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dopo aver mangiato qualcosa, intorno le ore 12:30pm —— hogsmeade time!
La lezione di Materializzazione odierna è andata bene, ché impegnarsi in qualcosa l’aiuta a sgomberare la mente: è riuscita a spostarsi all’interno di quel cerchio, con la nausea quasi completamente dimezzata rispetto alle volte precedenti. Però il suo umore è ancora una nube nera, simile a quelle che ornano il cielo. Sophia non ama la pioggia, affatto. A lei piacciono le giornate con il cielo pulito ed il sole che scalda le pelle, forse troppo abituata all’America; detesta il fango, detesta la sensazione di bagnato sui vestiti e l’odore pizzicante della pioggia. Le sarebbe piaciuto trascorrere la giornata in un letto, in compagnia, le dita strette intorno una tazza di caffè caldo ed il ticchettare dell’acqua contro la finestra chiusa — ma questo non è possibile, e dunque s’è semplicemente convinta a vestirsi. E ad uscire, le dita strette intorno il manico di un ombrello ed i capelli legati in una morbido chignon appositamente scomposto, una frangetta ordinata creata con la magia. In solitudine.
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#MAGAZINECOVER ╱ Sophia Urquhart for GQ England, March & April 2029 –– photoshoot plus interview: ❛ Nudity and censors in the insta decade. We invited ten women to discuss sex, sexism, eroticism, exhibitionism, puritanism, overexposure, defenselessness, haters, like dictatorship and (self?)censorship on social medias. ❜
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Ha consegnato l'autorizzazione per l'Orientamento a Marion proprio stamane, alla fine, sebbene sia accaduto solamente dopo aver soppesato per bene tutti i pro e tutti i contro. Alla fine è giunta alla conclusione che non le interessa, per ora, di quello che dovrà fare dopo gli studi ( ha ancora un anno e mezzo davanti a sé! ), però... be', ogni occasione è buona per fuggire di / prigione /. Non è il caso di lasciarsi sfuggire l'opportunità di alloggiare ad Emrysbridge per una settimana, soprattutto ché in tal modo sarà più libera. Chissà, forse riuscirà persino a passare a casa. Per il momento però se ne sta stesa a letto con Bijou, più in pace con se stessa; ci sta giocando, quando questa inizia a darle i bacini. E Sophia se li tiene tutti, ché persino l'affetto animale è meglio di niente... almeno fino a quando non si ritrova quella linguetta spiaccicata sulle labbra. E si rende conto che non è una buona idea, mettersi il rossetto al sapore di ciliegia in sua presenza. ( ... )
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⁖ ♡ Sophia & Emma @ Corridoi di Hogwarts / 27 Febbraio.
‹‹ Alla fine hai trovato il posto di cui ti avevo parlato? ›› la stanza delle necessità, ovviamente, ma meglio non farlo sapere a tutti, ecco... ‹‹ Spero tu non ci sia andata dopo il coprifuoco, però. ››
‹ Trovata! Diciamo che ci sono andata in esplorazione! › con un sorriso vago, mentre si volta verso di lei –– allungandole un po' della barretta al cioccolato che sta mangiando. ‹ No, no, figuriamoci! Ho per caso la faccia di una che va in giro dopo il coprifuoco, io? ›
Accetta con un sorriso il cioccolato che l’altra le porge, portandolo alle labbra e dandogli un morso mentre alza le sopracciglia. ‹‹ sinceramente sì. Mi dai l’idea di una che sta fuori oltre il coprifuoco. ›› arriccia appena il naso, divertita, il capo che si reclina appena. ‹‹ Cos’hai fatto spuntare? ›› che lei ricorda l’ultima volta che c’è andata molto bene, mh...
Inclina le labbra in un sorriso vago, Sophia, alle parole altrui — riprendendo a camminare e invitandola a fare lo stesso con un cenno del capo. ‹ È perché sono una Grifondoro o perché hai imparato a conoscermi? › curiosa a dir poco, poi però una smorfia le si dipinge in viso a quella domanda. ‹ Niente di che, in realtà. Un letto. Volevo provare se funziona. ›
‹‹ Perché ho imparato a conoscerti. ›› che poi Emma è brava a capire la gente, chissà come poi ma le piace studiarne sempre i dettagli, le caratteristiche, ogni accenno del loro carattere... ‹‹ Un letto, eh? ›› e quello che ora le rivolge è un occhiolino molesto, divertito. ‹‹ Immagino che sia per usarlo con qualcuno. ›› sincerissima proprio.
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⁖ ♡ Sophia & Andrew @ Corridoi di Hogwarts / 27 Febbraio.
Non ha ancora avuto modo di conoscere Sophia come avrebbe voluto, ché è pur sempre la sorella di uno dei suoi migliori amici, ma non è colpa sua e, di fatto, potrebbe cercare di rimediare fin da subito, magari non spuntando fuori dal nulla alle sue spalle senza neanche il minimo segno di preavviso, ma al momento sembra avere un'altra priorità. ‹‹ Dov'è tuo fratello? ›› Le domanda, infatti, del tutto /ignaro/.
Ha una spalla posata contro una colonna, una di quelle che segnano la fine dei corridoi e l'inizio del cortile –– intenta a mangiucchiare una caramella, persa nei propri pensieri. Perciò sobbalza, quando si sente avvicinare così, soprattutto da una voce che non conosce. Ma quando si volta di scatto lo etichetta subito come Andrew, il prediletto di Valentyne. E le vien natura serrare la mascella, a quella domanda. ‹ A casa. › secca.
Non la conosce, quindi non può sapere con certezza se stia scherzando o meno, ma vorrebbe che fosse così, ché quel tono fermo, serio, suggerisce a primo impatto che stia dicendo la verità. Allora inarca le sopracciglia, Andrew, si prende qualche secondo per scrutarla meglio, in cerca di qualcosa che possa aiutarlo a /capire/, ma niente. Resta ancora un po' in attesa, come se stesse aspettando che l'Urquhart aggiungesse qualcos'altro, ma alla fine è lui stesso ad incalzare con una morsa allo stomaco che, ora come ora, gli risulta un po' difficile ignorare. ‹‹ Che significa? ››
Si lascia scrutare, Sophia, con i tratti del bel viso induriti e le braccia lasciate molle lungo i fianchi. Sa che con ogni probabilità l'altro non sa niente, che vuol solo essere informato, ma la propria mente vacilla –– e la rabbia cresce, a quella domanda. Perciò si prende il tipo di ridere, nervosa, proprio nello stesso istante in cui incrocia le braccia sotto al seno. ‹ Significa che se n'è andato, Andrew. Da Hogwarts. › con la voce che s'incrina, ma cerca di non darlo a vedere.
Il primo pensiero che Andrew formula nella sua mente al sentirla ridere è : "Sophia Urquat è pazza", perché non può saper da dove nasca quella risata finché non è lei stessa a suggerirgli il motivo. Ed arriva come una doccia fredda in pieno inverno. Batte più volte le palpebre, incredulo. Che diavolo significa che se n'è andato da Hogwarts? ‹‹ Perché? Perché non mi ha scritto? ›› La sentite anche voi la rabbia che lentamente ora si insinua anche nel suo tono?
Lo sguardo chiaro di Sophia luccica, incendiato, non appena ode le parole altrui. La rabbia monta dentro di sé, stringendola in una morsa, le dita che smaniose vanno a stringersi a pugno. Non ha scritto a lei, perché avrebbe dovuto farlo con / lui /? Cosa gli dà il diritto di avanzare quelle domande, proprio a lei? È lei quella abbandonata. È lei quella sola. ‹ / Perché non ti ha scritto? / › quasi un ringhio, mentre avanza un passo.
Ignaro delle circostanze in cui Valentyne se n'è andato, Andrew prende a guardarla confuso, la fronte aggrottata e lo sguardo assottigliato, mentre fa scivolare gli occhi sulla sua figura, nota le nocche delle mani tese e... fa istintivamente un passo indietro, senza neanche rendersene conto. Non che tema che l'altra possa colpirlo, ma le sembra arrabbiata ed allora gli è parso opportuno prendere le distanze. ‹‹ Siamo amici. Ci siamo scritti quando ero al San Mungo. Mi aspettavo delle spiegazioni... ›› Spiega, poi con evidente insicurezza azzarda: ‹‹ Sbaglio? ››
A quel passo indietro quasi si lascerebbe andare ad un’altra risata, lei, però riesce a trattenersi. Ed evita anche di farne un altro in avanti, restando ferma lì dov’è — perché Andrew sbaglia. Di grosso. Sophia sarebbe molto più che capace di sferrargli un pugno, ed è per questo che evita di muoversi. Cerca di non prendersela con chi è già cagionevole, ma diciamo che le sue parole non l’aiutano di certo a restare... lucida. Ed è ironico, no? Come sia gelosa persino di un amico? ‹ Buona fortuna, allora. Magari sarai più fortunato di me, visto che siete / così legati /. › acidognola. Non ne può fare a meno.
Non crede di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato finché non ascolta quelle parole e il tono con cui vengono pronunciate accende una lampadina nella sua testa. S'affretta, così, a cercare di rimediare, compiendo addirittura un passo in avanti. ‹‹ Scusa. Non avevo capito che non avesse scritto anche a te. Pensavo... ›› "Pensavo che, essendo sua sorella, ne sapessi certamente di più", vorrebbe aggiungere, ma di rigirare il coltello nella piaga, con tutta la rabbia che l'altra sembra covare, non gli pare il caso.
È come un palloncino: alle sue parole la rabbia sembra sgonfiarsi, lasciando nient'altro che tanta tristezza. Perciò distoglie lo sguardo, fissando un punto imprecisato del muro dietro di lui. ‹ Pensavi male. › semplicemente, in un sussurro flebile, e ancora si chiede / perché /. Non capisce. Ma le manca, le manca come l'aria; le manca averlo accanto, addosso, le manca tutto. E quindi sospira. ‹ Com'è che siete diventati così amici, voi due? ›
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⁖ ♡ Sophia & Ezra@ Corridoi di Hogwarts / 27 Febbraio.
