Ogni suo pensiero era stato rimosso dall’urgente priorità di salvare una vita.
Quel susseguirsi di suoni la condussero non dalla donna, bensì, dall’artefice di quella clamorosa fuga. Una figura maestosa s'ergeva innanzi a lei, fatta dell'imponenza stessa ed il suo volto, avvolto nell'inaspettata familiarità.
« Ryan? »
( . . . )
« PER L’ENNESIMA VOLTA — / NON FARLO /, RYAN. Non te lo permetterò! »
Parve sciocco e peraltro vile, negare a sé stessa dell’odio che le insorse dall’interno. In maniera quasi naturale, provò contrastante risentimento non per quello ch’era stato un amico, quanto per una spietata creatura. Non aveva mai provato tale cosa, nei confronti di un centauro; che ciò fosse legato alla sua nuova natura — non aveva dubbi. Anche quella volta celeste a sovrastare Inverness, celava i suoi segreti. In modo probabile, anche quelli di Ryan, e di chiunque non era rimasto più lo stesso, quella notte. Echo aveva abbandonato la teoria del sogno — alquanto fuori luogo per ella: lei non sognava mai.
Non sapeva di preciso, cosa mai le stesse facendo, l’essere un’alseide; alla vista di Ryan, aveva letteralmente deposto ogni ricordo fatto di pura amicizia e fratellanza che la legava irreparabilmente al ragazzo. Tutto quel che l’era rimasto, era vibrante collera ardere nel suo petto, risalire alla faccia, giungere fino alle mani strette in un serrato pugno. Attimi prima, assistendo ai suoi movimenti irrequieti di quando lei s’era parata avanti ad egli, Echo l’aveva fermato nello stesso istante, bloccandogli le zampe di equino in una famelica morsa fatta di spesse radici fuoriuscite dal sottosuolo. “ / Non ti farò del male / ”, gli aveva sussurrato con estrema calma. Elemento piuttosto in contrasto con tono della voce usato da entrambi in quell’istante, che di pacato non aveva nulla. Ironico come i toni di Echo le facessero assumere un modo di agire ben lontano dalla natura quieta di un’alseide. Alla forsennata ricerca di sé stessa ed a quella del suo stesso amico.
« Neanche io dovrei essere qui. »
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You feel so small at midnight walks beneath the vast starry sky but when walking them with you I feel like I’m the only one who matters in this world
Thank you for that (via justmypoetrythings)
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