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Alcune leggende popolari sulla festa di San Giovanni

Il patrono di Firenze è legato a tantissime storie e leggende, alcune più conosciute altre meno.

Alcune sono ritualità di origine sia pagana che cristiana. Una di duplice genesi era la ritualità di accendere dei fuochi per la festa di San Giovanni. I fuochi si dovevano accendere nella notte tra il 23 e il 24 giugno, questi falò nella tradizione pagana, avevano lo scopo di purificare e propiziare la fertilità oltre che il compito e il potere di allontanare la sfortuna e le malattie. Nella tradizione cristiana si legano invece alla figura di San Giovanni Battista e alla sua morte. Infatti il fuoco, data la morte di Giovanni per decapitazione, rappresenta e simbologia un elemento che purifica e porta alla rinascita. Nell'aspetto pagano della ritualità vi era anche saltare al di la del fuoco per suggellare l'amore, l'amicizia (si diventava "compari") e rafforzare i legami.

Una aspetto poco conosciuto della notte di San Giovanni è che è considerata, in alcune tradizioni, "la notte delle streghe"; notte durante la quale le streghe si radunano e raccolgono erbe magiche. Nel tempo questa notte è stata considerata propizia per la raccolta di erbe officinali, che si crede abbiano poteri curativi e protettivi. Non a caso esiste una pianta in particolare che porta il nome di erba di San Giovanni, e non a caso nella notte del patrono fiorentino si realizza l'acqua di San Giovanni.

Un'altra tradizione popolare è la "barca di San Giovanni". Questa tradizione consiste in un rito che si dice porti fortuna e che consiste nel creare una piccola barca con materiali naturali e osservare come si comporta nell'acqua, ed a seconda del suo comportamento, naviga tranquilla o tende ad affondare, si può predire il prossimo futuro. Una versione alternativa della barca di San Giovanni è fatta ponendo un albume di un uovo dentro un contenitore trasparente e contenente acqua limpida. Il recipiente deve poi essere appoggiato all'esterno e lasciato riposare tutta la notte. Il giorno dopo si osserva l'albume che distribuitesi nell'acqua assume l'immagine come delle vele di una baca. Se le vele sono spiegate, potrebbe indicare l'arrivo di una stagione favorevole caratterizzata dal sole e da condizioni climatiche piacevoli. Al contrario, se le vele sono chiuse, potrebbe suggerire una stagione difficile caratterizzata da piogge abbondanti o avverse. Se l'albume, invece, nella forma assomiglia ad un uovo si prospetterà una gravidanza imminente, se assume la forma di una torre allora presto ci sarà un cambiamento di residenza, se compaiono una serie di bollicine un matrimonio è alle porte. Una tradizione sempre legata alla notte delle streghe è quella legata al fatto che le fattucchiere si riunissero attorno ad un albero di noce ed è per questo che nella notte del 23 andrebbero raccolte le noci e nella giornata del 24 fatto il nocino. Tra tutte una tradizione si conserva da tanti anni a Firenze, è quella dei "fochi" della notte del 24. Anche stasera, alle 10.00, sarà onorata. Andate a vederli sapendo che tanto “E l'erano meglio quelli dell'anno scorso!".

Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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Il gelato fiorentino


Cosimo Ruggeri era un pollivendolo e cuoco a tempo perso vissuto nella Firenze del 1500. Partecipò a una gara indetta dalla Corte dei Medici insieme ai migliori cuochi della Toscana sul tema “il piatto più singolare che si sia mai visto”. Presentò il suo “dolcetto gelato” al fiordilatte, una specie di sorbetto più cremoso e dal gusto piuttosto deciso. Sbaragliò i concorrenti e la sua ricetta diventò famosa e richiestissima in tutta la Toscana al punto che Caterina dei Medici lo volle con sé alla Corte di Francia come “mastro pasticcere”. Poco tempo dopo Bernardo Buontalenti, famoso architetto e pittore fiorentino, grande appassionato di cucina, presentò la sua rinomata serie di “dolci ghiacciati”, frutto di sue elaborazioni personali a base di zabaione e frutta, che in seguito avrebbero dato origine alla famosa “crema fiorentina”. (da Adagi allegri andanti di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)

Franco Ciarleglio Priore e Narrator Cortese Read the full article
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A stretto giro di posta

Vi siete mai chiesti da cosa tragga origine il modo di dire “a stretto giro di posta”? Quando la posta veniva consegnata tramite diligenze trainate da cavalli, se la missiva era urgente, la risposta veniva spedita con la stessa diligenza che aveva portato la lettera che, dopo avere cambiato i cavalli, riprendeva la corsa invertendo la marcia e tornando alla località di partenza. Questo cambio di marcia era esattamente il “giro di posta”. Anche nel Rinascimento esisteva una sorta di servizio postale, ovviamente a solo beneficio dei potenti e delle pubbliche istituzioni. La prima vera organizzazione postale ci fu quando i mercanti, bisognosi di avere e dare notizie relative ai loro affari con una certa premura, organizzarono una rete di stazioni di posta dove corrieri e diligenze potessero cambiare i cavalli e dunque avere la possibilità di affrontare anche lunghi viaggi. A Firenze i “postini” si chiamavano “cavallari”, ed erano il meglio del meglio che si potesse trovare quanto a cavalli e cavalieri. Cavalieri stanchi, distrutti e con le ossa a pezzi, cavalli talmente sfiniti da avere la schiuma alla bocca, ma i dispacci che la Signoria inviava arrivavano sempre con tempestività al destinatario. I cavallari abitavano con le loro famiglie dietro Piazza dell’Olio, in Vicolo dei Cavallari e, alla fine del Vicolo, c’è Piazza dei Cavallari, dove c’erano le stalle per i cavalli. Erano sempre in servizio attivo, per cui anche nel pieno della notte potevano essere svegliati per partire con urgenza per consegnare una missiva. Tettoia de Pisani Fabio Borbottoni Successivamente, con l’avvento delle diligenze, anche per i privati divenne possibile lo scambio di corrispondenza, quando sorsero i primi “uffici postali”. In Piazza Signoria esisteva l’antico ufficio postale, costruito dai pisani, sconfitti a Cascina nel 1364; molti degli sconfitti morirono, gli altri vennero fatti prigionieri e condotti a Firenze dove furono messi alla berlina e trattati quasi da schiavi. Questi “schiavi” furono costretti a costruire una tettoia tra via Vacchereccia e Calimaluzza, di fronte al Palazzo della Signoria, la famosa “Tettoia dei Pisani” dove, per lungo tempo, fino alla sua demolizione del 1871, ci furono gli uffici postali fiorentini, dove i cittadini portavano le lettere da spedire o si recavano a ritirare quelle ricevute; il servizio era assicurato dalle corriere, che avevano la loro rimessa proprio sotto la Tettoia dei Pisani. Vicolo dei Cavallari e Piazza dei Cavallari ancora oggi esistono e mantengono viva la memoria di questo tempo andato; un vero peccato che purtroppo si sia perso, con la distruzione della Tettoia, il ricordo dell’ufficio postale di Piazza Signoria. Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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Vittoria a Montaperti dei Ghibellini – I Guelfi vanno in esilio: 2° parte

Introduzione Prima parte Parte seconda Farinata degli Uberti Mentre da Firenze se ne partivano i Guelfi, a Empoli alla presenza di Re Manfredi, con tutte le città ghibelline e i fuorusciti fiorentini che avevano combattuto a Montaperti, si teneva una Dieta per decidere la sorte di Firenze. La maggior parte dei presenti si trovò d’accordo nel distruggere la città, gettarvi il sale affinché nessun potesse riedificare su quel terreno maledetto. A quel punto si fece avanti, il capo riconosciuto dei fiorentini Manente detto “Farinata” degli Uberti chiedendo al Re Manfredi di parlare in favore della città fiorentina. Parlò con il cuore in mano. Non aveva combattuto e vinto per distruggere la sua Patria e se i presenti avessero avuto mano libera per quanto avevano chiesto, vi si sarebbe asserragliato difendendola fino alla morte. Manfredi colpito da queste parole e dall’amore di Farinata per la sua città, decise di soprassedere e Firenze fu salva. La domenica dopo l’uscita dei Guelfi dall città, il 16 settembre, i Ghibellini vincitori di Montaperti al comando del Conte Giordano d’Anglano cugino del Re Manfredi e le masnade tedesche entrarono in città. Il primo atto dei nuovi padroni, fu di far giurare a tutti i fiorentini rimasti fedeltà al Re. Dopo, nominarono Podestà Guido Novello dei Conti Guidi in carica fino al gennaio del 1261. In seguito Guido Novello fece aprire nelle mura una porta chiamata ghibellina. In pratica si garantiva una via di fuga verso il Casentino dove possedeva terre e castelli. Rispettando i patti con i senesi, lasciò loro mano libera per disfare i castelli Guelfi posti sui loro confini. Giordano d’Anglano venne nominato Vicario Generale del Re e comandante delle truppe tedesche, con le quali in varie battaglie sconfisse ripetutamente i Guelfi. Per questi servigi alla parte ghibellina, venne ricompensato da Manfredi con la terra di Puglia. Con la sua amministrazione la fece diventare una grande signoria. Il dispotico governo dei Ghibellini ebbe fine nel 1266, quando nella battaglia di Benevento l’esercito del Re Manfredi e i suoi alleati furono sconfitti dai guelfi comandati da Carlo d’Angiò fratello del Re di Francia campione del Papa e dai suoi alleati. I Guelfi fiorentini, parteciparono alla vittoriosa battaglia con la cavalleria della Parte guelfa, rientrarono in Firenze per non uscirvi più. Con la morte del Re di Sicilia finiva il sogno degli Svevi di riportare l’Italia sotto il controllo Ghibellino. Alberto Chiarugi Read the full article
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La Congiura: Parte 4 I Medici e i Pazzi