Dopo infiniti minuti passati ad attenderla lì fuori dalla sala comune dei grifondoro ed incontri spiacevoli, ecco che finalmente si palesa la figura della giovane Urquhart. « Non smetterai mai di farti attendere, no? Ti piace troppo fare stare le persone sulle spine. » scherza l'americano, avvicinandosi alla ragazza e passando un braccio attorno alle sue spalle. « Allora, come stai? »
La verità? S’era appisolata, e si è resa conto dell’orario solo quando era oramai già tardi; s’è catapultata fuori dal Dormitorio in tutta fretta, però, e lo si può notare dal modo in cui ancora adesso si stropiccia gli occhi. ‹ Non sono io ad essere in ritardo, Parker, sono sempre gli altri ad essere in anticipo. › come se il mondo girasse intorno a lei, con le labbra che si inarcano appena in un sorriso. Ricambia quella stretta passandogli un braccio intorno la vita.
Nota solo dopo qualche secondo il volto mezzo addormentato della grifondoro e perciò capisce che probabilmente si è svegliata da poco. « Pisolino pre-cena? » domanda con tono scherzoso il Parker, soffiando una leggera risata, per poi scuotere la testa nel sentire le parole di lei. « Dovresti sapere che non sono proprio la persona più puntuale del mondo... » ed è la verità, perché Ezra è / costantemente / in ritardo. « — perciò sei una bugiarda! » e le fa persino una pernacchia.
‹ Altro che. › con un sorrisetto, perché in realtà in questa settimana pare non abbia fatto altro che dormire e lamentarsi. E quindi (...). E poi s’è fatta il bagno, dopo le lezioni, ed infilarsi vestiti decenti dopo la divisa è sempre rilassante, per lei. È ovvio sia crollata. Comunque, non può fare a meno di ridere — a questo punto. ‹ Sei proprio un bimbo. › mentre scuote il capo, poi si volta verso di lui con la fronte aggrottata. ‹ Hey, a proposito, vuoi saperla una cosa divertente? ›
« Potevi invitarmi, così almeno mi sarei evitato di aspettarti qui per delle ore. » protesta Ezra, soffiando uno sbuffo e piegando le labbra in un broncio. Melodrammatico, sì, ma sta solo scherzando, ché si diverte a stuzzicarla come al solito. « — io?! Non è vero. » e no, a sentirsi dare del bambino proprio non ci sta e perciò toglie il braccio dalle spalle della strega e le incrocia entrambe al petto. « Ho proprio ragione. Sei una bugiarda. » commenta, annuendo alle sue stesse parole, per poi aggrottare la fronte con aria interrogativa. « Cosa? »
‹ Hai dimenticato i nostri magici amici elfi? › con un sopracciglio inarcato, anche se a quel broncio altrui lei non può fare a meno di roteare gli occhi al cielo. In modo bonario, però, tanto che non appena l’altro le toglie il braccio dalle spalle lei si allunga in avanti per afferrarglielo, e riportarlo dov’era. ‹ Permaloso. › da che pulpito! ‹ Comunque, Steven Ramos mi ha baciata. › con un’espressione eloquente stampata in volto.
« Non me lo ricordare. » commenta il corvonero, liberando dalle labbra un sonoro sbuffo. E poi la osserva mentre lo obbliga a rimetterle il braccio sulle spalle e... niente, la lascia fare. « Non è vero. » borbotta, lanciandole un'occhiataccia, che si tramuta successivamente in uno sguardo sbigottito. « — CHE ?!?!?!? »
‹ / Già /. › eloquente, ché da quando ci sono quegli esseri malefici non sta neanche più dormendo con nessuno. Né facendo sesso. E Sophia non resiste, senza il sesso. Perciò sbuffa, solo che... ‹ SHHHH! › con uno schiaffetto, ovviamente, anche se non è propriamente un segreto. Insomma, è successo nel bel mezzo di un corridoio! ‹ Il giorno del mio compleanno. Stavo facendo la stupida come sempre, e...! ›
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⁖ ♡ Sophia & Valentyne @ Pergamena Comunicante / 27 Febbraio.
Non ha seguito le lezioni mattutine, e non è scesa a in Sala Grande a pranzare; le uniche ore trascorse non in solitudine sono state con Josh. Quindi non è una sorpresa sia ancora in pigiama, seduta alla scrivania — le iridi chiare fisse sul pezzetto di carta su cui sta scarabocchiando, anche se l’intenzione iniziale era quella di studiare. Ma è distratta, non riesce a concentrarsi. È troppo presa dai propri pensieri, dalla rabbia che le fa premere la punta della piuma con troppa forza sulla carta, quasi fino a bucarla. Se apre un cassetto è solo perché ha appena deciso di avere bisogno di un po’ d’aria, che forse il Lago Nero è quello che ci vuole... solo che è finita con lo scorgere / quella / pergamena. La fissa. Insistente, silenziosa. Non ha idea di quanto tempo passi prima che si decida ad afferrarla, spiegandola sulla superficie lignea.
———— ᴩᴇʀɢᴀᴍᴇɴᴀ ᴄᴏᴍᴜɴɪᴄᴀɴᴛᴇ;
“ 🙂 “
Solo questo. Niente di più. Ha scritto, ha cancellato, l’ha appallottolata nel tentativo di buttarla via, e poi... due puntini come occhi, un sorrisetto, la pallina. Si è anche impegnata, a disegnare. Cos’altro avrebbe potuto fare? Non sa neanche se risponderà, o se possiede ancora l’altra metà della pergamena. E tutto quello che ha provato a scrivergli le sembrava patetico, per cui... forse va bene così.
( ... ) Ma tutto ciò che riguarda Sophia è lì, /addosso/ a lui, sulla pelle, nelle ossa. Lei non lo sa, ma gli manca, gli manca da morire, ed è più chiaro in quei momenti in cui non riesce a respirare; di sera, da solo in una stanza vuota. Troppo vuota, senza di lei. Si sente di nuovo così in trappola, nella sua routine: lezioni private, incontri d'affari, scartoffie da compilare... E poi sua madre, sempre meno autonoma, così bisognosa... L'ha vista, la pergamena, anche se non subito, perché da quando è andato via non ha fatto altro che guardare fuori dalla finestra in attesa del gufo di famiglia e spostare poi gli occhi su quel pezzo di carta. Pezzo di carta che, lo abbiamo detto, tiene sempre /addosso/, nella tasca interna della giacca elegante, che ha sfilato solo adesso per poter fare una doccia. "Mi chiedevo quando ti saresti fatta viva" Ché è pure più facile fare il duro, senza guardare i suoi occhi.
I polpastrelli della mano sinistra tamburellano sulla scrivania, provocando un suono sordo –– l'unico udibile, dentro le tende di quel baldacchino oramai perennemente sigillato. Sophia è delusa, è ferita, è arrabbiata, è triste. È sola. Con appiccicata sulla pelle quella fastidiosa sensazione d'abbandono, che credeva di essersi lasciata alle spalle: ma è forse troppo radicata in sé, forse è il suo destino. Non saprebbe dirlo. Però sorride lo stesso, un sorriso amaro che le compare sul volto quando trascorrono minuti lunghissimi, in cui non riceve nessuna risposta. E doveva aspettarselo, no? Solo che le provoca lo stesso una brutta sensazione alla bocca dello stomaco, che cerca di far sparire afferrando d'impeto il pezzo di carta per gettarlo via. Proprio quando compaiono quelle poche parole. Ed è incredula.
“ Eppure sono piuttosto convinta di non essere stata io, quella a sparire senza dire una parola. Forse non ero io quella a doversi fare viva. “ Parole che bruciano sulla carta, scritte con tanto ardore che le fanno male le dita. La rabbia è papabile, no? Ma nonostante quello che scrive è lei, quella debole. Non dovrebbe neanche rispondergli, ed invece eccola qui. Come sempre. Che incassa l'ennesimo colpo quasi senza dir niente, come se la durezza di quelle parole non l'abbia percepita come uno schiaffo in pieno volto.
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⁖ ♡ Sophia & Sydney @ Dormitorio Maschile di Grifondoro / 27 Febbraio.
( ... ) non è propriamente in vena di seguire le lezioni, e neanche si prende la briga di togliersi di dosso il “ pigiama ”; anzi, in realtà si limita ad infilarsi la vestaglia, strisciando i piedi sul pavimento sino a quando non si ritrova nel dormitorio maschile del quinto. ‹ Un uccellino mi ha detto che sei / malato /. › scettica, mentre si spoglia di nuovo e s'infila sotto le coperte. Così. ‹ Riprenditi, perché ho deciso che ad Emrysbridge ci andiamo. Per ubriacarci. O al massimo per usarla come tappa prima del Messico. ›
Malato? Di sicuro! Ma non malato fisicamente, in questo caso. Sapete cos’è ciò che Josh detesta più di sentir parlare degli esami? Sentir parlare di cosa avverrà DOPO gli esami, gli ultimi, quelli del settimo anno. Come in tutto quel che lo spaventa, anche in questo caso lui lo evita, o coi fatti, o con le parole. Infatti, oltre a fingersi malato, quando parla non accenna affatto ad Emrysbridge, ma risponde invece: «Sei venuta qui per... sollevarmi, bellezza?» L’allusione sessuale è palese.
Sophia non se lo pone neanche, il problema del futuro. Non ha idea di cosa voglia fare dopo gli studi, ed ha ancora un anno per pensarci. Per ora le va bene fare la modella, guadagnando con i post su Instagram o posando per le prime pagine dei giornali. Spot, shooting, passerella — per lei non v’è differenza. È semplice guadagnare milioni solo facendo un po’ la smorfiosa, quindi dell’orientamento non gliene frega proprio niente. La vede solo un’occasione per fuggire un po’ da / Azkaban /. Pensa valga lo stesso per lui! Perciò lo osserva col sopracciglio inclinato, visto che l’ha notata l’evasività nel non rispondere alla questione. Però ridacchia lo stesso, girandosi su di un fianco per circondagli la vita con una gamba. ‹ Wow, ti piaccio così tanto che non puoi fare a meno di pensarmi nuda? ›
Forse la verità è che è ancora troppo giovane e immaturo per realizzare come sarà negli anni a venire. Ma forse non si tratta neanche soltanto di questo — essere un fallito a scuola è un fatto, esserlo nel mondo degli adulti è un altro. Non potrà essere che un fallito, ne è convinto. Sta fallendo in tutto, per ora... con lo studio, con la famiglia, con gli amici, con le ragazze, con se stesso... perché dovrebbe cambiare? Lo ha scelto lui, e lo sceglie di nuovo ogni giorno, di essere così, proprio così. Certo, la prospettiva di saltare le lezioni è allettante, ma se può farlo fingendosi malato... «Sei nel mio letto! Con le gambe messe... in questo modo! Non sarei normale se questo non mi portasse a pensarti nuda!»
