Amerigo sentiva un bisogno struggente di bellezza, che si concentrava nel pensiero della sua amica Lia. E quello che ora ricordava di Lia era la pelle, il colore, e soprattutto un punto del suo corpo - dove la schiena fa un arco, netto e teso a percorrere con la mano, e poi subito s'alza dolcissima la curva dei fianchi -, un punto in cui ora gli pareva si concentrasse la bellezza del mondo, lontanissima, perduta.
[...] l'esperienza che occupava interamente Fulvia per tutto il tempo che aveva passato con me non era la scoperta di me e neanche la scoperta dell'amore o degli uomini, ma di se stessa; anche in mia assenza questa scoperta, ormai iniziata, non avrebbe avuto più fine; io ne ero stato solo uno strumento.
Gli pareva che là nell'informe pasticcio della vita fosse nascosta la linea segreta, l'armonia, solamente rintracciabile alla ragazza celestecielo, e questo fosse il miracolo di lei, di scegliere a ogni istante nel caos dei mille movimenti possibili quello e quello solo che era giusto e limpido e lieve e necessario, quel gesto e quello solo, tra mille gesti perduti, che contasse.
“Ogni incontro di due esseri al mondo è uno sbranarsi. Vieni con me, io ho la conoscenza di questo male e sarai più sicura che con chiunque altro, perché io faccio del male come tutti lo fanno; ma, a differenza degli altri, io ho la mano sicura.”
“Palomar s’è distratto, non strappa più le erbacce, non pensa più al prato: pensa all’universo. Sta provando ad applicare all’universo tutto quello che ha pensato del prato.(..) L’universo forse finito ma innumerabile, instabile nei suoi confini, che apre entro di sé altri universi. L’universo, insieme di corpi celesti, nebulose, pulviscolo, campi di forze, intersezioni di campi, insiemi di insiemi.”
Gioia cara, vorrei una stagione in cui non ci fossi per me che tu e carta bianca e voglia di scrivere cose limpide e felici. Una stagione e non la vita? Ora basta, perché ho cominciato così questa lettera, io voglio scrivere del nostro amore, voglio amarti scrivendo, prenderti scrivendo, non altro. È forse anche qui la paura di soffrire che prende il sopravvento? Cara, cara, mi conosci troppo, ma no, troppo poco, devo ancora farmi conoscere da te, devo ancora scoprirmi a te, stupirti, ho bisogno di farmi ammirare da te come io continuamente ti ammiro.
“Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto.”