La Congiura: Parte 1 Introduzione La Congiura: Parte 2 Sforza, Riario e Medici La Congiura: Parte 3 Stefano Porcari e la terza poco conosciuta congiura Parte 4 I Medici e i Pazzi L’ultimo Medici a sposarsi con la figlia di un ricchissimo commerciante fu Piero. Da lì in poi la famiglia cercò e trovò le sue spose fuori Firenze intrecciando così importanti alleanze, non più con semplici commercianti seppur ricchi, ma con la nobiltà nazionale ed internazionale, tra questi figurano anche alcuni principi. Parentele che sul piano politico e militare sarebbero state molto più determinanti. Gli altri, quelli che non potranno aspirare ad un conveniente matrimonio diventeranno Cardinali o Papi. Forse non tutti sanno che i Medici non erano originari della città, bensì del suo entroterra. Emigrarono e si stanziarono a Firenze solo nel XII secolo occupandosi del cambio o nel prestito del danaro. Nel XIV secolo erano cresciuti numericamente e si erano affiliati ai Guelfi Neri, all’epoca in lotta con i Guelfi Bianchi per il controllo della città. Pronti ad ogni tipo di sotterfugio fino a sfociare nell’ illegalità, i Medici vennero banditi nel XV secolo, rimanendo lontani dalla città per vent’anni, nonostante alcuni di loro fossero o avessero avuto la carica di Priore. Seppur dediti all’illegalità, erano comunque timorati di Dio, tanto che parte dei loro guadagni illeciti venivano devoluti in beneficenza. E questo solo per il timore di ripercussioni sulle loro anime. Furono i proprietari di un importante banco a Firenze, che aveva filiali a Roma, Napoli, Venezia e Ginevra, più avanti si trovavano anche a Bruges, Pisa, Ancona, Londra, Avignone e Milano. Si arricchirono grazie ai servizi resi ai vari Papi, ma anche con il trasferimento di congrue cifre per conto di terzi all'estero. Ma non tutto è oro quel che luccica, alcune filiali infatti attraversarono periodi piuttosto bui, accumulando grandi perdite a causa di crediti non riscossi, soprattutto da parte del papato o di grandi figure nobiliari. Nel 1402 i Medici erano tra le prime cinquanta famiglie contribuenti della città, venticinque anni dopo erano i più ricchi di Firenze, in quella che era ormai diventata la capitale finanziaria d'Europa e che contava ben settanta banche internazionali. I Medici erano dei politici molto scaltri, appoggiati da figure filo medicee, riuscivano a fare il bello e il cattivo tempo nella politica fiorentina. Attuavano tutta una serie di escamotage per avere al governo sempre qualcuno che tutelasse i loro diritti e che ne mantenesse il potere. Ogni figura ostile ai Medici veniva in qualche maniera imbrigliata. E’ il caso di Giannozzo Manetti, personalità di rilievo che si occupava di finanza e di commercio di tessuti pregiati. Conosceva molto bene il greco, il latino e l'ebraico; scrisse poi orazioni, trattati e biografie. Si trattava di una persona molto erudita ed era un'importante diplomatico del suo tempo. Ma Giannozzo era una persona indipendente, impossibile da asservire, così i Medici si mossero per rovinarlo attraverso il sistema della tassazione. Giannozzo aveva ereditato dal padre una fortuna, che la forte tassazione stava fagocitando. Ebbe una serie di incarichi importanti a livello amministrativo, diplomatico e governativo, ma non fu mai Priore. Questa carica dava una posizione a livello politico e sociale elitaria, per questo si impediva a personaggi poco graditi come lui l’elezione a questa carica. Giannozzo si inimicò i Medici perché non aveva gradito l'appoggio dato da Cosimo a Francesco Sforza In occasione della presa di Milano nel 1450, auspicando inoltre da parte di Firenze relazioni con la Repubblica di Venezia. A parte questo Giannozzo era una figura invidiata per le sue virtù e le doti intellettuali oltre che per la sua ricchezza, che gli permetteva di essere indipendente e non essere asservito a nessuno. Poteva così agire e dire sempre quello che pensava e non aveva bisogno di legami politici che lo tutelassero. La rovina di Giannozzo fu proprio la sua integrità, il fatto di non voler assecondare né piegarsi a nessuno orgoglioso com'era, tanto meno ai Medici, cosa che invece fecero i Pazzi, almeno finché non arrivò Lorenzo il Magnifico. I Pazzi erano una grande famiglia e vantavano avi importanti. Pazzo de Pazzi era un antico combattente fiorentino, uno dei primi a scalare le mura di Gerusalemme nel 1088. Due secoli dopo un altro Pazzi figurava tra i cavalieri francesi che combattevano per la Terra Santa. Il primo riportò come premio per le sue gesta delle pietre provenienti dal Santo Sepolcro, il secondo ebbe in dono uno scudo direttamente dal re di Francia. Durante le celebrazioni pasquali a Firenze, il Sacro fuoco che veniva distribuito sulle candele dei fedeli durante il sabato Santo, veniva acceso proprio con quelle pietre che aveva portato questo crociato. Il carro che poi portava in processione il fuoco era trainato da dei buoi guidati dai membri della famiglia Pazzi. Un grande onore. Il loro stemma era derivato da quello della famiglia dei Duchi francesi e raffigurava delle mezze lune poste su una torre merlata, vicino a due delfini, tutto raffigurato in campo blu con l’aggiunta di nove croci. I Pazzi erano legati al Principe Renato d'Angiò. Lo stesso Dante nella Divina Commedia citerà due membri di questa famiglia ponendoli all'inferno fra i violenti e i traditori. Tra i Pazzi vi furono inoltre dei capi della fazione dei Guelfi Neri. Ogni generazione dei Pazzi vantava tra le sue fila un cavaliere, nonostante questo si dedicarono anche alla finanza, al commercio e al trasporto di merci sul mare. Intelligentemente i Pazzi avevano suddiviso tutte le loro attività bancarie tra i vari parenti, in maniera che in caso di bancarotta non tutte le attività sarebbero state trascinate nel fallimento. Per rovinare definitivamente questa famiglia, dopo la congiura, tutte le attività vennero raggruppate per poterle sequestrare e non lasciare loro scampo alla rovina. I Pazzi erano tra i maggiori creditori della città di Firenze, guadagnavano moltissimo sugli investimenti e sugli interessi annuali per i prestiti, soprattutto quelli di guerra. Erano un vero potere economico. Le case dei Pazzi si trovavano vicino al punto in cui avvenne l’attentato, vicinissimo alla Cattedrale e alla Fortezza dei Priori, dove si trovavano anche due piccole chiese parrocchiali: quella di San Procolo e quella di Santa Maria in Campo. Ma i Pazzi avevano anche altre proprietà sparse per la città, Andrea Pazzi aveva tredici masserie, cento appezzamenti di terreno, tre mulini e una dozzina di case. Nonostante tutto è molto difficile fare una valutazione della loro ricchezza se non una stima approssimativa. Stessa cosa vale per ogni famiglia fiorentina, anche perché le dichiarazioni economiche al fisco erano sempre falsate per poter pagare meno tasse possibili. La famiglia dei Pazzi vantava inoltre un credito illimitato presso i Medici così il denaro che ottenevano in credito lo investivano prestandolo a loro volta ad un tasso di interesse più alto speculandoci sopra. Anche i Pazzi entrarono nelle grazie della chiesa, finanziando ben cinque Papi diversi e ingraziandosi con lo stesso sistema anche la Curia romana. A Firenze nei registri fiscali i Pazzi erano secondi solo ai Medici, possedevano inoltre società a Roma, Firenze, Lione, Avignone, Marsiglia, Bruges e Valencia. Un pezzetto di Firenze a Roma Esiste nella periferia romana un quartiere che prende il nome da via Casal de’ Pazzi. Qui c’era infatti una delle tante proprietà della famiglia tra quelle disseminate per Roma. Si tratta di un casale che si affaccia sulla via consolare Nomentana, tra viale Kant e via Zanardini e che si presenta come una piccola roccaforte. Qui si ritirarono alcuni esuli della famiglia Pazzi dopo la congiura. In questo periodo Il casale era già una loro proprietà, ma solo successivamente prese la sua forma fortificata. È composta da due torri con merli in stile Ghibellino preesistenti costruite in tufo edificate per controllare la zona e poi successivamente inglobate in un edificio quadrangolare che completa la struttura lasciando spazio per un cortile interno con tanto di pozzo marmoreo. Peccato sia una proprietà residenziale privata e non sia aperta al pubblico. Si può però passare davanti alla strada ed intravedere la costruzione dietro le mura e il cancello d’ ingresso. Riccardo Massaro Read the full article
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Tacere: Bertrand Russell