Lei ne sa qualcosa, di scelte sbagliate, rimpianti. Però è del parere che ogni cosa accade per un motivo, e che lungo il cammino bisogna correre dei rischi — altrimenti sarebbe tutto troppo semplice, no? Se Josh esternasse i propri pensieri lei gli direbbe che non si tratta di fallire, quanto più di vivere secondo il momento e, magari, nel mentre scoprire se stessi. O almeno: questo è quello che lei si dice. Però per ora non ci pensa, in realtà; piuttosto di limita a roteare lo sguardo, più per un riflesso involontario che altro. ‹ Capisco di essere estremamente attraente— › scherza, tirandolo più verso di sé proprio grazie alle gambe, ‹ ma non tutto si riduce all’essere nudi e fare sesso! Non è solo a questo che serve il letto! Tipo, hai presente le coccole? Ti faccio vedere. › e gli circonda il collo con un braccio, prendendo a carezzargli delicatamente i capelli.
Aveva un gran desiderio di affetto, da bambino. C’era Katerina, il più delle volte, ad accarezzargli i capelli, ma lui, invece di sorridere per quel che aveva, piangeva per quel che gli mancava. Voleva la mamma, ma la mamma non c’era. Pian piano, crescendo, ha smesso di esserci pure lui. Al contatto fisico, ha perso l’abitudine. Giocava a braccio di ferro, prima, e dopo, con l’inizio dell’adolescenza, ha preso la strada più fangosa, beccandosi pugni e toccando il seno alle ragazzine per una scommessa. Dovrebbe essere cresciuto, ormai, ma non è così, o almeno non del tutto. Se fosse cresciuto davvero, adesso il suo pensiero principale, assillante come un tamburo, non sarebbe: se qualcuno scopre che sono stato in un letto con Sophia Urquhart e non è successo niente, mi prenderanno per... «Io— non—» Non sa come si fa, non sa come si fa a stare così, e un brivido gli scuote la schiena nel sentire le carezze tra i capelli, come quelle che sua madre non gli ha mai dato. Allora, d’istinto, Josh si ritrae. «Non sono il tipo...» Prova a giustificarsi, confuso.
Sophia è l’opposto. Cova dentro di sé senso d’abbandono e carenza d’affetto, dovuti per lo più alla consapevolezza di essere stata adottata ed alla mancanza vicinanza alla famiglia per sei lunghi anni, ma sono sviluppati in modo opposto: la mancanza la porta a ricercare costantemente contatto umano, fisico od emotivo che sia senza distinzioni. È smaniosa, le mani che sempre s’allungano in presenza di persone a cui tiene e le iridi che luccicano d’emozione ogni volta che qualcuno le mostra un gesto gentile, o le dona una carezza. Perciò non capisce le gesta di Josh, con le palpebre che battono. Ed è un po’ delusa, sì, perciò torna a rannicchiarsi più indietro, lasciandolo nei suoi spazi — entrambe le mani chiuse sotto il viso. Lei non ci trova niente di male, a stare in letti altrui senza necessariamente fare qualcosa. È quello che le capita più spesso. Così come non le importa un accidente di quello che pensano o penserebbero gli altri, ma questo è un altro discorso. ‹ Perché non vuoi andare ad Emrysbridge? La verità. › curiosa, e per cercare di cambiare argomento.
A volte ne fa perfino un vanto, dei suoi fallimenti accademici. In qualche modo, almeno nel suo gruppetto di amici, essere uno che se ne frega dei compiti e ride in faccia ai professori e finisce sempre in punizione lo fa sentire più grande, più forte, più accettato. Quella fierezza talvolta ostentata, però, è finzione la maggior parte del tempo: sotto sotto, Josh si vergogna di se stesso. Si vergogna di tutto, di tutto quel che lo riguarda. Adesso, per esempio, pensa che la verità sia difficile da ammettere, proprio perché la verità è vergogna. E allora essa può essere ammessa solo se viene trasformata in scherzo, in ironia. «Insomma, è già tanto se esco da questa scuola senza farmi bocciare, figuriamoci andare ad Emrysbridge! Non fa per me! In compenso sono certo che potrei avere una grande carriera nell’industria pornografica!»
Sophia lo capisce, capisce come si sente; sa cosa significa essere sempre quella che fallisce, quella inferiore, quella che non merita niente. Eccome. Perciò lo osserva in modo un po’ triste, con il labbro inferiore sporto in avanti e le gambe tirate contro il petto. Odia il pensiero che qualcuno a cui tiene possa sentirsi nel medesimo modo in cui si sente lei. Perché è fatta così, Sophia, e mette sempre gli altri davanti a sé. Senza riserve. Però le sue parole le strappano lo stesso una risata. ‹ C’avevo pensato anche io. Pensa un po’, guadagnare per fare sesso. Il paradiso, praticamente. Non esiste un corso accademico apposito? ›
Adesso, nonostante la tensione che gli si è accumulata dentro, Josh ride, permettendo a questa reazione spontanea di sciogliere il nodo di nervosismo nel suo petto. E così, più tranquillo, trova anche la rilassatezza per avvicinarsi un po’ a Sophia e poggiarle una mano sulla schiena, piuttosto in alto. Nel frattempo, con una rinnovata luce di furbizia negli occhi, le risponde: «Io dico di andarlo a proporre al rettore, chiunque sia, appena arriviamo là!»
È come un toccasana, udire la risata altrui, e le scioglie un po' di quella tensione accumulata sulle spalle. Perché ha davvero bisogno di non pensare alla tristezza, in questo momento, od a tutte le complicazioni che la vita sembra riservare loro. È come stare in una bolla di pace, lontana dal resto, e le piace. Tanto che anche lei torna ad avvicinarglisi, riposandogli una gamba intorno i fianchi –– un sorrisone stampato in faccia. ‹ / UUUUH /, ci sto! Ci facciamo cacciare ancor prima di disfare il baule! T'immagini? La faccia bianca!? ›
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♡. I still see your shadows in my room, can't take back the love that I gave you: It's to the point where I love and I hate you and I cannot change you so I must replace you. Easier said than done, I thought you were the one listening to my heart instead of my head. I have these lucid dreams where I can't move a thing, thinking of you in my bed; you were my everything, thoughts of a wedding ring, now I'm just better off dead. I'll do it over again, I didn't want it to end. I watch it blow in the wind, I should've listened to my friends. Did this shit in the past but I want it to last. You were made outta plastic, I was tangled up in your drastic ways: you gave me a heart that was full of mistakes, I gave you my heart and you made heart break. ❜ ❜
( https://www.youtube.com/watch?v=_fh64GbFSw4 )
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⁖ ♡ Sophia & Sydney @ Dormitorio Femminile di Grifondoro / 26 Febbraio.
Quando condividi la stanza con qualcuno, non è così difficile capire quando c'è qualcosa che non va, soprattutto se sei al corrente del motivo, ché è quasi certa che sia per via di suo fratello che Sophia è così... /sfuggente/ ultimamente. Le dispiace, vorrebbe darle un conforto, ma non potendo comprendere fino in fondo, essendo figlia unica, preferisce tacere per il momento, così si limita a tendere verso di lei il vasetto di fragole che tiene in grembo, in silenzio. Non devono parlare per forza, però... a Sydney potrebbe far piacere se lo facesse, perché che si tratti di Sophia o di chiunque altro, /odia/ veder giù le persone.
È più che probabile che l'altra non sarebbe in grado di comprendere neanche se non lo fosse, figlia unica, ché quello che hanno lei e Valentyne è qualcosa che si sente una volta su mille, sulla pelle. Sarebbe difficile per chiunque immedesimarsi nei panni di Sophia, che dal proprio compleanno sembra essere un fantasma; sempre sola, sempre sfuggente, poco incline al contatto. È a lezione, al campo da Quidditch, o chiusa nelle tende del proprio baldacchino. Se adesso si trova nei paraggi del letto altrui è solo perché deve superarlo, per poter arrivare al proprio. Però... muta, s'accomoda sulla punta per accettare una di quelle fragole. Le adora. ‹ Grazie. › un mormorio.
Solleva gli angoli delle labbra in un sorriso, ché vederla prendere posto proprio lì è un buon segno per lei, quindi s'affretta a dire, più per smania di parlare e rompere il silenzio, aprendo la via ad una conversazione che per sentita necessità: ‹‹ Figurati! Credo che non siano mai state così buone! ›› Ne prende subito un'altra, infatti, infilandola tutta in bocca con il solo scopo di fare una faccia buffa che possa far sorridere la compagna. E' una cosa stupida, ma figuratevi se le importa.
‹ Vero, non posso darti torto—— › con un sorrisetto fugace, spento, che le compare sul volto alla vista di quella faccia buffa; niente a che vedere con i suoi soliti sorrisi, ma perlomeno non ha più la faccia tesa e le labbra stirate verso il basso. Per ora. E a differenza dell’altra la propria fragola la mordicchia, tenendola per le foglioline, ché nonostante tutto è pur sempre stata educata da nobile. E già mangiare con le mani è difficile, per lei. ‹ Dove le hai trovate? ›
Non sarà un grande sorriso, ma è già qualcosa e Sydney non può trattenersi dall'allargare il proprio, di sorriso, mostrando i denti macchiati di rosso per il succo, fregandosene del palese contrasto che viene a crearsi tra Sophia così composta e ordinata e lei così incurante e /selvaggia/. ‹‹ Gli Elfi sanno essere molto gentili se tu sei altrettanto gentile con loro! ››
Inclina il capo d'un lato, lei, a quelle parole –– ché... be', certo, ogni volta che è andata in cucina gli elfi sono stati gentili, ma... ‹ Non sono chiuse, le cucine? › però poi scrolla le spalle, perché non è che li importi poi troppo. In realtà si limita a succhiarsi il succo dalle dita, gettando via le foglioline. ‹ Fatto sta che sono buonissime. ›
‹‹ Tecnicamente sì, ma... ›› Stringe le labbra tra loro, facendole schioccare prima di distenderle in un sorriso furbo, di chi sa il fatto suo, ed aggiungervi addirittura un occhiolino. Non si perde in ulteriori spiegazioni: ognuno ha i suoi trucchi, del resto, no? ‹‹ Puoi finirle tu, se vuoi, comunque. A me non vanno più. ››
Inclina un sopracciglio, lei, a quella reazione –– però non dice niente. Immagina sia proprio così: ognuno ha i suoi trucchi. E certo, dopo quello che Ezra le ha detto a proposito di Sydney è un po' difficile averci a che fare, però–––– ‹ Mi dispiace se mi sono comportata da stronza, appena arrivata. › con una smorfia.
