Tritare, mescolare, sbattere. Kate. 20. A metà tra l'Italia in decadenza e l'Asia da esplorare.
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Mi son cullato nelle intemperie e nel caos
come fossi un qualcosa di piccolo, quasi misero
rendendomi conto che tra le braccia avevo un qualcosa di immenso.
La paura ha preso il possesso delle mie capacità
facendomi cadere nei vortici
dove mi sono perso
Mi sono ritrovato?
Ho paura di no,
come fossi nebbia ho proseguito
trasparente il cammino
e mi son trovato davanti un bivio
dove decidere era la preoccupazione maggiore.
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this was supposed to be funnier than it actually came out
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“Cose da fare a occhi chiusi“
Via Paolo Bottiroli https://twitter.com/ilbotti81/status/625404415101550592/photo/1
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Clash of the History of Art with Pop Culture in Digital Collages Shusaku Takaoka
Shusaku Takaoka is a Japanese graphic designer and an expert at turning history into a hipster. His works hilariously transform some of the classical art world’s most iconic faces into modern city slickers, and we actually wouldn’t be surprised if we saw any of these made-over canvas characters chilling on the subway, or strutting the latest trends on Broadway. But Takaoka didn’t stop there - he’s also reimagined them as movie stars, magazine covers, and even baristas. For more check out his Instagram.
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posted by tu recepcja
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Quelli che dicono sempre quello che pensano gli altri.
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Marcello Mastroianni, “Una giornata particolare” (Ettore Scola, 1977).
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when ur parents start talkin shit about ur personality
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Protocollo 933
Alle elementari avevo l’insegnante di sostegno, una ragazza di Frosinone che pesava centoventi chili e che tentavo di uccidere versando un flaccone di Novalgina nella busta di Pan di stelle che mangiava ogni mattina, se non mangiava i biscotti le veniva il mal di testa, una volta disse a mia madre che ero un bambino problematico, allora staccai la cura con la Novalgina ed ebbe un esaurimento nervoso, ho avuto un’infanzia complicata, e ho reso la vita difficile anche alle persone che mi erano accanto, mi innamorai della maestra, si chiamava Luisa e aveva un corpo bellissimo, a natale ci faceva fare i lavoretti con le mollette, il Vinavil e i cartoncini colorati, l’odore del Vinavil mi faceva sanguinare il naso e ogni anno mi portavano al Policlinico, dalla segreteria telefonavano a mia mamma e lei veniva a prendermi al pronto soccorso, mi trovava sulla barella con le lenzuola di carta attaccate alle mani per via della colla, “speriamo che almeno quest’anno il lavoretto venga bene”, disse l’infermiera, il lavoretto di quell’anno era una pigna e quando la completai mi accorsi che non assomigliava a una pigna, era un cuore, un cuore chiuso, contratto, potente come un pugno, ma che a dita spiegate poteva accarezzare la schiena di una donna bellissima, allora lo portai alla maestra, attraversai la classe sollevando il lavoretto a due mani come si consegna un dono, lei era vicino alla finestra, fumava, era il millenovecentoottantadue, i vegani non esistevano, nessuno si faceva i selfie, i tuoi amici non erano ancora diventati i tuoi followers, si fumava anche al telegiornale e in chiesa, e sui pacchetti di sigarette non c’erano fotografie di polmoni carbonizzati, il messaggio era opposto: più fumi, più scopi, si moriva con meno sensi di colpa, era un mondo peggiore ma anche migliore, Luisa indossava la gonna di velluto marrone a costine come nel film di Stefania Sandrelli dove si vedono le zizze, guardò la pigna, buttò fuori il fumo e disse: “ma come fai che solo a te i lavoretti ti vengono uno schifo, tua madre dovrebbe portarti da un medico, dovevi solo attaccare le mollette come ti avevo detto di fare, era meglio quando ci stava la cicciona che ti seguiva”, trovai la forza per dire: “è un cuore, è per te”, avevo ancora le mani sporche di sangue e il fazzoletto di carta infilato nella narice, avrei recuperato i globuli rossi perduti con settimane di fialette, lei allora lanciò la sigaretta dalla finestra con lo scatto del medio sul pollice, si abbassò su di me e con l’alito caldo di Marlboro mi diede un bacio sulla fronte, appoggiò le sue labbra morbidissime da divorziata in terapia che odia gli uomini sulla mia fronte di bambino, pensai a Stefania Sandrelli, mi abbassai verso la scollatura della sua camicetta, e mentre guardavo la carne riempire il reggiseno, mi uscì di nuovo il sangue dal naso e questa volta non era per il vinavil, fu lei ad accompagnarmi in infermeria, avevo perso così tanto sangue in quei giorni che rischiami di morire a causa del lavoretto di natale, una volta a casa, vedendo la pigna mia mamma disse: “meno male, una ceneriera nuova ci voleva”, e il giorno di natale la vidi spegnere le sigarette nel mio cuore-pigna-pugno di mollette macchiato di sangue, mia mamma: la prima di tante altre che mi avrebbero spento una sigaretta nel cuore.
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