SII ISOLATO, SII IGNORATO, SII ATTACCATO, DUBITA, ABBI PAURA, MA NON LASCIARTI METTERE A TACERE. - Bertrand Russell - Read the full article
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Un lungo intreccio editoriale a Firenze: Carnesecchi - Sansoni - Casalini
La più antica pubblicazione periodica nacque in Toscana nel 1636, il Granduca Ferdinando II concesse a Lorenzo Landi e Amatore Massi il privilegio di stampare una gazzetta a Firenze. Seguirono Milano l'anno seguente e Genova nel 1639 Nacquero così i primi periodici distribuiti a cadenze regolari. Si trattava di pubblicazioni per lo più di piccolo formato, a due o quattro pagine, che uscivano una o due volte al mese. Diverso tempo dopo a Firenze troviamo un succedersi di pubblicazioni tra cui: Le Novelle letterarie pubblicate in Firenze (1740-1792), settimanale fondato da Giovanni Lami La pubblicazione copriva argomenti che spaziano dalla storia alla teologia, dalla scienza al diritto. Giornale de' Letterati (aprile 1742-1753); Magazzino italiano d'istruzione e piacere (1752); Magazzino toscano d'istruzione e piacere (1754); Gazzetta toscana (1766-1811), settimanale creato dal Governo toscano, Anton Giuseppe Pagani stampatore; Gazzetta di Firenze (23 agosto - 15 ottobre 1768), dal 18 ottobre ridenominata Notizie del Mondo (ottobre 1768 - 31 dicembre 1791), conteneva notizie dall'estero. Nel 1792 fu assorbita dalla Gazzetta Universale di Vincenzo Piombi (dal 1775 fino all'aprile 1798). Riprese dal 1799 fino al 29 gennaio 1811. La Gazzetta di Firenze è la continuazione di quelle due diverse pubblicazioni fondate entrambe nel 1768 (Gazzetta patria e Notizie del mondo), divenute nel 1811 Giornale del dipartimento dell'Arno, poi nel febbraio del 1814 per i soli numeri 16-17 Giornale politico di Firenze, e infine dal n. 18 (10 febbraio 1814) fino al n. 274 (4 novembre 1848) Gazzetta di Firenze. Cambierà nuovamente nome con il numero del 6 novembre di quell'anno, uscendo come Monitore toscano. La Gazzetta di Firenze giornale trisettimanale stampato a Firenze dal 1814 al 1848. Fu il giornale ufficiale del Granducato di Toscana. Usciva nelle giornate di martedì, giovedì e sabato. Nel 1848 fu sostituito dal Monitore Toscano continuerà le pubblicazioni fino al 1880. Nella storia dell'editoria fiorentina nel 1846 entra il ventottenne Giovanni Carnesecchi (1818-1877), gazzettiere, tipografo nel Monitore Toscano nel periodo 1854 1857. Come detto, La Gazzetta di Firenze nel 1848 fu sostituita dal Monitore Toscano ma la pubblicazione col nome di "La Gazzetta di Firenze" fu ripresa dal sacerdote Giulio Cesare Casali il primo gennaio 1863: "Avviso il Monitore Toscano riprende fin da ora l'antica sua denominazione di "Gazzetta di Firenze" più conforme al presente ordinamento del Regno". Due anni più tardi il sacerdote Casali cedette il giornale al suo tipografo Carnesecchi Amministratore della Gazzetta divenne il figlio di Giovanni: Tito ( 1847-1880 ), La tipografia assunse il nome Tipografia G. Carnesecchi e figli. Verso il 1867, frequentando la tipografia il celebre caricaturista Mata (Matarelli) per la stampa del giornale satirico "Il Lampione", fu ideata la pubblicazione delle poesie di Giuseppe Giusti. La veste tipografica vinse la medaglia di bronzo al congresso tipografico di Bologna. A questo punto un altro fiorentino Giulio Cesare Sansoni (1837-1885 ) inizia l'attività editoriale, in strettissima collaborazione con l'amico tipografo Giovanni Carnesecchi. La città di Firenze si stava sviluppando sotto la guida delle classi dirigenti riformatrici moderate, quale capitale culturale della nazione. Venne fondato l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, centro del positivismo e luogo di formazione delle élite del nuovo Stato unitario. L’editoria fiorentina, cresciuta attraverso la diffusione delle opere risorgimentali, si trasformò in strumento di promozione della lingua e della cultura in ambito scolastico con gli editori Barbera, Le Monnier e Paggi-Bemporad, che diedero inizio alle loro famose collane per la scuola. Lo spostamento della capitale a Firenze (1865-71) permise agli editori di instaurare significative relazioni con il mondo politico al fine di promuovere l’adozione dei propri libri di testo. È in questo clima culturale che Giulio Cesare Sansoni, ormai inserito nei circoli letterari, decise di pubblicare nel 1873 Guardare e pensare. Studi dal vero, libro di lettura di Guido Falorsi, allievo di Niccolò Tommaseo. A questo seguì, pochi mesi dopo, una raccolta di commedie edificanti per le scuole femminili, Dialoghi e commedine (1874), scritte dallo zio Giuseppe Calenzoli. Le prime due edizioni uscirono con la responsabilità «A spese di alcuni amici», avendo ricevuto il sostegno del tipografo Giovanni Carnesecchi, che aveva realizzato una florida tipografia dedita alla stampa di periodici popolari. I riscontri delle vendite, nonostante la semplicità delle realizzazioni, furono positivi e Sansoni si convinse di iniziare una impresa editoriale a suo nome, G.C. Sansoni, con la pubblicazione, nell’aprile del 1874, di un’opera di Cesare Guasti, linguista e accademico della Crusca, Belle Arti. Opuscoli descrittivi e biografici. Il marchio editoriale "G.C. Sansoni Editore" compare solo nel 1874. Sin dall’inizio le sorti della nuova casa editrice sono fortemente legate alla tipografia "G. Carnesecchi e figli" diretta da Giovanni Carnesecchi e dal figlio Tito tanto che le due ditte hanno in comune sede e magazzini tra piazza d’Arno 1 (ora piazza Mentana) e il magazzino di via dei Saponai 14. Nel 1876 il Sansoni concepì l’idea di pubblicare "Le vite" di Giorgio Vasari, in un’edizione curata dall’archivista Gaetano Milanesi, per la cui realizzazione il tipografo Carnesecchi aveva acquistato una modernissima macchina da stampa Koenig & Bauer: fu il primo grande successo editoriale. Grazie all’imprenditorialità del Sansoni e del Carnesecchi alle loro conoscenze nel mondo culturale ed accademico la "G. C. Sansoni editore" si afferma rapidamente a livello nazionale. L'inizio è un breve lampo di circa 12 anni: in cui si consumeranno le vite di tutti gli iniziatori dell'impresa. Giovanni Carnesecchi muore nel 1877 , suo figlio Tito immaturamente nel 1880, Giulio Cesare Sansoni nel 1885. Scrive Marcello Aquilani : "…nel 1885 moriva pure il sig. Giulio Sansoni, che alla casa editrice aveva dato tutto il suo ingegno e tutta la sua attività. Cosi mentre la Tipografia e la Casa Sansoni andavano crescendo di fama e d’importanza scomparivano coloro che avevano dato ad esse l’intelligenza e l’energia per poterle portare all’altezza che, amanti dell’arte e della cultura, avevano sempre sognato." La vedova di Giulio Cesare Sansoni (Albertina Piroli) confermò l’impegno nell’azienda cercando aiuto nel cognato Guido Biagi, cui affidò la direzione editoriale. La stampa e la sede rimasero alla tipografia Carnesecchi, che nel frattempo era stata ereditata da Giulia Bellini, vedova di Tito, risposatasi con l’orafo Cesare Casalini, che assunse la guida dell’attività tipografica . Biagi diede impulso alla casa editrice, aprì nuove collane di testi greci e latini e, con grande successo, la Biblioteca scolastica di classici italiani secondo i programmi ufficiali diretta da Carducci. La "Sansoni" divenne una prestigiosa casa editrice a livello nazionale e terminò il suo percorso solo negli anni 70 del XX secolo. Condotto da Piero Casalini lo stabilimento tipografico "G. Carnesecchi e figli in Firenze" proseguirà invece autonomamente le pubblicazioni fino agli anni 50. Morta l'antica azienda Carnesecchi. Il nome Casalini nell'editoria compare da solo e precisamente con Mario (1926-1998) figlio di Piero, che fonda autonomamente una sua impresa editoriale "Casalini Libri". Ancora oggi l'attività editoriale Casalini è proseguita dai figli. Pierluigi Carnesecchi Read the full article
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La Congiura: Parte 3 Stefano Porcari e la terza poco conosciuta congiura

La Congiura: Parte 1 Introduzione La Congiura: Parte 2 Sforza, Riario e Medici Parte 3 Stefano Porcari e la terza poco conosciuta congiura. L’importanza dei matrimoni e delle alleanze familiari

Dopo aver accennato alla congiura dei Medici e a quella degli Sforza, c’è n’è una meno conosciuta: la congiura romana di Stefano Porcari del 1453. L'uomo era nato a Roma da una famiglia nobile romana, venne in gioventù affidato a un mercante fiorentino di nome Matteo De Bardi. Con il tempo divenne un eccezionale oratore, arrivò addirittura ad essere eletto Capitano del Popolo a Firenze. In seguito entrò in contatto con un circolo di umanisti che apprezzavano la libertà dell'antica Repubblica Romana, quella che Stefano avrebbe voluto veder rivivere a Firenze. L'uomo si appassionò a queste teorie e già quando era Capitano del Popolo, si dedicò a scritti che sottolineavano questo suo pensiero. In seguito svolse funzioni pubbliche importanti anche a Bologna, Siena, Orvieto, Venezia e Trani. Visitò l'Inghilterra e l'Europa del Nord sempre accompagnato dai suoi ideali di repubblicani.

Porcari non amava le ingerenze del papato negli affari di Stato così nel 1447, dopo la morte di Papa Eugenio IV, diffuse pubblicamente le sue idee anche a Roma. In quel momento ascendeva al trono papale Niccolò V, molto più tollerante del suo predecessore e che assunse il promettente e capace Stefano alla sua corte.