In tutta risposta, Sydney si stringe appena nelle spalle. Non è una persona che cova rancore, perciò non può che accettare le scuse di Sophia e approfittarne per confessare anche le proprie /colpe/, perché sa di non essere stata così tanto amichevole con lei all'inizio, anche se ci si è sforzata comunque. Ma ora, ora che sa che con Ezra non c'è più nulla e che non sa più cosa ci sia tra loro due stessi, invece, sembra quasi più facile mostrarsi per quella che è, per un'amica sempre ponta a dare un aiuto, una risata, un conforto o - appunto delle fragole - se necessario. ‹‹ Non importa. Ho sbagliato anch'io a guardarti in quel modo, a non dirti fin da subito di Ezra, a pensar male... dispiace anche a me. ››
Le persone come Sydney sono un’incognita, per lei, forse perché troppo abituata ad avere a che fare con se stessa — o con persone come Valentyne, la loro mamma, i loro cugini. In un mondo fatto di ricchezze, invidie e rapporti conflittuali è difficile trovare qualcuno di così affabile, che non cova odio o rancore. Sophia stessa è un accumulo di rabbia. Perciò batte le palpebre più volte, perplessa, lo sguardo che va a calarsi sulle proprie mani per nascondere l’espressione del proprio viso. ‹ Partecipi all’orientamento? › repentina a cambiare discorso, perché è fatta così: quando le cose si fanno difficili, lei svia.
Tutto qui? Lei le ha quasi aperto il cuore, parlando in tutta sincerità, e in cambio le sembra di ricevere solo... non lo sa, non sa come interpretare quel silenzio e il successivo cambio d'argomento, ma non è che le piaccia granché, o meglio non le piace l'idea che ci sia qualcos'altro di taciuto, a questo punto. Ecco perché ignora completamente la sua domanda per azzardare: ‹‹ Ho detto qualcosa di sbagliato? ››
Lei torna a sollevare lo sguardo sull’altra con lentezza quasi estenuante, a quella domanda, un sospiro che lascia le labbra carnose ed oramai schiuse. La verità è che le sarebbe piaciuto Sydney fosse una persona orribile, quella giusta con cui prendersela o quella ideale da detestare — ma non è così. È Sophia, quella che cova rancore. È lei ad essere ingiusta, no? Per Ezra, per Dustin. E quindi si stringe appena nelle spalle. ‹ No, non hai detto niente di sbagliato. È ch’è difficile, no? Perché sei una persona carina. Non come me. ›
Sydney /odia/ l'idea che qualcuno possa odiarla al punto da rischiare di non poterci dormire la notte, perché è cresciuta circondata dall'amore e da altri valori altrettanto positivi di cui ha fatto la propria filosofia di vita e che si è imposta di rispettare sempre e comunque ed è per questo che cerca sempre di reprimere gli impulsi negativi, porre gli altri in primo piano, trovare sempre una via per la /pace/... ‹‹ Vorresti odiarmi? ›› Non ha timore di chiederle, tuttavia, ché è quello che le è parso di leggere tra le righe.
Sophia non è in grado di capirle, certe cose. Non perché non abbia mai ricevuto amore o valori positivi, ma la sua... è una famiglia particolare. Tra i titoli nobiliari da lato di padre e le Industrie di sua madre, la sua fase di crescita non è propriamente stata / facile /. Né all'insegna della gioia, soprattutto. E poi è così abituata alla negatività! È abituata a farsi consumare dalla rabbia, dalla gelosia. Perciò adesso che la fissa dritta in volto annuisce, senza vergogna. ‹ Sarebbe più facile, no? Almeno per me. ›
Se la cava abbastanza nel capire le persone, Sydney, perciò quando riceve conferma di ciò che pensava, si ritrova a piegare le labbra in un piccolissimo sorriso pregno di amarezza ed è con lo sguardo basso e quasi colpevole, infatti, che confessa subito dopo: ‹‹ Scusa se ti rendo le cose difficili, allora, ma... non ci riesco. ›› A fomentare l'astio, a pensare di poter avere una rivale, qualcuno di cui essere irrimediabilmente gelosa... sono tutte emozioni che vorrebbe tenere lontano da sé.
Non le capisce, Sophia, queste cose. Perché lei s'è sempre lasciata consumare dalla gelosia, sin da quando era piccolissima. Ma non sono mai esistite minacce reali, rivali, fino ad ora. Mai. Perciò... non sa come reagire, a questa situazione. Soprattutto perché Sydney è una persona carina, e deve condividere con lei la stanza per ancora un anno e mezzo. Perciò adesso l'osserva con il naso arricciato. ‹ Come fai a non essere gelosa? Io al tuo posto starei impazzendo. ›
‹‹ Lo ero, all'inizio. ›› Rivela, togliendo di mezzo il sorriso per lasciare spazio ad un'espressione ben più rea, quasi si vergogni di essere umana anche lei, dopotutto. ‹‹ Ma ho cercato di reprimere la gelosia, perché sarebbe stata deleteria, soprattutto sapendo che saremmo state compagne di stanza. Poi mi ha detto che non c'era più niente e... ti ho creduto. ›› E lo sguardo che le rivolge a questo punto pare dire: " Devo smettere di farlo? "
Sophia si stringe appena nelle spalle, a quella domanda implicita –– la fronte che s'aggrotta. ‹ Hai fatto bene. A credermi, dico. Tra me ed Ezra ci sono sempre state tante cose, e ci sono ancora, ma non––– amore, non in quel senso. › col naso che s'arriccia un po'. Però c'è anche la questione / Dustin / di mezzo, no? Anche se l'altra non lo sa. Tanto che adesso che l'osserva meglio se la figura pure a letto con lui, motivo per cui distoglie lo sguardo in fretta.
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⁖ ♡ Sophia & Max @ Cortile di Hogwarts / 26 Febbraio.
Sì, vabbè, non è che siano propriamente / amici /, ma le piace pensare che abbiano abbastanza confidenza da raggiungerlo alle spalle, giù in cortile, e posargli il mento su di una spalla non appena s'accomoda. Così. Più che altro perché Max è di poche parole, e si dicono sempre e solo stronzate. E quindi... ‹ Cos'è quel broncio? Ti mancavo? › ironica, ovviamente, allunga persino una mano per scompigliargli i capelli.
Si volta appena quando sente la vicinanza dell'altra, solo per riconoscerla nel momento in cui apre bocca, corrispondente all'attimo in cui lo sguardo si posa sul suo viso. Niente broncio, ché ha appena piegato le labbra in un mezzo sorriso. « Da morire, menomale sei comparsa. » Ironico è dir poco, ma sta scherzando in fin dei conti. « Non sopportavo più la tua assenza. » Melodrammatico.
‹ Lo immaginavo. › un sospiro, le labbra che si inclinano quasi di rimando in un sorriso spento –– le iridi chiare adesso posate in quelle altrui. ‹ Vivere in mia assenza è una condanna. › mentre sfila dalla borsetta uno spinello, già, regalatole da nient'altro che Noora perché “ ha bisogno di rilassarsi ”, a detta sua. ‹ Fumi con me? ›
Abbassa lo sguardo sullo spinello appena tirato fuori dall'altra, un sopracciglio che si solleva per la sorpresa — non se l'aspettava, okay —, le labbra che s'incurvano in un sorrisetto compiaciuto. « Se proprio insisti. »
Non è sorpresa l’altro lo sia, perché non è avvezza a queste cose. Non è il suo stile. Ma è pur vero che ha bisogno di distrarsi, e quindi...! Però lo passa a lui, ancora spento, il nasino che si arriccia appena. ‹ Prima tu. ›
L'osserva con una certa titubanza, ma non manca di incastrare lo spinello fra le dita, poi fra le labbra per accenderlo con la punta della bacchetta. Torna ad aprire bocca solo dopo aver fatto il primo, lungo tiro... niente male, ma è più buona la sua. « Hai mai fumato? » Giusto per sapere, eh...
L’osserva per tutto il tempo, lei, con lo sguardo appena assottigliato. Va anche ad incrociare le gambe. ‹ Due o tre volte, a Ilvermorny. Noora sa essere convincente. › però ha ancora dipinta in volto quell’espressione scettica, soprattutto adesso che l’odore pungente le arriva alle narici. ‹ Se sarò talmente fatta da divenire scema ti prego di non lasciarmi qui a morire. Grazie. ›
Anche lui pare scettico, anche se per altri motivi. Insomma, gli ha appena offerto uno spinello dopo aver fumato un paio di volte un sacco di tempo prima? Mmmmhh, non è convinto... « Come mai ti è venuta voglia di fumare? » Pare persino—— interessato. Quanti cambiamenti si fanno in pochi mesi!
‹ Roba noiosa di cui non ti interessa. › si limita a rispondere lei, con una scrollata di spalle, ché — insomma. Max non è proprio il tipo di persona adatta per certi discorsi, perché... è / Max /. E poi non ha voglia di parlare di Valentyne, quindi si limita ad allungare una mano per farsi passare la canna. ‹ Noora dice che l’erba rilassa. Magari è vero, che ne so. Sono più abituata al whiskey. › mah, roba da nobili.
« L'erba è meglio. » Commenta solo, prima di fare un ultimo tiro e passarle lo spinello, le iridi chiare fisse sul suo viso, curiose. « Non soffocare, mh? Aspira piano, ci sta che tu tossisca. »
Non sa se concordare o meno, a quell'affermazione, quindi si limita a scrollare le spalle –– mentre posiziona lo spinello tra le dita, portandosi il filtro alle labbra. E si sente un po' osservata, mentre fa un tiro. E poco dopo tossicchia, ovviamente, ché il sapore dell'erba le punge alla gola, ma non si lascia mica scoraggiare. Anzi. Fa un altro tiro. ‹ Se continui a fissarmi così soffoco per forza. ›
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⁖ ♡ Sophia & Dustin @ Biblioteca di Hogwarts / 26 Febbraio.
