Tumgik
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Quando ami troppo, finisci per odiare tutto. Anche te stesso.
E.
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Di-me-na-ti
Cerco un posto. Non so dove. Mi segna l'anima, ma resto fermo.
Ral-len-to
Mi ricordo di te. Abbandonami.
Non ci penso.
Resto.
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Ruggine
Rinnego.
Mi ripeto. Mi dileguo.
A volte, assopita su di un colle.
Scoglio.
Mi scaglio. Mi sciolgo.
A volte, su di te.
Ripeto.
Mi rivedo. Mi slego.
A volte, sulle spalle degli altri.
Aspetto.
Mi sorprendo, ma mi fermo.
Sempre. Non vado oltre.
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Miniera
Parla, parla, parla, parla, zitta.
Parla, zitta, zitta, zitta, parla.
Non smette mai, nemmeno quando la obbligo. Arrivo all'estremo. Sigaretta. Parla. Parla. Zitta.
Voglio solo silenzio, voglio solo chiudere la porta. Tappati le orecchie. Il mare. Nel mare. Non basta.
Schiaffi in faccia. Male. Te lo meriti. Parla, parla, parla, ma stai zitta.
Freddo. Fili d'erba tra le dita. Sporgiti. Il mare. Nel mare. Ora sì. Affoga.
E.
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La verità è che non si tratta di una domanda scontata: è facile perdere ciò che ci fa del bene?
Risposta: sì, succede.
Risposta: a volte no.
È proprio quel sì, succede che caratterizza gran parte della mia vita, di chi mi sta accanto, di chi passa tra uno strato della mia anima e chi passa, solo così, per passare.
Non sono mai stata brava a trattenere, ma piuttosto a lasciare. Di fretta. Lascio che le cose finiscano, che si perdano alla ricerca di un aggancio, anche instabile, basta che sia lì per loro. Ho preferito perdere, perché ho paura, perché non ho voglia, perché porre attenzione vuol dire metterci tutto dentro. Tutto il cuore. Tutta l'anima. E se poi con il tempo va male? Ormai ci sei totalmente immerso, cosa puoi fare? L'unica soluzione è continuare a mantenerlo, nonostante faccia male, perché lasciarlo andare sarebbe troppo complesso ora, vorrebbe dire dover ricostruire dopo. E tu hai paura. Ed eccolo lì, il rapporto tossico e nocivo. Dipendenza silente e paura che si commistionano. Chi ricostruisce quella parte di te? Chi colma quella voragine?
Quindi sì, probabilmente tutto questo finirà. Finirà che ci perderemo, che non ci guarderemo più per un po', che non sentiremo nemmeno la mancanza di quello che era. Ma arriverà. Arriverà il click. Inaspettatamente ti ritroverai a pensare a cosa avresti potuto dire per far andare le cose diversamente, per non mollare la presa, per trattenere quel bene. Però hai rinunciato. Hai preferito non preoccuparti, non accollarti il peso di dover innaffiare quel fiore, tanto aveva vita propria, sarebbe riuscito a sopravvivere anche senza un po' d'acqua per alcuni giorni. E intanto il fiore non cambiava, sembrava sempre lo stesso, ma il terriccio diventata sempre un po' più arido e duro. Poi, lentamente, appassiva, facendosi sempre più stanco e piccolo. Diventando secco, sgretolandosi tra le tue mani. Polvere di un ricordo buono che, ingenuamente, hai preferito lasciare si disperdesse nel tempo.
Non c'è una diretta volontà che ti spinge a farlo. Hai già pensato a tutti i possibili scenari nel profondo e il tuo subconscio ha solo provveduto a fare quello che andava fatto.
Se le cose devono andare in un modo, andranno come devono andare ti ripeti sempre. Ma sai, non è proprio sempre così. Le cose devono essere osservate, bisogna ricordargli che esistono, che hanno uno scopo, mutevole o meno che sia, ma tu devi ricordargli che esistono. Devi dargli attenzione. Lasciar crescere non vuol dire dimenticare.
Ma tu mollerai semplicemente, perché lo hai già fatto, ed è più semplice piangersi addosso per una vita intera, un giorno sì e l'altro no, piuttosto che sforzarsi a costruire qualcosa di bello e durevole. Più semplice vivere esperienze brevi, che vanno e vengono. Esperienze che per un po' hanno tappato i buchi. Buchi che nemmeno sapevi di avere. Poi, quando lasci andare, quelli tornano.
E se la risposta fosse: a volte no?
E.
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Foresta sei.
Quercia che m'invade l'anima sei.
Vento che respiro sei.
Ora. Tu. Sei.
E.
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Perché siamo sempre così incessantemente depressi?
Muovo lo sguardo sperando di trovare uno spiraglio di calma, invece, nella mia testa sento solo un ticchettio. Mi ricorda la rabbia che provo. In ogni angolo si cela un nuovo sentimento. Risentimento. Rancore. Tristezza. Terrore.
Perché non riesco a vederci bene? Che occhi devo usare? Sto solo facendo finta?
Perché non voglio altro tempo? Vivo in un solo secondo e del resto che ne faccio? Chi sono per tutta la giornata?
Mi domando, se non fosse? Non lo so, però so che io non sono.
E.
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Me lo merito, questo dolore.
Non merito.
Soffocare.
Cerco il cielo.
Annego.
E.
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Come ci si può odiare tanto e nel frattempo riuscire ad amare gli altri così forte?
Non per questo ho il diritto di dimenticarmi quanto disprezzo mi merito. Odiarsi, più di quanto si possa aspirare ad amare.
E.
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E anche quando non so cosa dire, tu mi sai raccontare.
Mi travalichi l'anima.
E.
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Se sapessi come fermarti, non lo farei. Lungo il fiume mi faccio trascinare, la tua mano mi tiene. Tu sulla riva che corri, io distesa su questo letto gelido che mi riporta a casa. Lasci. Vivo.
E.
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Un'incudine profonda nel cervello. Quel pensiero martellante che non riesci a uccidere. Pietà. Solo pietà.
E.
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Parlavi tanto di com'era bello il mondo visto dall'alto e alla fine ti ritrovo per le strade a trascinare solo ciò che rimane di te, due labbra e quattro urla. E allora dimmi, perché gridi se nemmeno ti giri per vedere chi è pronto a portarti dove le lacrime sono dolci e le urla sono un canto di mille emozioni?
E.
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Non ero felice, non ero niente. Ora sono qualcosa. Sì, ma cosa? Sono fatta di circostanze incerte, di attimi taglienti. Sono quel posto insicuro, quello dove non vai, perché sai che ti farà del male. Mi fa del male.
E se avessi potuto scegliere, non una, non due, non tre volte, ma ogni volta, avrei lasciato che la mia anima vagasse nell'oscurità di quei momenti. Avrei lasciato che si perdesse, non avrei preteso il suo ritorno.
Mi creo uno spazio. Non c'è posto. Vuoto. Ed io.
E.
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Forse avrei dovuto semplicemente correre via, lontano da tutto e da tutti. Sedermi su quella panchina e guardare le ombre della notte. Forse avrei dovuto urlare e piangere per qualche minuto. Forse avrei dovuto ridere a squarciagola. Forse,
E.
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Senza luce, senza niente, solo il buio sulla mia pelle.
E.
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Passerà anche questa stazione senza far male, passerà questa pioggia sottile come passa il dolore.
“Una goccia di splendore” Cit. Fabrizio De André
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