Paus Nicolaas V La volontà del Papa di averlo tra i suoi collaboratori nascondeva l’intento di tenerlo sott'occhio. Così quando Stefano fu coinvolto in un tumulto a Piazza Navona durante il carnevale del 1451, il Papa fu costretto a bandirlo dalla città. Ma il Papa non nascondeva la sua ammirazione per Stefano, pur temendo questo umanista rivoluzionario, dopo il bando gli assegnò una ricca pensione esiliandolo però a Bologna sotto il controllo di un Cardinale di fiducia. Ma Porcari sognava ancora di trasformare Roma in una Repubblica, così come altri desideravano che venisse istaurata a Milano e a Firenze. Porcari tornò segretamente a Roma e in brevissimo tempo organizzò una rivolta che sarebbe dovuta esplodere durante la messa nel giorno dell'Epifania. L'idea era di seminare panico e confusione dando fuoco alle scuderie vaticane, cogliendo così di sorpresa il clero ed impossessarsi della fortezza di Castel Sant'Angelo. Poi da lì proclamare la Repubblica e perché no, se fosse stato utile anche uccidere il Papa e i Cardinali più influenti. Tutto questo incoraggiando il popolo alla rivolta e a saccheggiare il tesoro papale e le case dei cardinali. Ma i cospiratori temporeggiarono troppo e la Curia venne a conoscenza del piano organizzò delle contromisure. Venne inviata una piccola spedizione formata da cento soldati che si diressero poco prima dell’inizio della rivolta, verso le case dei cospiratori site in prossimità di Piazza della Minerva.

Per evitare lo scandalo i soldati sperarono di trovare tutti i congiurati riuniti per poterli arrestare senza dare troppo nell’occhio. Ma alcuni di loro erano già fuggiti, chi in Toscana, chi a Venezia. Porcari però venne fermato, arrestato confessò apertamente le sue colpe e la sua fede, quindi venne impiccato ai bastioni di Castel Sant'Angelo. Anche altri uomini che si erano uniti a lui furono giustiziati, subendo il sequestro delle proprie proprietà. Le loro vedove senza più sostegni finanziari furono addirittura costrette ad entrare in convento. Alleanze e matrimoni. Le più grandi alleanze tra famiglie e casate presero forma grazie ai matrimoni, vincoli che servivano a rafforzare la posizione sociale e il potere delle famiglie che sceglievano questa pratica non propriamente dettata dall’amore.

La fanciulla da impalmare veniva prima profondamente analizzata: la bellezza del corpo, del viso, i capelli, il portamento le doti… ricordiamoci poi che la fanciulla da maritare portava sempre con sé una cospicua dote, composta di beni, proprietà e denari. Così la propria famiglia faceva particolare attenzione e valutava bene a chi e come darla in sposa. Non da meno la famiglia che la sceglieva per il proprio rampollo. La dote solitamente veniva stabilita dagli anziani e valutata a seconda del ceto sociale di appartenenza. Più alto era, più la dote doveva essere sostanziosa. Ma non era questo un fattore decisivo, molto più importante era l’onorabilità e l’integrità del nome della famiglia da cui proveniva la ragazza. Doveva essere rispettabile e avere una posizione sociale ed economica importante. I ragazzi non venivano però esaminati così scrupolosamente. Quando nel 1467 Lucrezia Tornabuoni si mise alla ricerca di una sposa per il figlio Lorenzo de' Medici, valutò cosa il “mercato” metteva a disposizione, volgendo lo sguardo anche fuori la città. Particolare attenzione fu attribuita alla città di Roma, dove c'era la famosa e nobile famiglia degli Orsini che poteva vantare tra i suoi titoli quello di principe nonché altre posizioni importanti sia nell'esercito che tra il clero. Come opzione c’erano i Colonna, che vantavano un importante e facoltoso Cardinale tra i loro parenti.

Già Cosimo de' Medici, il nonno di Lorenzo, aveva pensato di unirsi con qualche famiglia romana perché aveva capito quanto fosse importante avere degli appoggi esterni a Firenze soprattutto nella chiesa e nell'esercito, questo per avere una posizione più stabile e forte anche nella propria città. Lucrezia Tornabuoni si recò così a Roma ed incontrò Clarice Orsini. In una lettera ne fa una descrizione fisica molto attenta, pur stranamente non facendo menzione della dote. Evidentemente era interessata a ben altro. La futura sposa sarebbe stata infatti molto utile per un ulteriore scalata sociale dei Medici, soprattutto fuori Firenze visti gli appoggi e le conoscenze che vantavano gli Orsini in tutta Italia e negli stati europei.

La ragazza porterà comunque una bella dote con sé, ma fondamentale si era rivelato l’aspetto politico e le relative alleanze. Nel medioevo una famiglia che era stata esiliata, o che aveva perso il proprio potere politico, che aveva sperperato le proprie risorse in seguito alla composizione di doti atte a sistemare le proprie figlie, o che non aveva figli maschi, e che quindi non aveva risorse umane da far entrare in politica, o che aveva perso il prestigio e l’onore facendo gravi errori, si trovava fuori dagli interessi del campo matrimoniale. Lo vedremo più avanti con i superstiti della congiura della famiglia dei Pazzi, quando nessuno vorrà più imparentarsi con loro. Ma queste posizioni non erano sempre così stabili, bensì alquanto mutevoli, a volte infatti famiglie che erano state potenti e ricche, potevano in seguito ad errori di valutazione, accordi ed alleanze, o investimenti sbagliati precipitare dalla loro posizione di rilievo e ritrovarsi in un batter d’occhio infondo alla scala sociale, in un baratro senza fondo ed essere surclassate da altre famiglie emergenti ed ambiziose. Un’ultima cosa da non sottovalutare e molto importante, era il poter vantare illustri origini, o aver avuto nella propria genealogia personaggi famosi o eroici. Pensate ai riferimenti che Dante spesso cita nella sua opera. Era doveroso soffermarsi su questi aspetti, che come vedremo più avanti influenzeranno molte delle situazioni che andremo ad analizzare.

Riccardo Massaro Read the full article
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Vittoria a Montaperti dei Ghibellini - I Guelfi vanno in esilio: 1° parte

Introduzione Prima parte

Nel settembre 1260 i Guelfi fiorentini sentendosi forti, insieme ai loro loro alleati al comando di Iacopino Rangoni da Modena, per il mancato rispetto dei patti stipulati nel 1255 con i senesi, nei quali si impegnavano a non accogliere i banditi da Firenze (ospitarono invece i fuorusciti fiorentini, di Montepulciano e di Montalcino), questo fu il pretesto per muover l’Oste contro l’odiata Siena, batterla e sottometterla definitivamente. Purtroppo in questa battaglia i fiorentini patirono la peggior sconfitta mai subita. Quando giunse in città la dolorosa notizia della sconfitta dell’esercito fiorentino, tutte le famiglie in città e nel contado, ebbero un famigliare morto o fatto prigioniero. I pianti salirono verso i cielo riempiendo la città di dolore. I capi della parte Guelfa rimasti in Firenze rimasero sbigottiti per l’inattesa sconfitta del loro esercito, che assommava a quasi 30.000 unità fra fanti e cavalieri. Preoccupati per l’imminente ritorno degli esiliati con i temuti cavalieri tedeschi, le sicure vendette nei loro confronti, decisero di uscire da Firenze e andare a rifugiarsi nella fedele Lucca.

L’otto settembre 1260, le principali case guelfe e i loro simpatizzanti partirono per l’esilio. Dal Sesto di Oltrarno partirono notabili e popolani. Questi i nobili: Rossi, Nerli, alcuni dei Mannelli, i Bardi, i Mozzi, i Frescobaldi; i popolani: Canigiani, Magli, Machiavelli, Belfredelli, Orciolini, Aglioni, Rinuccini, Barbadori, Battimanni, Soderini, Malduri, Ammirati. Dal Sesto di San Pier Scheraggio i nobili: Gherardini, Lucardesi, Cavalcanti, Bagnesi, Pulci, Guidalotti, Malispini, Foraboschi, Manieri, da Quona, Sacchetti e i Compiobbesi; i popolani: Magalotti, Mancini, Bucelli, della Vitella. Dal Sesto di Borgo i nobili: Buondelmonti, Scali, Spini, Gianfigliazzi, Giandonati, Bostichi, Altoviti, Ciampali, Baldovinetti. Dal Sesto di San Brancazio i nobili: Tornaquinci, Vecchietti, alcuni della famiglia Pigli, Minerbetti, Becchenugi, Bordoni e altri. Dal Sesto di Porta del Duomo i nobili: Tosinghi, Arrigucci, Agli, Sizii, Marignolli, Ser Brunetto Latini e familiari. Dal Sesto di Porta San Piero i nobili: Adimari, Pazzi, Visdomini, una parte della famiglia Donati, della famiglia Scolari rimasero i della Bella, Carri, Ghiberti, Guidalotti di Balla, Mazzocchi, Uccellini e Boccatonde. Altri nobili e popolani da tutti i Sesti partirono per l’esilio.