Strano a dirsi, ma s'è recata in biblioteca per studiare e sgomberare la mente –– sicura al cento percento che avrebbe al massimo incontrato Brandon. È che sta ignorando un po' tutti, in questi giorni, e se potesse ignorerebbe persino se stessa. Però... sono pochi, i posti liberi. E quando ha scostato la sedia non si è accorta di star prendendo posto di fronte all'altro: se ne rende conto solamente adesso, mentre issa lo sguardo dal libro che ha appena posato sul banco alla ricerca di una matita. Però non dice niente. Vietato parlare, no? Quindi si limita a tornare a leggere.
Dopo il compleanno di Sophia, Dustin non ha avuto molto modo di vederla. Sarà che è stato come al solito troppo preso dallo studio, dalle lezioni, dagli allenamenti e dai suoi compiti da caposcuola, ma... è strano che lei non si sia fatta vedere, avendo presente il soggetto. Per questo, quando Sophia gli si siede di fronte, Dustin aggrotta le sopracciglia quando nemmeno lo...saluta? Okay, c'è proprio qualcosa che non va. Ma posso dire che lui è convinto di non aver fatto nulla di male, eh, tutt'altro! « Ciao, eh! » Ecco, meglio che lo rompe lui, il silenzio, anche se a bassissima voce.
È vero, è strano che Sophia non si sia fatta vedere, soprattutto dopo il gesto altrui al proprio compleanno. Così come è anche strano sia lui, adesso, a spezzare il silenzio — con la Grifondoro che issa lo sguardo chiaro sul suo volto solo dopo un attimo di tentennamento, inumidendosi le labbra con la punta della lingua. E lo fissa per un istante senza dire niente, le dita che si torturano l’un le altre al di sopra delle pagine giallastre del tomo di Aritmanzia. ‹ Ciao—— › anche il suo è un sussurro, flebile, la voce troppo sottile per essere la propria. Abbozza un vago sorriso, però, nel tentativo di fargli comprendere che non ce l’ha con lui... né qualcosa di simile.
Beh, va bene essere in biblioteca, ma Dustin è comunque uno che saluta anche in biblioteca! Se poi pensiamo che non la vede da giorni... è normale che le ha parlato per primo, no? Forse, ma meglio non farsi troppe domande al riguardo. La guarda ancora, anche quando lo saluta senza chissà quanto entusiasmo. Ma gli sorride, no? Probabilmente non è colpa sua se sta così e facendo due più due...diciamo che ipotizza quale possa essere il motivo. « Stai bene? » Beh, è evidente che non stia bene. Ma...cos'altro poteva chiederle?
Tiene lo sguardo fisso sul suo volto, lei, il capo che a quella domanda si inclina vagamente d’un lato. Non ha mai dubitato Dustin fosse “ educato “ anche in ambienti come quelli, solo che... semplicemente non se l’aspettava. Perché di solito è lei quella che rompe il ghiaccio, che importuna, che obbliga la propria presenza anche se non la si vuole. Soprattutto con lui. Ma le fa piacere, no? Perché avrebbe potuto semplicemente ignorarla, e invece... ‹ Ho avuto giorni migliori. › semplicemente, mentre si rigira tra le dita la matita appena afferrata ( lei preferisce le cose babbane, alle piume ). Ed è ironico, no? Perché per quanto le piaccia lagnarsi per le cose più stupide, come i dolori da ciclo, in casi del genere è molto più evasiva. Perché è complicato, e non le piace mostrarsi così vulnerabile. Anche se è evidente non stia bene.
Che lei ha avuto giorni migliori, Dustin l'aveva facilmente intuito, no? Però... gli dice solamente quello, ed è evidente che non voglia parlarne. E Dustin non è di certo uno di quelli che insistono. Quindi si limita ad annuire, guardandola in volto ancora per qualche istante, come dandole il tempo di continuare. Ma quando non lo fa, accenna un lieve sorriso in sua direzione, prima di tornare ad abbassare lo sguardo sulla propria pergamena su cui stava scrivendo prima del suo arrivo.
È quasi insistente, lo sguardo di Sophia. Che non si sposta dalla sua figura neanche a quel sorriso lievissimo, neanche quando cala il capo per tornare a... studiare?, o fare chissà che altro. L’osserva, in silenzio, persa nei propri pensieri... e non si premura neanche di raccogliere le proprie cose, quando si issa dalla sedia per andare ad occupare quella accanto alla sua. Nessun preambolo, è abbastanza sicura che sia bastato il frusciare dei vestiti o il rumore delle scarpette contro il pavimento per fargli comprendere non sia più distante. ‹ Perché credi sia andato via? › un sussurro. Lievissimo. Si ode appena, in realtà. È una cosa che si chiede spesso, soprattutto dopo San Valentino; lo fa anche adesso, mentre giocherella senza volerlo con la collanina che le ha regalato. S’è chiesta se non sapesse di loro due, anche. E quindi... ‹ Glielo hai detto? ›
E' che Dustin non sa cosa fare o dire! Quindi alla fine ha optato per... beh, fare la cosa che gli riesce meglio. Studiare. E anche se sembra totalmente concentrato sulle parole che traccia sulla pergamena, non riesce a fare a meno di pensarci, a cosa possa essere successo. E quando la sente alzarsi in piedi ecco che si ritrova a pensare che davvero abbia fatto qualcosa di male. Insomma, nemmeno ci pensa che la colpa di tutto sia della partenza improvvisa di Valentyne. Perchè alla fine è la sorella, no? Ha pensato semplicemente che con lei ne abbia parlato, prima della partenza. Ma viste le domande che lei gli pone, Dustin deve dedurre che ne sa meno di lui, di quella partenza. Per questo, torna a sollevare lo sguardo su di lei, scuotendo appena il capo in segno di negazione. « No, non gli ho detto nulla. » Perchè avrebbe dovuto? Mica è stupido! « E...non ne ho idea del perchè l'abbia fatto. Dovresti saperlo tu, no? »
Dovrebbe, ma non lo sa. Ed è una consapevolezza che le scorre dentro non appena l’altro lo fa presente, e lei lascia vagare lo sguardo nel vuoto. ‹ Non lo so, invece. Pensavo fosse perché avesse saputo di—— › un gesto eloquente, anche se ancora non torna a guardarlo, entrambe le mani che adesso ricadono mollemente sulle gambe. Era la spiegazione più plausibile, no? Soprattutto dato quello che... è successo tra loro. Adesso ha ancora più domande, invece. E più tristezza spiaccicata addosso. Perché dopotutto lei è tornata in Inghilterra per stare con Valentyne, no? E invece adesso è di nuovo sola. Come sempre. Ha perso il conto delle volte in cui è stata abbandonata a se stessa. Ed è forse per questo, o è forse perché Dustin è l’unico che la conosce un po’ meglio, che ha avuto modo di vedere oltre la facciata, ma ha il coraggio di mostrarsi un po’ più fragile, adesso. Si sporge appena in avanti, sulla sedia, nonostante in pubblico non abbiano mai fatto altro che prendersi un caffè. Ma è una settimana che Sophia è chiusa in se stessa, e... posa una guancia sul suo petto, le iridi fisse sulla superficie lignea della tavola. Non crede in realtà si siano mai abbracciati, fino ad ora, però ne sente quasi il bisogno.
Dustin arriccia il naso, a quelle sue parole. Perch�� ingenuamente, lui pensa che va bene prendersela per una cosa del genere, ma da qui a lasciare la scuola solamente perchè tua sorella ha...qualcosa con un ragazzo... Mah, non capisce. « No, non penso che abbia saputo. Ma dubito che possa essere questo il motivo in ogni caso. » Certo, Sophia e Valentyne sono sempre stati così... vicini ma... no. Non può essere lui la causa di tutto. Quindi niente, continua a guardarla, così triste e...non sa di nuovo cosa dire. Perchè di certo non è il massimo nel tirare su di morale le persone, questo dovrebbe essere saputo e risaputo! E nemmeno se lo aspetta, quello che Sophia fa dopo. Tanto che quando lei va a posare la testa contro il suo petto lui rimane...totalmente spiazzato, con lo sguardo che si abbassa per andare a posarsi sulla sua figura. E rimane così, fermo e quasi in imbarazzo per qualche istante fino a quando non si decide a circondarla con le sue braccia. « Dai, a breve torneremo a casa per le vacanze di Pasqua. »
È ovvio, che Dustin non capisca. Nessuno capirebbe mai, in realtà — perché anche se è stata adottata tutti continuano a considerarli fratelli. Forse perché nessuno lo sa, forse perché è quella la normalità, eppure...! È per questo che Sophia ha pensato quello potesse essere un valido motivo, no? Ma evidentemente ha sbagliato. Forse c’è qualcosa che non sa, o forse era vero che sarebbe stato meglio se fosse rimasta in America. Non lo sa, non sa cosa pensare né cosa dire. Quindi si limita a restarsene in silenzio, ed in un certo senso è un bene che l’altro non provi a consolarla né altro: ha sempre detestato i tentativi. Solo che sta per tirarsi indietro quando lo sente e lo vede in imbarazzo, ma viene bloccata dalle sue braccia. E quindi non può fare altro che rilassarsi, in quella stretta in un certo senso familiare, portando ambo le mani sul suo petto, strette a pugno, e battendo un po’ le palpebre. ‹ Non voglio tornarci. › ecco, ecco — i lamenti sono finalmente iniziati.
E Dustin, per quanto sia in imbarazzo comunque, visto che sono in un luogo pubblico e pieno di gente, gente che di certo non immagina di trovarlo ad abbracciare una ragazza, continua a stringerla in quel modo. E quasi gli viene da sorridere, quando Sophia prende a lamentarsi, ma si trattiene, continuando a guardarla dall'alto. « Beh, magari tornando a casa capirai il motivo della sua scelta, no? » Non che voglia costringerla a tornare a casa, ma... diciamo che gli ultimi eventi lo hanno portato ad avvicinarsi un po' in più anche alla propria, di famiglia.