Alberto Chiarugi Read the full article
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Filoteo Alberini e la prima sala cinematografica a Firenze


Era il 12 aprile del 1937 quando a Roma moriva Filoteo Alberini, uno dei pionieri della cinematografia in Italia e da alcuni ritenuto un precursore dei Fratelli Lumière. Era nato ad Orte (attuale provincia di Viterbo) nel 1867, quando ancora la città faceva parte dello Stato Pontificio e che sarà annessa al Regno Unito d’Italia qualche anno dopo, il 20 settembre del 1870, quando truppe militari attraverso la breccia nei pressi di porta Pia penetrarono in Roma. Il padre Raffaele era un commerciante, divenuto più volte consigliere comunale, mentre la madre, Candida Vecchierelli, fu sempre molto impegnata ad allevare i numerosi figli. Come i fratelli Lumière si appassionò subito alla fotografia e giovanissimo riuscì a costruire una piccola macchina fotografica rudimentale e le lastre sensibili per effettuare gli esperimenti fotografici perché all’epoca le lastre erano poco diffuse e molto costose. “Avevo allora quindici anni. – dichiarerà in una intervista nel 1923 - Capitò al mio paese un fotografo ambulante curioso feci di tutto per accattivarmi la sua simpatia e subito ne divenni il servitorello – così mi chiamava. Rammento allorché per la prima volta vidi riprodurre nel vetro smerigliato della macchina fotografica le immagini capovolte e a colori, non vi saprei descrivere ciò che io provassi in quel momento! Appresi facilmente le diverse manipolazioni occorrenti per ottenere una fotografia, tanto che il mio padrone fu sorpreso e si compiaceva dei risultati del suo allievo “ (La Tribuna, febbraio 1923). Riuscì più tardi ad acquistare una antica macchina fotografica a cassetta con la spesa di dodici lire. Il nipote Ermete Santucci, che più tardi collaborerà con lo zio, disse che le prime fotografie effettuate ad Orte furono scattate proprio da Filoteo. Dopo aver iniziato gli studi superiori a Viterbo convinse il padre a mandarlo a Roma. Aveva allora diciassette anni e qui cominciò a frequentare, spinto dal suo impareggiabile spirito eclettico, la scuola tecnica serale in piazza Madama e la scuola del nudo all’Accademia di Francia. Durante il servizio di leva il comandante lo aiutò ad entrare al Genio Militare. Filoteo ne fu entusiasta. Al termine del corso verrà assunto all’Istituto geografico militare di Firenze dove studierà “giorno e notte” materie come la fotoincisione, topografia, fotografia scientifica , ottica ecc. Non poteva capitare in città più adatta ai suoi interessi: a Firenze nel maggio del 1887 fu inaugurata la Prima esposizione nazionale di fotografia con una sezione internazionale e nel 1889 sarà sede della Società fotografica italiana e nello stesso anno del “Bullettino”, rivista a carattere scientifico (1889 - 1914). Sono anni che lo vedono impegnato assiduamente alla “officina fototecnica per la riproduzione delle mappe catastali” e quando il Ministero invitò il personale a trovare una soluzione più economica, Filoteo si mise subito al lavoro. Riuscì a ideare un nuovo sviluppatore che faceva risparmiare tempo e denaro, tanto che fu gratificato con una lettera d’encomio e premiato con 65 lire. Questo nuovo procedimento fu adottato dall’Istituto geografico Militare, dalla Rete Ferroviaria Adriatica e da numerosi altri enti e ciò gli comportò il merito della medaglia d’oro alla Seconda esposizione fotografica di Firenze del 1899.


Durante il suo soggiorno fiorentino Alberini in una delle sue passeggiate sotto i portici di piazza Vittorio Emanuele (oggi piazza della Repubblica) nel 1894 ebbe l’ incontro fatale con una delle invenzioni dell’americano Edison , il Kinetoscopio. Come i fratelli Lumière fu fortemente impressionato e poi influenzato da questo apparecchio che catturava le immagini, le riproduceva in movimento, ma permetteva ad una sola persona per volta di vedere il filmato dopo aver introdotto una moneta nella apposita fessura e ruotato una specifica manovella. Pensò, come più tardi ammise, che sarebbe stato meraviglioso poter far vivere quella fotografia animata a centinaia di persone col mezzo della proiezione luminosa sul tipo della vecchia lanterna magica. Da quel giorno si mise all’ opera e dopo due mesi di lavoro ideò il “Kinetografo Alberini”, un vero e proprio apparecchio cinematografico che era in grado di fotografare le immagini e di proiettarle in movimento, ma questa volta per una visione collettiva, non molecolare. Era tecnicamente uguale a quello ideato dai fratelli Lumière, il famoso e celebre “Cinematografo”. Il brevetto dei Lumière precedette quello dell’Alberini che a causa, pare, di un problema burocratico fu registrato il 21 dicembre 1895 e per questo non passò alla storia. Fu a Parigi al Salon Indien del Gran Cafè al boulevard des Capucins, attrezzato per l’occasione, che i fratelli Lumière il 28 dicembre 1895 proietteranno i tre famosi cortometraggi, da loro realizzati, che lasceranno a bocca aperta tutti gli spettatori paganti (costo del biglietto un franco) , dando vita alla avventurosa “nascita” del cinema. A Firenze l’anteprima dell’invenzione dei Lumière avverrà il 30 gennaio del 1897 in una sala privata di Palazzo Pitti, al cospetto dei principi di Napoli; lo spettacolo verrà replicato per molte sere nei locali della Festa dell’arte e dei fiori per far assistere il pubblico alle rappresentazioni dell’ormai celebre Cinematografo, che era ritenuto l’apparecchio più perfetto.

Filoteo Alberini, innamorato di cinema, non si perse d’ animo. Riconobbe la superiorità dell’apparecchio dei Lumière in quanto più leggero e maneggevole e perché rendeva possibile la riproduzione di immagini più nitide rispetto al suo Kinetografo, anche se identico in quanto a funzione e meccanica. Estese la sua passione nel settore dell’esercizio e della produzione cinematografica, intuendo che il cinematografo avrebbe avuto un grande avvenire . Era il 1899, da pochi mesi si era conclusa la Seconda esposizione fotografica nazionale che lo aveva premiato con medaglia d’oro, quando Filoteo, superando ogni indugio e con regolare autorizzazione rilasciata dall’agente dei Lumière, Francesco Felicetti, aprì agli inizi di novembre, sotto i portici dell’allora piazza Vittorio Emanuele, la prima sala stabile per proiezioni cinematografiche a Firenze e tra le primissime in Italia: il “Reale cinematografo Lumière”. Attrezzò la sala cinematografica all’interno del già esistente “Panorama internazionale”, che era stato aperto qualche anno prima, nel 1894, per offrire ai visitatori una visione panoramica di città italiane e non solo, proiettata sulle pareti intorno alla sala per mezzo di una lanterna magica, posta al centro. Il pubblico aveva la possibilità e poteva scegliere di vedere o le proiezione dei panorami prodotti dalla lanterna magica o di assistere nella sala separata e indipendente del Reale cinematografo Lumière alle proiezioni di cortometraggi e documentari realizzati dallo stesso Alberini, dai fratelli Lumière e da altri produttori emergenti. Idea geniale fu quella di utilizzare un locale piacevole, macchinari perfetti e soprattutto di introdurre un prezzo basso d’ingresso e dei biglietti ridotti per studenti e militari. Per attrarre maggiormente il pubblico in certe occasioni le pellicole venivano da Alberini stesso colorate a mano. Il quotidiano La Nazione il sabato 11 novembre 1899 così lo pubblicizzava: “In questo simpatico ritrovo delle famiglie scelte ed intelligenti, si divertono grandi e piccini dinanzi alle riproduzioni del cinematografo, le quali una più bella dell’altra, raggiungono il massimo della perfezione e della naturalezza”.

I suo progetto era quella di aprire nella città di Firenze altre sale cinematografiche perché Alberini credeva nel successo del cinema, al contrario dei fratelli Lumière che lo ritenevano un fenomeno passeggero. Non ebbe la possibilità di attuare la sua idea perché Il ferrarese Rodolfo Remondini, con molte più disponibilità economiche dell’impiegato Alberini, riscosse subito un gran successo con l’apertura nel giugno 1900 del cinema Edison in via Strozzi al n. 1, proprio nei pressi di piazza Vittorio Emanuele e a pochi passi dal cinema Lumière. A partire poi dal 5 giugno 1901 l’Edison verrà trasferito sotto i Portici e proprio negli stessi locali del Panorama (dove rimarrà sino al 1993), lasciati liberi dall’ Alberini. Filoteo nei primi mesi del 1901 aveva deciso di trasferire il cinema Lumière da piazza Vittorio Emanuele a via Vecchietti 1 con il nome “ Cosmorama” (dove proietterà il famoso film di fantasia “il viaggio sulla luna” di Méliés) per poi occupare un locale in via Brunelleschi 4 con il nome di “Sala Volta”. Alberini, che era sempre impiegato al Catasto, si rese ben presto conto che non poteva competere con Remondini e lascerà Firenze per Roma. “Arrivai alla capitale con la ferma volontà di ripetere quanto avevo fatto a Firenze” (Rivista cinematografica, Torino 10 febbraio 1923) e così fu. Nel gennaio del 1904 con l’appoggio economico di una misteriosa società americana aprirà in piazza Esedra, in qualità di direttore tecnico, il “Cinematografo Moderno”, un ambiente elegante e comodo a cui si poteva accedere pagando un biglietto di soli 20 centesimi. Incominciò anche a fare pellicole d’attualità per un vasto pubblico, “cosa questa che faceva affluire al Moderno una vera e propria fiumana di gente” (Rivista cinematografica 1923) . Di lui presto si disse che era un giovane energico pieno coraggio e d’iniziativa, un tecnico eccezionale che creava e modificava nastri e macchinari e interveniva con variazioni e aggiunte cromatiche. Negli anni 1903 e 1904, prima a Firenze e poi a Roma durante le proiezioni adottò un sistema basato sulla combinazione del proiettore e dei dischi musicali chiamato a Firenze “Cinetofonio” e a Roma “Cinematofonio”. La novità consisteva nell’azione simultanea del grammofono e del cinematografo, tanto da poterlo associare ad una scena vivente. La sua instancabile volontà, passione e inventiva lo porterà ad aprire in Italia insieme all’amico d’infanzia Dante Santoni , anch’ egli nativo di Orte, il “Primo Stabilimento italiano di manifattura cinematografica Alberini e Santoni”, a Roma sulla via Appia tra Porta San Giovanni e piazza del Re, provvista di sale di posa, di uffici e di laboratori per la stampa ed il montaggio di pellicole. Fu in Italia il primo autore di un film storico a soggetto “La Presa di Roma” che ebbe un clamoroso successo nel 1905. Migliaia di persone applaudirono entusiaste alla proiezione all’aperto nei pressi di Porta Pia di quelle riprese che facevano rivivere la gloria di un paese da poco unificato, evento di cui nella sua infanzia Alberini aveva sicuramente tanto sentito parlare.

La produzione Alberini e Santoni in poco tempo realizzerà numerosi film a soggetto storico, comico e d’argomento attuale fino a che non fu rilevata da un gruppo di investitori e trasformata, a partire dall’ aprile del 1906, in Società anonima Cines (con Alberini in qualità di direttore tecnico-artistico) e che diventerà una delle più importanti case di produzioni mondiali. Dopo questa parentesi continuerà a Roma l’ attività di esercente cinematografico. La sua passione per il cinema lo porterà a fare continuamente esperimenti e a realizzare invenzioni avanti nel tempo: una pulitrice meccanica per pellicole, un “cinematografo tascabile”, un apparecchio per la ripresa panoramica chiamato cinepanoramica con il quale il campo visivo raddoppiava in dimensione, brevetto che svendette ad una società americana nel 1926 e che verrà sfruttato successivamente dal cinema americano. Si può affermare che Filoteo Alberini è riuscito a dare un enorme contributo alla storia del cinema italiano e non solo. Oggi soltanto la città di Orte lo ricorda con il festival che porta il suo nome, con una iscrizione nella casa natale in via Piè di Marmo 159, con il cinematografo omonimo, che oggi è in fase di restauro, e con una statua in acciaio, inaugurata nel 2017, dell’artista senese Roberto Joppolo, posta dietro il Cinematografo “Alberini”.

Marta Questa Read the full article
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Torna la storica Festa del Grillo

Torna a Firenze la storica Festa del Grillo: appuntamento il 1° giugno all’Anfiteatro dell’Anconella

Dopo tantissimi anni di assenza, domenica 1° giugno 2025 torna finalmente a Firenze la storica Festa del Grillo, una delle tradizioni popolari più amate della città. Un evento fortemente voluto da Lorenzo Andreaggi, Presidente della Commissione Politiche Culturali ed Educative del Quartiere 3 del Comune di Firenze, che, insieme all’impegno di tanti, è riuscito a riportare in vita questa antica ricorrenza, in una veste nuova e attenta alla sensibilità contemporanea, ma sempre fedele al suo spirito originario. "Sono particolarmente felice che sia proprio il Quartiere 3 ad accoglierla nuovamente dopo anni di assenza!" – afferma Andreaggi con soddisfazione. I protagonisti saranno naturalmente i grilli… simbolici, ma ricchi di significato! Nella cultura popolare, il grillo è da sempre emblema di buona fortuna, gioia, vitalità e risveglio della primavera. Regalare un grillo, soprattutto ai più piccoli, era un gesto carico di affetto, un modo per augurare felicità e prosperità, secondo un’usanza fiorentina intrisa di poesia e memoria collettiva. La Festa del Grillo ha origini che risalgono alla seconda metà dell’Ottocento: nasceva per celebrare la Festa dell’Ascensione e si svolgeva tradizionalmente nel Parco delle Cascine, diventando nel tempo un appuntamento fisso per intere generazioni di fiorentini. Oggi torna in una forma rispettosa della natura: niente grilli veri, ma pupazzi simbolici e attività culturali pensate per grandi e piccini, per rivivere insieme un momento di condivisione che appartiene al cuore della città. Il programma della giornata L'appuntamento è per domenica 1° giugno 2025, a partire dalle ore 16:00, presso l’Anfiteatro del Parco dell’Anconella (Via Villamagna), con un programma ricco e variegato: Concerto dell’orchestra “La Nuova Pippolese”, che proporrà un ampio repertorio di brani della tradizione fiorentina in un’esibizione live della durata di circa due ore; Il celebre Luciano Artusi, autentica bandiera di Firenze e memoria storica cittadina, racconterà al pubblico le origini e l’evoluzione della Festa del Grillo; Il Dr. Bernardo Borri, esperto naturalista, illustrerà la biologia e l’habitat del grillo, con una teca contenente alcuni esemplari veri, spiegando al pubblico il ruolo ecologico fondamentale di questo insetto; L’Associazione culturale “Le Impronte di Atena” ha realizzato per l’occasione un centinaio di gabbiette artigianali, ciascuna con un grillo di peluche all’interno, che verranno donate ai bambini come ricordo della festa e simbolo della tradizione fiorentina reinterpretata in chiave moderna. Quella del 1° giugno sarà una giornata di festa, memoria e comunità, pensata per tutte le età: un’occasione per ritrovarsi, divertirsi, conoscere e riscoprire una parte autentica dell’identità fiorentina.

La Redazione di FlorenceCity. Read the full article
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Vittoria a Montaperti dei Ghibellini: Introduzione


L’uccisione di Buondelmonte. In Giovanni Villani, Nuova Cronica, ms. Chigiano L VIII 296 (Roma, Biblioteca Vaticana) Guerra civile a Firenze: Guelfi e Ghibellini Buondelmonte dei Buondelmonti figlio di Tegghiaio di Buondelmonte fu un cavaliere fiorentino. Non ci sono notizie sulla sua data di nascita. Le prime notizie su di lui si hanno quando insieme al fratello Gherardo vendette ai monaci di Passignano coloni e terre di suo proprietà. E’ entrato con la sua morte nella storia di Firenze assassinato dagli Amidei per uno sgarro fatto a loro, mancando a una promessa di matrimonio andata in fumo per l’innamoramento del Buondelmonti di una altra donna. Dal suo assassinio avvenuto il giorno di Pasqua del 1215, si fa risalire la divisione della città in Guelfi partigiani del papa, e Ghibellini parteggianti per l’Imperatore. Per questa divisione molti nobili e semplici cittadini si schierarono nelle due fazioni combattendosi in città e in battaglie con alterni successi in una guerra fratricida durata più di un secolo che portarono a primeggiare, anche se temporaneamente, una delle due parti fino alla vittoria definitiva dei Guelfi nella battaglia di Benevento del 1266 e la morte di Re Manfredi. Divisione dei partiti Guelfi e Ghibellini per Sestiere. (tratta dal Villani) Sesto di Oltrarno Guelfi: Nerli, la casa dei Giacoppi detti Rossi, Frescobaldi, Bardi, Mozzi; Ghibellini: Gangalandi, Obbriachi, Mannelli. San Pier Scheraggio Guelfi: la casa dei Pulci, Gherardini, Foraboschi, Bagnesi, Guidalotti, Sassetti, da Quona, da Volognano, Lucardesi, Chiermontesi, Compiobbesi, Cavalcanti; Ghibellini: la casa degli Uberti (capi della fazione), Fifanti, gl’Infangati, Amidei, da Volognano, Malespini, (per le angherie subite dagli Uberti divennero Guelfi). Sesto di Borgo Guelfi: la casa dei Buondelmonti (capi della fazione), la casa dei Giandonati, Gianfigliazzi, la casa degli Scali, la casa dei Guidalotti, la casa degli Importuni; Ghibellini: la casa degli Scolari (del ceppo dei Buondelmonti), la casa dè Iudi, la casa dei Galli, i Cappiardi; Sesto di San Brancazio Guelfi: Bostichi, Tornaquinci, Vecchietti; Ghibellini: Lamberti, Soldanieri, Cipriani, Toschi, Amieri, Migliorelli, Pigli (una parte di loro si fecero Guelfi). Sesto di porte al Duomo Guelfi: Tosinghi, Arrigucci, Agli, Sizzii; Ghibellini: Barucci, Cattani da Castiglione e da Cersino, Agolanti, Brunelleschi (parte di loro si fecero Guelfi). Sesto di porte San Piero Guelfi: Adimari, Visdomini, Donati, Pazzi, què della Bella, Ardinghi, Tedaldi detti què della Vitella, Cerchi (mercanti); Ghibellini: Caponsacchi, Lisei, Abati, Tedaldini, Giochi, Galigari. Questa divisione cittadina si acuì fortemente e andò peggiorando quando Siena ghibellina si legò a quelli fiorentini nel 1251 con un patto di mutua assistenza. Anni dopo nel 1255 Siena venne sconfitta in battaglia dalla Guelfa Firenze e dovette sottoscrivere un accordo, dove si impegnava a non accogliere i fuoriusciti da Firenze, Montepulciano e Montalcino. Il patto non venne rispettato dai senesi, quando dopo una fallita rivolta in Firenze, i Ghibellini furono costretti a lasciare la città. Questo episodio di mancato rispetto dell’accordo sottoscritto, indusse i Guelfi fiorentini a muovere guerra contro Siena e i suoi alleati, venendo sconfitti nella sanguinosa battaglia di Montaperti del 1260.