Gente che sicuramente non si aspetta di trovarlo abbracciato a / Sophia /, probabilmente e soprattutto, ma che dire: in questo momento lei neanche se lo pone, il problema. È così abituata al vociare, al gossip, all’essere spiattellata in prima pagina che neanche tende a farci caso, a dirla tutta — troppo presa dall’avere finalmente qualcuno che la stringa, probabilmente, e troppo presa dalla propria tristezza. Certo, immagina per lui debba essere anche una noia ritrovarsela così a lamentarsi, però... cerca di non pensarci troppo, lei; si limita a sorridere in modo amaro a quelle parole, le lacrime che pizzicano gli occhi, perché è più che sicura non sia così. “ Casa “, che lei non riesce a definire in tal modo, porta solo sofferenza. ‹ La mia famiglia mi detesta, Dustin. › opinabile, ma lei n’è più che convinta — e ne ha di motivi validi. ‹ Valentyne compreso, a quanto pare. Tanto da andarsene il giorno del mio compleanno senza dirmi niente. Forse se avessimo lo stesso sangue sarebbe diverso. Non lo so. › è solo adesso piega appena un po’ il capo, ritrovandosi a ricambiare il suo sguardo. ‹ Sono davvero così spiacevole? ›
A Dustin, però, interessa non finirci, nei gossip. Insomma, ha una reputazione a scuola, no? Anche per questo motivo tende ad avere una vita privata...davvero molto privata, ecco. E un abbraccio del genere, in biblioteca... beh, diciamo che se Sophia non avesse così tanto bisogno di un po' di conforto, avrebbe già provato a distaccarsene in qualche modo. E rimane in silenzio ad ascoltarla, lui, riflettendo sulle parole che Sophia ha appena pronunciato. E non le risponde subito, nemmeno quando solleva lo sguardo per cercare il suo, sta li a pensarci per mezzo minuto buono e alla fine... « Non ti detestano, Sophia, Se la mia famiglia sopporta me, non vedo perchè i tuoi non sopportino te. » E certo, potrebbe non essere la stessa cosa ma... « Vedrai che Valentyne avrà un motivo più che valido per averlo fatto. » Con una mano che lenta le accarezza la schiena, cercando così di rassicurarla.
Sophia non ci pensa, a questo. Forse perché è egoista, o forse perché le piace pensare che per una volta, una soltanto, qualcuno tenga a lei abbastanza da fregarsene del resto. Perciò non si muove da quella stretta, ma anzi finisce con il cingergli la vita con entrambe le braccia — unendole dietro la sua schiena, le dita torturate che si intrecciano. Lo fissa per quello che le pare un tempo interminabile, e quando vede che non si accinge a rispondere sente già le lacrime pizzicarle gli occhi: significa che lo è, no? Spiacevole. E quindi fa per tirarsi indietro, ma poi ode le sue parole... ed aggrotta la fronte. ‹ La tua famiglia non ti ha tenuto relegato in America per sei anni. La prima volta ci sono andata per fargli un dispetto, dopo aver saputo dell—— › / adozione /, ma non lo dice. Anzi, deglutisce. ‹ Però poi sono tornata. Mia madre la sera stessa mi ha detto di non preoccuparmi di disfare le valigie, e mi ha rispedita a New York. › il tono di voce sempre atono, e torna a posargli la guancia contro il petto. Così non lo guarda più, si limita a godersi le sue carezze ad occhi socchiusi — quasi cullata dal battito del suo cuore, proprio sotto l’orecchio. Un sospiro debole fuoriesce dalle labbra schiuse, insieme ad una scrollata di spalle. Forse Valentyne ce l’ha davvero, un motivo valido, o forse no. Fatto sta che lei s’è ritrovata ad essere di nuovo abbandonata. Questo non cambia mai. ‹ Mi dispiace, non voglio annoiarti con le mie chiacchiere. ›
Arriccia un po' il naso, Dustin, nel sentire le sue parole, scuotendo appena il capo. Perchè...certo, alla fine l'hanno mandata via, ma allo stesso tempo... « Però i miei genitori sono costretti a sopportarmi visto che sono biologicamente figlio loro. E qualcosa mi dice che dopo i primi due, io e mio fratello non eravamo propriamente...voluti, ecco. » Inizia, continuando ad accarezzarle la schiena in quella maniera, quasi come se fosse un po' pensiero. « Mentre nel tuo caso, hanno scelto di averti nelle loro vite. Non ho idea di come si possano giustificare i loro comportamenti, ma in ogni caso...non dovresti dubitare del fatto che ti vogliono bene. » Certo non è bravissimo a cercare di rassicurare in qualche modo, ma allo stesso tempo... ha cercato di fare un ragionamento con un po' di logica. E a quelle sue ultime parole, Dustin soffia una specie di risata, non smuovendosi minimamente. « Non mi stai annoiando. » Anche se dovrebbe studiare, ma non pensa che sia il caso di dirlo ad alta voce.
Aggrotta appena la fronte, Sophia, a quelle parole. Sa di essere più fortunata di molti altri, che dall'essere stata abbandonata nell'atrio di un palazzo in costruzione è passata all'essere adottata da una famiglia estremamente benestante, che non le ha mai fatto mancare niente. Ché è vero che l'amano tutti, anche se a modo loro: zii, cugini. In fondo anche Diane l'ama, così come Valentyne e suo padre –– solo che è difficile credervici, quando sei l'unica macchia nera in una schiera d'oro. Soprattutto quando hai sempre vissuto isolata. ‹ Scusa. Non volevo insinuare che sei più fortunato di me, o cose simili. › con una smorfia, il naso che si arriccia –– anche se non può vederla, ché è tornata a nascondere il volto contro il suo petto. È la risata a scuoterla, facendole tirare il capo all'indietro per poterlo scorgere di nuovo, e all'inizio non capisce. Almeno finché non parla, e lei non può fare a meno di inclinare le labbra in un vago sorriso. Gli posa una mano su di una guancia, quindi, allungandosi in avanti per lasciargli un bacio delicato su quella opposta. ‹ Grazie. ›
Ma lui non ha pensato che lei volesse insinuare una cosa del genere. Solamente ha usato il paragone tra di loro per farle capire che averla scelta, è solamente un motivo aggiuntivo che mostra il bene che alla fine la sua famiglia le vuole. Per questo motivo, con una mano che adesso risale, andando ad infilarsi tra i suoi capelli scuri, accarezzandole la nuca, lo palesa ad alta voce. « Non ho mai pensato che tu volessi insinuare una cosa del genere. Ma lo sei. Più fortunata, dico. Almeno non dividi il tuo spazio vitale con tre fratelli che se non arrivi per primo a pranzo non ti fanno trovare più nulla da mangiare! » Esatto, adesso sta provando a sdrammatizzare. E non può fare a meno di sorridere lievemente, quando Sophia va a posargli quel bacio su una guancia. « Non devi ringraziarmi. »
Sophia è più rilassata, adesso, con le spalle meno tese ed i tratti del viso tornati ad essere un po' più delicati, meno spigolosi, con le palpebre che pigre battono più volte quando lui risale a carezzarle la nuca ed i capelli. È tentata di tornare a posarsi contro il suo petto, per godersi quei tocchi gentili e quelle attenzioni, ma le sue parole la distraggono. Non trattiene una risata divertita, nonostante la regola del silenzio. ‹ Beh, da me vale la stessa cosa con i miei cugini! Ne sono / infiniti /! E sono quasi sempre al Castello con noi–– › e rotea le iridi chiare, come per fargli comprendere quanto sia poco piacevole averli sempre intorno. Torna serie solo a quella sottospecie di ammonimento, le dita che sulla sua guancia si contraggono appena per lasciargli una carezza. ‹ Invece sì. Per innumerevoli motivi. ›
E gli fa piacere di essere riuscito un po' a tranquillizzarla. Certo, lo sa che probabilmente continuerà a chiedersi le stesse cose, ma per lo meno per il momento sembra aver allontanato quei brutti pensieri che per Dustin non hanno poi chissà quanto senso. E continua ad accarezzarla in quel modo, perchè oramai la propria dignità l'ha " persa ", quindi tanto vale continuare se l'aiuta a stare un po' meglio, no? - inutile dire che si sorprende dei suoi stessi pensieri, giusto? « Mh, non parliamo di cugini. Almeno i tuoi parlano in inglese. » Le rivolge un'occhiata divertita, anche se in realtà non tutti i suoi cugini parlano in spagnolo, ma... la maggioranza lo fa, e Sophia probabilmente nemmeno immagina la confusione, nonostante parli e capisca benissimo la lingua. E torna serio anche lui, quando sente quella carezza e quelle parole. « Non penso che qualcuno mi abbia mai ringraziato quanto lo fai tu, lo sai? »
Sophia sa bene di dovergli delle spiegazioni, ma non crede questo sia il momento né il luogo adatto — per cui fa semplicemente cadere il discorso, il capo che si inclina appena di lato. Non è sicuramente l’unico ad esser sorpreso, in ogni caso, ché se lui lo è a causa dei propri pensieri, lei lo è perché... be’, sono in biblioteca e Dustin non ha ancora fatto niente per sciogliere quell’abbraccio. Anzi, continua a carezzarla, e lei cosa può fare se non sospirare sommessamente? È piacevole, la rilassa e la tranquillizza, e non sarà sicuramente lei quella ad allontanarsi. Anzi, a dire il vero trascina anche più in avanti la sedia per star più comoda! ‹ Oh! Todos hablan así? › con il migliore accento spagnolo che riesce a tirar fuori, con tanto di tono più acuto. ‹ Non ho mai capito perché parlare spagnolo rende le voci fastidiose. › E sta ancora sorridendo, quando sente quelle parole... a cui non può fare a meno di reagire aggrottando la fronte. Non se l’aspettava mica, una cosa del genere. ‹ Allora le cose sono due: o nessuno capisce un cazzo, o te la fai con gente troppo orgogliosa. › mentre solleva appena un po’ le spalle. Chiaro, no?