Alberto Chiarugi Read the full article
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Firenze frammenti d'anima di Augusto De Luca

La Rivista Fiorentina è lieta di ospitare gli scatti di un grande fotografo, Augusto De Luca, assieme ad un testo che ne descrive la genesi. Firenze nell’immaginario collettivo è un’isola con un enorme quantità di tesori. Città e Arte si fondono in una sola “idea” dando vita al più grande museo del mondo. Camminare a Firenze, prendere un caffè, mangiare un panino per strada, rappresentano sempre una parentesi, una sosta anche inconsapevole in uno straordinario viaggio nella storia. Quando mi è stato chiesto di fotografarla e interpretarla, ho avuto paura, paura di non riuscire a cogliere lo spirito di questa città-capolavoro. Per gestire con facilità il lavoro, presi in affitto un bellissimo appartamento nel cuore di quello che, indiscutibilmente, è uno dei crocevia culturali più vivi del Vecchio Continente, passaggio obbligato di ogni artista. Avevo così l’opportunità di visitare, nelle diverse ore del giorno, i vari luoghi da immortalare, valutando e scegliendo la luce che preferivo. Avevo anche la possibilità di girare la città quando era deserta, soffermandomi ed esaltando maggiormente le strutture architettoniche senza la presenza umana. Infatti, passeggiando per le sue vie piene di turisti e di studenti di ogni nazionalità diventa difficile cogliere certe atmosfere, certe vibrazioni che rimangono sommerse e che sono rintracciabili solo all’alba, quando la città è sospesa nel silenzio della sua monumentale bellezza, lontana dalla folla che è un aspetto nuovo di Firenze. Ho cercato, per quanto possibile, di restituirne l’aspetto più nascosto e forse più vero, attraverso i suoi eterni ed incontaminati frammenti d’anima che, nel continuo gioco tra luci ed ombre, restituiscono una veduta d’insieme frammentaria eppure completa, con richiami alla metafisica. Ho lavorato seguendo un processo di sottrazione, ricercando gli elementi minimali, prediligendo inquadrature dal basso verso l’alto, alternando diversi piani spaziali, giocando molto su ossimorici disequilibri tra figure e sfondo, così da esaltare armoniosamente il “tutto”, seguendo un personale alfabeto linguistico, decodificabile a partire dall’osservazione del più piccolo particolare che ne celebra la magia. Augusto De Luca











Augusto De Luca Read the full article
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La Congiura: Parte 2 Sforza, Riario e Medici

La Congiura: Parte 1 Introduzione

Sforza, Riario e Medici L’ultimo della lista a pagare per la congiura contro i Medici fu Girolamo Riario Signore di Imola e Forlì, pugnalato nel Palazzo del Governo ben dieci anni dopo l’attentato. Il suo corpo esanime venne poi gettato nudo nella piazza centrale, così che i presenti potessero continuare ad infierire su di lui con umiliazioni ed oltraggi.

Girolamo, il nipote di Papa Sisto IV che aveva osato alzare le armi su Lorenzo e Giuliano, non fu però raggiunto dalla vendetta di Lorenzo, ma da degli esacerbati rivoltosi. Lorenzo aveva tentato ben tre volte di vendicarsi ma senza riuscirci, così per ostacolarlo ne aveva diffuso il malcontento sui luoghi che governava, frustrandone le ambizioni a cariche di potere a Firenze. Girolamo, senza l’appoggio di Sisto IV, non sarebbe neanche apparso nella politica fiorentina o sui libri di storia. Di famiglia modesta, aveva sposato Caterina Sforza, la figlia illegittima di Galeazzo Maria Duca di Milano. Era un odiato governante, a causa dei suoi metodi ed eccessi. Ad esacerbare ancora di più gli animi dei suoi cittadini, fu una nuova tassa da lui pretesa sulle proprietà fondiarie. Come se non bastasse aveva alle costole due esattori della famiglia Orsi (Checco e Ludovico) e due suoi capitani, anche loro pieni di astio nei suoi riguardi a causa di ingenti debiti in sospeso. Così, insieme ad altri rivoltosi decisero di sopprimerlo durante una cena ai quali Girolamo stesso li aveva invitati senza sospettare nulla. Durante le libagioni i rivoltosi estrassero i pugnali mentre Girolamo terrorizzato si nascondeva inutilmente sotto ad un tavolo e la servitù fuggiva terrorizzata Nessuno lo soccorse, anzi gli assassini furono aiutati da chi sentite le urla accorse per infierire sul corpo già martoriato. Altri accorsero per bloccare le porte d’ ingresso del palazzo evitando così che gli esponenti della sua famiglia potessero soccorrerlo. La popolazione accorse per vedere il cadavere nudo riverso sulla piazza e per congratularsi con gli attentatori. Figli e moglie dell’uomo furono poi fatti prigionieri e il palazzo depredato.

Ma a cosa finita e calmati animi e tumulti, i fratelli Orsi furono presi dal panico per le conseguenze della loro azione, così scrissero intimoriti a Lorenzo de Medici cercando di ingraziarselo per aver vendicato Giuliano e sperando nella sua protezione. La lettera continuava descrivendo con dovizia di particolari l’atto cruento così come si era svolto, aggiungendo come sia il popolo che il clero avessero manifestato giubilo per la loro azione e la morte del despota.

Lorenzo appoggiò i due, ma da buon politico navigato quale era non lasciò prove scritte della cosa. Pochi giorni dopo la richiesta di aiuto alla quale Lorenzo non rispose, giunse un aiuto militare proveniente da Milano per riappacificare Forlì. Gli Sforza avevano mandato un piccolo contingente per recuperare la città, porre fine al subbuglio e restituirla a Caterina Sforza, la moglie di Girolamo sua diretta erede. Questa prontamente intervenne per fermare l'esercito salvando la città da sicura distruzione e saccheggio. Una mossa astuta per recuperare il favore dei forlivesi. Caterina entrò trionfante nella città mentre gli Orsi e chi li aveva appoggiati cominciarono a temere per la propria vita. Le case dei rivoltosi furono infatti attaccate e distrutte e i responsabili catturati e massacrati. Il vetusto padre dei fratelli Orsi per altro innocente, fu legato su una tavola di legno a faccia in giù e trasportato con i cavalli per la piazza principale della città, una volta morto gli venne estratto il cuore che venne preso a morsi dai presenti. Intanto Caterina faceva riesumare il corpo di Girolamo per dargli degna sepoltura, non prima però di averlo esposto per una veglia durata tre giorni nella chiesa di San Francesco. Visti i suoi atti, Girolamo sarebbe dovuto essere sepolto in terra sconsacrata, ma il clero chiuse un occhio, anche perché la moglie insisteva sul fatto che negli ultimi giorni l’uomo si stava redimendo e pentendo dei suoi misfatti… La donna era particolarmente pia, suo marito non troppo.

Con la morte di Girolamo, Innocenzo VIII poteva ora ambire a donare un piccolo regno composto da Forlì, Imola e Faenza al figlio Franceschetto, che intanto era andato in sposo a Maddalena, figlia di Lorenzo. Un bel piano per entrambi, sia per Lorenzo che per il Papa, ma i fiorentini non avrebbero ben visto questa alleanza e temuto un insediamento papale così vicino alla loro città. Serviva dunque discrezione per portare avanti la cosa.

Pochi giorni dopo venne versato altro sangue. Galeotto Manfredi, uomo di Lorenzo, venne assassinato perché colluso torbidamente in un poco chiaro intreccio tra le potenti città di Firenze, Roma, Venezia e Milano. Governatore di Faenza l’uomo era particolarmente dedito all’adulterio. La moglie più volte ferita ed offesa dai suoi tradimenti, portò proditoriamente il marito nella stanza da letto matrimoniale, dove erano nascosti i parenti della sua famiglia (i Bentivoglio), che uccisero Galeotto. Va evidenziato come l’assassinio del Duca di Milano avvenuto sedici mesi prima della congiura medicea sia legato anche a questo fatto. Galeazzo Maria Sforza era il figlio di Francesco Sforza, colui che aveva aiutato Cosimo, il nonno di Lorenzo, a rinforzare l’influenza dei Medici su Firenze. Anche Galeazzo come i due fratelli fiorentini venne avvicinato ed assalito durante una messa. Uomo violento e disinibito, Galeazzo soddisfaceva i suoi appetiti sessuali con donne “comprate” attraverso ricatti e subdoli compromessi, poi soddisfatti i suoi bollori, le cedeva generosamente alla corte. Particolarmente cruento, non si fece mai scrupolo di sopprimere barbaramente persone che lo ostacolavano o infastidivano con rimedi efferati e fantasiosi. Queste azioni lo avevano così inviso sia alla corte che al popolo. Alcuni dei cospiratori erano mossi da motivi politici, altri da odi maturati a seguito di sgarbi, violenze e soprusi, soprattutto a danno delle loro congiunte. Così, nella chiesa di Santo Stefano, il Duca venne circondato e colpito con pugnali e spade. Sul corpo martoriato e senza vita vennero contate ben quattordici ferite. Ma i congiurati non avevano organizzato l'attentato con solerzia ed attenzione, i più erano mossi da semplici odi personali e pensarono, o meglio sperarono, che il popolo afflitto dalle intemperanze e dal mal governo del Duca si schierasse dalla parte dei sobillatori, magari con la speranza di veder risorgere la vecchia Repubblica Ambrosiana.