Ride, Dustin, nel sentirla parlare in spagnolo. Trovando decisamente più piacevole parlare di questo tipo di cose che... beh, di affari più seri. E poi in questo modo le impedisce anche di pensare troppo, no? Quindi...« Tutti parlano così, già. » E anche molto più velocemente, e... tante voci insieme, alcune particolarmente squillanti, per di più. « ¿Dices que si hablo así mi voz se pone fastidiosa? » Parla in spagnolo, lui, con un sopracciglio appena inarcato visto che... beh, la sua voce, con quell'accento spagnolo e quella cadenza spagnola che solitamente tiene ben sotto controllo di solito sembra tutt'altro che fastidiosa, specialmente alle ragazze - e si trattiene dal farlo presente, ovviamente. « Direi entrambe le cose. » Le risponde così, ritrovandosi istintivamente a sciogliere la presa su di lei appena si rende conto di avere gli occhi della...bibliotecaria addosso, già. E come per farle capire il motivo di quel suo gesto, le indica con un piccolo cenno del capo la donna in questione.
Sta per dire l’ennesima cosa sarcastica, a quella risposta, ma s’ammutolisce nell’esatto istante in cui l’altro inizia a parlare spagnolo. Non l’aveva mai sentito, prima di adesso, se non quella mezza volta a Capodanno — ma era ubriaca. E certo, tutto pensa tranne che sia / fastidiosa /, la sua voce, però si trattiene dall’esternarlo. Non nella lingua madre, almeno, ché... ‹ Bien sûr, ta voix lorsque tu parles espagnol apparaît aussi agaçante que la mienne lorsque je parle français. › con il morbido accento francese, il tono di voce appena più basso, come se gli avesse appena confidato i segreti del proprio cuore, un sorrisetto che le inarca le labbra. Certo, non sa dipingere né suonare né scrivere come Valentyne — ma è sempre stata portata per le lingue straniere. Ed il francese è quella che più sembra essere affine alla propria vocina sottile, già di per sé quasi... languida. E non può fare a meno di rimanerci un po’ male quando l’altro scioglie la presa, ovviamente, tanto che neanche ribatte a quelle parole. Solo che... è curiosa, a quel cenno del capo: crede di scorgere qualche ragazza, o chissà che altro — e invece quando si volta di scatto le iridi finiscono solo sulla figura della bibliotecaria, e ridacchia. Li guarda come se avessero appena finito di fare sesso. ‹ Non credo abbia mai visto due persone abbracciarsi, prima d’oggi. ›
Ovviamente sentirla parlare in francese è...sorprendente. Non se lo aspettava, alla fine, anche perchè si sa che Dustin è spagnolo da parte di madre, quindi è normale che conosca la lingua, mentre lei che parla francese... È una sorpresa. Una piacevole sorpresa, visto quanto quelle parole suonino...piacevoli, al proprio orecchio, anche se non le capisce proprio tutte. Ma il senso, sembra averlo colto, visto come soffia una risata, andando a passarsi una mano tra i capelli scuri, continuando in ogni caso a guardarla. « Allora devo dedurre che la mia voce non è fastidiosa. » Giá, è un complimento verso di lei, piú che altro. E ride con un po' di convinzione in piú, quando lei fa quel commento sulla bibliotecaria. « Beh, tecnicamente in biblioteca non dovrebbero abbracciarsi, le persone. Ne conversare. Tanto non si è ancora avvicinata per richiamarci solamente perchè stiamo parlando voce bassa. »
Sophia ridacchia, quando scorge l'espressione che si forma sul suo viso nell'esatto istante in cui inizia a parlare francese. Tutti restan sorpresi quando scoprono che parla quattro lingue, ma dopotutto lei è stata comunque cresciuta in una famiglia nobile e per metà babbana –– e sin da piccina ha seguito diverse lezioni: lingue, politica, danza, musica, pittura. Anche se non è mai stata brava in nessuna di queste, ad eccezione della prima. ‹ Deduci bene. › è un soffio, le labbra che si inclinano vagamente in un sorrisetto, mentre si mette a sedere in modo più composto sulla sedia. Ed è inutile dire che rotea gli occhi, quando lo sente parlare proprio da / Caposcuola /, sporgendo le labbra in un broncio. ‹ È una biblioteca, non Azkaban! Già bastano gli elfi fuori dalle Sale Comuni! ›
Beh, sicuramente Sophia conosce il francese per un motivo diverso per cui lui conosce lo spagnolo. Alla fine ci è cresciuto, no? Lo parla in maniera del tutto naturale, un po' come se parlasse in inglese. Alle volte addirittura si ritrova a pensare nella lingua della madre, anche se principalmente quando è nervoso, cosa che probabilmente non ha mai rivelato a nessuno. E ride, quando la vede mettere su quel broncio a causa delle sue parole. Perchè va bene tutto, si sta lasciando andare un po' di più ma alla fine...è pur sempre Macmillan il caposcuola, no? « A proposito, non mi hai ancora parlato di quanto sei indignata della presenza degli elfi. »
L’inglese resta la lingua in cui Sophia pensa e ragiona, invece, anche se ricorda alla perfezione tutte le volte in cui ha bisbigliato con Valentyne in una lingua differente nei corridoi del castello di famiglia — con l’intenzione di non farsi comprendere, né dai genitori né dai cugini, a cui l’è sempre piaciuto tendere agguati. E se ci ripensa quasi sorride, con un velo di tristezza, perché le piacerebbe tornare ad essere quella bambina. Quindi è una fortuna che la distragga, no? Riscuotendola dai propri pensieri, lo sguardo turchese che va a posarsi di nuovo sul suo viso quando lo sente ridere — e sta proprio per mostrarsi / offesa /, quando l’altro parla. ‹ Che schifo. Che — schifo. Non ci sono altre parole. › con le braccia serrate, un’espressione torva e il naso che si arriccia. ‹ A parte che dormire da soli fa schifo, ma non riesco proprio a capirne il nesso. Come se questo possa fermare chi ha voglia di fare gossip, poi. Tutti che parlano di quanto sia importante fare amicizia con persone anche al di fuori della propria casata, e poi...! › Indignatissima.
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⁖ ♡ Sophia & Josh @ Cortile di Hogwarts / 26 Febbraio.
Lo sta cercando da almeno un'ora, motivo per cui quando finalmente lo scorge da lontano gli si avvicina a passo di marcia –– con lo sguardo assottigliato e le guance gonfie, come se le avesse fatto un torto! ‹ Che facevi? Ti ho cercato ovunque. › appena gli è abbastanza vicina, dopo essersi fermata con le braccia incrociate sotto al seno ed il capo vagamente inclinato. È suscettibile, in questi giorni, che vogliamo farci...!
Che faceva? Niente, il che, di per sé, è la sua attività preferita. Se n’è stato in dormitorio, seduto sul letto, a rollare le sigarette fino a riempirne un pacchetto. È piuttosto rilassato, in effetti, anche se capisce subito di non poter dire lo stesso di Sophia. «Amore, pensavo a te, ovviamente! Non sarai mica così gelosa, vero?»
L’osserva per un attimo, lei, un po’ scettica — perché in realtà gli invidia l’essere così rilassato. Tanto che alle sue parole si limita a roteare gli occhi al cielo, stringergli le dita intorno il polso e poi tirarselo dietro. Se lo sta trascinando per metà giardino, senza dargli adito di potersi ribellare. / Già /. Si ferma solo quando trova un posticino decente, privo di gente nei dintorni. E si siede sull’erba, nonostante il freddo, stringendosi il mantello addosso e facendogli segno di fare lo stesso. ‹ Certo che sono gelosa. Sono gelosa anche dell’aria, quando si tratta delle persone a cui tengo. › col nasino arricciato.
Gli piace stare per terra, a dire il vero. Da piccolo non la faceva più finita di gattonare e, crescendo, invece di sedersi sulla sedia si buttava sempre sul pavimento. Si potrebbe sostenere che questo dimostri una volontà di guardare il mondo da una prospettiva alternativa, ma se non si vuole insinuare niente è sufficiente dire: gli piace. E gli piace anche stare in compagnia di Sophia, se è per questo, ma non è abituato alle dimostrazioni di affetto, indi per cui esclama un «Stai dicendo che ci tieni a me!» come se fosse un’opzione imprevedibile e assurda.
Ironico, no? Perché Josh e Sophia sono così diversi, anche nelle cose più semplici: lei non è mai stata il tipo di bambina avvezza a sporcarsi le mani. Sempre carina, sempre composta — una principessa di nome e di fatto, troppo impegnata a guardare tutti dall’alto in basso per pensare a cose come sedersi sull’erba, o sul pavimento. E certo, con il tempo è migliorata, soprattutto dopo aver scoperto i segreti della propria famiglia, però... è ancora schizzinosa. È uno sforzo immane, per lei, star così rannicchiata nel verde: insetti, sporcizia... meglio non pensarci! Meglio concentrarsi sull’altro, con le labbra che si inclinano appena verso l’alto nel vederlo così sorpreso. ‹ Certo che tengo a te. Non è abbastanza palese? ›
Sua madre, in quelle rare volte in cui lo portava in giro, perdeva la testa nel mezzo di Hyde Park nel vedere uno dei suoi figli sporcarsi e strapparsi costantemente i pantaloni di Versace. Non per i soldi, ma per l’atto in sé, la “mancanza di rispetto”, come la chiamava lei. Josh odiava andare ad Hyde Park con sua madre, Josh odiava sentirsi rimproverare, e sentire la vergogna, e sentire le lacrime bagnargli le guance senza poterle fermare. Lui non ha smesso di sentirsi rimproverare, e non ha smesso di sentire la vergogna, e non ha smesso di sentire le lacrime, ma almeno, adesso, nessuno sa che lo fa. Si sdraia direttamente sull’erba, accostando la schiena al terreno e portandosi le mani sotto la testa. In quella posizione, può anche nascondere meglio la propria espressione riflessiva. «Non è che lo dici solo per convincermi a venire a letto con te, eh?» SEH, LEI! CONVINCERE LUI!