Ma non andò così. Giovanni e Andrea due dei diversi cospiratori, furono catturati dallo stesso popolo, trascinati per le strade della città, malmenati, lapidati e infine accoltellati per poi essere appesi davanti alla loro casa a testa in giù. In seguito uno dei cadaveri fu decapitato ed asportata la mano come atto simbolico. Quest’ ultima venne bruciata e poi inchiodata ad una colonna della piazza. I resti martoriati del corpo invece furono trascinati nuovamente per le strade della città. Anche in questo caso si ebbero casi di cannibalismo, cuore e fegato vennero morsi con rabbia dai presenti, il resto venne dato in pasto ai maiali. Ma la fame di giustizia sommaria non si era esaurita, si protrasse con la cattura degli altri congiurati condannati alla ruota per essere torturati, poi squartati e i loro corpi appesi fuori le porte della città come monito. Quel forte sentimento di “tribalità” così diffuso nel medioevo, permetteva che l'odio si perpetrasse anche danno delle famiglie dei rei. Le abitazioni dei parenti degli insorti vennero così saccheggiate e i residenti trovati in esse arrestati ed esiliati. Con la mentalità odierna si può pensare che l'esilio fosse il male minore, ma ricordiamoci della pena di Dante, di come soffrì l’obbligata lontananza dalla sua città, la mancanza della famiglia e degli amici. Questa esperienza si trasformava all’epoca in una sorta di morte sociale, della perdita della propria identità, di una damnatio memoriae che trasformava il renitente ad una punizione opprimente, pesante, senza fine nella quale veniva allontanato come un appestato e dimenticato.

Riccardo Massaro Read the full article
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La bistecca alla fiorentina


Scrive il grande esperto culinario Pellegrino Artusi: “La bistecca alla fiorentina non è altro che una braciuola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata di vitella”. Si tratta quindi di un taglio dalla lombata del vitellone di razza chianina con in mezzo l’osso a forma di “T” che divide il filetto da una parte e il controfiletto dall’altra. Il termine bistecca deriva dal termine inglese “Beef-steak”, alla lettera “costola di bue”, e mentre la sua origine si perde nella notte dei tempi, la sua celebrità si deve alla famiglia Medici che organizzava ogni anno a Firenze dei grandi falò dove venivano arrostite abbondanti quantità di carne che venivano distribuite ai cittadini durante la Festa di San Lorenzo il 10 di agosto. Secondo l’antica ricetta, la carne deve essere cotta sulla griglia sopra una brace di carbone di legna, deve essere priva di condimento, girata un’unica volta dopo cinque minuti e salata una sola volta. La bistecca alla fiorentina resta uno dei piatti più famosi e gustosi della cucina toscana e fiorentina in particolare. (da Adagi allegri andanti di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)

Franco Ciarleglio Priore e Narrator Cortese Read the full article
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La Dovizia


Nel Giardino di Boboli, nel piano sopra la vasca del Nettuno, si trova la statua della Dovizia, che reca una lapide a ricordo del fatto che, nel 1636, quando una grande carestia affliggeva l’Europa, la Toscana non ne soffrì.

La statua venne realizzata dal Giambologna ed originariamente doveva rappresentare Giovanna d'Austria, moglie di Francesco I, ed era stata pensata per trovare collocazione su un’alta colonna in Piazza San Marco. Poco prima che la colonna venisse portata in Piazza San Marco per essere eretta, accadde che una delle travi che ne sostenevano il peso si ruppe e la colonna cadde a terra rompendosi in due pezzi. La colonna era stata realizzata in marmo di Seravezza, ed era di una mole impressionante, tanto che per portarla a Firenze vennero impiegati 24 buoi e 14 schiavi. Dopo la sua rottura, venne sotterrata nel mezzo della piazza San Marco. A seguito di questi eventi, la statua rimase incompiuta e per lungo tempo venne abbandonata. Nel 1634, su incarico di Ferdinando II, Pietro Tacca ed il suo allievo Sebastiano Salvini la trasformarono in statua della Dovizia, mettendole in un braccio delle spighe di grano e nell’altro un vaso di frutta e fiori, e venne collocata lì dove la vediamo attualmente.

Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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La Congiura: parte 1 Introduzione


Domenica di aprile del 1478 Cattedrale di Firenze. Un gruppo di cospiratori tenta di assassinare due dei principali esponenti della famiglia dei Medici. Gli ingredienti di questa storia? Un giovane brillante ed importante uomo politico nonché poeta, un papa ormai ricco e potente da poter riversare sui suoi nipoti tutto il benessere acquisito e tutto il suo potere; un arcivescovo, che pur di fare carriera si allontana dal messaggio cristiano di cui dovrebbe essere alfiere non disdegnando l'omicidio pur di raggiungere i suoi scopi; poi c'è il Re di Napoli astuto e mefistofelico e come contorno i mercenari di ognuno, i soldati del tempo. Il nome “soldato”, deriva appunto da “soldo”, colui che per un compenso presta i propri servigi militari ad un grande signore, visto che questi erano gli unici eserciti di professionisti esistenti, ben lontani dall’efficienza della raffazzonata milizia coatta cittadina. Ma non sono solo i Medici ad essere potenti e ricchi, dall'altra parte della città ambiziosi e sempre potenti ci sono i Pazzi.

Firenze si era trasformata dopo oltre due secoli da Repubblica a Signoria, o forse addirittura in tirannia. I Medici, grandi mecenati, istruiti, ricchi e potenti, avevano di fatto in mano la città e tutta la politica che la governava. Chi voleva fronteggiarli o scalzarli non poteva fare a meno che tentare di farlo attraverso il sangue.

Ma non erano solo i Pazzi a voler meno potenti i Medici. La famiglia era un ago della bilancia nell'Italia rinascimentale. Ormai vantava un legame stretto con gli Sforza di Milano, divenuti i protettori di Firenze, che era inoltre alleata con Venezia, tenuta ad intervenire militarmente in caso di difficoltà del capoluogo toscano. Dietro a questo intreccio c'è anche lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli che avranno la loro parte nella congiura. Porta bandiera di queste due potenze sono Papa Sisto IV e Re Ferdinando D'Aragona, entrambi ambiziosi di estendere il loro potere su tutta l'Italia centrale e oltre e fermare la sempre più spiccata ascesa medicea. Ad aiutare i complottisti per non soccombere o rimanere nell'ombra di Firenze, c'è la Repubblica di Siena e il Ducato di Urbino, città potenti con al comando capitani di ventura che avevano dimostrato tutto il loro valore e le loro capacità, ma comunque messe all’angolo dalla predominante città del Giglio. Nella prima parte del medioevo, all’incirca dalla prima metà dell'anno mille alla prima metà del XIV secolo, vi erano state in Italia sollevazioni, guerre, ribellioni e colpi di mano. Dopo questo periodo la situazione si era in parte stabilizzata ed ogni potere era diventato sempre più indipendente, ma concentrato in città come Venezia, Milano, Firenze, Roma e Napoli, intorno cui orbitavano gli interessi di città meno potenti come Ferrara, Siena e Lucca intimorite dai poteri forti. Oltre all'arte della guerra si era raffinata ed evoluta anche quella della diplomazia, nonché quella dell'inganno e dei sotterfugi, degli accordi segreti e dei matrimoni mirati… Ecco allora farsi avanti questa nuova fase, quella della congiura mirante a destabilizzare completamente questo equilibrio seppur precario.

Firenze era una città florida, ricca di entrate fiscali, con al proprio servizio un esercito di professionisti piuttosto costoso ma efficiente. Pullulava poi di banchieri e di commercianti, ma non era ancora all’altezza delle altre città Stato italiane. Firenze dunque aveva forti resistenze ad entrare in guerra contro i suoi rivali. Così, mentre Machiavelli, il Verrocchio, il Pollaiolo il Botticelli e il Ghirlandaio eseguivano le loro opere, nell'ombra si muovevano tetre figure pronte a ribaltare la situazione a proprio vantaggio. Intanto l'arte e la cultura si sviluppavano grazie alla protezione e la sovvenzione di grandi personaggi ricchi ed influenti. Così, letterati ed intellettuali per emergere nell’affollato panorama artistico, dovevano ingraziarsi qualche uomo politico, ricco cittadino influente o nobile. Tra questi grandi mecenati ovviamente i Medici, che venivano a loro volta sedotti e lusingati dalla letteratura e dall’arte attraverso dediche o citazioni di questi artisti che li ponevano come figure centrali della loro ispirazione.

Ogni opera prodotta in questo periodo e che ancora oggi possiamo ammirare con stupore, sono frutto di questo meccanismo. Questi grandi artisti dunque non potevano non schierarsi a favore dei loro signori, che in qualche maniera li mantenevano e gli permettevano di sviluppare la loro arte. Ogni loro dedica e menzione finiva per aggiungere gloria e fama immortale a questi signori sempre più conosciuti, provocando l’ invidia dei rivali. Seppure il Rinascimento viene ricordato come un periodo storico florido per l'arte e la letteratura, non va dimenticato che era continuamente funestato da scontri armati, alleanze precarie, tradimenti, corruzioni, assassini. Nonostante tutto ha lasciato una grande eredità artistica a noi contemporanei. Ovviamente questo periodo storico non può essere compreso attraverso l'educazione e la mentalità acquisita grazie alla democrazia odierna con cui siamo cresciuti. Bisogna perciò entrare nella mentalità degli uomini di quell’epoca e dimenticare, almeno per un po’, cosa oggi nella nostra visione sarebbe giusto o sbagliato. D'altronde come accettare i prestiti forzosi, il sequestro delle proprietà, le leggi che regolavano l'abbigliamento di lusso, il coprifuoco notturno, la tortura, le esecuzioni capitali spettacolarizzate come realtà quotidiana? Prima di augurarvi buon viaggio in questa Firenze medievale, va ricordato che il Governatori della città erano otto Priori, insieme al Gonfaloniere di Giustizia, il Capo dello Stato che insieme costituivano la Signoria. Eletti, operavano per soli due mesi mettendo in atto un sistema breve ma stabile. I priori per operare al meglio, si consultavano quotidianamente con gli esponenti della classe politica più anziana, dotata di maggiore esperienza. Gli stessi semplici cittadini potevano ambire a raggiungere una funzione di comando. Buon viaggio!

Riccardo Massaro Read the full article
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