Anche se si distende, anche se cerca di nasconderla, Sophia l’espressione dipinta sul coltro altrui la scorge lo stesso — anche se solo per un fugace istante. Non è mai stata un’acuta osservatrice, ma ha il dono dell’empatia: forse perché è lei stessa sempre troppo presa dalle proprie emozioni, forse perché quando s’affeziona a qualcuno non vorrebbe mai scorgere nient’altro che gioia sui loro volti. Perciò mette da parte le proprie riserve, il proprio essere terribilmente schizzinosa, per stendersi di fianco a lui e fissare il cielo — ambo le mani giunte in grembo. ‹ Prima di tutto, non credo proprio che in quel caso avrei bisogno di / convincerti /. › ché insomma, è pur sempre Sophia Urquhart, testimonial di Armani, Angelo di Victoria’s Secret, bla bla, quindi sa di essere quanto meno / bona /, come si suol dire. ‹ Seconda cosa, e non per ordine di importanza, tengo a te indipendentemente da... il resto. ›
Il resto. Non lo capisce qual è, il resto. Non è mai stato bravo nei calcoli matematici, ma non lo è nemmeno mai stato nelle conversazioni. Per questo è un tipo che parla tanto e dice poco o nulla. Ci sa fare con le battute, con le provocazioni, con le prese in giro, con i flirt, con le sfide, ma con le cose importanti... con le cose importanti, lui è un disastro. Un ragazzino che è un completo disastro, tanto da non capire nemmeno ora. Il resto. Quale resto? Se il resto fosse la verità, Josh dubita che il loro rapporto, come qualsiasi altro elemento della sua vita, sarebbe lo stesso. Così non ha capito, no, non ha capito, ma nella mente ha già sviluppato la consapevolezza che nessuno potrebbe tenere a lui “indipendentemente”. Nonostante ciò, domanda: «Ah ah!» Esclama, con estrema leggerezza, come a voler dimostrare di non essere serio, quando invece... «E quindi quale sarebbe questo “resto”?»
La verità è che Sophia nel suo essere sconnessa è perfettamente in grado di analizzare le proprie emozioni, i propri sentimenti, dividendoli in categorie e chiudendoli in cassetti — anche se è difficile tenerli lontani, ché non è razionale. Lei è emotiva, empatica, è come un uragano. È tutto bianco o è tutto nero, senza vie di mezzo, perciò quando gira il capo per poter scrutare il profilo altrui è seria. Seria come non lo è mai. ‹ Non lo so. Tutto, niente. Le altre persone, le convenzioni, il sesso. Non m’importa. › mentre torna a fissare il cielo, il petto che si issa e si cala calmo — quando si prende una pausa, umettandosi le labbra. ‹ M’importa solo che tengo a te. E che tu sia triste, e non so perché. ›
Forse è per questo che si trova così bene con Sophia: non le importa. A lui, invece... A lui importa. Delle altre persone, delle convenzioni, del sesso. Gli importa, sì, ma in maniera contorta: vuole essere un ribelle, purché esserlo non significhi essere se stesso; gli sta bene costruirsi una reputazione da ragazzo stupido e superficiale, purché nessuno conosca la vera natura dei suoi desideri; può sopportare di essere costantemente sgridato dai suoi genitori, purché loro non sappiano mai quanto gli mancano. Contorta. È contorta anche la risata che adesso gli scuote il petto. «Triste? Io?» Dice, come se fosse una possibilità assurda. «Mi sopravvaluti se pensi che io senta tutta ‘sta roba profonda!»
Non è mai stata brava a capire le persone, forse perché troppo presa da se stessa e dai propri drammi per dar peso a qualcosa al di fuori di essi. Ma crede di capire Josh, almeno un po’ — perché alla base delle loro azioni pare esservi il medesimo desiderio di autodistruzione, sebbene agiscano in maniera differente. Ma sono i risultati quelli che contano, no? Che la portano a battere le ciglia, appena un po’, e non è una risata quella che sguscia via dalle sue labbra a quelle parole. No. È un sospiro. ‹ Tutti ogni tanto hanno bisogno di mettere da parte per un po’ sarcasmo e maschere. › con un cipiglio dipinto in volto, mentre si volta su di un fianco. ‹ Il mio attimo di pausa è sempre stato con Valentyne. C’è sempre quella persona con cui non si riesce a fingere, no? › ma da quando lui non c’è più Sophia ha smesso di sorridere. Ha smesso di fingere di stare bene. ‹ Non ti stanchi, a volte? Io sì. ›
Lo è. È stanco. Più è stanco, più agisce come se non lo fosse, e non sta mai fermo, e non sta mai zitto. Quando ci sta, fermo e zitto, reggere le sue innumerevoli maschere diventa complicato. Però lo è davvero, stanco, per quanto possa esserlo un ragazzo di nemmeno sedici anni. La verità è che, per quanto si senta diverso, non crede di essere speciale. Nessuno sa del bullismo, ad esempio, ma se anche qualcuno ne fosse a conoscenza cosa cambierebbe, oltre alla vergogna? Niente. Non è niente di speciale, ché la maggior parte delle persone è stata vittima di cose simili. Allora no, non crede di essere speciale. Nonostante questo, non crede neanche di essere comprensibile. «Non fraintendermi: non sei tu il problema, tu sei intelligente, carismatica, e bellissima, non occorre che te lo dica io...» Premette. Ha ancora lo sguardo rivolto al cielo. «Ma non capiresti. E alla fine non c’è niente da capire...»
Sophia lo osserva, silenziosa, anche dopo che l'altro ha pronunciato quelle parole. Quante volte l'ha detto anche lei? “ Lascia stare, tanto non capiresti ”. Quante altre volte, invece, ha nascosto la verità stringendosi nelle spalle, con una risata, esclamando un semplice “ non c'è niente da capire, ma che dici! ”. Ha perso il conto. S'è sempre chiusa nel proprio guscio, soprattutto sotto determinati aspetti, e se non per vergogna quanto meno perché sa che certe cose non sono giuste. Che metà delle cose che prova sono deviate. E forse no, forse neanche Sophia si sente speciale, in fondo, però ce la fanno sentire. Nonostante tutto. Valentyne, suo padre, i cugini. E forse è proprio questo a mancare a Josh, qualcuno che gli ricordi che sia meraviglioso. Perciò Sophia scatta a sedere, all'improvviso, spingendosi in avanti per infilare il viso nel suo campo visivo. ‹ Josh, se non vuoi parlarne con me è okay. Se vuoi farlo è okay lo stesso. Ma ricordati solo che neanche tu sei il problema. Non pensarlo mai. Perché qualunque cosa sia – che faccia schifo, che sia problematica, che fai fatica ad accettare – fa comunque parte di te––– › proprio come il suo amore per Val, ‹ e tu sei fantastico. Davvero. ›
A lui non riesce. Diceva sempre così, quando la maestra lo rimproverava per le tabelline sbagliate e gli assegnava dieci esercizi in più: NON MI RIESCE! NON MI RIESCE! NON MI RIESCE! E detestava più di qualsiasi altra cosa la risposta che seguiva, perché dove stava scritto che è vietato dire quelle tre parole? Come al tempo non gli riusciva risolvere quei problemi di numeri, oggi non gli riesce reagire ai complimenti. Talmente abituato com’è ai rimproveri, l’idea di un’accettazione e di un affetto incondizionato penetrano con difficoltà tra le mura di ferro che circondano la sua mente. Eppure i suoi occhi, per una frazione di secondo, giusto quella, niente di più, sembrano perfino farsi lucidi. Resta in silenzio per alcuni momenti, senza sapere come rispondere, come affrontare il tutto. Forse dovrebbe dire solo “grazie”, o ricambiare, forse... Solo che si tratta di lui, e non gli riesce, non gli riesce, non gli riesce, gli riesce solo sorridere e indicarsi il cavallo dei pantaloni mentre dice: «E non hai ancora visto la parte migliore di Josh Russell!» Spera, in fin dei conti, che Sophia capisca. Spera che capisca che è quello il suo “grazie, anche tu lo sei”.
La verità? Forse Sophia vorrebbe che qualcuno le dicesse le stesse cose. Vorrebbe cancellare dalla mente le parole di Selene, il sospetto di sua madre, l'espressione stessa di Valentyne. Vorrebbe qualcuno che le dicesse che non fa niente, che lo capisce, che va bene provare quello che prova perché l'amore non va ostacolato ma solo condiviso –– soprattutto con chi c'è sempre stato. Perché non sono fratelli, no? Nonostante quel pezzo di carta. Ma questo qualcuno non c'è, e se l'unico modo che ha per stare meglio è far sentire speciale chi davvero lo è... be', non vede perché non dovrebbe. Perché qualunque cosa nasconda Josh a lei non interessa. Niente potrebbe farle cambiare idea. E lo capisce, certo che lo capisce!, ché lo sa che il sarcasmo è più semplice da utilizzare del sentimento. Perciò sorride, le iridi chiare che luccicano appena, una mano che s'allunga per scompigliargli i morbidi ricci. ‹ Magari un giorno finiremo con l'avere dieci figli, che ne sai. A quel punto non penso sarebbe / la parte migliore /. ›
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lunedì sera, ore 9:38 circa, dormitorio femminile di grifondoro vi anno —— rimurgina e rimurgina, e poi pur di allontanare i pensieri sta già sonnecchiando.
È appena terminata una settimana pesante, durante la quale è stata nient’altro che l’ombra di se stessa, ed una nuova e non migliore ha appena avuto inizio: silenziosa, diligente, con il capo chino sui libri e mai fuori dalla torre di Grifondoro. Ha studiato, ha fatto allenamento, s’è tenuta occupata come meglio ha potuto, sebbene sempre in solitudine, eppure arriva sempre quel momento del giorno o della notte dov’è impossibile ignorare il vorticare incessante dei propri pensieri. Come adesso, in realtà, che distesa supina con ambo le mani giunte in grembo pondera le proprie emozioni — con lo sguardo chiaro fisso sulle tende lattee del proprio baldacchino, senza realmente vederle. Non è mai stata abile nel prendere le giuste scelte, poiché pecca di troppa impulsività e poca razionalità, eppure non può fare a meno di chiedersi cosa l’abbia spinta a metter piede sul suolo inglese, e per restarci. Ma la risposta la conosce, solo che è più facile ignorarla; è più facile / ignorarsi /, anche adesso. Tira le coperte più su che può, lasciando scoperti solo gli occhi chiari, che s’appresta a nascondere chiudendo le palpebre. Conta fino a dieci, e poi a venti, fino a cento... finché non ha la mente abbastanza sgombra, finché non sente la stretta di Morfeo attorno a sé.
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immagine del profilo numero sedici –– ❛ heart of gold ❜
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( ... ) a colazione, seduta al tavolo di Grifondoro, in pre-ciclo: s'infila in bocca tutto quello che le sembra anche solo vagamente / buono /, soprattutto se contiene cioccolato.
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